23
“Oggi, infatti, in virtù del combinato disposto della sentenza della Corte
costituzionale e dell’intervento del legislatore, il rimedio generalmente azionabile ai sensi
dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 contro il licenziamento ingiustificato, potrà senz’altro
consistere, in una indennità risarcitoria onnicomprensiva che il giudice dovrà
commisurare alla concreta situazione dedotta in giudizio (rendendo congruo, pertanto, il
ristoro rispetto al danno subito, seppure entro le soglie ricordate)”.
24
Rimane ancora vivo il problema legato alla misura dell’indennizzo, il quale rimane
tutt’ora ancorato ai limiti minimi e massimi che non possono in alcun modo essere
disattesi dal giudice. Secondo quanto poi disposto dalla norma, le due mensilità per ogni
anno di servizio risultano anch’esse parametro a cui il giudice deve sottostare, senza
possibilità alcuna di realizzare una previsione in peius.
È infatti inammissibile la diminuzione della soglia di due mensilità per ogni anno
di servizio, essendo possibile solo modifiche in melius: preso atto del primo parametro
(l’anzianità di servizio), e valutati gli ulteriori aspetti, il giudice potrà solamente innalzare
l’indennizzo, dandone atto alla controparte tramite adeguate motivazioni.
Con l’intervento, il parametro dell’anzianità di servizio non viene né eliminato, né
tanto meno dichiarato incostituzionale in quanto una norma che preveda “un risarcimento
forfettizzato del danno non è di per sé contraria alla Costituzione”
25
: si noti come tale
parametro è desumibile storicamente nel nostro ordinamento, oltre al fatto che la legge
delega n. 183 del 2014 impone (non solo al legislatore delegato, ma, deve ritenersi, anche
al giudice, in via di interpretazione costituzionalmente orientata) di determinare “un
indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio”. Va però precisato
che la Costituzione impone che il danno forfettizzato sia in ogni caso di importo
“adeguato” e dunque generi una ragionevole contemperamento degli interessi in conflitto.
Il giudice delle leggi indica dunque gli altri criteri, già insiti nel sistema, che il
giudice deve utilizzare per calibrare il risarcimento del danno in base alla singola
situazione concreta. Al riguardo la pronuncia richiama espressamente sia gli indici fissati
dall’art. 8, l. 604/1966 - che si riferisce a “il numero dei dipendenti occupati, alle
24
Giubboni S., Il licenziamento del lavoratore con contratto “a tutele crescenti” dopo l’intervento della
Corte costituzionale, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT-379/2018, p 5.
25
Carinci M.T., La Corte costituzionale n. 194/2018 ridisegna le tutele economiche per il licenziamento
individuale ingiustificato nel “Jobs Act”, e oltre, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT - 379/2018,
p. 16.
24
dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al
comportamento e alle condizioni delle parti” - sia a quelli indicati dall’art. 18, comma 5,
St. Lav. - che individua come parametro innanzitutto l’“anzianità del lavoratore” e precisa
poi “tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività
economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica
motivazione al riguardo”. I parametri ricavabili dall’ordinamento, dunque, sono
ampiamente convergenti, se non totalmente sovrapponibili. Si registra, anzi, una positiva
evoluzione nella comparazione fra il parametro della “dimensione dell’impresa” di cui
all’art. 8, l. n. 604/1966 - che si riferisce ad un mero dato “quantitativo”: il numero dei
dipendenti - e quello più recente delle “dimensioni dell’attività economica” - che allude
invece all’elemento “qualitativo” della capacità economica dell’impresa, che riassorbe in
sé anche l’indicatore del mero numero dei lavoratori - parametro certo maggiormente in
grado di dar conto della forza e solidità del datore di lavoro nello scenario economico-
produttivo odierno. In conclusione, secondo la pronuncia: “il giudice terrà conto
innanzitutto del criterio dell’anzianità di servizio”, come punto di partenza, in quanto
“prescritto dall’art. 1 comma 7 lett. c), della legge n. 184 del 2014, e poi utilizzerà gli altri
parametri descritti sopra.
Per quanto riguarda la posizione della controparte (quella datoriale), la sentenza
nega la possibilità di un calcolo preciso del costo di licenziamento creando così un
migliore equilibrio tra gli interessi in gioco.
Il licenziamento illegittimo viene quindi nuovamente regolamentato con il fine di
responsabilizzare maggiormente il datore di lavoro, oltre che tutelare il lavoratore o per
meglio dire il diritto al lavoro.
Quanto poi alle fonti internazionali, viene fatto un enorme passo in avanti
riconoscendo rilevanza giuridica alla Carta sociale europea. In questo ambito si aprono
enormi scenari che in questa sede però non saranno presi in esame.
5.1. L’impatto della pronuncia sul contenzioso futuro
La sentenza come si è detto ha numerosi effetti, uno tra questi è legato
all’incremento del contenzioso in materia di licenziamenti e del suo valore economico.
25
Questo risultato è frutto anche della combinazione della sentenza in esame con due
novità, rappresentate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018 e dal c.d.
Decreto Dignità
26
.
In particolare con la sentenza n. 77/2018 viene dichiarato illegittimo l’art. 92,
comma 2, c.p.c, (come modificato dall’art. 13, co. 1, d.l. n. 132/2014) nella parte in cui
non prevede che il giudice possa compensare le spese di lite tra le parti, parzialmente o
per intero, anche qualora sussistano “gravi ed eccezionali ragioni”.
Con tale pronuncia, la strada del contenzioso assume maggiore appetibilità per i
lavoratori, i quali dissuasi dalla possibile condanna al pagamento delle spese, spesso
avevano rinunciato a proporre azioni giudiziarie nei confronti dei datori di lavoro. Ritorna
così il previgente sistema delle compensazioni delle spese di lite che da sempre trovava
applicazione nell’ambito delle controversie di lavoro.
Nel contempo, con il nuovo provvedimento rappresentato dal c.d. Decreto Dignità
la posizione del lavoratore viene maggiormente rafforzata, soprattutto nell’ambito della
trattativa pregiudiziale, nella misura in cui viene predisposto un innalzamento delle soglie
(da 4 - 24 mensilità passano a 6 - 36 mensilità) entro le quali il giudice può quantificare
l’indennità dovuta al lavoratore illegittimamente licenziato. Ne consegue, inoltre, che il
lavoratore potrà godere di una tutela di maggiore consistenza, previsione realizzata con il
fine di dissuadere il datore a licenziare a prescindere dall’esistenza di un vero
presupposto.
5.2. L’impatto della pronuncia sulle controversie pendenti
Un ulteriore effetto, che forse desta maggiori preoccupazioni, si riconduce agli
effetti che la pronuncia produrrà sui giudizi in corso o non ancora conclusi
27
.
In riferimento a quest’ultimi ci si pone il problema se e come il giudice possa
utilizzare i nuovi parametri ai fini della determinazione dell’indennità, qualora la parte
attiva, non avesse nella parte introduttiva del ricorso allegato fatti che provassero
26
Cavallini G., L’impatto della declaratoria di incostituzionalità del “cuore” del Jobs Act sul contenzioso
lavoristico e sulle altre disposizioni del D.lgs. n. 23/2015, in SINTESI (rassegna di giurisprudenza e
dottrina), dicembre 2018 n. 12, p. 10.
27
Galbusera P., il contratto a tutele crescenti: commento alla sentenza n. 194/2018 della corte
costituzionale, rivista Lavoro Diritti Europa, 2019 n. 1, p. 5.
26
l’esistenza di taluni parametri, quali numero di dipendenti occupati, dimensioni
dell’impresa e dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti…
Il giudice in tale circostanza dovrà cercare di desumere tali elementi dagli atti di
causa, qualora poi questo non fosse possibile dovrà, tramite l’esercizio dei poteri istruttori
ex art. 421 c.p.c, assumere tutte le informazioni necessarie, potendo prevedere inoltre un
termine entro cui le parti possano depositare memorie integrative.
In merito poi alle nuove soglie disegnate dal c.d. Decreto Dignità, quest’ultime
saranno applicate solo ai licenziamenti intimati dopo la sua entrata in vigore, per quelli
anteriori invece si continuerà ad applicare la normativa precedente.
5.3. L’impatto della pronuncia sulle disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 non
direttamente censurate
Le problematiche non si fermano qui infatti, occorre chiedersi se, e come, la
pronuncia produca effetti anche sugli articoli del d.lgs. n. 23/2015, che non sono stati
oggetto dello scrutinio del Giudice delle leggi.
Non rappresentando l’art. 3 una norma isolata rispetto alle altre norme, ed essendo
il meccanismo previsto al suo interno mutuato da altri articoli del decreto, si può capire
come certamente la sua dichiarazione di illegittimità si ripercuota, anche se in misura
diversa, sulle altre disposizioni del decreto.
In particolare si veda come, seppur la Corte abbia dichiarato esplicitamente
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 4, d.lgs. n.
23/2015 come si è detto in precedenza (punto 5.1.2 e 5.3 della decisione), quest’ultimo,
essendo uno di quegli articoli che mutua lo stesso meccanismo di cui all’art. 3, con quasi
totale certezza alla prima occasione utile (non appena cioè la Corte sarà investita della
questione da parte di un giudice che si trovi di fronte a un licenziamento affetto
esclusivamente da vizi formali o procedurali)
28
sarà dichiarato incostituzionale.
Un discorso ancora diverso merita invece la previsione di cui all’art. 6, d.lgs. n.
23/2015
29
, che ha introdotto una nuova modalità di conciliazione stragiudiziale
28
Cavallini G., L’impatto della declaratoria di incostituzionalità del “cuore” del Jobs Act sul contenzioso
lavoristico e sulle altre disposizioni del D.lgs. n. 23/2015, in SINTESI (rassegna di giurisprudenza e
dottrina), dicembre 2018 n. 12, p. 11.
29
De Luca Tamajo R., la sentenza costituzionale n. 194/2018 sulla quantificazione dell’indennizzo per il
licenziamento illegittimo, in http://csdle.lex.unict.it, consultato il 13 febbraio 2019, p. 641.
27
prevedendo che il datore di lavoro possa offrire al lavoratore, entro sessanta giorni dal
licenziamento, un importo esente da Irpef e da contribuzione previdenziale di ammontare
pari a una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a tre e
non superiore a ventisette mensilità (dopo le modifiche del Decreto Dignità).
Anche tale norma utilizza il meccanismo dell’art. 3, ma, non riguardando le
modalità di calcolo dell’indennità, ma solo quelle della somma che potrà ricevere il
lavoratore a titolo conciliativo, non sembra che vi siano i presupposti per lamentare la sua
incostituzionalità. Tuttavia, a fronte dell’innalzamento delle soglie operate dal c.d.
Decreto Dignità, il lavoratore sarà portato ad accettare la proposta di tipo conciliativo.
Spetterà al legislatore porre una soluzione a tale problema; ad oggi tale strumento risulta
quasi del tutto disapplicato.
Per quanto poi, concerne gli articoli 9 (in materia di licenziamenti intimati da
piccole imprese) e 10 (in materia di licenziamenti collettivi) d.lgs. n. 23/2015, non pare
sia necessario un ulteriore intervento del Giudice delle leggi, facendo entrambe le norme
rinvio diretto alla norma dichiarata incostituzionale. Pertanto, il giudice, nel momento in
cui applicherà tali articoli, dovrà determinare il valore dell’indennità sulla base dei nuovi
parametri definiti dalla sentenza.
6. Il costo del licenziamento
A proposito della questione relativa al costo del licenziamento accennata prima
30
,
si osservi come la legge, nel prevedere il meccanismo di tutela per i lavoratori in caso di
licenziamento illegittimo, sembra preoccuparsi solo del punto di vista del datore: ciò
accade per il fatto che se egli licenzia secondo i criteri disposti dall’ordinamento, il costo
che, dovrà sostenere sarà nullo. Quello che traspare in maniera abbastanza evidente è che
tale meccanismo è stato così pensato in quanto il giudice non sarebbe in grado di cogliere
le esigenze del libero mercato. Pertanto, per evitare ulteriori distorsioni del diritto di libera
iniziativa economica, si è optato per la realizzazione di quest’ultimo.
Questa posizione si presta a non poche criticità: innanzitutto, in tale modo si
deresponsabilizza la giurisprudenza; risulta poi non spiegato come mai il costo del
licenziamento debba essere determinato in maniera così precisa, quando vi sarebbero
30
Ch. supra, in questo cap., paragrafo 5.