dalle difficoltà economiche nell’Uem e l’impossibilità di affrontare con i mezzi
necessari la negativa fase congiunturale, hanno fatto sorgere diversi dubbi sulla
efficacia e sulla saggezza di tale sistema di regole. E’ da sottolineare che alcune
di queste critiche, in particolar modo sul versante politico, hanno implicitamente
lo scopo di negare possibili responsabilità nazionali nella deludente crescita
economica dei propri paesi, e, di conseguenza, nell’eventuale mancato rispetto
dei vincoli del Patto. E’ bene ricordare che ogni norma o regola fiscale ha per
definizione delle arbitrarietà, ma che vengono considerate necessarie al
rafforzamento della disciplina di bilancio, “…,naturalmente, il Patto di stabilità
restringe il margine di manovra delle autorità fiscali nazionali. Ma questo è il
prezzo che bisogna pagare per avere una moneta unica. Storicamente, la stabilità
fra le monete è stata possibile solo quando i paesi sono stati in grado di cedere
alcune sovranità nazionali”( Horst Siebert, Financial Times, 6 Agosto 2002).
Prescindendo dalle motivazioni meno nobili che portano a criticare il PSC,
alcune rigidità ed alcune incertezze nella corretta interpretazione di questo
sistema di regole hanno effettivamente inciso negativamente, come è riportato in
questo lavoro, sulla effettiva capacità stabilizzatrice delle eterogenee economie
dei membri dell’Uem, mentre l’obiettivo della crescita sembra essere del tutto
ignorato.
Sono state avanzate, specialmente in letteratura, numerose proposte di modifica o
correzioni interpretative delle regole già esistenti; che, prendendo soprattutto
spunto dalle difficoltà riscontrate nell’applicazione del PSC, tentano di apportare
quei miglioramenti ritenuti, oramai, nell’opinione prevalente, necessari.
Questo lavoro tenta di far luce sulla dimensione e sulla qualità dei risultati che le
regole fiscali del Patto, in parte ereditate dal Trattato, hanno raggiunto nel corso
degli anni novanta, in particolare, l’attenzione è rivolta ai punti deboli che le
regole fiscali hanno evidenziato negli ultimi anni e sulla opportunità di una
radicale modifica o di un più accessibile miglioramento interpretativo.
Nel primo capitolo viene riportata una breve descrizione delle trattative che
hanno portato all’adozione del Patto di stabilità e crescita(par. 1.1), quindi, sono
riportati in sintesi i due regolamenti Ecofin(1466/97 e 1467/97) e la risoluzione
del Consiglio Europeo, che compongono il PSC(par. 1.2). A seguire viene
trattato il dibattito che ha caratterizzato l’adozione di determinate regole fiscali
nell’Uem(par. 1.3), a conclusione del capitolo viene esposta un’analisi
sull’efficienza delle regole fiscali Uem, condotta attraverso i criteri di Kopits-
Symansky(par. 1.4).
Nel secondo capitolo viene esposto uno studio, condotto da Fatas e Mihov, sulle
politiche fiscali realizzate prima e dopo l’Uem, integrato da dati più recenti
forniti dalla Commissione Europea (par. 2.1), attraverso tale studio è possibile
evidenziare come, in un area caratterizzata dall’eterogeneità dei paesi membri,
sono stati raggiunti gli obiettivi richiesti per l’ingresso nell’Uem ed inoltre si
nota la delicata fase che l’area sta attraversando dopo l’avvio dell’unione
monetaria. Nel paragrafo successivo è riportata un’analisi sul tipo di politiche
fiscali condotte in Italia, sotto il Patto(par. 2.2). Quindi viene trattato il discusso
utilizzo delle misure una tantum(par. 2.3). Nel penultimo paragrafo vengono
riportati dei dati che fanno riferimento a tre diverse recessioni e ai loro effetti su
diversi paesi(par. 2.4). Infine viene dibattuta la capacità o meno del PSC di
stabilizzare il ciclo economico e di coordinare le politiche fiscali dei vari paesi
membri(2.5). Il terzo capitolo viene introdotto dalla constatazione dell’assenza,
nel Patto, degli strumenti necessari ad evitare dei comportamenti scorretti, da
parte dei singoli membri dell’Uem, durante i periodi di crescita economica. Una
delle ipotesi avanzate è la poca chiarezza che circonda il cosiddetto “obiettivo di
medio termine” introdotto dal Patto(par. 3.1). Nel secondo paragrafo viene
introdotta la controversa scomposizione del deficit pubblico in deficit strutturale
e ciclico. Tra i vari metodi, che le diverse organizzazioni internazionali
utilizzano, viene riportato un semplice modellino, utilizzato dall’OCSE, in grado
di chiarire sufficientemente la questione(par. 3.2). Il terzo paragrafo introduce un
metodo per assicurare la disciplina fiscale nel breve e nel medio periodo, in
particolare nel caso in cui un paese si trovi ancora nella fase di transizione verso
l’obiettivo di medio termine di “vicinanza al pareggio o in surplus”. Il quarto
capitolo elenca nella prima parte le critiche più importanti rivolte verso il Patto.
In particolare al PSC viene rimproverata la riduzione della flessibilità dei bilanci,
il suo operare asimmetricamente, la mancanza di sanzioni per le politiche fiscali
che sono motivate politicamente, la riduzione degli investimenti, la mancanza di
una posizione fiscale aggregata, la poca attenzione alle riforme strutturali(par.
4.1). Nei paragrafi 4.2-4.3-4.4-4.5-4.6-4.7 vengono, invece, riportate le principali
proposte di riforma del Patto presentate in letteratura o da autorità istituzionali. In
particolare, l’aumento della disciplina dei mercati finanziari, le riforme
procedurali, le riforme istituzionali, l’introduzione di regole di spesa,
l’introduzione della Golden Rule, la scelta di un obiettivo di bilancio per l’area
euro nel suo insieme, l’attenzione al livello del debito ed alla sua sostenibilità,
l’introduzione di un Patto di sostenibilità del debito pubblico, la proposta della
Commissione Europea affinché il Patto non contrasti con le necessarie riforme
strutturali. Nell’ultimo paragrafo vengono trattate le proposte che mirano ad una
più efficiente interpretazione delle regole già esistenti, le proposte sono di
articolare l’obiettivo di medio termine tenendo conto delle caratteristiche di ogni
paese, il miglioramento della trasparenza, il contrasto dei comportamenti scorretti
durante i periodi di crescita, l’applicazione non partigiana delle regole(par. 4.8).
Capitolo 1: Le regole fiscali nell’Uem
1.1 Sintesi delle trattative sul PSC
La proposta di un Patto di Stabilità per l’Europa fu avanzata dall’allora
Ministro delle finanze tedesco Theo Waigel nel Novembre del 1995. La proposta
venne criticamente analizzata dalla Commissione all’inizio del 1996. La
Commissione sottolineò infatti che le politiche di bilancio erano destinate ad
assumere, nell’Uem, un ruolo determinante ai fini della stabilizzazione ciclica e
dell’assorbimento degli shock asimmetrici, a causa della rinuncia, da parte dei
singoli paesi, allo strumento del tasso di cambio ed all’autonomia della politica
monetaria. Secondo la Commissione, quindi, le politiche di bilancio nazionali
avrebbero dovuto mantenere margini adeguati di flessibilità per contrastare
efficacemente gli sfasamenti ciclici e per consentire l’assorbimento dei “disturbi
specifici” nazionali. La Commissione suggerì di prevedere una certa
differenziazione negli obiettivi di bilancio di medio periodo e ritenne che la
proposta tedesca fosse inidonea a garantire un’efficace politica di bilancio
anticiclica e di contrasto delle emergenze economiche.
L’intento era chiaro: mentre i criteri del trattato di Maastricht , 3% del Pil per il
deficit e 60% per il debito, avevano valore per l’ingresso nell’Unione Economica
e Monetaria, il governo tedesco temeva che una volta entrati nell’euro, i paesi
tradizionalmente indisciplinati sul fronte della finanza pubblica, tornassero alle
vecchie abitudini: con conseguenze per la stabilità macroeconomia dell’Uem e
inevitabili ripercussioni sul tasso di cambio della nuova moneta.
L’idea del Patto è quella di trasformare i criteri d’ingresso del Trattato in regole
che garantiscano permanentemente la disciplina di bilancio nell’area dell’euro.
Le difficili questioni politiche furono risolte nel Consiglio Europeo di Dublino
nel 1996 e le conclusioni finali furono approvate dal Consiglio Europeo di
Amsterdam nel Giugno del 1997
1
.
L’accordo finale è sostanzialmente diverso rispetto alla proposta iniziale tedesca:
l’accento è messo più sulla prevenzione dei deficit eccessivi che sulla punizione
ex post. In particolare, si è ritenuto che l’automaticità delle sanzioni andasse oltre
le disposizioni del Trattato, il quale lasciava, su questo aspetto, un certo grado di
discrezionalità alla Commissione europea ed al Consiglio Ecofin
2
.
Inoltre, l’ammontare delle sanzioni è stato giudicato troppo alto e quindi
dannoso.
Inoltre, il vincolo sul debito pubblico è stato considerato non necessario, perché
un deficit di bilancio sotto al valore di riferimento del 3% del Pil dovrebbe
automaticamente implicare una progressiva diminuzione del rapporto del debito
pubblico al di sotto del punto di riferimento del 60% del Pil.
Infine, la riduzione della quota del settore pubblico nell’economia, pur essendo
desiderabile per ragioni d’efficienza, non è stata accettata come regola generale.
1
Per una prospettiva storica dei negoziati sul Patto, ved. Costello(2001) e Stark(2001).
2
Il Consiglio dell’Unione( Consiglio dei Ministri o Consiglio) è il principale organismo comunitario
avente poteri decisionali e di coordinamento, che conferisce altresì competenze di esecuzione alla
Commissione. Un’importante composizione del Consiglio è il cosiddetto Ecofin, composto dai Ministri
dell’economia e delle Finanze di ciascuno Stato membro dell’Ue.