- 2 -
Verranno presentate le geometrie delle strutture di minimo e di transizione che identificano
i cammini di reazione verso ciascun prodotto, le relative energie elettroniche e i dati
termochimici di ciascun processo. Di questa miscela in letteratura è noto solo il
meccanismo di reazione tra NF
3
e Si
+
. [9]
Il trifluoruro di azoto, NF
3
, è inoltre di per sè uno dei composti perfluorurati (PFCs)
più usati anche nelle tecnologie al plasma dell’industria dei semiconduttori, in particolare
nei processi di etching. Il plasma etching è un tipo di processo nel quale un flusso di
plasma ad alta velocità è collimato in modo pulsato sulla superficie di solidi dei quali si
vogliono modificare le proprietà fisiche per ottenere semiconduttori dalle caratteristiche
desiderate. I gas di etching usati in particolare nella tecnologia del silicio sono: NF
3
, CF
4
,
C
2
F
6
, SF
6
, HBr, Cl
2
e HI. Tuttavia a differenza degli altri gas fluorurati, l’utilizzo di NF
3
consente di evitare contaminazioni da residui carboniosi che ridurrebbero la purezza del
prodotto finale, una delle proprietà fisiche più importanti che un materiale semiconduttore
deve possedere. [10]
Nonostante il trifluoruro di azoto sia comunemente utilizzato in campo industriale,
è necessario però ricordare che è un gas dannoso per l’ambente. Infatti, il Protocollo di
Kyoto, nato nel 1997 ed entrato in vigore a Febbraio 2005 dopo la ratificazione da parte
della Russia, lo annovera tra i gas ad effetto serra. Oltre al biossido di carbonio, al metano
e al protossido di azoto, composti come SF
6
, idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi
(PFCs) hanno la caratteristica comune di essere gas ad effetto serra molto elevato e di
avere grande stabilità nell'atmosfera. In particolare, si stima che l’NF
3
abbia una vita
atmosferica di 740 anni. Come stabilito espressamente nell’articolo 3 del Protocollo, le
emissioni aggregate, espresse in equivalenti di biossido di carbonio dei gas ad effetto serra
indicati nell’Allegato A, non dovranno superare le quantità che sono loro attribuite al fine
di ridurre il totale delle emissioni di questi gas almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990
entro il 2012, nel cosiddetto “secondo periodo di adempimento 2008–2012”. [11]
A questo primo capitolo introduttivo seguirà il capitolo 2 in cui si parlerà nel
dettaglio degli scopi che la chimica computazionale si propone, i fondamenti teorici su cui
si basa nonché le sue potenzialità e i suoi limiti.
Nel capitolo 3 si illustreranno i metodi teorici utilizzati per la determinazione
dell’ipersuperficie di energia potenziale della reazione considerata, il programma di
calcolo e quello di visualizzazione grafica delle strutture ottimizzate.
Nel capitolo 4 si descriverà nel dettaglio in cosa consiste lo studio di una
ipersuperficie di potenziale e le sue caratteristiche geometriche.
- 3 -
Nel capitolo 5 verranno presentati i risultati sperimentali e quelli ottenuti dallo
studio teorico indicando specificatamente ciascun cammino che porta ai prodotti di
reazione.
Nel capitolo 6 le considerazioni conclusive e i ringraziamenti.
Riferimenti bibliografici
[1] Ekerdt JG, Sun YM, Szabo A., Szulkzewsky GJ, White JM, Chem.Rev. (1996) 96:1499
[2] Northrop JK, Lampe FW, J. Phys. Chem. (1973) 77:30
[3] Antoniotti P., Canepa C., Maranzana A., Operti L., Rabezzana R., Tonachini G., Vaglio G.A.
Organometallics (2001) 20:382
[4] Antoniotti P., Operti L., Rabezzana R., Vaglio G.A., Int. J. Mass Spectrom. (1999) 182/183:63
[5] Benzi P., Operti L., Rabezzana R., Eur. J. Inorg. Chem. (2000) 505
[6] Benzi P., Operti L., Rabezzana R., Vaglio G.A., J. Mass Spectrom (2002) 37:603
[7] Benzi P., Operti L., Rabezzana R., Splendore M., Volpe P., Int. J. Mass Spectrom. Ion Processes (1996)
152:61
[8] Balkanski M., Wallis R.F., “Semiconductor Physics and applications” - Oxford, pp. 93-97
[9] Antoniotti P., Rabezzana R., Operti L. Turco F., Vaglio GA., Int. J. Mass Spectrom. (2006) 255:225
[10] Michael A. Lieberman, Allan J. Lichtenberg, “Principles of Plasma Discharges and Materials
Processing” - John Wiley & Sons, 472-511
[11] http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/g8_2007/protocollo_kyoto_it.pdf
- 4 -
Capitolo 2
LA CHIMICA COMPUTAZIONALE
2.1 La scienza
A seguito degli sviluppi della meccanica quantistica, che risalgono esattamente
all’anno 1900 con l’ipotesi della quantizzazione dell’energia di Max Plank, la chimica
computazionale si è distinta sempre di più negli anni come una vera e propria branca della
chimica. Dal 1900 al 1930 si sviluppò la teoria dei quanti sulla quale si basa la
comprensione attuale della chimica e della fisica della materia. Celebre è la frase di Dirac
che nel 1929, riferendosi alle leggi della meccanica quantistica appena scoperte, disse: “le
leggi fisiche necessarie per una teoria matematica di tutta la chimica e di parte della fisica
sono note completamente e l’unica difficoltà è che l’applicazione esatta di queste leggi
porta ad equazioni troppo complicate per poter essere risolte”. [1]
Nei decenni successivi a questa affermazione il contemporaneo sviluppo della
meccanica quantistica e della tecnologia dei calcolatori, consentì la messa a punto di
metodi ed algoritmi sempre più avanzati ed efficienti in grado di risolvere, anche se in
modo approssimato, le equazioni di cui parlava Dirac. La definitiva consacrazione di
questo campo di ricerca è avvenuta nel 1998, anno in cui i due padri di questa disciplina,
John Pople (1925 – 2004) e Walter Kohn (1923), ricevettero il premio Nobel per la
chimica.
John Pople
Walter Kohn
- 5 -
Pople e i suoi colleghi dell’Università di Carnegie-Mellon (Pittsburgh,
Pennsylvania) svilupparono uno dei programmi di calcolo di chimica quantistica che è ad
oggi il più utilizzato al mondo, il GAUSSIAN, la cui prima versione risale agli anni
settanta. Da allora la chimica computazionale è comunemente utilizzata come strumento di
modellazione, previsione e riproduzione di dati sperimentali esistenti e ha assunto un ruolo
fondamentale nella chimica moderna. E’ curioso notare che nessuno dei due premi Nobel
ha avuto una formazione chimica: Pople era un matematico, Kohn invece è un fisico.
Questo dà l’idea della interdisciplinarietà di questa materia e del ruolo fondamentale che la
matematica e la fisica quantistica hanno avuto e hanno tuttora nella chimica.
Lo scopo della chimica computazionale è quello di studiare le proprietà fisiche e
chimiche della materia utilizzando modelli matematici basati sui fondamenti della
meccanica quantistica. L’applicazione di questi modelli alla simulazione di sistemi chimici
consente di calcolare le grandezze fisiche e chimiche che li caratterizzano. Perché questo
sia possibile è necessario che le leggi della meccanica quantistica siano tradotte in
algoritmi matematici che consentono di descrivere in modo rigoroso il comportamento
chimico dei sistemi reali. Di questo aspetto si occupa più specificatamente la chimica
teorica che, grazie all’enorme sviluppo della tecnologia dei computer avvenuta durante il
XX secolo, offre continuamente al chimico computazionale modelli sempre più rigorosi in
grado di descrivere la natura chimica di sistemi anche molto complessi, come i processi
biochimici, e in modo sempre più preciso.
A differenza del chimico teorico, il chimico computazionale è invece colui che
applica i modelli teorici allo studio vero e proprio della chimica e allo stesso tempo è anche
di supporto al chimico teorico stesso in quanto il risultato del calcolo può aiutare a mettere
in evidenza i limiti o la bontà del modello implementato e, di conseguenza, può suggerire
eventuali modifiche e miglioramenti da adottare. Per un chimico computazionale il
computer è a tutti gli effetti il suo strumento di lavoro, come per un chimico sperimentale
può essere uno spettrometro di massa, con il quale è in grado di fornire risultati che non
sarebbero ottenibili con altri metodi.
Lo studio teorico di un generico sistema chimico costituto da un set di nuclei ed
elettroni, consente di ottenere un grande numero di informazioni. Per esempio, quali
disposizioni nucleari danno origine a molecole stabili, quali le loro rispettive energie
nonché le proprietà fisiche e spettroscopiche che le caratterizzano come il momento di
dipolo, le frequenze vibrazionali, le costanti di accoppiamento della tecnica NMR (Nuclear
Magnetic Resonance) e tante altre.
- 6 -
Si possono ottenere informazioni anche sulla velocità con la quale una molecola si
trasforma in un’altra e in generale come si svolge il meccanismo di una reazione e la
superficie di energia potenziale ad esso associato.
Il confronto diretto dei risultati computazionali con i valori sperimentali permette
anche di fare previsioni e di suggerire eventuali altri esperimenti da condurre. La chimica
computazionale è quindi un supporto importante anche della chimica sperimentale. Lo
stesso Lord Kelvin (1824 – 1907) affermava: “quando si può misurare ciò di cui si parla
ed esprimerlo in numeri se ne sa qualcosa; ma quando non si può esprimerlo in formule o
numeri allora la nostra conoscenza è povera e insoddisfacente”. [2]
Il calcolo consente però di determinare anche le proprietà di sistemi molecolari che
per motivi tecnici o economici non sono misurabili sperimentalmente. Nondimeno i metodi
computazionali possono essere un utile punto di partenza per il design molecolare, ovvero
la progettazione di nuovi sistemi chimici dalle proprietà fisico-chimiche desiderate.
Una delle maggiori difficoltà che un chimico computazionale deve affrontare è la
scelta del metodo più opportuno per studiare un dato problema chimico e,
successivamente, valutare l’attendibilità del risultato ottenuto dalla simulazione. Risulta
quindi di fondamentale importanza conoscere in modo rigoroso la teoria che sta alla base
del metodo utilizzato, soprattutto se non si è interessati semplicemente a riprodurre risultati
già noti ma anche a fare delle previsioni. La complessità del calcolo cresce all’aumentare
delle variabili che dipendono dalle trasformazioni chimiche oggetto di studio. Tra queste,
due delle più importanti sono il tempo e la temperatura. Il tempo, perché qualsiasi
trasformazione chimica è sempre un processo dinamico. La temperatura, perché è la
variabile che dà la misura dell’energia termica di un sistema e quindi del suo stato
molecolare. Delle simulazioni dinamiche, che tengono conto della variabile tempo e
temperatura, si occupa la dinamica molecolare. Tuttavia per poter studiare fenomeni
dinamici, è necessario conoscere a priori nel dettaglio quali sono i composti più stabili che
si formano nella trasformazione, la loro reattività e la loro energia.
Risultati attendibili di questa indagine si ottengono risolvendo le equazioni
fondamentali della meccanica quantistica possibilmente introducendo il minor numero di
approssimazioni dato che, come noto, non sono risolvibili in modo esatto. Lo studio teorico
completo di un sistema chimico risulta quindi complesso e avviene a stadi: inizialmente si
devono comprendere le proprietà chimico-fisiche fondamentali del sistema in condizioni
statiche. Una volta note si può completare lo studio a livello dinamico.
- 7 -
Il meccanismo di reazione tra NF
3
e SiH
3
+
proposto in questa tesi è stato
determinato in condizioni statiche con metodi ab initio. I criteri di scelta dei metodi
utilizzati e altri aspetti computazionali verranno presentati in dettaglio nei capitoli
successivi.
2.2 I fondamenti teorici
2.2.1 L’equazione di Schrödinger
Il 1900 fu un anno di fondamentale importanza per la nascita della meccanica
quantistica dato che proprio in quell’anno gli studi termodinamici di Max Plank
dimostrarono che le osservazioni sperimentali della radiazione del corpo nero si potevano
spiegare ammettendo che l’energia di ciascun oscillatore elettromagnetico potesse
assumere solo determinati valori discreti. Da questa deduzione negli anni successivi
diventò estremamente chiaro che la quantizzazione dell’energia non era però solo una
caratteristica della luce ma anche delle materia. Gli spettri atomici degli atomi hanno infatti
dimostrato che gli elettroni non possono possedere qualunque valore di energia e questo
fenomeno non ha una corrispondenza in meccanica classica.
Per questo motivo, la teoria rigorosa che è alla base dei metodi di cui si serve la
chimica computazionale per descrivere i sistemi chimici non potrà che avere solo nelle
equazioni della meccanica quantistica i suoi fondamenti. L’equazione di Schrödinger,
l’analogo quantomeccanico della seconda legge di Newton della meccanica classica, ne
costituisce il postulato fondamentale. Le sue soluzioni sono chiamate funzione d’onda o
funzioni di stato, indicate generalmente con il simbolo greco ψ. Esattamente come la legge
di Newton, che rappresenta uno dei postulati fondamentali della meccanica classica, da un
punto di vista matematico l’equazione di Schrödinger è un’equazione differenziale alle
derivate parziali. L’analogia matematica e concettuale delle due equazioni è molto
semplice da comprendere: i passaggi logici che dimostrano quanto appena affermato sono
indicati nelle righe seguenti.
Considerando il caso più semplice di un’onda classica unidimensionale di velocità v
e di ampiezza u(x,t), essa soddisferà la seguente equazione differenziale alle derivate
parziali lineare che rappresenta l’equazione d’onda della meccanica classica
- 8 -
2
2
22
2
),(1),(
t
txu
vx
txu
∂
∂
⋅=
∂
∂
[2.0]
Lo spazio x e il tempo t sono le variabili indipendenti, mentre la funzione u(x,t) è la
variabile dipendente. Come avviene per qualsiasi equazione differenziale, per poterla
risolvere sarà necessario indicare le condizioni al contorno per la funzione considerata.
Nella trattazione di sistemi reali, saranno ragioni prettamente di natura fisica che
influenzeranno questa scelta.
L’equazione d’onda è facilmente risolvibile con il metodo della separazione delle
variabili, assumendo che la funzione u(x,t) sia fattorizzabile in due funzioni che
rispettivamente dipendono solo dallo spazio e solo dal tempo, del tipo
)cos()(),( txtxu ωψ ⋅= [2.1]
La funzione ψ(x) prende anche il nome di ampiezza spaziale dell’onda e la variabile ω è
legata alla frequenza dell’onda υ dalla relazione: πυω 2= . Sostituendo la nuova
espressione u(x,t) così fattorizzata nella [2.0] si ottiene un’equazione differenziale alle
derivate finite in ψ(x)
0)(
)(
2
2
2
2
=⋅+ x
vdx
xd
ψ
ωψ
[2.2]
Ora, ricordando anche che la lunghezza d’onda λ è legata alla frequenza e alla velocità
dell’onda dalla relazione, υλ = v , l’equazione [2.2] diventa
0)(
4)(
2
2
2
2
=⋅+ x
dx
xd
ψ
λ
πψ
[2.3]
A questo punto, avendo riarrangiato l’equazione d’onda esprimendola in funzione della
lunghezza d’onda, è naturale introdurre la famosa relazione di de Broglie, che di fatto
costituisce una delle più importanti conferme della validità della teoria quantistica e ne
rappresenta uno dei temi fondanti. Muovendosi da considerazioni relativistiche, de Broglie
propose il concetto di “dualismo onda-particella” che fu successivamente confermato per
via sperimentale da Davisson e Gramer nel 1925, i quali osservarono la diffrazione degli
elettroni da parte degli strati atomici di un cristallo di nichel.
- 9 -
La figura di diffrazione ottenuta confermava che gli elettroni del metallo possedevano la
lunghezza d’onda indicata dalla relazione di de Broglie
p
h
=λ [2.4]
dove h è la costante di Plank e p il momento della particella di massa m e velocità v,
mvp = . L’energia totale E di una particella, non considerando eventuali contributi elettrici
e magnetici, è data dalla somma della sua energia cinetica K,
m
p
K
2
2
= , e dalla sua energia
potenziale V(x)
)(
2
2
xV
m
p
E += [2.5]
Risolvendo l’equazione [2.5] in funzione del momento p e sostituendo il suo valore nella
relazione di de Broglie si ottiene una nuova espressione per la lunghezza d’onda in
funzione dell’energia cinetica e potenziale della particella
[]{}
2
1
)(2 xVEm
h
−
=λ [2.6]
Infine, sostituendo l’espressione di λ nella relazione generale dell’equazione d’onda [2.3]
si ottiene proprio l’equazione di Schrödinger, la cui soluzione ψ(x) descrive una particella
di massa m che si muove in un potenziale V(x)
[]0)()(
2)(
22
2
=⋅−⋅+ xxVE
m
dx
xd
ψ
ψ
h
[2.7]
EQUAZIONE DI SCHRODINGER MONODIMENSIONALE
INDIPENDENTE DAL TEMPO
In analogia con la teoria classica delle onde, in meccanica quantistica la funzione ψ(x) non
viene più chiamata ampiezza d’onda materiale ma funzione d’onda. In questo caso
particolare in cui non si sta considerando la dipendenza della funzione dal tempo, le
soluzioni vengono propriamente dette funzioni d’onda degli stati stazionari.