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INTRODUZIONE
Scopo di questo lavoro è quello di fornire un contributo sulle attuali conoscenze
delle querce caducifoglie del Salento, in particolare dal punto di vista della sistematica e
della loro distribuzione sul territorio.
Il genere Quercus, per le sue caratteristiche strutturali, morfologiche e riproduttive,
nel complesso piuttosto primitive, rappresenta nell’ambito delle angiosperme un taxon
indubbiamente arcaico. La sua antica origine è confermata dall’ampio areale, esteso alle
zone temperate di tutto l’emisfero boreale, con infiltrazioni nelle zone subtropicali
(CAMUS, 1936-1954). In considerazione di ciò, il genere ha potuto beneficiare di un
lungo cammino evolutivo che ha dato origine a numerosi gruppi tassonomicamente ben
distinti la cui differenziazione è attribuibile in massima parte all’isolamento geografico ed
alla specializzazione ecologica.
Tra le diverse specie del genere, emerge tuttavia una notevole difficoltà di
trattazione soprattutto per alcuni gruppi di querce caducifoglie, la cui elevata variabilità
morfologica e soprattutto l’ibridazione fra le diverse “specie” è stata interpretata in vario
modo dai diversi autori che si sono occupati del problema. Questa variabilità morfologica
appare particolarmente accentuata nelle regioni più meridionali dei rispettivi areali, dal
momento che, le regioni dell’Italia meridionale hanno rappresentato delle “aree di rifugio”
in epoca glaciale (DI NOTO et al., 1998), a ciò si aggiungono le profonde modificazioni
antropiche che hanno modificato notevolmente le caratteristiche fisiche e bio-ecologiche
dell’ambiente, favorendo la frammentazione delle popolazioni naturali e conseguentemente
un maggior grado di dispersione nonché di ibridazione fra le diverse specie.
A differenza di altre regioni italiane, quali la Sicilia, la Sardegna e la Calabria, le
querce caducifoglie del Salento non sono state oggetto d’indagini tassonomiche e
fitogeografiche specifiche.
Nel presente studio vengono esaminate le specie presenti nel Salento, dove sulla
base di dati di letteratura, campioni di erbario e numerose uscite su campo, la problematica
risulta abbastanza intricata.
Si è cercato dunque di fare un po’ di chiarezza sulle specie del genere Quercus
presenti sul territorio del Salento, alla luce di quelli che sono gli ultimi lavori sulla
sistematica di questo taxon, piuttosto critico.
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Dopo aver inquadrato e descritto le diverse specie presenti è stata proposta una
chiave dicotomica semplificata per il riconoscimento delle stesse.
Il passo successivo è stato quello di rappresentare cartograficamente, attraverso
specifici software, le singole specie e gli ibridi così da avere una visione grafica della
distribuzione e rendere più agevoli ulteriori lavori futuri sull’argomento. La cartografia è
stata inserita in allegato alla fine dell’elaborato.
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IL GENERE QUERCUS
Prima di fornire un inquadramento sistematico del genere Quercus è opportuno
precisare fin dall’inizio che questo presenta al suo interno grosse difficoltà
d’inquadramento tassonomico, derivanti in primo luogo dall’elevato polimorfismo con cui
le diverse specie si presentano e inoltre dai numerosi casi d’ibridazione esistenti fra le
diverse specie descritte nelle varie flore.
1.1 INQUADRAMENTO SISTEMATICO
Il genere Quercus appartiene alla famiglia delle Fagaceae, a sua volta inclusa
nell’ordine delle Fagales (tab.1).
La famiglia delle Fagaceae raggruppa alberi, più raramente cespugli, monoici, con
foglie a disposizione spiralata e stipole caduche. Il fiore maschile presenta 4 o più stami
mentre quello femminile è caratterizzato da 3 (6) carpelli saldati fra loro in un ovario
infero e con 3 stimmi. Il frutto è un achenio cioè un frutto secco indeiscente,
monospermatico, in parte o del tutto avvolto da una cupola. L’impollinazione è
normalmente anemofila più raramente entomofila operata principalmente da imenotteri.
Alla famiglia delle Fagaceae appartengono, oltre al genere Quercus, anche i generi
Fagus, Castanea, Chrysolepis, Castanopsis, Lithocarpus, e i rari generi tropicali
Trigonobalanus, Formanodendron e Colombobalanus (NIXON, 2003). Di questi solo i
primi due, oltre al genere Quercus, sono presenti in Italia, mentre gli altri risultano
variamente distribuiti in tutto l’emisfero boreale.
Tabella 1: Inquadramento sistematico del genere Quercus
CLASSE: Magnoliopsida
SOTTOCLASSE: Hamamelididea
ORDINE Fagales
FAMIGLIA Fagaceae
GENERE Quercus
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1.2 DESCRIZIONE DEL GENERE QUERCUS
Il genere Quercus è rappresentato da specie che sono tutte distribuite nell’emisfero
boreale: dalle regioni temperate di Nord America, Europa e Asia e si spingono fino ad
alcune aree tropicali e sub-tropicali dell’America centro-meridionale, Nord Africa ed Asia
(BUSSOTTI et GROSSONI, 1997). In Europa vivono 25 specie, 16 in Italia e 12 in Puglia
(GENNAIO et al., 2000)
In passato il genere era collocato nella vecchia famiglia delle Cupuliferae a causa
del caratteristico pericarpo, appunto la cupola a forma di coppa, che ricopre solo alla base
il frutto e che è formata da squame di varie forme, dimensioni e aspetto, caratteristiche per
ogni specie.
Le querce sono piante monoiche con fiori maschili e femminili distinti ma situati
sullo stesso individuo. I fiori femminili sono piccoli, solitari oppure aggregati a due o più,
in corte spighe o glomeruli. Ciascun fiore presenta brattee più o meno numerose con 3 stili
e stigmi di diversa forma, circondati alla base dal perigonio in forma di denticini. I fiori
maschili sono piccoli, presentano un perigonio verdiccio, e risultano formati da 4-12, ma
generalmente 6, stami; inoltre sono disposti su assi esili e formano infiorescenze pendule
dette amenti, che compaiono in primavera. La maturazione del frutto è annuale o biennale.
Le foglie differiscono da specie a specie e spesso anche nell’ambito della stessa
specie sono morfologicamente assai variabili. Presentano alla base due stipole che sono
precocemente caduche.
I reperti fossili attribuibili con certezza a specie quercine sono rappresentati da
ghiande, amenti, granuli pollinici e foglie ritrovati in depositi del Nord America e risalenti
all’Oligocene (40-23 M.a.) (NIXON, 1993).
La loro origine comunque si può supporre essere anche più antica, ed è opinione
comune che sia contemporanea a quella delle Dicotiledoni e che derivino con molta
probabilità dalle Dryophyllum apparse nel Cretaceo medio (90-110 M.a.) e molto diffuse
nel Cretaceo superiore (65-90 M.a) (GENNAIO et al., 2000).
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1.3 SUL CONCETTO DI SPECIE
Nel linguaggio comune il termine “specie” è utilizzato con relativa semplicità, ad
esempio parlando di specie in via di estinzione o di specie da preservare. A dispetto di ciò
però non è facile fornire una definizione di specie che soddisfi l’intera comunità di studiosi
di biologia.
Le difficoltà derivano soprattutto dalle diverse classificazioni possibili dei viventi
basate su concetti teorici differenti e portati avanti da biologi con differenti interessi di
ricerca.
Facendo una breve analisi storica possiamo individuare una serie di concetti di
specie che si sono susseguiti nel tempo ma che, nonostante ciò, non sono mai stati
soppiantati radicalmente da concetti successivi.
Partendo dal Systema Naturae di Linneo (1735-1770) il concetto di specie
s’impone, come l’unità di base di classificazione dei viventi. L’obiettivo della
classificazione linneiana è quello di catturare la diversità biologica delle specie che si
trovano in natura, anche se ispirato da concetti teorici su base creazionista cioè secondo
Linneo le specie sono immutate dall’atto divino della loro creazione, come egli stesso dice:
“species tot numeramus quot diversae formae in principio sunt creatae”.
Con l’avvento della teoria di Darwin questa certezza creazionista crolla, e inizia a
prendere piede l’idea che le specie che oggi osserviamo, non sono sempre esistite come
tali, ma sono appunto il risultato di una selezione naturale che continuamente agisce sugli
organismi viventi.
L’origine delle specie di Darwin, dunque, rende complicata la possibilità di
redigere un “catalogo” delle specie per quanto accurato esso sia.
L’evoluzionismo darwiniano, pertanto, se da un lato non aiuta il compito del
sistematico, dall’altro rende possibile una pluralità di approcci al concetto di specie in
biologia.
Fra i diversi concetti di specie stilati, si possono menzionare quelli che sono,
notoriamente, più “famosi” e cioè:
- Concetto morfologico di specie: fondamento del metodo linneiano, il
quale permette di classificare gli organismi sulla base di somiglianze e differenze
puramente fenotipiche.
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- Concetto biologico di specie: sviluppato da Mayr (1970) esso
afferma che una specie è formata da tutti quegli organismi che sono in grado di
mettere in comune materiale genetico per originare una discendenza fertile.
L’elemento più interessante di questa definizione è il suo essere esclusivamente
“biologica”, così, la specie viene identificata solo in base all’isolamento genetico.
Questa definizione tuttavia tende ad escludere tutti quegli organismi a riproduzione
asessuata e per quanto riguarda il mondo vegetale esclude le frequentissime forme
di riproduzione agamica.
- Concetto evolutivo di specie: proposto Simpson (1961), definisce la
specie come una successione di popolazioni derivate le une dalle altre, ovvero una
linea di sviluppo, che si evolve indipendentemente dalle altre e che ha una propria
tendenza evolutiva.
- Concetto ecologico di specie: definisce la specie come un insieme di
popolazioni che occupano la medesima nicchia ecologica.
A questi concetti di specie “classici” potremmo aggiungerne molti altri, enunciati e
discussi nelle numerose pubblicazioni sul tema. Per rispondere alla domanda “quando due
organismi A e B appartengono a specie diverse?” inesorabilmente dunque ci si imbatte in
quel ginepraio che è appunto il concetto di specie.
Per questi motivi alcuni tendono ad attribuire al termine “specie” non un significato
univoco, valido per tutti gli esseri viventi: esso infatti copre realtà diverse a seconda del
gruppo considerato. Si arriva così ad un approccio pluralistico del concetto di specie.
Nonostante questi problemi che investono il concetto di specie, non può essere
negata che la nozione di specie (distinta su base morfologica) è, per l’uomo una posizione
essenziale e necessaria per tutti i suoi rapporti con piante e animali con cui convive sulla
Terra.
Usando le parole di BERNETTI (1997) possiamo dire che “Una specie ha due
modi di essere considerata nella sua esistenza: un modo biologico e un modo
tassonomico.”. Questa frase, anche se un po’ provocatoria, permette di fare una distinzione
fra concetto-biologico di specie e concetto-morfologico; distinzione necessaria quando
parliamo di gruppi critici come quello delle querce, in cui secondo BURGER (1975) il
concetto biologico di specie risulta, di difficilissima definizione a causa dei frequenti
interscambi fra i vari taxa, ed in particolare fra le “cosiddette” specie.