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Capitolo 1
I POLIMERI
1.1 Introduzione
Il grande interesse verso lo studio e ricerca dei materiali polimerici, ha inizio nel
secolo scorso, da quando nel 1839 con Goodyear, s’iniziò a lavorare su tali materiali; da
allora sono stati fatti passi enormi, dal punto vista della ricerca e della produzione. In
ragione di ciò, pionieri del macromolecolare come J.W. Hyatt (1868, celluloide), L.H.
Baekeland (1905, bakelite), G.Natta (1952, polipropilene isotattico), hanno dato un enorme
contributo, che poi è risultato di fondamentale importanza per far nascere quella che può
essere considerata una delle scoperte più importanti dei tempi moderni: la sintesi dei
polimeri e quindi la produzione degli stessi [7].
Il grande interesse che ha sviluppato lo studio dei polimeri, nasce fondamentalmente dalle
qualità come materiali che essi hanno.
Da un punto di vista prettamente chimico, i polimeri, detti colloidi nel secolo scorso, non
avevano facile maneggevolezza perché poco insolubili, erano difficilmente purificabili, ed
inoltre presentavano degli effetti abbastanza oscuri e non riproducibili in laboratorio,
quando si volevano studiare con i metodi noti in quel periodo (vedi determinazione del
peso molecolare).
Viceversa, da un punto di vista ingegneristico, essi invece presentavano delle
proprietà/caratteristiche eccellenti, tali da poterli definire appunto “materiali”.
Tali proprietà erano una buona leggerezza, accompagnata da rilevanti qualità meccaniche,
quali una buona resistenza e un’alta resilienza.
Ma la proprietà più importante era assolutamente la plasticità, ossia la facilità con la quale
si potevano modellare e sagomare tali materiali, mantenendo la forma in un tempo
indefinito.
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Un'altra importantissima proprietà era rappresentata dall’elevata tenacità, tanto che si
produssero materiali che sostituivano integralmente, in alcune applicazioni, i metalli
aventi, un peso molto elevato.
La scienza dei polimeri, ossia la ricerca e lo sviluppo di tali materiali, ha avuto sin dagli
anni trenta del secolo scorso, una notevolissima e crescente attività, che arriva sino ai
giorni nostri, dove ovviamente con utilizzo di strumenti più moderni, ha assunto
un’importanza di primo piano.
Le prime scoperte in tale campo, portarono immediatamente alla presa di coscienza da
parte degli studiosi, che le caratteristiche macroscopiche del materiale polimerico, erano
legato fortemente alla natura chimica dello stesso e dai trattamenti chimico-fisici, a parte
dalla sintesi, alla quale il materiale era sottoposto, ed in ultima analisi, agli eventuali
additivi chimici introdotti.
Il termine “plastico”, a oggi, indica tutti quei materiali derivanti dalla lavorazione del
petrolio, quindi di tipo organico, che possono essere modellati, mediante opportuni
trattamenti, conservando la forma a loro impartita.
Volendo spiegare da un punto di vista microscopico, i materiali polimerici sono costituiti
da aggregati di molecole molto grandi, dette macromolecole, aventi forma assimilabile a
quello di un lungo filo, aventi dimensioni longitudinali, che possono essere pari a migliaia
di Angström (1 Ǻ = 10
-10
m.) e di sezione di qualche Ǻ
2
, che sono fortemente compenetrate
tra loro, presentando quindi forti limiti alla mobilità, per quanto concerne i moti traslatori e
dei baricentri molecolari.
Questa sorta di aggrovigliamento, crea una un legame temporaneo (in inglese
entanglement) tra le varie molecole, creando come effetto principale quello di impedire
alla massa, di seguire senza opporre resistenza, le varie deformazioni imposte; tale legame
non riguarda quelli covalenti, che entro certi limiti, li possiamo considerare permanenti, ma
riguarda il legame fisico che permette al materiale di sciogliersi e riformarsi.
Questa proprietà a livello molecolare, può essere spiegata analizzando il moto termico
degli atomi che compongono le varie macromolecole, infatti, per effetto dell’aumento di
temperatura, l’accentuato moto termico, riduce fortemente il potere inibitore dei legami
temporanei tra le varie macromolecole, donando al materiale quella fluidità necessaria per
essere lavorato e sagomato; viceversa, se la temperatura viene diminuita, si ha un
congelamento dello stato raggiunto, e quindi della forma ricavata, per un tempo indefinito.
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1.2 Nomenclatura e classificazione
Il termine polimero, che deriva dal greco pol uùs=molto meros=pezzo, implica che
il numero diparti (-meri) unite nel composto, sia sufficientemente elevato (poli-), affinché
siano ottenuti certi valori di minima, nelle proprietà chimiche e fisiche.
Le macromolecole o polimeri, sono quindi costituite da unità strutturali legate tra loro, da
legami generalmente di tipo covalente; l’unità strutturale è correlata al monomero, (detta
quindi unità monomerica) dal quale il polimero è preparato o derivato.
Una molecola per essere considerata un monomero, deve possedere due o più siti capaci di
fornire legami con altre molecole, uguali o diverse; il numero di tali siti è definito
funzionalità del monomero.
Avremo monomeri bifunzionali, che daranno luogo a unità strutturali bifunzionali, e in
assenza di fenomeni modificanti, si trasformeranno in macromolecole lineari; in maniera
analoga, macromolecole ramificate o reticolari, si formeranno da unità strutturali in grado
di fornire due o più legami ciascuna.
In tutti i polimeri si avranno delle unità strutturali monofunzionali o che agiscono come
tali, detti gruppi terminali.
Non c'è un metodo soddisfacente, per determinare il valore limite del numero di segmenti
in una molecola, prima che possa essere classificata come polimero, perchè le unità
strutturali (o monomeri), variano in peso e in dimensione molecolare. La difficoltà di
classificazione nasce dal fatto che la transizione delle proprietà, da non polimeriche a
polimeriche, è graduale con l'incremento del peso molecolare. Tuttavia si possono fare
alcune generalizzazioni, e la prima suddivisione è fra oligomeri e polimeri:
- il termine oligomero (oligon=poco) è generalmente impiegato per molecole che
contengono unità ripetenti, ma hanno pesi molecolari minori di 1500; non sono
polimeri perchè hanno pochi monomeri e non esibiscono proprietà polimeriche;
- i polimeri veri e propri, si possono ulteriormente suddividere in polimeri a basso peso
molecolare con peso molecolare massimo 5000, polimeri ad alto peso molecolare con
peso molecolare di almeno 10000 fino ad alcuni milioni, e mesopolimeri il cui peso
molecolare assume valori intermedi:
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Oligomero: Composti contenenti unità ripetenti con pesi molecolari minori di 1500 che
non esibiscono proprietà polimeriche; lunghezza delle catene inferiori a 50 Å, sono solubili
e possono essere distillati e formare masse cristalline o amorfe.
Bassi polimeri: intervallo di peso molecolare 1500-5000, formati da 20-100 unità,
lunghezza catena 50-500 Å, non distillabili e, se lineari, fondono senza notevole aumento
di volume; danno soluzioni poco viscose e le loro proprietà colloidali non sono
significative.
Mesopolimeri: intervallo di pesi molecolari tra 5000-10000, formati da 100-200 unità,
lunghezza catena 500-2500 Å, non distillabilie se lineari, mostrano aumento di volume;
Alti polimeri: pesi molecolari superiori a 10000, quasi sempre con più di 100 unità nella
catena, lunghezze superiori a 2500 Å; non sono distillabili e se lineari, liquefano con
elevato aumento di volume. Le loro soluzioni diluite sono molto viscose e generalmente
formano films e fibre resistenti.
Una classificazione dei vari materiali polimerici, come detto prima è impresa ardua, e
quindi per essere definita, bisogna utilizzare una qualche forma di schematizzazione; tutto
ciò perché esistono oggi, enormi quantità di materiali, ma soprattutto perché tali materiali,
coprono numerosi interessi, che vanno da quello dei chimici (interessati alla sintesi e
proprietà chimiche), dei tecnologi (interessati alla processabilità) e dei fruitori (interessati
alle caratteristiche meccaniche, durata, etc.).
In generale i materiali polimerici si suddividono nelle seguenti tipologie:
- polimeri di poliaddizione e policondensazione;
- polimeri termoplastici e termoindurenti;
- omopolimeri e copolimeri;
- polimeri sintetici, naturali, artificiali.
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1.2.1 Polimeri di poliaddizione e policondensazione
In base alla tipologia di sintesi delle macromolecole, si usa distinguere i polimeri di
addizione, da quelli a condensazione; la poliaddizione è una reazione in cui l’unità
strutturale (o un suo multiplo), coinciderà con il monomero di partenza, e il peso
molecolare del polimero, sarà semplicemente somma dei vari pesi molecolari di tutti i
monomeri che sono presenti nella catena polimerica.
Il meccanismo porta alla reazione tra loro, delle varie molecole di monomero, alla presenza
di un attivatore, cioè di una sostanza in grado di liberare un radicale (gruppo di atomi con
un elettrone spaiato). Un esempio di poliaddizione è la sintesi del polietilene, dove il
polimero s’indica con:
Fig. 1.2.1 Struttura chimica del polietilene
dove n, in basso a destra, fuori dalla parentesi, indica il grado di polimerizzazione, cioè il
numero di molecole del monomero che hanno reagito per formare il polimero.
La reazione termina quando due radicali s’incontrano; si possono ottenere macromolecole
contenenti fino a 100-1000 unità di monomero.
La policondensazione è caratterizzata dal fatto, che una parte del monomero è eliminata
sottoforma di molecole a basso peso molecolare (in genere H
2
O e HCl), e quindi la forma
molecolare dell’unità di ripetizione, contiene un numero minore di atomi rispetto alla
formula del monomero o dei monomeri di partenza; esempio la formazione di poliestere:
Fig. 1.2.2 Formazione del poliestere
20
A questo punto la molecola di estere formata, può reagire con una molecola di glicole
etilenico (interagendo con il gruppo acido del poliestere) o con una di acido malonico
(interagendo con il gruppo alcolico del poliestere), in entrambi i casi, la catena si allunga
per l'accrescimento del polimero.
1.2.2 Polimeri termoplastici e termoindurenti
Per quanto riguarda la classificazione dei polimeri, in funzione della loro lavorabilità
e quindi al loro comportamento termico, parleremo di polimeri termoplastici e polimeri
termoindurenti.
I polimeri termoplastici, derivano dall’omopolimerizzazione e copolimerizzazione delle
più semplici olefine e cloro-, carbossi-, ammido-, ciano-, ecc. e quindi sono polimeri di
monomeri vinilici e vinilidenici.
Per quanto riguarda la loro struttura molecolare, le varie macromolecole sono composte da
strutture lineari o ramificate, e rispondono all’aumentare della temperatura, con la rottura
dei vari legami chimici, facendo si che le varie macromolecole riescano a scorrere gli uni
sugli altri, in maniera molto semplificata, e soprattutto con la diminuzione della loro
viscosità.
Questo comporta, che sono lavorabili previo trattamento termico, mediante tecniche di
stampaggio ed estrusione; viceversa, al diminuire della temperatura, avviene una sorta di
“congelamento” e quindi la situazione molecolare rimane tale, e dal punto di vista
macroscopico, la forma resta invariata.
Entro certi limiti il ciclo di riscaldamento-raffreddamento, può avvenire in maniera
reversibile, perché la trasformazione dello stato plastico a quello vetroso, ha un carattere
puramente fisico e non chimico.
Circa il 25% della produzione totale dei termoplastici è rappresentata dal polivinilcloruro
(PVC), l’altro 25% dal polietilene a bassa densità (LDPE), il 20% dai cosiddetti
tecnopolimeri, ossia quei polimeri che per le loro caratteristiche fisico-chimiche sono
idonei all’utilizzo nel campo dell’ingegneria, il 15% è costituito dal polietilene ad alta
densità (HDPE), e infine il restante 15% è ricoperto dal polipropilene (PP) e dai polistireni
(PS).
21
I polimeri termoplastici possono essere caratterizzati dai parametri in tabella 1.2.1.
I polimeri termoindurenti, rispetto ai termoplastici, hanno un comportamento
assolutamente diverso; infatti, se si esegue un riscaldamento con aumento della
temperatura, ciò che si provoca, è un indurimento del materiale; questo perché a livello
molecolare, l’energia termica che è fornita, facilita la formazione dei legami covalenti tra
le varie catene, dando origine a strutture reticolate di tipo tridimensionale.
Tab. 1.2.1 Caratteristiche dei polimeri termoplastici
Nome commerciale Formula di struttura
Produttore Colore
Famiglia del polimero Valore acido massimo
Tg del polimero Proprietà meccaniche in tensione
Flash point (modulo elastico, sforzo-deformazione a rottura)
Tossicità Proprietà meccaniche in flessione
% di elementi volatili (modulo elastico, sforzo-deformazione a rottura)
Metodologie di polimerizzazione Resistenza all’impatto
Metodi di lavorazione e formatura Compatibilità con le fibre tessili
Settori di applicazione Prezzo al kg
Tali strutture bloccano assolutamente la mobilità molecolare, e quindi dal punto di vista
macroscopico, ciò che accade, è che tali materiali, una volta che vengono sagomati, non
possono più essere modificati, e diventano insensibili alle ulteriori variazioni termiche,
tranne per le vibrazioni atomiche locali.
Esistono numerose famiglie di polimeri termoindurenti, e queste si differenziano in base
alla diversa composizione chimica, che ha ripercussioni sulle proprietà fisico-chimiche dei
materiali:
- resine fenoliche;
- resine ammidiche;
- resine epossidiche;
- resine poliuretaniche;
- resine siliconiche;
- resine alchidiche;
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I polimeri termoindurenti possono essere caratterizzati dai parametri in tabella 1.2.2.
Tab. 1.2.2 Caratteristiche dei polimeri termoindurenti
Nome commerciale Tg del polimero
Produttore Formula di struttura
Famiglia del polimero Colore
Viscosità Proprietà meccaniche in tensione
Densità (modulo elastico, sforzo-deformazione a rottura)
Apparenza Proprietà meccaniche in flessione
Flash point (modulo elastico, sforzo-deformazione a rottura)
Tossicità Contenuto d’acqua
% di elementi volatili Resistenza all’impatto
Metodologie di polimerizzazione Settori di applicazione
Metodologie di lavorazione e formatura Prezzo al kg
Tempo di stoccaggio massimo alle varie
temperature
1.2.3 Omopolimeri e copolimeri
Un polimero, è una macromolecola che può essere ottenuta, mediante la ripetizione
di una singola unità strutturale, ossia un monomero puro, quindi si parlerà di omopolimero,
oppure, se siamo alla presenza di due o più unità strutturali che si combinano tra loro,
avremo i cosiddetti copolimeri.
Le caratteristiche di un copolimero binario, non sono assolutamente la media di quelle
degli omopolimeri puri, ma il prodotto ottenuto, a causa dell’intima fusione che avviene a
livello molecolare, può dar luogo e generare delle proprietà che a priori non sono
assolutamente prevedibili.
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1.2.4 Polimeri naturali, artificiali, sintetici
In base all’origine, i polimeri si possono suddividere nelle seguenti cateogorie:
- naturali: cellulosa, gomma naturale, amido;
- artificiali: di derivazione naturale, ma con modificazioni chimiche, come acetato di
cellulosa, nitrocellulosa, cellulosa rigenerata;
- sintetici: di derivazione petrolifera, come le materie plastiche, le resine e gli elastomeri.
Riferendoci ai derivati del petrolio, è possibile tracciare una filiera, che partendo dai
prodotti primari ricavati nel processo di cracking, porta alla formazione di materiali
polimerici sintetici.
Nella zona industriale del triangolo Augusta-Melilli-Priolo Gargallo, un esempio lampante
sono gli impianti di produzione della Polimeri Europa, dove si producono sostanze
chimiche che stanno alla base nei processi di sintesi di molte resine sintetiche, come
etilene, propilene, benzene, toluene, para-xiline, orto-xilene, e prodotti finiti come il
polietilene (LLDPE).
1.3 Aspetti fondamentali per lo studio delle macromolecole
Per poter comprendere in maniera completa lo studio dei materiali polimerici, è
fondamentale analizzare alcuni aspetti dei materiali polimerici, nella fattispecie:
- il peso molecolare e la funzione distribuzione di Schultz-Flory;
- i polimeri e la temperatura;
- composizione dei polimeri;
- il volume specifico;
- struttura macromolecolare.
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1.3.1 Il peso molecolare e la funzione distribuzione di Schulz-Flory
Uno dei parametri più importanti nella caratterizzazione di un polimero, è il peso (o
massa) molecolare, perchè determina alcune caratteristiche chimico-fisico-meccaniche.
Il peso molecolare, vista la presenza di unità ripetitive, è espresso mediante il parametro n,
detto grado di polimerizzazione, che esprime il numero di unità strutturali contenute in una
macromolecola, ed è trattato come un parametro variabile; infatti, avere n variabile, vuol
dire avere profonde differenze tra le caratteristiche tipiche dei polimeri e delle sostanze a
basso peso molecolare [2].
Nel caso in cui si è in presenza di omopolimeri, il grado di polimerizzazione è dato
semplicemente dal rapporto tra il peso molecolare M
p
del polimero, ed il peso molecolare
dell’unità strutturale M
u.
Viceversa, nel caso in cui si parli di copolimeri, poiché la maggioranza dei polimeri non
possiede uniformità di massa delle macromolecole (dovuto in maniera intrinseca dalla
reazione di sintesi), il peso molecolare dev’essere necessariamente rapportato alla massa
media dell’unità strutturale, quindi, il problema è di natura statistica, con un peso
molecolare medio e una funzione di distribuzione:
Media numerica
Immaginiamo di suddividere l’insieme delle N macromolecole, che costituiscono il nostro
campione, in tanti sottogruppi Ni che saranno omogenei per lunghezza, e aventi ciascuno
un peso molecolare Mi.
In maniera immediata, la media numerica vale:
i
i
i
i i
n
N
M N
M
Se definiamo la media come una somma pesata dei contributi dei vari sottogruppi, la
precedente equazione si potrà scrivere nella seguente forma:
i
i i n
M n M
25
in cui la definizione del peso n
i
mette in risalto il carattere numerico della media calcolata,
in quanto è proporzionale al numero delle macromolecole N
i
di quella lunghezza:
i
i
i
i
N
N
n
Con un ragionamento assolutamente analogo, se si fa riferimento al grado di
polimerizzazione, si può ricavare la definizione del grado di polimerizzazione medio:
i
i i i
X n X
Sia il peso molecolare, che il grado di polimerizzazione, sono delle proprietà discrete,
infatti, il primo varierà per multipli del peso molecolare dell’unità strutturale, mentre il
secondo, potrà assumere solo numeri interi. In ogni caso, si possono considerare con buona
approssimazione, delle grandezze continue, e considerare i seguenti integrali:
dM M n M M
n
0
dX X n X X
n
0
Sia il peso molecolare, che il grado di polimerizzazione, sono ottenuti dalla somma dei
valori assunti dalle diverse specie, per un determinato peso statistico, che è la frazione di
molecole, in cui si hanno i valori assunti; quindi il peso si può intendere, come la
probabilità che, per un certo numero di molecole, la proprietà considerata, abbia quel
determinato valore. La caratteristica dei pesi statistici, è che sono compresi tra 0 e 1, e che
la loro sommatoria è pari all’unità.
Media ponderale
Vi sono proprietà misurabili sperimentalmente, che anziché dipendere dalla media
numerica dei pesi molecolari, ossia dal numero delle molecole presenti nell’unità di
volume, dipendono dal numero e dal peso delle molecole, contenute nel campione;
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in tal caso il peso molecolare M
i
, deve comparire nel fattore di peso, usato nel calcolo della
media. Da ciò si potrà introdurre il concetto di frazione ponderale W
i
, definita come il
rapporto tra il peso delle molecole come peso molecolare M
i
, ed il peso di tutto il
campione:
i
i i
i i
i
M N
M N
W
in cui N
i
è il numero di sottogruppi, che saranno omogenei per lunghezza, e aventi
ciascuno un peso molecolare M
i
; il peso molecolare medio ponderale sarà uguale a:
i
i i w
M w M
Vale sempre la relazione M
w
M
n
, dove il segno uguale si riferisce al caso di un campione
di molecole, tutte rigorosamente uguali (campione monodisperso).
Media zeta
Il passo successivo è quello di operare la media su N
i
M
i
2
anziché su N
i
M
i
; in tal caso si
ottiene il peso molecolare medio zeta:
i
i i z
M z M
dove z
i
è il peso statistico, ricavato dalla seguente relazione:
i
i
i
i
i
i
M N
M N
z
2
2
Media viscosimetrica
Andiamo a definire il peso molecolare medio viscosimetrico; le misure di viscosità su
soluzioni diluite di macromolecole, forniscono il valore medio ponderale di M
a
(dove
0,5 a<1), ossia di una proprietà connessa con la massa molecolare ma diversa; dalle
misure sperimentali si ottiene:
i
i
a
i
w
a
M w M
Il peso molecolare medio viscosimetrico M
n
si definisce mediante la seguente relazione:
n
i
i
a
i n
M w M
1
27
Poiché i pesi statistici sono differenti, allo stesso modo lo saranno i valori medi del peso
molecolare, ad eccezione dei sistemi polimerici uniformi; in generale la distribuzione dei
vari pesi molecolari, potrà essere espressa mediante una funzione di distribuzione Schulz-
Flory (vedi fig. 1.3.1):
Fig. 1.3.1 Curva di distribuzione dei pesi molecolari
1.3.2 I polimeri e la temperatura
Per ogni materiale polimerico, è possibile osservare l’andamento del peso
molecolare rispetto alla variazione di temperatura, ed è possibile associare un diagramma
che esprime tale relazione (fig. 1.3.2):
Fig. 1.3.2 Andamento del peso molecolare rispetto alla temperatura
28
Al di sotto della T
g
, detta temperatura di transizione vetrosa, il polimero si presenta come
un solido rigido, che può essere del tutto amorfo o parzialmente cristallino; specifichiamo
che una struttura reticolare è amorfa, quando le varie molecole che la compongono, sono
assimilabili a delle sfere che hanno un impaccamento disordinato, dove l’occupazione del
volume è assolutamente casuale [11].
Se il peso molecolare del polimero è abbastanza elevato, innalzando la temperatura oltre T
g
ma al di sotto della T
f
, detta temperatura di fusione, arriveremo in presenza di un materiale
cristallino flessibile o cristallino tenero, che si trasforma in materiale gommoso a
temperature superiori rispetto a T
f
. Innalzando ancora di più la temperatura oltre la T
l
, detta
temperatura di liquefazione, si avrà uno stato liquido viscoso del polimero.
Se siamo in presenza di pesi molecolari molto bassi (ordine del migliaio), il riscaldamento
del materiale oltre la T
g
oppure T
f
,
condurrà direttamente alla zona del liquido viscoso.
Il comportamento alla temperatura dei materiali polimerici reticolati, dipende dal grado di
reticolazione; infatti, se esso è basso e quindi le catene che si muovono da un punto a un
altro sono molto lunghe, si avrà che al di sotto della temperatura di transizione vetrosa, il
materiale sarà rigido, mente al di sopra è gommoso; viceversa se il grado di reticolazione è
elevato, lo stato solido vetroso non è influenzato da alcun trattamento termico.
Questo è il caso tipico dei polimeri termoindurenti, che non possono essere portati allo
stato liquido (sono infusibili), perché nella loro struttura reticolare, non esistono molecole
singole in grado di muoversi indipendentemente l’una con l’altra.
Quindi, in conclusione, possiamo dire che un polimero può essere utilizzato come
plastomero o elastomero, a seconda che la sua T
g
(oppure
T
f
per i polimeri cristallizzabili)
sia superiore o inferiore alla temperatura di impiego.
In tabella 1.3.1 sono riportati i valori di T
g
e
T
f
di alcuni polimeri, dal quale si può evincere
quali di essi possono essere utilizzati a temperatura ambiente, come plastomeri o
elastomeri.