Studio sperimentale su modello fisico di barriera a cresta bassa costruita con contenitori in geotessuto riempiti di sabbia.
Stabilità idrodinamica ed effetti di scala.
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1. Stato dell’arte
1.1 Le barriere a cresta bassa
Con il termine '' barriere frangiflutti '' viene generalmente indicato nell’ambito
dell’Ingegneria Costiera un insieme di opere di difesa poste a salvaguardia dei litorali
che si differenziano per forma, materiali utilizzati, dimensioni, e posizionamento.
L’ambiente costiero è infatti un sistema altamente dinamico, interessato da
fenomeni erosivi dipendenti da diversi fattori quali i moti ondosi, le correnti, e le maree
che combinati con un’attività antropica spesso incontrollata, generano fenomeni erosivi
delle spiagge determinandone l’ arretramento.
In Italia la necessità di risolvere questo problema ha portato, nella seconda metà del
XX secolo, all’utilizzo per il controllo dei fenomeni erosivi di scogliere emergenti. Nei
decenni successivi è stata attuata una progressiva sostituzione di questa tipologia di
opere con scogliere sommerse o poco affioranti dal mare (tracimabili dall'evento
ondoso) di minore impatto ambientale dal punto di vista visivo e capaci di ridurre
l’energia del moto ondoso incidente, in parte riflettendola verso il largo ed in parte
dissipandola (l’onda trasmessa dietro le strutture risulta indebolita diminuendo così il
suo potere erosivo sulla spiaggia)
Le barriere frangiflutti, nelle diverse tipologie attualmente utilizzate, sono strutture
di forma trapezoidale costituite da massi di forma e dimensioni variabili, diversamente
posizionate in base alle diverse dinamiche marine presenti nei siti d’interesse.
Hanno la funzione di spostare la zona di frangimento verso il largo, riducendo così
l’energia dei treni d’onda diretti verso la costa (Calabrese et al. 2006), e di inibire il
trasporto solido della sabbia verso il mare aperto, stabilizzando quindi le sabbie nei
litorali e salvaguardando eventuali rinascimenti presenti.
L’utilizzo di barriere emerse, se da un lato fornisce una protezione quasi totale della
spiaggia comportandosi come un muro poco permeabile, dall’altro genera una forte
riflessione dell’onda incidente su di esse causando, a volte, un profondo scavo al piede
della barriera e mettendo in pericolo la stabilità della stessa; inoltre possono contribuire
a far assumere alla zona protetta caratteristiche di zone semi-lagunari con conseguenti
problemi.
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Le barriere a cresta bassa, realizzabili tra l’altro con costi minori, nei limiti del
possibile, non attenuano le onde minori, le quali comunque non sono distruttive per la
spiaggia, e contribuiscono alla pulizia del litorale mantenendo le dinamiche tipiche di
un ambiente costiero. Inoltre la formazione di sacche di calma, nelle quali si deposita
materiale indesiderato, è da evitare; pertanto le opere devono permettere lo scambio
d’acqua tra riva e largo, ed impedire invece lo scambio di sabbie facendo in modo che,
nel caso di mareggiate, l’energia dei frangenti prodotti non arrivi indisturbata alla linea
di riva.
Sebbene l’uso di tali strutture attiri un crescente interesse nella progettazione di
interventi di protezione dettato dalla necessità di operare un’azione selettiva tra l’acqua
e le sabbie, occorre evidenziare che la loro configurazione, in alcuni casi, può causare
problemi di erosione degli arenili, in quanto induce la modifica della circolazione
idrodinamica nella zona compresa tra le strutture e la linea di riva (Cappietti et al.
2004b, Balzano et al. 2006).
La necessità di attenuare tali effetti indesiderati ha fatto sì che l’indagine
sperimentale su barriere frangiflutti tracimabili diventasse tema portante dell’Ingegneria
Costiera, infatti, nonostante il largo uso che viene fatto di queste opere, non ne è ancora
conosciuto completamente il comportamento idraulico in quanto sono quasi assenti
misure di campo e ci si affida a formule sperimentali ed analisi condotte su modelli di
laboratorio. L’attenzione è focalizzata sul flusso netto d’acqua che, nel caso di
mareggiate, oltrepassa queste strutture determinando un innalzamento del livello medio
del mare nel tratto d’acqua compreso tra esse e la linea di riva (shoreward) detto Piling-
up (o Set-up) con un ruolo negativo nella dinamica erosiva, in quanto permette alle onde
di aggredire porzioni più alte di spiaggia emersa e può indurre un flusso parallelo alla
linea di riva che diretto verso il largo grazie alla presenza di varchi tra le scogliere, è
responsabile del trasporto dei sedimenti offshore (Murphy 1996; Van der Biezen 1998;
Browder 1997 ) (Fig. 1-1) . E’ bene specificare che i varchi non sono l’unica via
d’uscita per l’acqua dal momento che questa può defluire anche attraverso la barriera in
funzione della sua permeabilità oppure può superarne la cresta nel caso di barriere
sommerse. Il secondo fenomeno, strettamente legato al primo, è la portata d’acqua che
oltrepassa la barriera, definita come portata di tracimazione.
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Figura 1-1. Schema dell'interazione onde-struttura in corrispondenza di una struttura tracimabile.
Per ottenere un efficace controllo dell’erosione, le barriere sommerse devono avere
le seguenti caratteristiche :
- essere sufficientemente alte e larghe da provocare una significativa
riduzione dell’onda trasmessa e impedire l’erosione al piede .
- essere sufficientemente distanti dalla linea di riva così che la turbolenza
dei frangenti prodotti si esaurisca prima di arrivare alla spiaggia. Lo
spazio necessario per il decadimento della turbolenza indotta dal
frangimento è stimato nell’ordine di 10 volte la profondità del fondo.
Figura 1-2. Barriera di sacchi di sabbia a difesa del piede di una spiaggia artificiale. (Lamberti et
al. 1981)
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1.2 Trasmissione e riflessione sulle strutture
Quando un’onda frange su una barriera, dissipa parte della sua energia e la quantità
di moto in trasferimento al di là dell’ostacolo ha una forza nettamente inferiore all’onda
incidente (Calabrese et al. 2006).
Il coefficiente di trasmissione K
t
è definito come il rapporto tra l’altezza d’onda
trasmessa e l’altezza d’onda incidente:
t
t
si
H
K
H
=
Tale rapporto può variare tra 0 e 1, dove al valore zero corrisponde una barriera alta
ed impermeabile e al valore 1 la condizione di barriera assente.
Il coefficiente di trasmissione K
t
rappresenta la quantità d’energia ondosa incidente
trasferita al di sopra e attraverso le barriere frangiflutti.
I fattori che influenzano maggiormente il coefficiente di trasmissione, sono:
- l’inclinazione della struttura,
- la larghezza e l’altezza della cresta,
- la permeabilità della barriera e quindi i materiali che la costituiscono.
Nel corso degli anni si è cercato di trovare una formula adatta a definire il
coefficiente di trasmissione e Van der Meer nel 1990, analizzando i dati fino ad allora
raccolti sulla trasmissione del moto ondoso derivò la seguente formula:
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
×−=
si
c
t
H
R
K 3.046.0
dove Rc sommergenza e Hsi altezza d’onda incidente significativa, (Kt compreso tra
0.8 e 0.1).
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Successivamente nel 1991, Daemen formulò una nuova relazione nella quale gli
effetti dell’onda incidente e della quota di cresta vengono separati adimensionalizzando
entrambe le grandezze con il diametro medio della mantellata:
b
D
R
aK
c
t
+
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
⋅=
50
Dove a è un coefficiente dipendente dall’altezza d’onda relativa H
si
/D
50
:
24.0031.0
50
−
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
⋅=
D
H
a
si
e b è il coefficiente di trasmissione per strutture non emerse (R
c
=0) dipendente
d’altezza d’onda relativa H
si
/D
50,
dalla larghezza della berma e dal periodo di picco
dell’onda incidente:
51.00017.00323.042.5
84.1
5050
+
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
⋅−⋅+⋅=
D
B
D
H
Sb
i
s
op
dove S
op
è la ripidità di picco:
pi
si
op
Tg
H
S
2
2
⋅
⋅⋅
=
π
con 0.075 ≤ K
t
≤ 0.75, 1 < H
s
/D
n
50 < 6, 0.01 < S
op
< 0.05, con S
op
ripidità
dell’onda.
La formula di Daemen si adatta abbastanza bene ai dati sperimentali, ma non è
adatta per strutture con permeabilità nulla.
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D’Angremond et al. (1996) apportano ulteriori modifiche alla relazione eliminando
dall’analisi dati test in cui fossero presenti onde molto ripide e strutture molto
sommerse:
()ce
H
B
H
R
K
sisi
c
t
⋅−⋅
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
+
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
⋅−=
⋅−
−
ξ5.0
31.0
14.0
Dove ()
5.0
2
2tan
pisi
gTHπαξ = è il parametro di Iribarren, e c è un coefficiente
pari a 0.8 per barriere impermeabili e a 0.64 per barriere permeabili.
Recentemente (1998) un’ampia sperimentazione ha consentito di proporre una
nuova formula di Seabrook ed Hall. L’indagine comprendeva 800 test bidimensionali
condotti su 13 diverse geometrie di barriere sommerse ed affioranti con 5 diversi livelli
idrici di quiete; la relazione ottenuta è la seguente:
⎥
⎥
⎦
⎤
⎢
⎢
⎣
⎡
⋅
⋅
⋅−
⋅
⋅
⋅+=
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
⎟
⎠
⎞
⎜
⎝
⎛
⋅−⋅−
5050
09.165.0
067.0047.0
DB
HR
DL
RB
eK
i
sc
c
B
H
H
R
t
si
si
c
Dove:
−
si
c
H
R
equivale alla quota di cresta relativa della formula di Van der Meer (1990).
−
si
H
B
corrisponde alla larghezza relativa di cresta della formula di Angremond et
al. (1996).
−
50
DB
HR
sic
⋅
⋅
è un rapporto che rappresenta la quantità di energia dissipata per attrito.
−
50
DL
RB
c
⋅
⋅
rappresenta le perdite di carico associate al flusso idrico all’interno
della barriera.