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1. INTRODUZIONE
La deambulazione rappresenta il mezzo più naturale per muoversi da una
posizione ad un'altra.
E’ una delle attività che risultano maggiormente compromesse dopo stroke,
con conseguenti restrizioni sulla partecipazione alla vita sociale.
Una percentuale di pazienti intorno all’85% riesce a camminare dopo 6
mesi (Wade e al. 1987) e nonostante il trattamento riabilitativo, non
presenta caratteristiche che consentano di camminare in condizioni
ecologiche (Richards 1995; Salbach 2001; Salbach et al. 2004) o,
comunque, di camminare a velocità medie sufficienti per attraversare la
strada in sicurezza (Robinett e V ondran 1988).
Per questi motivi la velocità rappresenta un indicatore oggettivo del grado di
impairment di un soggetto vittima di stroke e, indirettamente, della capacità
del soggetto di camminare (van de Port e al. 2008; Fulk e Echternach 2008).
Essa non spiega tuttavia le competenze specifiche perse dal soggetto.
Nell’evoluzione umana, infatti, il perfezionamento del cammino in termini
di velocità e sicurezza è avvenuto grazie all’affinamento della capacità di
mantenere un equilibrio dinamico, vale a dire la continua ricerca di un
bilanciamento con le molteplici forze esterne ad opera dei vari sistemi
articolari e muscolo-ligamentosi e di un Sistema Nervoso Centrale capace di
avviare movimenti ripetitivi, di controllarli e di innescare al momento giusto
le risposte a situazioni perturbanti.
Tutto questo si traduce in termini pratici nell’attitudine ad accettare il carico
e a progredire prima su un arto e poi sull’altro.
Uno dei principali scopi della riabilitazione è trovare strumenti di
valutazione standardizzati che permettano di stabilire un piano di
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trattamento adeguato per ogni soggetto.
Per quanto riguarda il cammino, la velocità (tempo impiegato rispetto allo
spazio percorso) può essere un parametro facilmente rilevabile, a basso
costo e in tempi ridotti.
Gli esami eseguiti presso i laboratori di Analisi del Movimento sono
complessi e richiedono tempi medio-lunghi, ma forniscono informazioni
analitiche e complesse che permettono di interpretare le cause che
sottostanno alla velocità finale rilevata; inoltre, dai dati di piattaforma si
possono trarre indici riassuntivi che permettano di avere le informazioni
principali riguardo alle competenze di carico e di progressione del soggetto
durante il cammino.
Tali informazioni possono descrivere in termini clinici il recupero del
paziente dopo stroke e valutare perciò l’efficacia di un trattamento
somministrato.
In questo studio abbiamo deciso di valutare le modificazioni indotte sul
cammino da una facilitazione per l'estensione di anca in decubito laterale
secondo metodica Bobath.
Nel cammino l'anca riveste alternativamente il ruolo di stabilizzazione del
tronco in fase di appoggio e di controllo dell'arto inferiore in fase di
oscillazione. In particolare, durante la fase di appoggio il Sistema Nervoso
Centrale sostiene e regola l’attività dei motoneuroni dei muscoli estensori,
mentre la successiva fase di oscillazione non avviene finché la gamba non è
privata del carico e l’attività degli estensori non è sufficientemente
diminuita.
Dopo stroke le principali alterazioni che si possono riscontrare nel
cammino a livello dell’anca sono: un’ estensione inadeguata, una flessione
inadeguata o una flessione eccessiva. Questi segni possono essere
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ricondotti a fenomeni di paralisi, di iperattività, ad alterazioni della
sensibilità o a retrazioni od accorciamenti degli stessi muscoli, dovuti ad
immobilità prolungata.
Secondo la metodica Bobath, durante la preparazione per il cammino si
possono includere facilitazioni per l’attivazione degli estensori dell'anca al
fine di ottenere un maggior controllo sul bacino.
Attraverso la valutazione delle modificazioni delle tre variabili, velocità,
capacità di carico e di spinta, ci siamo proposti di descrivere gli effetti di
una singola facilitazione per gli estensori d’anca sul cammino.
1.1 COMPONENTI E V ARIABILI DEL CAMMINO
La deambulazione può essere definita come uno spostamento lineare del
corpo che, mediante una serie di slanci e frenate, è alla ricerca di un
continuo equilibrio tra le forze in gioco.
All’interno di queste due fasi avvengono movimenti ritmici ed alternati
degli arti inferiori, accompagnati da movimenti di altri settori corporei.
Tali schemi ritmici di movimento sono generati da reti neuronali dette
Central Pattern Generators (CPG) e regolati da segnali propriocettivi
provenienti dagli arti inferiori.
Da un punto di vista funzionale nel cammino si distinguono due unità,
un’unità passeggero e un’unità locomotrice. L'unità passeggero (formata da
testa, collo e tronco) ha significato in termini di bilanciamento degli
equilibri posturali e, conseguentemente, di attivazione muscolare e di
dispendio energetico. La meccanica del cammino normale è talmente
efficiente che le richieste dell’unità passeggero sono ridotte al minimo:
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essa, pur rappresentando il 70% dell’intero peso corporeo, può essere
assimilata ad una sorta di blocco trasportato dall’unità locomotrice
sottostante.
Gli arti inferiori e la pelvi sono i segmenti anatomici che formano l’unità
locomotrice, un’unità multisegmentale in cui ciascun arto assume
alternativamente la responsabilità di sorreggere l’unità passeggero,
consentendo l’avanzamento. Una volta disimpegnato dal peso corporeo,
l’arto oscilla rapidamente in avanti fino al raggiungimento di una nuova
posizione, preparandosi a fornire un nuovo supporto.
Una corretta interazione tra le due unità o, ancor meglio, un’integrazione
tra di esse, vede come naturale risultante un cammino che può definirsi
funzionale, che presenta, cioè, idonee caratteristiche di velocità,
coordinazione, sicurezza ed economicità.
La pelvi è l’anello di congiunzione tra le due unità e gioca, pertanto, un
duplice ruolo: come parte dell’unità locomotrice costituisce un
collegamento mobile tra i due arti inferiori e, contemporaneamente,
rappresenta l’ultimo segmento dell’unità passeggero, “a cavallo” tra le
articolazioni delle anche.
In condizioni dinamiche l’interazione tra unità passeggero e unità
locomotrice raggiunge il massimo grado di efficienza; si assiste alla
costante ricerca di un bilanciamento tra le varie forze in gioco, Forza di
Gravità, Forza di Reazione al Terreno, componenti di taglio e forze
muscolari.
La Forza di Gravità agisce sul centro di gravità di un corpo e, poiché
l’accelerazione applicata a tutti i segmenti corporei è costante, si trova a
coincidere per convenzione con il Centro di Massa (CoM). La posizione
che riassume entrambi questi punti non è fissa, ma dipende, a sua volta,
dalla posizione dei vari segmenti corporei, in particolare dell’unità
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passeggero: quest’ultima unità è infatti soggetta a continui micromoti, a
leggere, ma costanti, variazioni di distribuzione del peso corporeo tra gli
arti che sono sinonimo di forze esterne applicate a distanza dalle
articolazioni e dai fulcri articolari e che tendono a ruotare l’articolazione in
direzione della forza stessa.
A fronteggiare queste forze perturbanti entrano in gioco i meccanismi di
bilanciamento muscolare.
Unitamente a questi meccanismi gioca un ruolo di primaria importanza
l’azione della Ground Reaction Force (GRF), una reazione di forza,
prodotta dal terreno, uguale e contraria al peso corporeo applicato. Questa
componente, in realtà, è il riassunto di tutte le forze e di tutte le pressioni
che vengono a trovarsi sotto al piede, le quali vedono come origine comune
il cosiddetto Centro di Pressione (CoP); quest’ultimo rappresenta un
ulteriore parametro variabile a seconda del posizionamento delle unità
soprastanti, analogamente al CoM, con un importante significato da un
punto di vista clinico: a seconda delle forze che ciascun piede esercita sulla
superficie di contatto, verrà a delinearsi un diverso comportamento del CoP,
sia in termini di distribuzione di carico che di capacità propulsive.
Figura 1.1 Il comportamento della Forza di Gravità e della Forza di Reazione al Terreno in condizioni statiche ed
in condizioni dinamiche.
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1.2 LE FASI DEL PASSO
Rifacendoci a quanto avviene in un soggetto non patologico adulto, il
comportamento delle componenti fin qui analizzate è diverso in relazione
alle varie fasi del passo: ognuna di queste assolve a compiti diversi ed è
conseguenza del diverso comportamento biomeccanico svolto dalle
articolazioni.
La fase di accettazione del carico (o weight acceptance) caratterizza
l’inizio del periodo di appoggio e coinvolge le prime due fasi del passo, il
contatto iniziale e la fase di risposta al carico. E’ una fase caratterizzata da
elevate richieste muscolari in cui devono essere assolti i seguenti compiti:
- l’assorbimento dell’impatto al terreno,
- la stabilità iniziale dell’arto sotto carico,
- la conservazione della progressione.
La fase di contatto iniziale va dallo 0 al 2% del ciclo del passo e
comprende il momento in cui il piede viene a contatto con il suolo; questo
evento non dipende solo dalla disposizione del piede, ma dall’allineamento
dei distretti sovrastanti, anca, ginocchio e caviglia, preparati
precedentemente. La fase di risposta al carico va dal 2% al 10% del ciclo
del passo e rappresenta il periodo iniziale di doppio appoggio: inizia con il
contatto iniziale al suolo e continua finchè l’altro piede viene sollevato per
l’oscillazione. In questa fase così relativamente ristretta del ciclo del passo
si ha il trasferimento immediato di un carico rilevante, pari al 120% del
peso del corpo su di un singolo arto; segue ad una situazione di instabilità
dell’arto, un arto che dopo avere completato la sua fase di oscillazione deve
andare incontro ad una modulazione della propria accelerazione.
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Figura 1.2 Fasi di contatto iniziale e di risposta al carico che adempiono alla funzione
di accettazione del carico (Perry, 1992).
La fase di appoggio intermedio interessa il periodo che va dal 10 al 30%
del ciclo del passo; inizia quando il piede controlaterale è sollevato e
continua finchè il peso del corpo risulta allineato sull’avampiede.
Questa prosegue nella fase che conclude l’appoggio singolo, ovvero nella
fase di appoggio terminale: dal 30% al 50% del ciclo del passo si assiste al
distacco del tallone dal suolo e allo spostamento dell’unità passeggero
finchè l’altro piede appoggia al suolo. Queste fasi sono entrambe
caratterizzate da un appoggio monopodalico, su un singolo arto: in queste
condizioni l’arto in appoggio ha la responsabilità di sostenere tutto il peso
del corpo sia su un piano sagittale sia su un piano frontale, permettendo la
contemporanea progressione. Perché ciò accada sono necessarie la stabilità
di arto e di tronco, di unità locomotrice e unità passeggero.