6
“gruppo Sperimentale” mentre il gruppo composto dalla popolazione non clinica, che
nelle ricerche è detto “di Controllo”, sarà indicato come “gruppo di Confronto”.
In conclusione, il terzo capitolo, tratta i risultati ottenuti attraverso le analisi statistiche
effettuate.
Nelle appendici, invece, sono riportati i testi dei questionari utilizzati, le tabelle dei
punteggi di preferenza per il Myers-Briggs Type Indicator e l’affidabilità dello State-
Trai Personality Inventory per quanto riguarda il campione preso in esame.
7
CAPITOLO 1
LA TOSSICODIPENDENZA
1.1 Il problema della definizione.
Nel trattare l’argomento “tossicodipendenza” bisogna innanzitutto chiarire che non si
tratta di un concetto di univoca definizione in quanto rientra nei campi di competenza di
tre importanti scienze umane: quella medica, quella sociale e quella psicologica. In
particolare si ritiene storicamente che questo fenomeno interessi soprattutto le prime
due, come si può anche vedere dalla definizione che il dizionario della lingua italiana dà
del tossicodipendente: <<Il tossicomane dal punto di vista medico e sociale: quello cioè
che ha raggiunto un grado tale d’intossicazione da non poter più, biologicamente, fare a
meno della droga e che per procurarsela può anche ricorrere ad azioni delittuose e farsi
a sua volta spacciatore di droga[...]>> (Devoto-Oli 1995); ci troviamo dunque dinnanzi
a due ampi paradigmi teorici: il disease che si riferisce all’ambito medico e spiega la
tossicodipendenza in base a cause intra individuali, e l’adattivo che si focalizza sul
rapporto persona-ambiente e che quindi affianca alla dimensione sociale quella
psicologica, la quale negli ultimi anni ha acquisito un rilievo sempre maggiore.
1.2 Disease: la tossicodipendenza come malattia.
Il Disease considera l’addiction, inteso come consumo abituale di droga, quale frutto di
una predisposizione individuale che si manifesta in conseguenza dell’esposizione alla
droga. I tossicodipendenti sono quindi considerati malati sia in ragione della loro
predisposizione sia della condizione di tossicodipendenti una volta incontrata la
sostanza, questa condizione è caratterizzata da un’idea di completa passività ed assenza
8
di autonomia dell’individuo che è dominato da una forza irresistibile, il craving
1
, la
quale è aumentata dai sintomi dell’astinenza.
All’interno di questo paradigma si possono riscontrare due orientamenti: uno che
considera prioritaria la predisposizione individuale, la quale può derivare da
un’alterazione genetica o da specifiche caratteristiche della personalità che, data
l’esposizione alla droga, rendono elevate le probabilità che i soggetti diventino
dipendenti. Il secondo orientamento è costituito da quelle teorie che danno, invece, un
ruolo di maggiore rilevanza all’esposizione alla droga, dette anche teorie exposure;
queste si focalizzano sulle proprietà farmacologiche delle sostanze che causano squilibri
fisiologici e condizionamento e quindi una dipendenza compulsiva sulla quale il
soggetto non può esercitare alcun controllo.
Il modello del disease, comunque, non è scevro da critiche le quali si basano soprattutto
sulla dimostrazione che anche un’esposizione prolungata alla sostanza non porta
necessariamente all’addiction; viene criticata inoltre la concezione fortemente passiva e
deterministica dell’individuo che sta alla base di queste teorie.
1.2.1 La diagnosi di dipendenza.
La concezione di tossicodipendenza come malattia è adottata anche dall’OMS la quale
ha concettualizzato la dipendenza come una sindrome caratterizzata dai seguenti
elementi:
1. Consapevolezza soggettiva della compulsione all’assunzione nonostante i
tentativi di controllarla o smetterla.
2. Desiderio di interrompere l’assunzione più che continuarla.
3. Abitudine stereotipata ad assumere la sostanza.
4. Sintomi di neuroadattamento, che riguardano l’astinenza e la tolleranza alla
sostanza.
1
Negli anni ’40 il craving è stato definito come un forte desiderio compulsivo legato all’astinenza,
successivamente il significato è stato esteso ad un desiderio della sostanza che può manifestarsi in
qualsiasi momento (Ravenna,1997)
9
5. Uso della sostanza per evitare l’astinenza.
6. Priorità della ricerca della droga rispetto ad altre attività importanti.
7. Rapida reintegrazione della sindrome dopo un breve periodo di astinenza.
La stessa concezione di tossicodipendenza dell’OMS viene utilizzata anche nella
definizione di dipendenza data dal DSM IV, questa è considerata un insieme di sintomi
cognitivi, comportamentali e fisici indicativi del fatto che il soggetto continui a fare uso
della sostanza nonostante la presenza di problemi significativi ad essa correlati; per la
diagnosi di dipendenza occorre inoltre che da almeno un mese siano presenti tre dei
seguenti sintomi:
1. Tolleranza, intesa come bisogno di aumentare la dose per ottenere i medesimi
effetti auspicati oppure come mancato raggiungimento di questi stessi effetti a
parità di dose.
2. Astinenza, intesa come la sindrome sostanza-specifica conseguente alla
cessazione o riduzione di una sostanza assunta in modo pesante e prolungato.
Questa sindrome causa disagio significativo nella vita dell’individuo e viene
risolta con l’assunzione della sostanza.
3. La sostanza viene assunta in dosi e periodi maggiori rispetto a quanto previsto
dal soggetto.
4. Il desiderio di smettere e ridurre l’assunzione è frustrato da insuccessi.
5. Molto tempo viene speso nel procurarsi la sostanza, nell’assumerla e nel cercare
di riprendersi.
6. Riduzione o interruzione di importanti aree di vita.
7. Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza dei problemi.
Questa diagnosi può essere applicata a tutte le sostanze psicoattive tranne la caffeina.
La tolleranza e l’astinenza non vengono considerati elementi necessari e sufficienti per
una diagnosi di dipendenza in quanto vi possono essere soggetti compulsivi che però
non presentano astinenza o tolleranza, inoltre nei pazienti chirurgici, durante il decorso
post-operatorio, si possono sviluppare tolleranza o sintomi di astinenza verso gli
oppiacei senza che questi soggetti risultino dipendenti dalla sostanza.
10
1.3 Modello adattivo: la tossicodipendenza come modalità di adattamento
disfunzionale.
Questo paradigma, definito adattivo, risulta da una sintesi di differenti teorie
psichiatriche, psicologiche e sociologiche che considerano la tossicodipendenza come
risultato di una complessa rete di fattori interni ed esterni all’individuo; nello specifico
la tossicodipendenza viene vista come una strategia disfunzionale attuata dall’individuo
per affrontare il disagio. In questa visione teorica viene meno il concetto di malattia,
non vengono però esclusi i fattori biologici ma concepiti in stretta relazione con quelli
psicologici e sociali.
All’interno di questo modello troviamo la teoria cognitiva la quale sostiene che la
persona che si avvicina alla sostanza ha almeno una teoria ingenua su di essa appresa
nell’ambito dei rapporti sociali, la quale gli permette di farsi delle anticipazioni
sull’esperienza; un ruolo importante in questo processo è giocato anche dalle distorsioni
o errori cognitivi e da minimizzazioni che possono portare il soggetto a sovrastimare la
propria capacità di controllo sulla sostanza o a considerare normale e diffuso un
determinato comportamento. In quest’ottica, la dipendenza, può anche essere
considerata come l’effetto di processi di decision making in cui il soggetto valuta le
implicazioni positive e negative di diverse linee di azione in un’ottica generale di costi e
benefici.
Per quanto riguarda la teoria psicoanalitica, questa prende in considerazione le pulsioni
e gli istinti distruttivi del tossicodipendente, inoltre la stessa tossicodipendenza è stata
messa in relazione con le fasi freudiane (Scarnecchia, 1999): i tratti orali nella
tossicodipendenza si manifestano nella bramosia dell’avere la sostanza, nella
dilazionabilità del soddisfacimento e nell’avidità; i tratti anali si individuano nella
ritentività, se l’accaparramento della sostanza è orale, il tenerla tutta per sè implica
l’impossibilità dello scambio e del dono; sono anali anche l’ossessività dei rituali e
l’annullamento onnipotente del tempo che è privo di passato: ogni giorno inizia allo
stesso modo senza memoria di quello precedente; i tratti fallici: vi sono parecchie
11
valenze simboliche di tipo fallico nella tossicodipendenza, queste sono, ad esempio, la
siringa, il buco come metafora dell’atto sessuale e l’orgasmo della sostanza.
Similmente a quanto appena visto, la tossicodipendenza è stata correlata anche con le
posizioni kleiniane: i tratti schizoidi sono evidenti nella confusione nella narrazione che
il tossicodipendente fa di sè, questa appare coerente a colui che racconta ma non risulta
assolutamente tale all’ascoltatore, ciò è dovuto dalla netta scissione che causa la
coesistenza di “buono” e “cattivo” senza possibilità di integrazione ad esempio, per
quanto riguarda la sostanza, essa può essere l’oggetto buono che salva dall’astinenza e
come oggetto cattivo quando assente; i tratti depressivi: il tossicodipendente è da molti
autori considerato un depresso, a confermare questa diagnosi contribuisce l’alternanza
di stati di ipomaniacalità caratterizzati da onnipotenza, e di depressione con un terribile
senso di vuoto che spegne ogni interesse; i tratti autistici si riferiscono ad
un’organizzazione psicologica primitiva che genera le forme più elementari
dell’esperienza ed è dominata dalla sensorialità, nella tossicodipendenza si realizza in
quella sorta di Nirvana in cui si ricerca l’assenza di stimoli, una sorta di piacere
ovattato.
Gli orientamenti psicodinamici più recenti, invece, non considerano gli istinti e le
pulsioni della teoria classica ma si focalizzano sulle relazioni oggettuali e i processi di
costruzione dell’identità, inoltre queste teorie non adottano l’ipotesi di un profilo
psicopatologico della tossicodipendenza ma ritengono che essa sia un sintomo che
riguarda più disturbi e svolge diverse funzioni. I maggiori contributi nell’approccio
psicodinamico sono dati da Olievenstein, Kohut e Bergeret.
Per Olievenstein (1977, 1981, 1984) l’evento che segna il tossicodipendente è il
mancato superamento della “fase dello specchio” fra i 6 e i 18 mesi; in questo periodo di
vita il bambino cerca di superare l’esperienza fusionale con la madre, se egli riceverà da
lei sguardi, lo specchio appunto, che gli permettano di costruire il riconoscimento della
sua separatezza ed autonomia allora la fase sarà superata, al contrario se è la madre a
richiedere al bambino un riconoscimento allora l’individualità di quest’ultimo verrà
negata ed egli si costruirà un’identità sulle proiezioni della madre.