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1. Introduzione
Le spiagge rappresentano ambienti di indubbio interesse sotto innumerevoli punti di vista:
da una parte costituiscono settori del territorio di elevato valore naturalistico, dall’altra
rappresentano un’insostituibile risorsa per scopi ricreazionistici e turistici. Per questi
principali motivi, lo studio delle spiagge sta registrando negli ultimi anni un rinnovato
sviluppo. Le spiagge sono oggi oggetto di una gran mole di ricerche afferenti a discipline
diversissime (biologia, chimica, sedimentologia, metereologia, ecc.). I campi di maggiore
attualità ed interesse spaziano dallo studio dei fenomeni di trasporto ed erosione costiera, a
ricerche riguardanti gli interventi di ripascimento, fino all’impatto della componente
biologica sulla produzione dei sedimenti di una spiaggia. Tuttavia, l’approccio scientifico
dominante è di tipo monofattoriale, mentre gli studi multidisciplinari, relativi
all’approfondimento delle interazioni tra i parametri fisici, chimici e biologici di un areale
complesso come quello di spiaggia sono ancora oggi poco diffusi.
In questo lavoro di tesi è stato affrontato lo studio dell’oggetto principale di una spiaggia: il
sedimento. L’approccio all’indagine è stato multidisciplinare, contemplando la
caratterizzazione delle sabbie sia dal punto di vista sedimentologico-petrografico che dal
punto di vista biologico-ecologico.
La tesi, nello specifico, ha affrontato la problematica delle relazioni fra apporto litoclastico
(connesso a processi essenzialmente fisici attivi nell’ambiente sedimentario) e apporto
bioclastico (connesso alla produzione di elementi scheletrici da parte della fauna acquatica,
che si depositano sulla spiaggia sotto forma di sedimenti con la morte degli organismi) nella
costituzione dei corpi di spiaggia.
Il tema proposto riveste grande importanza se si pensa che gran parte delle sabbie di
spiaggia, salvo rarissime eccezioni, risultano essere miste, costituite cioè da litoclasti e
bioclasti in percentuali variabili. La loro caratterizzazione, pertanto, rappresenta il primo
passo di qualunque ricerca riguardante l’erosione costiera, interventi di ripascimento, ecc.
La scelta dell’area di studio - il litorale di Rosa Marina (BR) - è stata effettuata
essenzialmente sulla base della rappresentatività del sito, relativamente al settore adriatico
meridionale pugliese. Le spiaggie di Rosa Marina costituiscono infatti un importante
modello per la comprensione dello sviluppo e l’evoluzione di tale litorale. Esse sono inserite
in un contesto ambientale che comprende gran parte dei subambienti tipici del litorale
adriatico pugliese: un’areale continentale capace di trasportare moderate quantità di
sedimento a mare, anche grazie alla presenza di un piccolo torrente a carattere non effimero,
una spiaggia emersa sabbiosa, tratti rocciosi in erosione, una spiaggia sommersa sabbiosa
frequentemente interrotta da affioramenti rocciosi. Le comunità acquatiche bentoniche
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antistanti tale sistema di spiagge non sono state fino ad oggi oggetto di studi specifici. La
fauna bentonica ivi presente è riconducibile sia a substrati duri che incoerenti. Si presenta
relativamente diversificata e soggetta ad un modesto grado di disturbo antropico. La fauna
ittica si caratterizza per la non rara presenza di predatori di grossa taglia (spigole, dentici ed
orate), indice di un adeguato supporto trofico (Corriero, dati non pubblicati).
Il sito riveste notevole importanza dal punto di vista turistico, con un importante complesso
di ville oltre ad un hotel.
Le spiaggie di Rosa Marina infine, afferiscono ad una Provincia, quella brindisina, da tempo
al centro di polemiche relative a presunti e non autorizzati episodi di movimentazione di
sedimenti di spiaggia a fini di ripascimento. Tale contesto, al di là di altre implicazioni,
rende particolarmente urgente l’approfondimento delle conoscenze di queste peculiari
tipologie ambientali, anche nella logica di una migliore strategia di comunicazione per il
contrasto di attività tese al degrado di queste importanti componenti del sistema costiero
pugliese.
Il primo capitolo contiene, oltre alla presente introduzione, una trattazione dei principali
organismi vegetali, animali e unicellulari (Rizopodi), dotati di gusci o resti scheletrici,
prevalentemente carbonatici, che contribuiscono alla formazione del sedimento. Il secondo
capitolo è dedicato ai caratteri sedimentologici delle sabbie di spiaggia (caratteri tessiturali,
composizionali, classificazioni ecc.) introducendo i concetti alla base del profilo
idrodinamico delle spiagge. Il terzo capitolo tratta in maniera maggiormente specifica le
coste pugliesi adriatiche introducendo i dati di letteratura sull’ambiente fisico
(inquadramento geologico, geografico e mareografico) e biologico (le principali biocenosi).
Il quarto capitolo è dedicato alle tecniche di campionamento, alle analisi granulometriche,
petrografiche e bio-ecologiche dei sedimenti e delle rocce dell’area indagata. Il quinto
descrive i risultati delle analisi mentre nel sesto e ultimo capitolo verranno esposte le
conclusioni.
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2. Gli organismi bentonici a guscio o scheletro calcareo di una spiaggia
2.1 Le alghe a tallo calcareo
Divisione Chlorophyta: Halimeda tuna (Ellis & Solander) Lamoroux, 1816
Tra le specie vegetali bentoniche che popolano il substrato roccioso di una spiaggia, è
compresa l’alga verde Halimeda tuna. Essa è dotata di un tallo ramificato con elementi
reniformi e piatti, di colore biancastro o verde-giallognolo, aventi delle incrostazioni
calcaree sulla superficie (fig. 2.1A). Per quanto riguarda la composizione mineralogica, essa
fissa il carbonato di calcio nella forma di aragonite. La specie può arrivare ad una lunghezza
di 15 cm. Vive in prossimità della superficie, in luoghi molto esposti alla radiazione o
moderatamente ombreggiati, all’imboccatura di grotte o fessure rocciose. Essa può trovarsi a
formare il primo strato a diretto contatto della matrice rocciosa, o può vivere come epifita su
altre alghe o organismi animali.
Divisione Rhodophyta, ordine Corallinales
Sono alghe rosse caratterizzate da un tallo calcificato che può presentare varie forme, come
quella incrostante, oppure essere dotato di escrescenze, talvolta rotondo o spianato (fig.
2.1B), ramificato e suddiviso in articolazioni. Questa famiglia di alghe fissa il carbonato di
calcio sotto forma di calcite magnesifera, cioè ad alto contenuto di magnesio (fino al 30%).
A B
Fig. 2.1: alghe a tallo calcareo: A) Halimeda tuna (Ellis & Solander) Lamoroux, 1816; B) Lithophyllum
lichenoides (Ellis) Rosanoff ex Hauck, 1883.
2.2 Phylum Rhizopoda
Quello dei foraminiferi è un gruppo di organismi unicellulari afferenti al phylum Rhizopoda.
In generale i foraminiferi possono avere un guscio di qualsiasi composizione: organica,
agglutinata (ovvero formato da una membrana organica nella quale vengono inglobati
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granuli di sabbia), calcarea o silicea. Il guscio può essere forato, con uno o più fori, oppure
può esserne totalmente privo, e può avere anche una o più camere (fig. 2.2). Nei foraminiferi
a guscio calcareo, il carbonato di calcio è presente prevalentemente nella forma
mineralogica della calcite, mentre solo gli appartenenti all’ordine Robertinina ne
contengono nella forma di aragonite. La composizione esatta del guscio carbonatico è data
un 90 % costante di carbonato di calcio (calcite o aragonite), una percentuale variabile di
carbonato di magnesio ed una piccola quantità di composti del ferro e del silicio. I gusci
carbonatici possono essere distinti in due grandi categorie a seconda dell’aspetto: quelli
porcellanacei imperforati e quelli ialini perforati. I primi, osservati al microscopio ottico,
presentano una superficie brillante o dall’aspetto porcellanaceo e possono essere di colore
bianco, oppure ambrati o di colori più scuri, a seconda dell’abbondanza di alcuni
oligoelementi, come il piombo (quest’ultimo è un indice di inquinamento). Inoltre il guscio
porcellanaceo è formato da tre strati di calcite: il più esterno, molto sottile, è costituito da
cristalli romboedrici di calcite disposti parallelamente alla superficie del guscio; quello
mediano, il più spesso, è formato da cristalli di calcite disposti in modo irregolare; quello
interno, pure molto sottile, è costituito da cristalli calcitici disposti in modo abbastanza
irregolare. La disposizione irregolare dei cristalli nello strato mediano e lo spessore
estremamente sottile degli strati esterno ed interno serve a garantire gli scambi gassosi della
cellula con l’ambiente circostante, mentre la disposizione regolare dei cristalli nello strato
esterno conferisce al guscio l’aspetto porcellanaceo e brillante, poiché i cristalli riflettono i
raggi emessi da una data sorgente luminosa. I gusci ialini, invece, hanno un aspetto vitreo,
sono trasparenti e perforati, per la presenza di numerosi pori che permettono gli scambi
gassosi tra la cellula e l’ambiente esterno. Essi possono essere formati da lamelle
sovrapposte di cristalli calcitici e tra le lamelle esterne e quelle interne si interpone uno
strato organico mediano. I pori di questi gusci sono delle finissime perforazioni, di diametro
compreso tra 1 e 6 µm e sono importanti non solo per gli scambi gassosi, ma anche per la
regolazione osmotica e per l’entrata e l’eliminazione di sostanze organiche disciolte. Lo
strato organico è costituito da un insieme eterogeneo di proteine e polisaccaridi.
Per quanto concerne la loro alimentazione, i foraminiferi si nutrono di batteri, diatomee,
zooplancton e, quindi, anche di altri foraminiferi. Questi protozoi costruiscono il loro guscio,
aggiungendo durante la crescita delle camere ed esso viene conservato per tutta la vita
dell’organismo senza mai essere sostituito con un altro. Lo sviluppo del guscio si
accompagna alla riproduzione di ogni individuo. Essi si distinguono in organismi
planctonici, dotati solo di movimenti passivi perché trascinati dalle correnti, e foraminiferi
bentonici che a loro volta possono essere fissi o mobili. In questi ultimi, il movimento è
9
garantito dalla presenza di estroflessoini citoplasmatiche dette pseudopodi, ma è molto
lento (dell’ordine di qualche cm al giorno). I foraminiferi bentonici sono in grado di vivere
attaccati ad alghe, rocce o all’esoscheletro degli animali sessili,come i coralli,e la loro
fissazione a questi substrati può essere temporanea o permanente. Altri sono in grado di
vivere anche nei fondi mobili infossando una parte del loro guscio nel sedimento.
Fig. 2..2: schematizzazione delle forme più tipiche e frequenti dei gusci dei
foraminiferi.
2.3 Phylum Porifera
Il phylum Porifera (spugne) è costituito da animali acquatici bentonici sessili molto primitivi,
tanto da essere inclusi da alcuni zoologi in un sottoregno separato, quello dei Parazoi,
distinto da quello dei Metazoi, al quale appartengono gli altri animali pluricellulari. La
primitività dei poriferi deriva dalla loro organizzazione cellulare semplice, priva di tessuti.
Ogni cellula, infatti, ha un metabolismo indipendente dalle altre. La forma del loro corpo
ricorda quella di un sacco, chiamato spongocele, dotato di un’apertura principale detta
osculo e la parete è ricoperta di pori, da cui il nome del phylum. La struttura macroscopica
del corpo può essere di tre tipi diversi: ascon (la più semplice), sycon e leucon (la più
complessa).
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La parete è formata da due strati cellulari (fig. 2.3A): il coanoderma ed il pinacoderma. Il
primo, interno, è costituito da cellule flagellate, dette coanociti (cellule dotate di due
funzioni, la riproduzione sessuale e l’alimentazione). Il secondo strato, esterno e
vivacemente colorato, è formato da cellule appiattite dette pinacociti, che svolgono un ruolo
di protezione e rivestimento. Tra questi due strati è presente uno strato gelatinoso detto
mesoglea, in cui sono sparse cellule (gli archeociti) che a seconda delle esigenze possono
trasformarsi in cellule ameboidi, che distribuiscono a tutto il corpo le sostanze nutritive, e
cellule sessuali per la produzione di gameti. Gran parte delle spugne possiede una struttura
scheletrica formata da spicole silicee o calcaree (fig. 2.3B), oppure da fibre proteiche di
spongina, prodotte rispettivamente dagli sclerociti e dagli spongociti.
Nel phylum si riconoscono 4 classi, due delle quali (Demospongiae e Calcispongiae) sono
ben rappresentate in ambiente superficiale mediterraneo.
Gli afferenti alla classe Calcispongiae (Bowerbank, 1864) hanno spicole di calcite delle
dimensioni generalmente superiori a 100 µm (macrosclere), non connesse, non ramificate,
dotate di 1, 3 o 4 raggi. Gli afferenti alla classe Demospongiae (Sollas, 1885), possono avere
solo spicole silicee a 1 o 4 raggi (mai 6), oppure combinazioni di spicole silicee e un reticolo
di fibre di spongina, oppure soltanto complessi di fibre di spongina.
A B
Fig. 2.3: A) struttura della parete del corpo di una spugna: si osserva la presenza di uno strato esterno protettivo formato dai
pinacociti, uno strato gelatinoso (mesoglea) ed uno strato interno formato dai coanociti; B) foto di spicole calcaree al
microscopio ottico.
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2.4 Classe Anthozoa (phylum Cnidaria)
Gli Antozoi sono animali bentonici sessili appartenenti al phylum Cnidaria, nel quale sono
compresi, ad esempio, attinie, coralli, madrepore, gorgonie. Nel loro ciclo vitale sono
presenti solo forme polipoidi e la loro simmetria corporea è di tipo radiale (fig. 2.4 A). In
generale gli animali di questa classe hanno una bocca recante un insieme di ciglia dette
sifonoglifi, che convogliano l’acqua all’interno o all’esterno della faringe. Questa si trova
nella cavità gastrovascolare, suddivisa in camere da setti muscolari, detti setti mesenterici,
spesso presenti in multipli di 6. I compartimenti formati da questi setti costituiscono uno
scheletro idrostatico che permette all’animale di effettuare una serie di movimenti
abbastanza complessi. Il margine libero di questi setti contiene gli cnidociti che con il loro
filamento (cnidociglio) immobilizzano la preda ancora viva ingerita nella cavità
gastrovascolare. Tra gli individui di questa classe si annoverano i madreporari (fig. 2.4 B),
cnidari sessili con forma polipoide, privi dei sifonoglifi, aventi un esoscheletro calcareo. Il
loro esoscheletro è costituito dalla forma cristallografica dell’aragonite.
Essi sono organismi coloniali e i polipi di una colonia sono interconnessi e la cavità
gastrovascolare è unica per tutti gli individui della colonia. Questi animali si trovano in tutti
gli oceani ed i mari e sono in grado di formare delle scogliere madreporiche o coralline, con
i loro esoscheletri dopo la morte, soprattutto nei mari caldi. Le madrepore costruttrici delle
scogliere hanno un importante ruolo ecologico per la loro capacità di creare habitat per altri
organismi, anche per altri antozoi. Queste scogliere vengono formate per aggiunta degli
esoscheletri delle madrepore su strati di altri scheletri calcarei di generazioni precedenti di
madrepore e di alghe coralline (Corallinacee). Le madrepore vive abitano solo lo strato più
esterno di una scogliera ed ogni polipo può secernere anche molti strati di calcare sottostante.
Anche le alghe coralline si distribuiscono sulla superficie della scogliera e secernono il
carbonato di calcio cementando ulteriormente parti diverse della scogliera. Le scogliere
madreporiche sono tra gli ecosistemi marini più diversificati e produttivi del mondo. Un
ruolo importante nella produzione di energia in questo ecosistema è rivestito dalle alghe
unicellulari simbionti delle madrepore dette zooxantelle, viventi all’interno di vacuoli delle
cellule gastrodermiche di questi cnidari, senza essere digerite. Le madrepore sono capaci di
crescere senza le alghe simbionti, ma senza di esse non possono costruire le scogliere
madreporiche. Sembra, infatti, che le madrepore possano ottenere dalle zooxantelle più
sostanze nutritive di quante ne riescano ad ottenere dalla loro alimentazione per filtrazione.
Le alghe, con la loro attività fotosintetica, forniscono alle madrepore sostanze quali glicerolo,
glucosio, alcuni amminoacidi, forse alcuni lipidi ed alcuni composti dell’azoto e del fosforo;
d’altro canto, le madrepore forniscono alle alghe l’acqua metabolica ed il diossido di
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carbonio, facilitando la precipitazione del carbonato di calcio per la formazione della
scogliera. La precipitazione del carbonato avviene per mezzo della seguente reazione di
equilibrio (secondo una delle varie ipotesi avanzate dai biologi):
Ca
2+
+ 2 HCO
3
-
Ca(HCO
3
)
2
CaCO
3
+ H
2
CO
3
H
2
O + CO
2
La precipitazione del carbonato avviene quando la sequenza di reazioni procede verso destra
ed il prodotto finale, il CO
2
, dev’essere consumato perché la precipitazione del carbonato
possa continuare. Il consumo di questo gas è garantito tramite l’attuazione di due
meccanismi: le cellule delle madrepore convertono il CO
2
in ioni bicarbonato (HCO
3
-
) e le
alghe lo consumano per la fotosintesi.
Si distinguono vari tipi di scogliere madreporiche, tra cui vi sono: le scogliere areali o
frangenti corallini, le barriere madreporiche o coralline e gli atolli. Tutte le scogliere,
però, hanno un profilo con tre zone principali: la piana, la.cresta ed il fronte di scogliera. La
prima può avere una profondità variabile e presenta delle pozze e canali di marea popolati da
diverse specie di madrepore, oltre agli altri organismi; la seconda è una zona molto esposta
al moto ondoso, pertanto vi abitano soltanto le specie più resistenti alla forza delle onde,
come quelle del genere Acropora e le alghe rosse coralline; il fronte di scogliera è una zona
a forte pendenza verso mare e soprattutto la sua zona superiore è la parte più produttiva della
scogliera. Le scogliere madreporiche si accrescono solo nei mari tropicali a causa
dell’esigenza, da parte di questi animali, di alcune condizioni climatiche particolari:
temperatura dell’acqua prossima ai 20 °C;
limpidezza;
profondità non eccessiva per poter utilizzare al meglio la radiazione solare.
Attualmente le scogliere esistono solo nelle regioni tropicali dell’Oceano Atlantico, Pacifico
e dell’Oceano Indiano, mentre circa 40-50 milioni di anni fa, quando i mari erano più caldi,
esse erano molto più diffuse. Molte delle scogliere oggi non più vive sono scomparse a
causa di drastiche variazioni del livello del mare. Recentemente, invece, la crescita delle
scogliere è stata influenzata negativamente dalla straordinaria diffusione di predatori, come
la stella di mare Acanthaster planci (Linnaeus, 1758) che si nutre dei polipi madreporici ed,
in questo modo, ha devastato molte scogliere al largo del Giappone e dell’Australia
all’inizio degli anni ’60. Altre cause antropiche hanno ridotto lo sviluppo delle scogliere
coralline:
estrazione del calcare per la costruzione di case e di strade, con una velocità di
asporto maggiore di quella di produzione;
13
modificazioni del regime sedimentario a causa dell’aumento dell’antropizzazione
costiera;
gli sversamenti di petrolio ed il lavaggio abituale delle petroliere in mare.
A B
Fig. 2.4: A) struttura anatomica degli afferenti alla classe Anthozoa: si osserva la simmetria radiale del corpo (tip polipoide) di questi animali
bentonici; B) Cladocora caespitosa, un madreporario tipico del Mediterraneo, non costruttore di scogliere coralline.
.
2.5 Phylum Ectoprocta (Bryozoa)
Questo phylum è abbastanza ricco e gran parte delle specie vive in ambiente marino, mentre
50 di esse abitano i laghi ed i corsi d’acqua lenti. I briozoi marini (fig. 2.5 B) crescono sui
substrati solidi in acque costiere poco profonde. Molte specie contribuiscono insieme alle
madrepore a formare l’ecosistema delle scogliere coralline, ma altre possono colonizzare le
alghe galleggianti che vengono trasportate al largo ed alcune possono vivere in ambienti
molto profondi (a 6000 m di profondità) negli oceani. I briozoi possono incrostare le carene
delle imbarcazioni, come altri organismi, i cirripedi, appartenenti alla classe dei Crostacei.
I Briozoi sono animali coloniali ed ogni individuo formante la colonia è detto zooide (fig.
2.5 A). Quest’ultimo è costituito da un canale alimentare (il polipide) coronato dai lofofori,
dai muscoli e da altri organi, e da uno zoecio, l’involucro formato dalla parete del corpo. I
briozoi marini possono avere zooidi con varie forme, che servono a difendere la colonia da
altri animali che strisciano o tentano di costruire tubi su di essa. Quando gli zooidi si
contraggono fanno diminuire il volume del celoma dello zoecio ed il liquido celomatico
spinge il polipide fuori dall’apertura, mentre dei muscoli retrattori posti alla base del
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lofoforo, fanno ritrarre il polipide nello zoecio. I briozoi non hanno una muscolatura nella
parete del corpo ed ogni polipide risiede in uno zoecio rigido con lati calcarei o chitinosi.
Quando il lofoforo è espanso forma una trappola per le particelle alimentari. I tentacoli del
lofoforo hanno le ciglia sulla superficie interna e su quelle laterali, ma non su quella esterna.
Durante l’alimentazione i tentacoli rimangono stazionari nella maggior parte delle specie di
briozoi, ma in alcune essi sono capaci di chiudersi attorno alle prede. Molte specie, poi, sono
in grado di ruotare il lofoforo per testare le particelle in sospensione nell’acqua e, addirittura
alcune possono anche selezionare le particelle alimentari lanciandole verso la bocca. Questi
animali hanno una faringe muscolosa per succhiare le particelle nel canale alimentare, cioè il
polipide, a forma di Y. La maggior parte dei briozoi risponde negativamente alla luce
preferendo i luoghi ombreggiati. Per quanto concerne la riproduzione, gran parte dei briozoi
è ermafrodita e libera i gameti nel celoma dello zoide: gli spermatozoi vengono poi liberati
da uno zoide per entrare in un altro della stessa colonia, (attraverso minuscoli pori posti
all’estremità dei tentacoli) dove avviene la fecondazione delle cellule uovo. Periodicamente
la fecondazione avviene incrociando i gameti di uno zoide di una colonia con quelli di uno
zoide di una colonia vicina, per assicurarsi una certa variabilità della specie. Le uova, una
volta fecondate, rimangono incubate nel celoma per un certo periodo prima del rilascio.
Alcune specie marine generano una larva liberamente natante, capace di nuotare anche per
mesi prima di scendere sul fondo e fissarsi sul substrato roccioso. Qui poi si forma lo zooide
che, per gemmazione, dà luogo ad una colonia.
Anche i briozoi contribuiscono alla produzione di bioclasti carbonatici, avendo un
esoscheletro costituito da carbonato di calcio, sotto forma di calcite magnesifera.
A B
Fig. 2.5: A) anatomia di un briozoo (un singolo zooided di una colonia); B) un briozoo della regione mediterranea: Sertella beaniana
(King, 1846)
15
2.6 Classe Polychaeta (phylum Annelida)
La classe dei Policheti, appartenente al phylum degli Anellidi, è estremamente diversificata,
costituita da animali dal corpo segmentato ed ogni segmento è provvisto di setole composte
da chitina, che sporgono da appendici dei segmenti dette parapodi, che facilitano la
locomozione e gli scambi gassosi. Gli zoologi suddividono la classe dei policheti in due
gruppi non tassonomici: i policheti erranti e i policheti sedentari. Tra i policheti sedentari
due gruppi che contribuiscono all’alimentazione di una spiaggia bioclastica carbonatica
mediterranea sono i sabellidi (fig. 2.6 A) e i serpulidi (fig. 2.6 B).
I primi vivono in tubi permanenti fatti di granelli di sabbia cementati dal muco. Essi si
nutrono per filtrazione, utilizzando un ciuffo di tentacoli che sporgono dal tubo. Di colori
vari e brillanti. I serpulidi costituiscono una famiglia di policheti dotati di tubi di carbonato
di calcio secreti dagli animali stessi e cementati, poi alla loro morte, sulle rocce, sulle
conchiglie e su altri substrati duri secondari, come i rizomi della fanerogama Posidonia
oceanica.
A B
Fig. 2.6: A) polichete della famiglia Sabellidae, specie Branchiomma bombyx (Koelliker, 1858); B) polichete della famiglia
Serpulidae, specie Protula tubularia (Montagu, 1803).
2.7 Classe Echinoidea (phylum Echinodermata)
Questa classe afferisce al phylum Echinodermata e ad essa appartengono i ricci di mare. Essi
si distinguono in vari gruppi, a seconda della forma della loro teca:
arbacioidi o echinoidi: dalla forma globosa o emisferica (fig. 2.7);
spatangoidi: a forma ovoidale;
clipeasteroidi: a forma discoidale.
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Questa classe di echinodermi è in grado di vivere nelle acque costiere, come negli abissi.
L’animale è privo di braccia e vive all’interno di un involucro più propriamente detto teca,
formata da piastre riunite saldamente tra loro a formare una corazza. Dalla teca sporgono i
principali organi locomotori, detti pedicelli ambulacrali, dotati di ventose. Inoltre, gli
echinoidei hanno delle spine che per gli echinoidi e arbacioidi sono di ausilio ai pedicelli
nella locomozione, mentre negli spatangoidi e nei clipeasteroidi sono i principali organi
locomotori. Le spine sono costituite da calcite magnesifera.
Gli arbacioidi e gli echinoidi, avendo una forma emisferica e simmetria del corpo radiale,
sono detti anche echinoidei regolari, mentre gli altri sono considerati irregolari perché le
loro teche non hanno simmetria radiale, ma spesso presentano una estremità anteriore ed una
posteriore.
Fig. 2.7: Sphaerechinus granularis (Lamarck, 1816). La specie ha spine molto
variopinte, con colorazione variabile dal bruno al rosa.
2.8 Classe Gastropoda (phylum Mollusca)
Quella dei gasteropodi è la classe di molluschi più numerosa. Essi hanno un capo abbastanza
ben differenziato, con una conchiglia a spirale, patelliforme oppure ridotta. Il motivo per il
quale i gasteropodi hanno assunto una conchiglia spiralata sta nell’allungamento del tubo
digerente (necessario per la digestione del cibo di origine vegetale), che doveva essere
alloggiato in una conchiglia non troppo ingombrante. È per questo motivo che nel corso
dell’evoluzione, a partire da un mollusco ancestrale, si è avuta la torsione del corpo e, di
conseguenza, anche della conchiglia (fig. 2.8).
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La caratteristica più evidente della conchiglia o nicchio, è l’ andamento a spirale.
L’estremità superiore, detta apice o protoconca, rappresenta il primo stadio di crescita del
mollusco, formatasi subito dopo l’insediamento della larva sul fondo. Con la crescita
corporea dell’animale, la conchiglia si estende per aggiunta di nuove strutture carbonatiche e
di conchiolina (una proteina di rivestimento della conchiglia) sul lato esterno dell’apertura,
si ispessisce e si ripiega su se stessa adattandosi al corpo dell’animale, si avvolge attorno ad
un asse centrale detto columella. Il guscio di gran parte dei gasteropodi è costituito da due o
più strati di aragonite o aragonite e calcite, dove la calcite forma lo strato esterno e
l’aragonite quello interno. Nello strato calcitico, la struttura può essere prismatica, lamellare
o lamellare-incrociata, mentre in quello aragonitico si possono alternare microstrutture
lamellari-incrociate o complesse, prismatiche normali o complesse e lamellari. Solo pochi
gasteropodi, invece, hanno un guscio costituito da un solo strato con microstruttura
omogenea.
A partire dall’apice, l’avvolgimento può svolgersi in senso orario (in una conchiglia
destrorsa) oppure in senso antiorario (in una conchiglia sinistrorsa, tipica di pochissime
specie). Il numero di avvolgimenti o spire è variabile e ciascuno è separato dal successivo
Fig. 2.8: schematizzazione della struttura di una conchiglia di un
gasteropode tipico.
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tramite un solco detto sutura. Nelle fasi di riposo che si intercalano alla crescita, l’animale
secerne delle appendici sulla conchiglia (spine, tubercoli, costolature) sempre grazie
all’attività del mantello. L’ultimo avvolgimento della conchiglia è più grande dei precedenti
e termina alla base con l’apertura il cui bordo è detto peristoma, delimitato dal labbro
esterno e dal labbro interno. Il foro che collega la columella, quando questa è cava, alla base
della conchiglia, è detto ombelico. I labbri interno ed esterno dell’apertura possono essere
lisci o dotati di denti o pliche labiali, in numero e forma variabili da specie a specie. Inoltre
nella conchiglia dei gasteropodi è possibile notare il canale sifonale, un prolungamento dei
labbri interno ed esterno verso la parte anteriore, che permette l’alloggiamento del sifone,
utilizzato come organo ausiliario nella respirazione da parte di quelle specie che vivono
infossate nella sabbia.
Molti animali di questa classe, nella parte anteriore del nicchio hanno un avvallamento che
separa i due labbri, detto seno e pochi gasteropodi, come i Bursidi, ne hanno anche uno nella
zona posteriore.
Gran parte dei gasteropodi sono protetti dai predatori solo per la parte superiore del loro
corpo, ma alcuni sono in grado di attuare una protezione totale ostruendo l’apertura dello
stoma tramite un ispessimento cuticolare corneo o calcareo detto opercolo, secreto dalla
parte dorsale del piede alle spalle della conchiglia.
Dal punto di vista della classificazione, la conchiglia dei gasteropodi può presentare almeno
una decina di forme di base, ciascuna delle quali è costante in ogni specie, ma ciò che varia,
anche tra forme cospecifiche, è la colorazione, risultato del metabolismo ed in particolare
della dieta dell’animale. La morfologia ed il colore del nicchio, però, non sempre sono
sufficienti per il riconoscimento delle specie di gasteropodi, poiché molti individui di questa
classe, per esempio, ne sono privi. Oggi viene dato grande risalto alla struttura della radula,
all’alloggiamento dei gangli nervosi ed alla struttura dell’apparato riproduttore (fig. 2.9).
L’affinamento dei criteri di valutazione è stato poi realizzato tramite la tecnica
dell’elettroforesi applicata allo studio delle proteine, tramite lo studio del DNA
mitocondriale e con l’osservazione dello sviluppo embrionale. Attualmente non c’è molto
accordo tra i biologi nella classificazione dei gasteropodi, ma secondo una recente
classificazione sono individuate 2 sottoclassi, Prosobranchia (Milne Edwards, 1898) ed
Heterobranchia (Schweigger, 1820); nell’ambito di quest’ultima sottoclasse si riconoscono 3
ordini:
Opistobranchia (Milne Edwards, 1898), con cavità del mantello situata sul lato destro
o terminale;
Heterostropha (Thiele, 1829);