5
Le stime dei quantitativi dei rifiuti prodotti in Europa ed entro i confini nazionali
aiutano alla comprensione del problema relativo alla loro gestione: secondo
l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) la produzione di rifiuti solidi urbani (RSU)
dell’Unione Europea nell’anno 2007 è ammontata a circa 1.900 milioni di tonnellate,
di cui 74 milioni sono classificati come rifiuti pericolosi (Rapporto Rifiuti Apat,
2008). Nello stesso anno in Italia la produzione di rifiuti urbani si è attestata attorno
ai 32,5 milioni di tonnellate, valore in continua crescita rispetto agli anni precedenti.
A questo dato si affianca quello di una frazione percentuale media nazionale di
raccolta differenziata del 27,5%. Tuttavia, per quanto riguarda lo stato attuale della
raccolta differenziata la situazione all’interno dei confini nazionali è diversificata dal
punto di vista geografico: mentre al Nord la percentuale ha raggiunto il 42,4% della
produzione totale dei rifiuti urbani, al Sud è stato raggiunto solo l’11,6%; il Centro si
attesta su valori intermedi, cioè attorno al 20,8%.
Bisogna sottolineare però che la raccolta differenziata, pur essendo una condizione
necessaria per una corretta gestione dei rifiuti, non è un’azione sufficiente se non
affiancata da adeguate politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti e da
un’impiantistica efficiente per una corretta gestione e smaltimento.
Il rifiuto raccolto differenziatamente offre comunque notevoli vantaggi:
consente il recupero dei materiali riciclabili;
consente di razionalizzare il sistema di smaltimento in discarica.
I dati relativi ai RSU ad oggi disponibili evidenziano una situazione disomogenea per
le regioni italiane; tali differenze dipendono dai diversi sistemi di gestione adottati
per i rifiuti urbani: l’area più all’avanguardia è rappresentata dal Nord, in cui la
raccolta differenziata raggiunge in molti comuni e per alcune regioni, percentuali che
superano addirittura i limiti da raggiungere a norma di legge (25% di raccolta
differenziata entro il 31 dicembre 2009, D.Lgs. 123/08) consentendo di affidare al
recupero, alla selezione e al riciclo una buona fetta del quantitativo totale di rifiuti
prodotti. A questo si aggiunge la presenza di impianti di termovalorizzazione per il
trattamento del rifiuto residuale (RUR), nonché di impianti di trattamento per la
frazione organica del rifiuto solido urbano (FORSU).
6
La situazione è assai diversa al Sud, dove, se non in qualche comune virtuoso, la
percentuale di raccolta differenziata si aggira attorno al 10% (ben lontana dai limiti
previsti a norma di legge) ed è quasi completamente assente un’adeguata
impiantistica necessaria allo smaltimento del rifiuto.
Nel presente lavoro di tesi è stata rivolta particolare attenzione all’interno dei confini
della provincia di Caserta, dove, soltanto nell’anno 2007, sono state prodotte circa
420.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani, con una percentuale di raccolta
differenziata del 7,1% (Rapporto Rifiuti Apat, 2008). In questo territorio il
“problema rifiuti” nasce dalla totale assenza, in una provincia costituita da 104
comuni e con una popolazione di 900.000 abitanti, dell’impiantistica necessaria per
assolvere ad una corretta gestione.
Infatti, allo stato attuale, il sistema di gestione dei rifiuti organizzato in provincia è
rappresentato quasi esclusivamente dal conferimento in discarica, da innumerevoli
siti di stoccaggio e di rilavorazione del rifiuto e da un impianto di trattamento
meccanico-biologico (MBT), attualmente declassato a STIR
1
, che avrebbe dovuto
biostabilizzare il rifiuto residuale previo conferimento in discarica e che invece ha
prodotto negli anni migliaia di tonnellate di ecoballe per le quali ancora oggi si
cercano ulteriori siti di stoccaggio “provvisorio”.
Pertanto risulta coperta la sola potenza impiantistica necessaria alla selezione (in
particolar modo quella deputata al riciclo della plastica e del multimateriale), mentre
è completamente assente quella relativa alla termovalorizzazione del rifiuto residuale
e allo smaltimento della frazione organica. Quest’ultima a tutt’oggi continua a
viaggiare fuori regione a costi esorbitanti, pur di essere smaltita legalmente.
Inoltre, nella provincia di Caserta, all’ingente problema dei RSU si affianca quello
ben più complesso dei rifiuti speciali per i quali non è prevista alcuna soluzione
impiantistica nonostante la loro produzione sia straordinariamente elevata (basti
pensare che nel 2006 è stata stimata una produzione procapite di rifiuti speciali in
Italia pari a 1,4 tonnellate per un totale, a livello nazionale, di circa 83 milioni di
1
Stabilimento di Trito-vagliatura ed Imballaggio dei Rifiuti.
7
tonnellate). Un esempio calzante è dato dal fatto che sul territorio provinciale,
porzione di quella che una volta era denominata Campania Felix per la straordinaria
fertilità delle sue terre, sono presenti numerose aree deputate ad un’intensa attività
agro-zootecnica e in particolare all’allevamento bufalino, il cui prodotto principe, la
mozzarella di bufala, rappresenta oggi uno dei marchi italiani più noti e diffusi nel
mondo. In base a stime effettuate nel presente lavoro di tesi, in questi allevamenti si
produce un quantitativo di fanghi zootecnici che ammonta a circa 3 milioni di
tonnellate ogni anno (3,33 tonnellate procapite all’anno).
Il quantitativo di fanghi (derivanti soltanto dalle aziende bovino-bufaline del settore
zootecnico e che non tengono conto di quelli di derivazione agro-industriale e dei
reflui civili), e il quantitativo di frazione organica da rifiuto solido urbano (FORSU),
rappresentano, benché classificati come un rifiuto, biomasse utilizzabili per un
trattamento di tipo biologico che prevede, oltre al parziale abbattimento degli
ammontari prodotti e alla totale stabilizzazione biologica, un notevole recupero
energetico.
Queste soluzioni recepiscono a pieno quanto dettato dalle recenti politiche della
Comunità Europea, che impongono non solo una minor produzione di rifiuti alla
fonte, ma soprattutto interventi di recupero volti al riciclo ed alla valorizzazione
energetica.
I trattamenti possibili per le biomasse, tra cui la FORSU e i fanghi zootecnici sopra
citati, sono rappresentati dal compostaggio e dalla digestione anaerobica.
Il primo è un processo che prevede grazie all’azione dei microrganismi la
trasformazione delle sostanze organiche in esso presenti in un ammendante
(denominato compost). Se da un lato il processo di compostaggio è vantaggioso in
quanto la frazione organica sottratta al rifiuto urbano non viene in tal modo inviata in
discarica, dall’altro presenta numerosi svantaggi, tra cui la difficoltà di produrre un
compost che trovi facilmente una collocazione sul mercato e che sia certificato “di
qualità”, ossia privo di sostanze quali vetro e metalli pesanti, che ne impediscano
l’utilizzo in agricoltura.
Il secondo è un processo biologico che prevede, oltre all’abbattimento del rifiuto in
termini di massa, anche un intenso recupero energetico.
8
Infatti, grazie all’attività microbica in un ambiente anaerobico, parte della sostanza
organica viene trasformata in un gas costituito principalmente da metano ed anidride
carbonica, caratterizzato da un elevato potere calorifico, denominato biogas. Il
processo provvede inoltre alla mineralizzazione delle componenti organiche
biodegradabili e alla stabilizzazione del digestato in uscita, consentendo la possibilità
di utilizzo di quest’ultimo come ammendante per i suoli.
La digestione anaerobica è un processo che si è diffuso in molti Paesi europei nel
corso degli ultimi dieci anni arrivando a contare migliaia di impianti che si affidano a
tecnologie e tipologie di processo differenti. In Italia sono attivi da anni numerosi
impianti concentrati per la maggior parte nelle regioni del Nord; difatti il Centro, e in
particolare il Sud, mostrano enormi carenze impiantistiche nonostante comprendano
le regioni maggiormente deputate da secoli ad un’intensa attività agricola.
In Europa il processo è stato inizialmente pensato ed utilizzato per la stabilizzazione
dei fanghi provenienti da impianti di depurazione (Tilche e Malaspina, 1998) ed è
attualmente una delle tecnologie più indicate per il trattamento delle acque reflue
industriali ad alto carico organico. Inoltre, si stanno diffondendo impianti operanti
con fanghi zootecnici (in Germania se ne contano oltre 1600) nonchè impianti che
operano in co-digestione, e cioè la digestione contemporanea della frazione organica
del rifiuto solido urbano assieme ad altri scarti organici industriali e con liquami
zootecnici (si contano circa 130 impianti in Europa).
In Italia appare un panorama differente: al 1999 risultavano 72 impianti di digestione
anaerobica operanti con fanghi zootecnici localizzati principalmente in Emilia
Romagna, Trentino Alto Adige e Lombardia (Piccinini, 2000), mentre il processo è
più diffuso nel settore della depurazione delle acque reflue urbane per la
stabilizzazione dei fanghi di supero, dove si contano circa 120 impianti funzionanti
(Gerli et al., 2000).
Negli ultimi anni però sono comparsi anche impianti di digestione dedicati al
trattamento della frazione organica del rifiuto solido urbano, grazie alla possibilità di
operare una digestione a secco (dry digestion), tecnologia adatta a substrati
caratterizzati da un contenuto di sostanza secca superiore al 20%.
9
In virtù dell’elevata disponibilità di biomasse in questa provincia e dell’assenza di
impianti idonei al loro smaltimento, il processo di digestione anaerobica può risultare
una risoluzione al problema, sia in termini economici che in termini di corretta
gestione dei rifiuti e del territorio.
In questo lavoro di tesi è stata effettuata un’analisi, sul territorio provinciale, delle
possibili risorse destinabili ad eventuali impianti di digestione anaerobica da dover
realizzare nei confini provinciali; sono state considerate le biomasse che offrono una
disponibilità maggiore, quali fanghi zootecnici di origine bovino-bufalina e la
frazione organica dei RSU.
Inoltre, è stata focalizzata l’attenzione sulla localizzazione nell’area provinciale degli
eventuali impianti di digestione da realizzarsi per una corretta gestione dei rifiuti.
Il lavoro di tesi è stato inoltre corredato da una fase di progettazione di un impianto
pre-pilota di piccola taglia per poter operare una successiva fase di sperimentazione
il cui scopo è stato quello di studiare il processo di digestione anaerobica e di
effettuare la validità del processo su piccola scala utilizzando le biomasse
considerate.
10
CAPITOLO 1
MICROBIOLOGIA: CINETICA E METABOLISMO
11
1.1 I Batteri
Sono microrganismi di natura cellulare appartenenti al Regno protista e possono
essere unicellulari o pluricellulari. In base alla loro forma sono distinti in:
- cocchi (forma sferica);
- bacilli (forma cilindrica);
- spirilli (forma elicoidale).
In quanto cellule procariotiche (pro: prima e Kàryon: nucleo) i batteri non hanno un
nucleo ben definito come le cellule eucariotiche e il materiale genetico (DNA) non è
quindi delimitato da una membrana nucleare ma sparso nel citoplasma in una zona
definita nucleoide.
Il citoplasma, privo di compartimentalizzazione, è circondato da una membrana
plasmatica molto simile a quella delle cellule eucariotiche, costituita da un doppio
strato fosfolipidico e da proteine con funzioni di trasporto ed enzimatiche, ma è priva
di steroli.
La membrana è circondata dalla parete, una struttura rigida costituita da strati di
peptidoglicano, molecola formata da monomeri di N-acetilglucosammina (NAG) e
acido N-acetilmuramico (NAM) legati tra loro con un legame -1,4-glicosidico. Al
NAM è legata una corta catena di 5 aminoacidi in cui il primo è sempre una L-Ala,
mentre il quarto ed il quinto sono D-Ala. Ciascun monomero è poi legato al
successivo mediante un legame -1,6. Il legame fra i vari strati di peptidoglicano è
consentito da legami fra gli amminoacidi delle catene amminoacidiche legate al
NAM: il terzo aminoacido della catena legata ai NAM del polimero superiore è
legato covalentemente al quarto amminoacido della catena legata ai NAM del
polimero inferiore. La formazione di tale legame è catalizzata dall’enzima
transpeptidasi, mentre l’energia necessaria affinché la reazione avvenga è fornita
dall’idrolisi del legame peptidico fra il quarto ed il quinto aminoacido di ciascuna
catena.
La natura della parete cellulare è però diversificata a seconda che si parli di batteri
Gram-positivi e Gram-negativi.
Nei batteri Gram-positivi il legame fra il terzo amminoacido di una catena ed il
quarto dell’altra è intervallato da cinque Gly, e fra le maglie della loro parete,
12
presentano degli acidi teicoici, la cui funzione è quella di legare alla superficie dei
batteri degli ioni positivi, indispensabili per il loro metabolismo.
Nei batteri Gram-negativi, invece, il legame fra le catene amminoacidiche è diretto e
compare una struttura assente nei Gram positivi, la membrana esterna. Questa
struttura appare come un doppio foglietto la cui parte interna è di natura lipidica,
mentre la parte esterna è di natura lipopolisaccaridica (LPS). Il foglietto esterno è a
sua volta formato da tre strati: internamente si ha il lipide A, un glicofosfolipide
responsabile della tossicità tipica dei batteri Gram negativi, intermediamente si ha lo
strato C, di natura saccaridica e uguale per tutti i Gram negativi, mentre
esternamente è presente l’antigene O, una catena polisaccaridica che determina la
specificità antigenica ed induce nell’ospite la produzione di anticorpi.
In questa membrana sono poi immerse delle proteine dette porine, che permettono il
passaggio di piccole molecole idrofile che altrimenti non riuscirebbero a passare
questa barriera.
Due sono le funzioni importanti della parete:
- impedire la lisi della cellula a causa di un eccessivo assorbimento d’acqua;
- proteggerla da agenti esterni pericolosi.
Numerosi batteri sia Gram positivi che Gram negativi possiedono una capsula
esterna, una struttura di natura polisaccaridica che svolge diverse funzioni:
- facilita l’insorgenza del processo infettivo nell’ospite;
- favorisce l’adesione e la colonizzazione dei microrganismi patogeni a livello
delle mucose;
- protegge il batterio dalla fagocitosi operata dal sistema immunitario
dell’ospite;
- previene la disidratazione cellulare grazie alla formazione di gel idratanti
(DeAngelis, 2002; Bahrani-Mougeot, 2002).
I batteri possiedono flagelli e pili. I primi sono organi che permettono la motilità del
batterio al fine di avvicinarlo a sostanze nutritive (chemiotassi positiva) o
allontanarlo da sostanze pericolose (chemiotassi negativa); i secondi sono appendici
più corte dei flagelli che hanno funzione di ancoraggio ai tessuti o ad altri batteri.
13
Particolari pili sono i pili sessuali, che permettono lo scambio di materiale genetico
fra batteri.
In figura 1 sono riportati i principali comparti e le principali caratteristiche di una
cellula batterica.
Figura 1. Struttura della cellula batterica
1.2 Crescita batterica
Nella maggior parte dei microrganismi la crescita continua fino a quando la cellula si
divide in due nuove cellule, un processo chiamato scissione binaria.
Con il termine velocità di crescita si intende la variazione del numero di cellule o
della massa per unità di tempo. L’intervallo di tempo durante il quale si formano due
cellule a partire da un singolo individuo è chiamato generazione e il tempo richiesto
per tutto il processo è il tempo di generazione che rappresenta quindi il tempo
necessario ad una cellula per duplicarsi.
Molti batteri hanno tempi di generazione compresi tra 1 e 3 ore, ma sono noti anche
alcuni microrganismi che crescono più rapidamente, dividendosi in una decina di
minuti, e altri che hanno tempi di generazione di parecchie ore o addirittura di giorni.
14
Questa modalità di aumento della popolazione, in cui in un dato intervallo di tempo
raddoppia il numero delle cellule, viene detta fase di crescita esponenziale.
Alimentando con un inoculo un reattore batch contenente un adeguato mezzo di
coltura, si verifica che la concentrazione delle cellule inizialmente introdotte varia
nel tempo secondo un andamento riportato in figura 2.
Figura 2. Andamento della crescita batterica in batch (Metcalf, 1999)
Dall’andamento riportato in figura 2 è possibile riconoscere cinque fasi diverse.
La lag-phase o acclimatazione è una fase di latenza dovuta al processo di
adattamento delle cellule al nuovo ambiente. In questa fase la crescita cellulare è
pressoché nulla.
Nella seconda fase, caratterizzata da una crescita esponenziale, il substrato risulta in
eccesso rispetto al fabbisogno della biomassa presente. La cinetica di crescita è del
primo ordine nella concentrazione delle cellule:
Successivamente si osserva una fase di decelerazione caratterizzata da una
diminuzione della velocità di crescita batterica. La crescita cellulare, infatti, sottrae
15
nutrienti all’ambiente e causa il rilascio e l’accumulo di prodotti tossici: l’ambiente
inizia a diventare ostile e la fisiologia delle cellule si predispone a questo
cambiamento riducendo la velocità di crescita.
Nella fase stazionaria la crescita cellulare netta è nulla a causa dell’effetto legato alla
scomparsa di nutrienti e/o all’accumulo di sostanze tossiche. Nel corso di questa fase
possono verificarsi i seguenti fenomeni:
- la concentrazione totale delle cellule rimane invariata, ma diminuisce il
numero di cellule in grado di riprodursi;
- la lisi cellulare prende il sopravvento provocando un rapido crollo nel numero
di cellule in grado di riprodursi: può seguire una nuova fase di crescita che
sfrutta come nutrienti i prodotti liberati dalla lisi;
- le cellule possono conservare un metabolismo latente pur non riproducendosi.
Infine c’è la fase di morte o fase di respirazione endogena, in cui i fenomeni di
inibizione prendono il sopravvento. Il numero di batteri si riduce a causa della
carenza di nutrienti. Anche la cinetica di declino segue una legge del primo ordine:
1.3 Cinetica microbica
Dal punto di vista cinetico un sistema microbiologico è caratterizzato da due processi
differenti:
1. la velocità di crescita netta della biomassa rispetto ad un substrato;
2. la velocità di utilizzo del substrato considerato.
La velocità di crescita netta della biomassa è data dall’espressione:
in cui:
16
Y = coefficiente di rendimento di crescita, [massa
microrganismi formati
/massa
substrato
utilizzato
];
b = tasso di morte dei microrganismi, [tempo
-1
];
X = concentrazione di microrganismi, [massa volume
-1
].
La velocità di utilizzo del substrato segue il modello cinetico di Michaelis-Menten o
di Monod. Il primo è derivato teoricamente sulla base di alcune assunzioni inerenti le
cinetiche enzimatiche, il secondo è osservato sperimentalmente. Entrambi sono
relativi all’utilizzo del substrato secondo un modello saturazionale esprimibile
analiticamente mediante l’espressione:
in cui
K
m
= massima velocità di utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi,
[tempo
-1
];
X = concentrazione dei microrganismi, [massa volume
-1
];
S = concentrazione del substrato a contatto con i microrganismi, [massa volume
-1
];
K
s
= coefficiente di semisaturazione, corrispondente alla concentrazione di substrato
S alla quale la velocità di utilizzo del substrato è pari alla metà della velocità
massima, [massa volume
-1
].
In figura 3 è rappresentato il diagramma che riporta la velocità di reazione in
funzione della concentrazione di substrato S: la curva mostra un andamento
dapprima lineare, per basse concentrazioni di substrato, poi asintotico al valore
massimo, da cui si deduce che, aumentando la concentrazione di substrato, è
possibile avvicinarsi alla velocità massima possibile.
17
Figura 3. Variazione della velocità di reazione rispetto alla concentrazione di
substrato
La maggiore o minore celerità con cui, al crescere della concentrazione di substrato,
la velocità tende al suo massimo, espressa graficamente dalla pendenza del primo
tratto della curva, dipende dall’affinità tra lo specifico enzima deputato alla
degradazione ed il substrato. Tale affinità è quantificata dal parametro K
s
.
Combinando l’equazione della velocità di crescita netta della biomassa e quella della
velocità di utilizzazione del substrato si ottiene:
Essendo K
m
la massima velocità di utilizzo del substrato, allora K
m
Y = µ
max
;
ed essendo:
risulta:
18
dove
µ = velocità di crescita dei microrganismi per un dato substrato S, [tempo
-1
];
µ
max
= massima velocità di crescita dei microrganismi, [tempo
-1
];
S = concentrazione di substrato, [massa volume
-1
];
K
s
= coefficiente di semisaturazione, [massa volume
-1
];
b = tasso di morte dei microrganismi, [tempo
-1
].
Da questa equazione si evince che:
- per S>>K
s
(eccesso di substrato) risulta una cinetica di ordine zero:
µ
= µ
max
– b
- per S<< K
s
(substrato limitante) risulta una cinetica di primo ordine:
1.4 Metabolismo batterico
Il metabolismo è l’insieme dei processi biochimici che portano alla crescita cellulare.
Si articola in due fasi:
- anabolismo: processo di sintesi in cui si ha produzione di biomassa;
- catabolismo: processo di ossidazione biochimica o fotosintesi in cui si ha la
produzione dell’energia necessaria per la sintesi cellulare.
Molti aspetti del metabolismo microbico sono comuni a quelli degli organismi
superiori: ad esempio il trasporto di elettroni associato alle reazioni di ossido-
riduzione, o l’uso della molecola di ATP (adenosina trifosfato) come principale fonte
di energia chimica e forma di utilizzazione dell’energia. Tuttavia nei microrganismi,
e nei procarioti in particolare, sono presenti molti tipi di processi (ad esempio, per
generare energia) che sono sconosciuti negli organismi superiori.
I microrganismi sono caratterizzati da una grande versatilità metabolica, sia tra le
varie specie sia all’interno della stessa specie o ceppo.
19
Da un punto di vista nutrizionale e metabolico i batteri possono essere classificati in
base alla fonte di energia in fotosintetici o chemiosintetici e in base alla fonte di
carbonio in eterotrofi o autotrofi (tabella 1).
Tabella 1. Classificazione dei microrganismi in base alla fonte di carbonio e di energia
L’energia è necessaria per la sintesi cellulare. I microrganismi che usano la luce
come fonte di energia sono definiti fotosintetici, quelli che usano le reazioni di
ossidazione chimica sono definiti chemiosintetici. Questi ultimi possono essere
chemiolitotrofi, se l’ossidazione avviene a carico di una sostanza inorganica, e
chemiorganotrofi se l’ossidazione è a carico di una molecola organica.
La fonte di carbonio è indispensabile per la produzione di biomassa. Le fonti più
comunemente utilizzate sono il carbonio inorganico (CO
2
) e il carbonio organico
(carboidrati). I microrganismi che usano la CO
2
sono definiti autotrofi, quelli che
invece usano carbonio organico sono definiti eterotrofi. I batteri autotrofi sono
caratterizzati da una velocità di crescita inferiore rispetto a quella degli eterotrofi dal
momento che l’utilizzo della CO
2
richiede una quantità maggiore di energia.
Tutte le reazioni di ossidoriduzione richiedono un accettore di elettroni. Se tale
accettore è l’ossigeno molecolare si parla di respirazione aerobica, se invece
l’accettore è una molecola inorganica (NO
3-
; S
0
; SO
4
2-
) si parla di respirazione
anaerobica. Si parla di fermentazione invece quando l’accettore è una sostanza
organica diversa dall’ossigeno molecolare (piruvato).
Nella respirazione, sia aerobica sia anaerobica, si ha l’ossidazione completa della
molecola organica, mentre nella fermentazione la molecola organica viene ossidata
solo parzialmente.
Tipologia microrganismi Fonte di carbonio Fonte di energia
Eterotrofi fotosintetici C organico Luce solare
Eterotrofi chemiosintetici C organico Reazioni di ossidoriduzione
Autotrofi fotosintetici
C inorganico
Luce solare
Autotrofi chemiosintetici C inorganico Reazioni di ossidoriduzione