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ABSTRACT
Nella parte introduttiva dell’elaborato vengono descritti gli elementi essenziali della relatività
generale, facendo anche riferimento all’influenza che essa ha avuto sulla concezione scientifico-
filosofica dello spaziotempo. La discussione teorica viene completata elencando le principali
previsioni della teoria della relatività, tra le quali vi sono le onde gravitazionali.
Dopo aver delineato i principi teorici che sono alla base del concetto di radiazione gravitazionale, si
descrivono gli apparati di rivelazione di onde gravitazionale (sistemi a barre risonanti e rivelatori
interferometrici). Per ciascuno di questi rivelatori sono elencate le principali problematiche
tecnologiche, e le relative soluzioni possibili.
La tesi si conclude con una esposizione generale dell’interferometro VIRGO, con particolare
riferimento al sistema di isolamento del rumore sismico (superattenuatore).
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CAPITOLO 1 – EVOLUZIONE STORICA DELLE TEORIE SULLO
SPAZIOTEMPO
Lo scopo di questo elaborato è quello di descrivere gli elementi principali della fisica delle onde
gravitazionali, sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello sperimentale.
Come si vedrà piø avanti, è possibile pensare alle onde gravitazionali come a vere e proprie “onde
di spaziotempo”, per mezzo delle quali viene propagata l’energia del campo gravitazionale. Dato
che il nostro obiettivo è quello di descrivere tali increspature del tessuto spaziotemporale, è
opportuno, inizialmente, procedere con una breve analisi dell’evoluzione che ha interessato questi
concetti nei secoli scorsi.
1.1 SPAZIOTEMPO DI ARISTOTELE
La scuola di pensiero aristotelica riteneva che fosse possibile determinare le leggi fondamentali
dell’Universo facendo uso esclusivamente del puro pensiero. Non sarebbe stata necessaria alcuna
verifica empirica che testasse la validità di tali leggi.
Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) pensava che dovesse esistere uno stato privilegiato di quiete.
Ovviamente, qualsiasi corpo non sottoposto all’azione di forze si troverebbe in questo stato.
Un esempio tipico era rappresentato dalla Terra, la quale, secondo la concezione aristotelica,
costituiva un riferimento privilegiato in quiete. Nella fisica aristotelica per rappresentare lo spazio
fisico si fa uso di uno spazio euclideo tridimensionale, i cui punti mantengono una propria identità
nel passaggio tra due istanti successivi. Questa è una conseguenza del fatto che lo stato di riposo è
dinamicamente privilegiato rispetto a qualsiasi altro stato di moto. Anche il tempo è rappresentato
da uno spazio euclideo, questa volta monodimensionale. Una rappresentazione di questo tipo
esclude l’esistenza di un qualche istante di tempo privilegiato (l’origine o punto zero) la cui
presenza sarebbe stata necessaria se si fosse descritto il tempo facendo uso di una retta reale. Questo
fatto è essenziale. Se esistesse “un’origine privilegiata” dei tempi, le leggi della Natura potrebbero,
in linea di principio, cambiare relativamente ad essa. Senza tale origine le regole fondamentali che
governano l’Universo acquisiscono la necessaria immutabilità che ci si aspetta.
11
Nella geometria euclidea è presente la nozione di distanza. Nel nostro caso essa si traduce
nell’usuale concetto di distanza spaziale (per lo spazio tridimensionale) e nell’altrettanto classico
“intervallo di tempo” (per lo spazio monodimensionale). Inoltre, nella fisica aristotelica – e nella
successiva dinamica di Newton – si trova una nozione assoluta di simultaneità. Secondo tale
concezione ha un senso assoluto assumere che, in accordo a qualche sistema dinamico, piø eventi,
anche enormemente distanti in termini spaziali, accadono nello stesso istante di tempo.
Complessivamente emerge uno spaziotempo aristotelico descritto dalle coppie ( x t,
r
) con
1
A t ˛ e
3
A t ˛ (dove A
1
è uno spazio euclideo monodimensionale e A
3
è uno spazio euclideo
tridimensionale). Se consideriamo due coppie distinte (quindi due differenti punti dello
spaziotempo) sono automaticamente definite la loro distanza spaziale (
2 1
x - x
r r
) e la distanza
temporale (
2 1
t - t ). Il caso particolare della simultaneità si ottiene per mezzo dell’annullamento
della distanza temporale.
1.2 SPAZIOTEMPO NELLA RELATIVITA’ GALILEIANA
Lo schema dinamico introdotto da Galileo Galilei (1564–1642) nel 1638 si può dedurre includendo
il principio di relatività galileiano nel quadro dello spaziotempo aristotelico. Tale principio asserisce
che le leggi dinamiche sono esattamente le stesse in tutti i sistemi di riferimento dotati di moto
uniforme. Evidentemente questa idea gioca un ruolo fondamentale nello schema eliocentrico
copernicano secondo il quale la Terra si muove lungo la propria orbita senza che i suoi abitanti
possano direttamente accorgersi del moto di rivoluzione. Da tutto ciò si ricava una sostanziale
equivalenza tra la fisica dello stato di riposo e quella del moto rettilineo uniforme. Questo semplice
principio ha conseguenze devastanti sulla teoria aristotelica. Infatti, ora non vi è alcun significato
dinamico nell’affermare che un particolare punto dello spazio è, o non è, lo stesso punto scelto
arbitrariamente in un istante successivo. Non c’è uno spazio di sottofondo che costituisce l’arena
immobile degli eventi.
Quindi, nella dinamica galileiana, risulta impossibile definire un unico spazio euclideo
tridimensionale come arena per le azioni del mondo fisico che si evolvono nel tempo. L’architettura
pensata da Aristotele risulta demolita da un quadro di questo tipo. E’ lecito pensare ad un diverso
spazio euclideo tridimensionale per ciascun istante di tempo, senza che vi sia alcuna identificazione
naturale tra i diversi spazi facenti riferimento a differenti istanti.
12
Lo spaziotempo galileiano S
G
non emerge, come quello aristotelico, dal prodotto cartesiano tra uno
spazio euclideo tridimensionale e uno monodimensionale, ma è un fibrato.
Le storie delle singole particelle sono sezioni del fibrato che costituiscono le cosiddette “linee di
universo”. Tali linee risultano rette se le corrispondenti particelle sono dotate di moti inerziali.
Questa rappresentazione dello spaziotempo in termini di fibrato ebbe grande successo. E’
interessante vedere come si può esprimere la celebre dinamica di Newton all’interno di questa
teoria. Isaac Newton (1643-1727) formulò le tre leggi della dinamica nell’opera “Philosophiae
naturalis principia matematica”: la prima legge afferma che, quando su un corpo non agiscono
forze, esso persiste nel suo moto rettilineo uniforme (moto inerziale). L’assunto della seconda legge
stabilisce, invece, che un corpo accelera proporzionalmente alla forza su esso applicata.
Da queste leggi segue l’inesistenza di un sistema di riferimento privilegiato per la quiete. Diventa
dunque impossibile stabilire se due eventi avvenuti in tempi diversi si sono verificati nella stessa
posizione spaziale. Quindi, per rendere precisa la struttura delle sue leggi, Newton adottò uno uno
spazio assoluto rispetto al quale dovevano essere descritti i moti. Probabilmente, se a quel tempo
fosse stato disponibile il concetto di fibrato, Newton avrebbe potuto formulare delle leggi
completamente invarianti secondo la concezione di Galilei.
A questo punto si deve dotare lo spaziotempo galileiano S
G
di qualcosa che sia in accordo con la
prima legge di Newton. Il concetto di moto inerziale negli ordinari termini di spazio, è interpretato
da una retta in termini di spaziotempo. Il fibrato galileiano S
G
deve avere una struttura che codifichi
l’esistenza di tali linee di universo rette. In altri termini si vuole che S
G
sia uno spazio affine in cui
la struttura affine, quando ristretta alle singole fibre tridimensionali, si accordi con la struttura affine
euclidea di ciascuno spazio tridimensionale. Le linee che definiscono i moti inerziali newtoniani
prendono il nome di geodetiche. Le linee di universo non geodetiche rappresentano moti di
particelle accelerate. E’ interessante notare che l’entità dell’accelerazione è misurabile, in termini di
spaziotempo, per mezzo della curvatura della linea di universo. Di conseguenza, tenendo conto
della seconda legge di Newton, la curvatura della non – geodetica, per una particella di data massa,
fornisce una misura diretta della forza totale agente su quella particella.
Ora definiamo con F
3
la singola fibra tridimensionale del fibrato (è l’usuale spazio tridimensionale
in un certo istante di tempo). La forza totale agente su un corpo è la somma vettoriale dei contributi
di tutti gli altri corpi che costituiscono il sistema considerato. La scelta di un particolare istante di
tempo ci porta a considerare un dato F
3
: il contributo alla forza su un corpo, da parte di qualche
altro corpo, agisce lungo la loro retta congiungente che appartiene a quel particolare F
3
. Questo
significa che la forza agisce simultaneamente tra i corpi. Per ciascun tipo di forza è definita una
13
legge fondamentale che ne quantifica l’intensità qualora si conoscano la distanza spaziale tra le
particelle e i valori di determinati parametri tipici dell’interazione considerata.
Questa visione dello spaziotempo dà vita a una teoria molto importante che può essere impiegata
per descrivere il comportamento dei corpi che si muovono a velocità significativamente minori di
quella della luce. La teoria di Newton ha una precisione di una parte su 10
7
. Il risultato è
formidabile se si pensa che l’accuratezza dei dati di cui lo scienziato inglese poteva disporre era di
una parte su 10
3
.
1.3 OLTRE NEWTON. FISICA E FILOSOFIA
Abbiamo visto come sia Aristotele che Newton credettero fermamente nell’esistenza di un tempo
assoluto che doveva essere completamente separato dallo spazio e da esso indipendente. La
conseguenza diretta di questo è che l’intervallo di tempo tra due eventi deve essere sempre il
medesimo, anche se misurato da sistemi di riferimento diversi.
Alcuni filosofi si opposero a tale concezione. Tra questi vi fu David Hume (1711-1776) che, nel suo
“Trattato sulla natura umana”, criticò duramente le tradizionali idee di spazio e tempo, ricondotte al
nostro modo “percettivo” di ordinare le idee degli oggetti che si accumulano nella nostra mente.
Sostanzialmente Hume afferma che le coordinate spaziotemporali entro cui si manifesta la
percezione del soggetto, non sono oggettive, ma solo il modo soggettivo col quale ordiniamo i dati
percepiti. Con tale concezione Hume si contrappone sia alla tradizione aristotelica (“luoghi naturali
e immutabili dei corpi”) sia all’idea newtoniana (spazio e tempo assoluti).
Alla fine del ‘700 anche Immanuel Kant (1724-1804) affrontò il problema dal punto di vista
filosofico. Secondo Kant l’essere umano non conosce gli oggetti come sono in se stessi, bensì come
essi gli appaiono attraverso le modificazioni che producono. L’oggetto di tale “conoscenza
sensibile” è chiamato “fenomeno”. Di conseguenza lo spazio e il tempo accompagnano ogni nostra
conoscenza sensibile, ma non costituiscono una realtà oggettiva (alla Newton) e neppure una
relazione propria degli oggetti in se stessi (alla Leibniz (1646-1716)) ma devono essere forme
caratteristiche del modo in cui riceviamo le modificazioni sensibili da parte degli oggetti. Nella
soluzione di Kant lo spazio ha un’esistenza indipendente dalla materia (come per Newton), ma non
va interpretato come una grande arena infinita che esiste a prescindere dai fenomeni fisici che vi si
manifestano. Esso è “la forma a priori del senso esterno” non rilevabile dall’esperienza empirica
(osservando un sistema di corpi, e le loro distanze relative, si presuppone già la loro collocazione in
14
un preciso ordinamento spaziale). Allo stesso modo il tempo è “la forma del senso interno”, meglio
interpretabile come la percezione di noi stessi e del nostro stato interno. L’essere umano tende a
ordinare nel tempo tutti i dati della propria sensibilità.
Quindi il tempo non emerge dalla considerazione di una oggettiva successione di fenomeni ma è ciò
che rende possibile la nostra rappresentazione di essi in successione o in coesistenza.
Nella sua esposizione Kant si contrappone sia alla visione empiristica, che considerava spazio e
tempo come nozioni tratte dall’esperienza (Locke(1632-1704)), sia alla visione oggettivistica, che li
considerava come recipienti vuoti (Newton), sia a quella concettualistica (Leibniz) che li
interpretava come concetti esprimenti i rapporti tra le cose del mondo. Ne emerge un’idea secondo
la quale spazio e tempo sono quadri mentali, esistenti a priori, entro cui sono connessi i dati
empirici.
1.4 GEOMETRIE NON EUCLIDEE. IL PUNTO DI VISTA DI EINSTEIN
La definizione di nuove geometrie alternative a quella euclidea creò vari problemi sia alla fisica
newtoniana che alla filosofia kantiana. Infatti, come abbiamo visto, lo spaziotempo newtoniano è
collocato nello spazio euclideo: la linea lungo la quale si propaga l’interazione gravitazionale nel
vuoto è una retta euclidea.
Dal punto di vista filosofico Kant presumeva che lo spazio euclideo, all’interno del quale
percepiamo i fenomeni fisici, fosse una “forma di intuizione a priori” la cui struttura è definita
univocamente dalla natura delle nostre facoltà cognitive.
La convinzione che la geometria (euclidea), piø che far parte della struttura che viene usata per
descrivere la Natura, sia piuttosto inerente a questa, ha origini nel pensiero greco.
I Greci collocarono la geometria al centro di tutte le attività intellettuali e filosofiche. Nel terzo
secolo a.C. Euclide (323 a.C-285 a.C.) definì i cinque postulati fondamentali dalla sua geometria
ma, nei secoli successivi, i matematici ebbero qualche problema con il quinto postulato, quello
“delle parallele”.
Esso stabilisce che, dati una retta e un punto esterno ad essa, esiste una e una sola retta che passa
per tale punto ed è parallela alla retta data. Per due millenni, dopo che Euclide ebbe formulato i suoi
postulati, i matematici hanno discusso sull’ipotesi che il quinto di essi fosse effettivamente
indipendente o fosse una conseguenza degli altri quattro (si noti che, se così fosse, dovrebbe essere
possibile definire una geometria internamente coerente basata sui soli 4 postulati indipendenti,
15
quinto escluso). Il problema fu risolto nel diciannovesimo secolo. Il matematico tedesco Carl Gauss
(1777-1855) scoprì che il quinto enunciato di Euclide era indipendente dagli altri e poteva,
eventualmente, essere sostituito da un altro. Procedendo con la sostituzione si rese possibile la
definizione di nuove geometrie, dette “non euclidee”. La geometria curva di una sfera è un esempio
tangibile e tridimensionale di geometria non euclidea.
Le geometrie sviluppate in origine da Gauss, Lobacevskij (1792-1856) e Bolyai (1802-1860)
riguardavano teorie non disegnabili, il che rende meno sorprendente il fatto che ci sia voluto tanto
tempo a definirle.
Superfici Curvatura
Somma angoli interni
di un triangolo
Piano Nulla (euclideo) 180°
Sfera Positiva > 180°
Paraboloide
iperbolico (sella)
Negativa < 180°
Una volta appurata la coerenza delle geometrie non euclidee, il matematico tedesco Georg Riemann
(1826-1866) sviluppò una complessa struttura matematica per descriverle. Nel 1854 Riemann riuscì
a caratterizzare tutte le geometrie attraverso le loro proprietà intrinseche. I suoi studi hanno posto le
basi della cosiddetta “geometria differenziale”, un ramo della matematica dedicato allo studio degli
enti geometrici per mezzo del calcolo differenziale.
Questi strumenti matematici furono fondamentali per Albert Einstein (1879-1955) che, come
vedremo piø avanti, concepì un nuovo paradigma: la teoria della relatività. Questa teoria descrive
spazio, tempo, moto e interazione entro un quadro post – newtoniano all’interno del quale il
fenomeno della gravitazione non viene piø ricondotto all’azione istantanea di una forza, ma è
interpretato da una geometria non euclidea associata allo spaziotempo.
Lungi dall’essere una forma stabilita a priori dalla nostra intuizione dello spazio, a questo punto la
geometria euclidea non costituisce neanche uno strumento efficace per effettuare una descrizione
veritiera della Natura. Grazie alla sua concezione filosofica del mondo, Einstein riuscì a dare una
spiegazione delle equazioni di Lorentz arrivando alla conclusione che la velocità della luce è
costante, indipendentemente dal moto dell’osservatore (relatività ristretta, 1905). Egli sostenne che
proprio questa tesi, apparentemente paradossale, doveva essere il punto di partenza della
rivoluzionaria teoria della relatività generale. Quest’ultima ha comportato una radicale
16
modificazione della fisica e ha dato l’avvio a una nuova filosofica relativistica che, abbandonando i
concetti di spazio e tempo assoluti, considera i fenomeni fisici rispetto a spazi e tempi relativi
all’osservatore.
L’abbandono dello spazio assoluto e del tempo assoluto ha decretato il superamento definitivo
dell’Universo – macchina newtoniano.
1.5 IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Per migliorare lo schema di Newton si rivelò necessario il punto di vista di Einstein sulla teoria
della gravitazione. In realtà questa prospettiva, da sola, non modifica affatto la teoria di Newton nel
suo complesso. I cambiamenti sostanziali intervengono soltanto quando al punto di vista di Einstein
si combinano altre considerazioni che si riferiscono al valore finito della velocità della luce e, piø in
generale, agli assunti della relatività speciale.
Ad Einstein si deve la comprensione della fondamentale importanza del principio di equivalenza.
L’idea che sta alla base di tale principio risale ancora una volta a Galileo Galilei e al suo (presunto)
esperimento che consistette nel lasciar cadere due pietre, di masse differenti, dalla sommità della
torre di Pisa (l’esperimento venne svolto sul finire del XVI° secolo). L’intuizione di Galilei fu che,
potendo trascurare gli effetti della resistenza dell’aria, le pietre sarebbero cadute alla stessa velocità.
La proprietà della gravità, da cui dipende l’idea di Galilei, è che l’intensità della forza
gravitazionale, esercitata da un campo gravitazionale su un corpo generico, è proporzionale alla
massa (gravitazionale) di quel corpo, mentre la resistenza al moto è anch’essa definita dalla massa
(questa volta detta inerziale o passiva).
a m F
r
M m
G F
i
2
g g
= = (1.1)
Massa inerziale (m
i
) e massa gravitazionale (m
g
) sono sperimentalmente proporzionali: definendo
unità di misura opportune si può fare in modo che esser coincidano perfettamente. Dalle verifiche
sperimentali si ottiene:
17
11 -
g
i
10 1
m
m
– = (1.2)
Se considerassimo un campo elettrico otterremmo un risultato completamente diverso. Si
verificherebbero le seguenti analogie:
Campo gravitazionale Campo elettrico
m
g
(massa gravitazionale) q (carica elettrica)
m
i
(massa inerziale – passiva) m
i
(massa inerziale – passiva)
Per evidenziare la differenza tra i due casi si può pensare a cosa accadrebbe se si eseguisse la
sperimentazione di Galilei sostituendo le pietre con due dischi aventi la stessa massa e carica
elettrica opposta. All’interno di un campo elettrico diretto verso il terreno, e in assenza di campi
gravitazionali, un disco verrebbe attratto verso il basso mentre l’altro andrebbe verso l’alto. Le
accelerazioni sarebbero completamente opposte. Il fenomeno è dovuto alla totale mancanza di
legame fisico tra carica elettrica e massa inerziale (contrariamente a quanto accade, nel caso
gravitazionale, tra massa inerziale e massa gravitazionale).
Si deve concludere che l’intuizione di Galilei è una caratteristica particolare della sola gravità. Un
campo gravitazionale uniforme è (localmente) equivalente a un’accelerazione. Infatti, rispetto a un
osservatore solidale ad una delle pietre di Galilei, l’altra pietra appare immobile nell’aria, come se
non vi fosse alcun campo gravitazionale. L’assenza di gravità si giustifica col fatto che osservatore
e pietre condividono un’accelerazione tale da cancellare l’effetto dovuto al campo.
Il fatto che la gravità possa essere cancellata dall’accelerazione (principio di equivalenza) è una
diretta conseguenza dell’uguaglianza dei due tipi di massa, che, in linea di principio, sarebbero
potute essere molto differenti. A questo punto è possibile ridefinire il concetto di moto inerziale.
Classicamente un moto di questo tipo si verifica quando una particella è soggetta ad una forza
esterna nulla. A causa del principio di equivalenza non c’è modo, localmente, di stabilire se sta
agendo una forza gravitazionale o se ciò che sembra essere l’azione della gravità è soltanto l’effetto
di un’accelerazione. Inoltre abbiamo visto come la forza gravitazionale possa essere totalmente
eliminata “cadendo” liberamente con essa.
18
L’innovativa idea di Einstein si concretizza nella ridefinizione del moto inerziale: le particelle sono
dotate di un moto di questo tipo quando la somma di tutte le forze non gravitazionali agenti su di
esse è nulla. Di conseguenza le particelle saranno in caduta libera con l’eventuale campo
gravitazionale. Quindi la traiettoria delle pietre, o di alcuni astronauti in orbita attorno alla Terra, è
tipica di un moto inerziale secondo la definizione di Einstein.
Un corpo fermo all’interno di un campo gravitazionale non effettua un moto inerziale perchØ non è
in caduta libera (si noti come la visione newtoniana sia, in questo caso, completamente diversa).
1.6 CONSEGUENZE DEL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA: SPAZIOTEMPO
DI CARTAN
A questo punto, avendo ridefinito il concetto di moto inerziale, è opportuno chiedersi come questo
debba incidere sulla struttura dello spaziotempo. In particolare dovranno essere i moti inerziali nel
senso einsteniano, e non quelli newtoniani, a definire le linee di universo rette dello spaziotempo.
Per il resto la geometria è simile a quella già descritta per lo spaziotempo galileiano S
G
(fibrato).
Chiamiamo questo nuovo spaziotempo “spaziotempo di Cartan” (S
C
). Al pari di S
G
, anche S
C
sarà
un fibrato con base monodimensionale (dimensione temporale) e fibra tridimensionale (dimensioni
spaziali).
La struttura dei due fibrati è essenzialmente diversa a causa della differente nozione di moto
inerziale di cui si fa uso. E’ importante osservare che, se si sceglie un sistema di riferimento in
caduta libera, il campo gravitazionale può essere completamente “eliminato” e, in questo caso, si
definisce una sostanziale identità tra S
G
e S
C
. Se l’osservatore cadesse liberamente in un campo
gravitazionale globale costante in intensità e direzione (ma eventualmente variabile nel tempo), si
realizzerebbe questa condizione di equivalenza.
La varietà S
C
sarà dotata, al pari di S
G
, di una connessione opportuna (che coinciderà con
l’operatore di derivazione covariante). Le geodetiche definite da questa connessione sono le linee di
universo rette che descrivono i moti inerziali secondo la concezione di Einstein.
In generale la connessione di S
C
avrà curvatura non nulla. Tale curvatura gioca un ruolo chiave
nella teoria della relatività generale. Piø avanti approfondiremo i concetti di derivata covariante e di
curvatura. Ora cerchiamo di chiarire il significato fisico di questa curvatura. Consideriamo un
astronauta A in caduta libera nello spazio, poco al di sopra dell’atmosfera terrestre. Immaginiamo
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che A sia circondato da una sfera di particelle inizialmente a riposo rispetto ad A stesso. Secondo la
dinamica newtoniana, le particelle della sfera saranno accelerate verso il centro della terra (B), in
varie direzioni leggermente diverse tra loro. Infatti, la direzione della retta che congiunge ciascuna
particella con B sarà diversa nei vari casi. Anche l’intensità delle accelerazioni varierà, a causa della
differente distanza tra ciascuna particella e B. Dato che siamo interessati a ciò che l’osservatore
inerziale A osserva, consideriamo le varie accelerazioni relative rispetto all’accelerazione
dell’astronauta stesso.
Le particelle discoste orizzontalmente da A accelereranno verso B in direzioni leggermente deviate
verso l’interno della sfera rispetto all’accelerazione di A, a causa della distanza finita dal centro
della Terra, mentre le particelle discoste verticalmente da A accelereranno lievemente verso
l’esterno perchØ l’intensità della forza gravitazionale è inversamente proporzionale alla distanza da
B.
Fig. 1: le particelle (blu) sono inizialmente disposte su una superficie sferica attorno ad A. In rosso sono indicate le
accelerazioni relative ottenute sottraendo all’accelerazione della singola particella quella di A. Nel disegno sono
indicate, approssimativamente, le direzioni delle rette che congiungono le particelle al centro della terra (B). Dal punto
di vista qualitativo è ben visibile la distorsione subita dalla sfera.