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1 Diagnosi prenatale
La diagnosi prenatale (DP) comprende un insieme di tecniche strumentali e di
laboratorio finalizzate al monitoraggio della gravidanza. Attraverso esse è possibile
valutare lo stato di salute e di benessere del feto dal momento del concepimento fino
all’attimo precedente al parto. Grazie ad essa è possibile identificare patologie che
interessano il feto su base genetica, infettiva, iatrogena o ambientale. Negli ultimi 30-40
anni si sono ampiamente diffusi, in gravidanza, esami diagnostici e screening prenatali,
sia grazie all’evoluzione della tecnologia sia per la crescente richiesta di garantire , al
meglio, la salute della gestante e del feto. Inoltre, il cambiamento dei costumi sociali, in
questi ultimi decenni, ha portato molte più donne a ritardare l’epoca della prima
gravidanza. La scelta di un concepimento, che si potrebbe definire “tardivo”, cioè quando
avviene dopo i 35 anni, pone due principali problemi: da un lato l’incremento delle
patologie in gravidanza e durante il parto e dall’altro un incremento delle patologie fetali
di tipo cromosomico e non. Numerosi lavori hanno, difatti, dimostrato che il rischio di
malformazioni cromosomiche fetali aumenta con l’avanzare dell’età. Da qui ,
l’importanza e la necessità di disporre di sempre più st rumenti per l’individuazione
precoce delle gravidanze definite a rischio. La diagnosi prenatale comprende sia tecniche
di tipo non invasivo che invasivo. Le prime, sono analisi ecografiche e test di screening
biochimici, i quali non danno una risposta certa, ma hanno solamente un valore statistico
(cioè ci permettono di valutare il rischio di un feto verso una particolare patologia), che
può indirizzare verso esami diagnostici più approfonditi. In particolare, questi test di
screening segnalano la probabilità di una patologia cromosomica, pertanto, la negatività
dell’esame riduce il rischio, ma non lo azzera; mentre la positività del test non implica
necessariamente che il feto sia affetto da anomalie, ma il rischio può essere
sufficientemente elevato da poter giustificare una procedura diagnostica. La certezza di
una alterazione cromosomica, si può ottenere, tramite tecniche di tipo invasivo, come la
villocentesi, l’amniocentesi e la cordocentesi, con le quali si opera un’indagine
approfondita attraverso esami cromosomici su cellule fetali o placentari.
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1.1 Diagnosi prenatale non invasiva
1.1.1 ECOGRAFIA E MARKER ECOGRAFICI
Negli ultimi venti anni l’ecografia ostetrica è diventata la più importante tecnica non
invasiva in gravidanza, indispensabile per il monitoraggio del feto. Essa si basa sulla
trasmissione delle onde ultrasonore e sul principio dell’emissione dell’eco. Oggigiorno
costituisce un esame di routine, che fornisce moltissime informazioni sullo sviluppo e
sull’anatomia del feto. Durante la gestazione vengono raccomandati tre esami ecografici:
a) una prima ecografia tra la 7
a
-10
a
settimana (ecografia del 1° trimestre), per la
datazione della gravidanza stessa, per la valutazione della camera gestazionale e
dell’embrione;
b) una seconda ecografia tra la 20
a
-22
a
settimana (ecografia del 2° trimestre), per
valutare la morfologia, l’accrescimento fetale e il volume del liquido amniotico;
c) una terza ecografia tra la 30
a
-32
a
settimana di gestazione, per controllare lo
sviluppo del feto e la placenta.
Nel caso in cui durante l’ecografia del secondo trimestre venga identificata un’anomalia
fetale o la gravidanza sia considerata a rischio, viene eseguita la cosiddetta ecografia di
secondo livello. Essa consiste in un esame ecografico dettagliato degli organi e degli
apparati fetali, che consente di identificare circa il 70-80% di tutte le malformazioni
maggiori. Inoltre, l’incremento qualitativo delle apparecchiature ecografiche ha fornito
maggiori possibilità nella diagnosi di difetti anatomici del feto, consentendo il
riconoscimento non solo delle patologie malformative più evidenti, ma anche la
rilevazione di piccoli difetti in epoche gestazionali sempre più precoci. Da tempo, infatti,
è nota l’associa zione tra malformazioni maggiori e patologie cromosomiche del feto, il
cui riconoscimento è indispensabile per una corretta informazione per la coppia.
Tuttavia, per quanto riguarda difetti anatomici minori, la loro associazione con una
patologia cromosomica risulta meno evidente e spesso sopravvalutata. Data la gravità e
la relativa frequenza delle anomalie cromosomiche fetali, negli ultimi anni la comunità
scientifica si è mossa al fine di individuare particolari “marker ecografici”, che
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permettessero di selezionare con efficacia e precocemente le donne a maggior rischio. Lo
studio morfologico di routine mostra una bassa sensibilità (20%) nell’individuare i casi di
anomalie cromosomiche, in particolare per quelle sindromi (es. sindrome di Down) in
cui possono mancare alterazioni anatomiche rilevabili ecograficamente. Proprio per
questo motivo si è cercato di identificare tali casi basandosi non solo sui parametri
“classici” di rischio (età materna, iposviluppo, malformazioni maggiori) , ma ricercando
nuovi marcatori o indici (ecografici, biometrici e morfologici) frequentemente presenti in
questi casi. Attualmente i marker ecografici ritenuti determinanti in associazione ad
anomalie cromosomiche sono:
nel primo trimestre aumento della translucenza nucale (NT+);
nel secondo trimestre edema della nuca, cisti dei plessi coroidei, pielectasia
renale, ipercogenicità intestinale, ipercogenicità cardiaca, arteria ombelicale unica,
alterazioni biometriche delle ossa lunghe degli arti (femore ed omero) e del cranio
fetale (brachicefalia).
Bisogna considerare che l’utilizzo di tali marker nei programmi di screening è ostacolato
dal fatto che gran parte di essi si presentano con frequenze limitate nei feti affetti.
Spesso, essi si ritrovano anche nei feti cromosomicamente normali ed inoltre non sono
indici facilmente rilevabili con esami standard, ma richiedono scansioni specifiche (Linee
guida screening ecografici SIEOG). Alcuni studi hanno cercato di individuare l’esistenza
di correlazioni tra marker fetali e disordini cromosomici specifici. Questi hanno
evidenziato come nessuna anomalia isolata possa essere associata, con effettiva certezza,
ad un particolare difetto cromosomico. Invece più difetti morfologici fetali possono
essere relazionati, con elevata probabilità, ad una specifica anomalia, indicando così dei
quadri ecografici ricorrenti in presenza di specifiche alterazioni cromosomiche (Kurjak et
al., 1999). Rimane comunque difficile, fornire una corretta interpretazione dei segni
ecografici di cromosomopatie, in quanto più si aggiungono dei marker alla lista, più
aumenta la probabilità che almeno uno di questi venga trovato in un’ecografia di routine,
anche in feti con cariotipo normale. Alcuni autori preferiscono e propongono l’uso di
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programmi di screening con marker ecografici al secondo trimestre di gravidanza in
donne ad alto rischio di avere feti con sindrome di Down; mentre l’uso indiscriminato
di questi programmi, anche nelle donne a basso rischio, potrebbe generare confusione
e ansietà nella coppia. Sebbene la sensibilità e la specificità siano costanti, il valore
predittivo (probabilità che la gravidanza riportata come positiva/negativa lo sia
realmente) per ogni marker risulta molto inferiore nelle donne a basso rischio rispetto
alle donne ad alto rischio. Oggigiorno, dal punto di vista pratico è possibile affrontare il
problema della consulenza alla coppia utilizzando il metodo dell’ aggiustamento del rischio, che
si basa sul teorema di Bayes. Esso viene impiegato per calcolare la probabilità che una
causa scateni l’evento verificato; in pratica, il rischio di patologia cromosomica legato
all’età materna viene moltiplicato per un coefficiente, definito rischio relativo di
probabilità (likelihood ratio), visto per ognuno dei segni ecografici (Tab. 1). Il risultato
ottenuto esprime il nuovo rischio della paziente; questo dato, successivamente potrà
essere moltiplicato per il coefficiente di un secondo o di un terzo marker eventualmente
evidenziato. Si potrà quindi consigliare, o meglio proporre, un’indagine prenatale
invasiva quando il rischio finale sarà uguale o maggiore a quello di una donna di 35 anni
(1/250), che coincide con il rischio di sbilanciamenti cromosomici nella popolazione
generale (considerato valore soglia per l’esecuzione dei test prenatali invasivi ).
Segno ecografico Criterio
Likelihood ratio
assegnato
Difetti strutturali
Difetti cardiaci, igroma cistico con o assenza di
idrope, dilatazione ventricolo cerebrale
25
Ispessimento nucale >5 mm sul piano anteroposteriore 18.6
Ecogenicità
intestinale
Aumentata, grado 2 o 3 5.5
Omero corto
Rapporto osservato/atteso
≤ 0.89
2.5
Femore corto
Rapporto osservato/atteso
≤ 0.91
2.2
Focus intragenico
intracardiaco
Presente o assente 2
Pielectasia renale >3 mm sul piano anteroposteriore 1.6
Normale scansione
ecografica
Nessuno dei precedenti
0.4
Tabella 1: rischio relativo di probabilità assegnato per ogni marker ecografico (Nyberg et al., 1998).
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1.1.2 ANOMALIE ECOGRAFICHE
E’ noto da tempo come i feti affetti da anoma lie morfologiche rilevabili ecograficamente
siano spesso portatori di anomalie cromosomiche. Un esame ecografico routinario
consente di identificare dal 30% al 70% le malformazioni maggiori fetali, cioè quelle che
richiedono un trattamento chirurgico o assistenza medica dopo la nascita. La possibilità
di rilevare un’anomalia maggiore dipende da diversi fattori:
localizzazione: le anomalie del sistema nervoso centrale e dell’apparato urinario
sono più semplici da individuare rispetto alle anomalie cardiache;
epoca gestazionale dell’esame : alcune anomalie fetali si riscontrano solo nel terzo
trimestre;
entità dell’anomalia: più la struttura esaminata è compromessa, più è possibile
notare la malformazione;
posizione fetale: le anomalie della colonna vertebrale si vedono meglio con il feto
in presentazione cefalica o dorso anteriore, mentre le anomalie cardiache si
osservano meglio con il feto che mostra il dorso posteriore;
spessore dell’addome materno : maggiore è lo spessore dell’addome, maggiore sarà
la difficoltà degli ultrasuoni di raggiungere le strutture fetali da osservare;
apparecchiatura a disposizione: più è sofisticato lo strumento, migliore sarà la
qualità dell’immagine.
Tuttavia, è possibile che talune anomalie fetali non siano rilevate durante l’esame
ecografico. Inoltre, come citato in precedenza, alcune malformazioni si manifestano
tardivamente, tra il 7
o
-9
o
mese di gravidanza e perciò non sono visualizzabili durante le
ecografie eseguite in epoche gestazionali precoci. Se durante l’ecografia di routine si
sospetta un’anomalia del feto, viene richiesta un’ecografia di secondo livello o
diagnostica. I test di screening ecografici consistono, quindi, nella ricerca di particolari
segni che, secondo quanto è riportato dalla letteratura mondiale, possono essere associati
ad anomalie cromosomiche fetali. Lo screening ecografico può essere effettuato verso
la fine del primo trimestre di gravidanza, mediante la valutazione della translucenza
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nucale, oppure tra la 17
a
e la 20
a
settimana di gestazione attraverso la valutazione di altri
segni ecografici. Le principali anomalie ecografiche evidenziate sono:
Translucenza nucale (NT= Nuchal Translucency). Essa indica lo spessore massimo
dell’area compresa fra la cute ed i tessuti molli sovrastanti la colonna vertebrale
cervicale ed è dovuta ad una raccolta di liquido fisiologicamente presente nella
regione nucale del feto (Fig. 1). Attraverso un esame ecografico trans-addominale,
avviene la misurazione della NT tra l’11
a
e la 14
a
settimana di gravidanza
(precisamente tra le 11 settimane e due giorni e le 13 settimane e sei giorni).
Normalmente, la NT scompare entro la 20
a
settimana e questa particolare
caratteristica ecografica della nuca fetale va differenziata dall’igroma cistico e
dall’edema nucale, quadri evidenziabili soprattutto nel secondo e terzo trimestre.
Numerosi studi (Nicolaides K.H., 1992; Pandya et al., 1994) riportano
un’associazione fra l’aumento della NT tra l’11
a
e la 14
a
settimana di gravidanza e i
difetti cromosomici, come nella sindroma di Down, trisomia 13 e 18, ma con
frequenze estremamente variabili: tra lo 0% ed il 100% (con una media del 29%).
Dal punto di vista pratico, il feto deve avere delle dimensioni che vanno da un
minimo di 45 mm a un massimo 84 mm (Fig. 2). Per ottenere risultati affidabili è
necessario seguire alcuni criteri: l’immagine ecografica deve essere ingrandita al
punto tale che solo la testa e la parte superiore del torace siano visibili, ed è
necessario visualizzare solo il profilo del volto fetale. Il feto, dovrebbe essere con
la testa in linea alla colonna vertebrale. Se il collo del feto è in atteggiamento di
iperestensione, la misurazione può essere falsamente aumentata, mentre
l’iperflessione del collo provoca una falsa riduzione della translucenza nucale.