Il lavoro di questa Tesi è stato svolto presso i laboratori del C.OB.S diretto dalla Prof.ssa Ida
Pucci-Minafra.
Si ringraziano per il sostegno allo svolgimento della presente Tesi:
Centro di Oncobiologia Sperimentale
(C.OB.S.)
Dipartimento di Oncologia Sperimentale e
Applicazioni Cliniche (D.O.S.A.C.).
Casa di Cura di Alta Specialità Dipartimento
Oncologico di III livello
La Maddalena.
Introduzione
Complessi giunzionali
La transizione dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari è considerata uno dei
passaggi fondamentali della storia della vita sul nostro pianeta. Questo passaggio, però, non consiste
semplicemente nell'aggregarsi di più cellule ma nell'organizzazione di una struttura in cui le singole
unità comunicano tra loro e in cui vengono raggiunte via via funzionalità di alto livello, assegnando
alle diverse parti compiti e comportamenti tra loro complementari. I meccanismi che consentono di
mantenere la cooperazione sono molteplici [1] e alla base del mantenimento della pluricellularità
c’è l’adesione cellula-cellula. Quando tali rapporti subiscono alterazioni o vengono meno
l’organismo va incontro a morte e i tumori maligni sono un esempio di questo fenomeno [1].
Negli organismi multicellulari complessi, quali i vertebrati, il tessuto epiteliale riveste la
maggior parte delle superfici corporee. Oltre a fungere da barriera per l’ambiente esterno, le cellule
epiteliali separano tessuti e compartimenti del corpo. Ciò richiede che le cellule abbiano una propria
polarità e che interagiscano l’una con l’altra attraverso complessi adesivi, chiamati giunzioni
intercellulari.
I sistemi giunzionali sono cruciali per la
biogenesi, per il mantenimento e per la funzione
dell’epitelio. Infatti, essi mediano l’adesione
cellulare, forniscono resistenza meccanica,
limitano la diffusione attraverso l’epitelio e
regolano vie di segnalazione che controllano
meccanismi come la proliferazione, la
polarizzazione e il differenziamento cellulare [2].
I complessi giunzionali (Figura 1),
localizzati nella membrana laterale della cellula,
sono costituiti dalle giunzioni occludenti (tight
junctions – TJs), dalle giunzioni aderenti
(adherent junctions – AJs) e dai desmosomi
(DSMs) [3, 4]. In alcuni tessuti, le giunzioni comunicanti (gap juctions – GJs), che formano pori
intercellulari, possono essere associati ai complessi giunzionali e possono essere intercalati alla TJs
[5]. Il versante basale della cellula epiteliale è ricco di emidesmosomi (hemidesmosomes – HDs)
che ancorano l’epitelio alla lamina basale. Le proteine transmembrana che costituiscono tutte queste
Fig. 1: complessi giunzionale Fig. 1: complessi giunzionale
A
Figura 1: complessi giunzionali
7
giunzioni sono connesse al citoscheletro e in tal modo riescono a mantenere saldamente le
connessioni tra le cellule [6]. Inoltre, un numero crescente di proteine citoplasmatiche associate a
queste giunzioni è coinvolto nella regolazione di diversi processi cellulari come la polarità, la
proliferazione, la trascrizione e la formazione di barriere a diffusione regolata [6].
In linea di massima, i componenti giunzionali possono essere raggruppati in tre categorie: 1)
proteine transmembranarie necessarie per la formazione della giunzione; 2) proteine della placca
associate al citoscheletro; 3) proteine di segnalazione/polarità. Sebbene la divisione fra i tre gruppi
sia ancora non ben delineata, è utile per distinguere tra i complessi proteici costituenti la struttura
delle giunzioni e quelli che sono, più probabilmente, coinvolti nella regolazione dell’integrità
giunzionale o nella comunicazione intercellulare [7].
Giunzioni aderenti
Le AJs sono strutture adesive che appaiono localizzate in
una regione, di altezza tra i 0.2 e i 0.5μm, dove le membrane
delle cellule adiacenti sono parallele e distanziate da una spazio
di circa 200Å (Figura 2A) [3]. Oltre a partecipare alla
regolazione della permeabilità trans-epiteliale, le AJs favoriscono
lo scorrimento delle superfici cellulari adiacenti durante la
morfogenesi o la riparazione delle ferite. Sono situate subito
sotto le TJs e sono uniformemente distribuite lungo la membrana
laterale delle cellule epiteliali formando una cintura (zonula
adherens – ZA) strettamente connessa alla rete di F-actina in
modo più o meno dinamico [Cavey et al. (2008) in 8]. Studi
recenti hanno dimostrato che, sia in cellule di origine epiteliale
che di altra derivazione, oltre alla zonula adherens, queste
giunzioni possono presentare anche una distribuzione
discontinua [7].
Le AJs sono costituite da due unità adesive basiche: i
complessi caderine/catenine e nectina/afadina (Figura 2B) [7].
Le caderine classiche sono state le prime molecole di adesione trovate nelle AJs [9] e fanno
parte di una grande famiglia di proteine la cui caratteristica è la ripetitività dei domini extra-
cellulari. Formano degli omodimeri coinvolti in adesioni omofiliche sebbene recenti studi abbiano
evidenziato la presenza di interazioni eterofiliche [10]. L’inattivazione della sintesi di differenti
caderine in vari organismi ha messo in evidenza la loro importanza nella morfogenesi dei tessuti
[Gumbiner (2005) in 7]. L’E-caderina (Figura 2B) è una proteina calcio-dipendente espressa
A
B
Fig. 2: giunzioni aderenti
A
B
Fig. 2: giunzioni aderenti Figura 2: giunzioni aderenti
8
prevalentemente nei tessuti epiteliali. La sua regione N-terminale extra-cellullare consiste di domini
contenenti siti di legame per il Ca
2+
[11] tramite i quali forma legami omofilici con altre caderine di
cellule adiacenti. La porzione citoplasmatica, lega direttamente la P120-catenina e β-catenina che,
a sua volta, si lega all’α-catenina [12]. In questo contesto la β-catenina sembra essere un elemento
chiave del complesso caderina-catenina nella regolazione dell'adesione cellulare [13] poiché la β-
catenina, attraverso il pathway di Wint-1, può essere traslocata nel nucleo dove partecipa alla
regolazione della trascrizione di alcuni geni importanti per il controllo della proliferazione (tra i
quali c-myc, cyclinD-1 e c-jun), [14] oppure può interagire con i recettori per l’EGF e con enzimi
ad attività tirosin-fosfatasica.
La P120-catenina appartiene ad una sottofamiglia di proteine armadillo la cui eterogeneità,
dovuta a splicing alternativi e a modificazioni post-traduzionali, suggerisce un importante ruolo
nella regolazione delle adesioni caderiniche [Alema et al. (2007) in 9]. La P120 è altresì coinvolta
nella regolazione ed integrazione di segnali da parte delle GTPasi della famiglia di Rho [15] e ciò le
permette di regolare indirettamente le interazioni con il citoscheletro actinico [16].
L’α-catenina, invece, funziona come un adattatore molecolare per una serie di proteine che
legano la giunzione cellulare alla F-actina, un processo critico non solo per stabilizzare le AJs ma
anche per controllare direttamente le dinamiche dell’F-actina [12]. Sebbene studi recenti indicano
che l’α-catenina è una proteina allosterica che, in vitro, non è in grado di legare
contemporaneamente la β-catenina e la F-actina [17], è anche formalmente possibile che
modificazioni dell’ambiente cellulare o dell’α-catenina potrebbero consentire il suo legame sia con
la β-catenina che con l’F-actina. È quindi stato proposto un nuovo modello secondo cui il
complesso caderina/catenina induce l’incremento della concentrazione di un pool solubile di α-
catenina che può regolare le dinamiche dell’F-actina [9].
Il complesso nectina/afadina riveste un ruolo importante nell’identificazione dei partners
cellulari nello sviluppo embrionale e nella morfogenesi. La nectina è un membro della
superfamiglia immunoglobulinica delle molecole di adesione calcio-indipendenti. Presenta un
dominio extra-cellulare composto da tre anelli immunoglobulinici e un dominio citoplasmatico che
contiene motivi che legano i domini PDZ (PSd/SAP90, discs large, ZO-1) [Irie et al. (2004) in 9].
Analogamente alle caderine, le nectine formano omodimeri nella membrana laterale coinvolti in
adesioni omofiliche o eterofiliche con altre nectine o con recettori nectina-simili di cellule adiacenti.
Il dominio citoplasmatico della nectina interagisce con una proteina che lega l’actina conosciuta
come AF6/afadina [18]. L’afadina è una proteina modulare citoplasmatica con domini PDZ in
tandem che interagisce con la coda citoplasmatica delle nectine, con le GTPasi della famiglia di
Ras/Rap così come con altre proteine leganti l’actina, quali ZO-1 e l’α-catenina [19] e, similmente
9
all’α-catenina, i knock-out dell’afadina rivelano un suo ruolo essenziale nell’organizzazione
epiteliale [Ikeda et al. (1999) in 9; 18].
Studi più recenti hanno rivelato la presenza di un ulteriore componente della zonula
adherens, il complesso vezatina/miosina. La vezatina, componente ubiquitario delle AJs, è una
proteina integrale di membrana con due domini trans-membrana e le regioni C- ed N-terminali
citoplasmatiche [8]. Il reclutamento della vezatina nelle AJs è successivo alla costituzione del
sistema giunzionale [12] e partecipa al mantenimento della sua integrità strutturale [8]. Tramite la
sua regione citoplasmatica, la vezatina interagisce con la miosina VIIA e con la coda C-terminale
dell’α-catenina che a sua volta può collegarsi al complesso caderina–catenina. Si ritiene che questo
sistema abbia la funzione di generare delle forze di tensione tra le AJs e il citoscheletro, in modo da
stabilizzare e rinforzare l’adesione cellulare.
La formazione delle AJs è un prerequisito
necessario per la genesi delle altre giunzioni
(Figura 3) [20], la quale ha inizio quando due
opposti complessi E-caderina/β-catenina di cellule
adiacenti prendono contatto e formano un punto di
unione fra le due cellule. Il contatto causa
l'ancoraggio del complesso all’actina,
promuovendo il reclutamento e la stabilizzazione
delle proteine delle AJ [12]. Il completamento del
primo complesso induce l’assemblaggio di
ulteriori punti adiacenti al primo con un
meccanismo simile ad una cerniera generando
quella cintura che legherà saldamente le due cellule vicine [12]. Infine, studi recenti hanno
identificato nuove proteine, associate alla AJs, leganti i microtubuli, suggerendo nuove possibili
interazioni tra tali sistemi giunzionali e il citoscheletro[2].
Fig. 3: giunzioni aderenti Fig. 3: giunzioni aderenti
Figura 2: giunzioni aderenti
10
Desmosomi
I desmosomi (DSMs) sono giunzioni inter-cellullari che si
trovano lungo tutta la membrana laterale [Yin e Green (2004) in 2]
delle cellule epiteliali. Queste giunzioni, altamente organizzate,
sono formate da placche elettron-dense, perfettamente
contrapposte, localizzate sulla membrana plasmatica di cellule
adiacenti (Figura 4A).
Sul versante citoplasmatico i desmosomi fungono da
strutture di adesione per i filamenti intermedi (IFs), costituendo un
network deputato alla resistenza ed all’adattamento agli stress
meccanici [Coulombe e Omary (2002) in 21].
Le proteine che costituiscono i DSMs appartengono a tre
famiglie: caderine, proteine armadillo e plachine (Figura 4B).
Le desmogleine (Dsgs) e le desmocoline (Dscs), proteine transmembranarie calcio-
dipendenti appartenenti alla famiglia delle caderine, interagiscono per formare l’interfaccia adesiva
[Getsios et al. (2004b) in 21] ed i loro domini citoplasmatici servono da sito di ancoraggio per, la
plakoglobina (PG) e le plakofiline (PKPs) 1-3 (membri della famiglia armadillo) [15; Schmidt e
Jager (2005) in 21].
Infine, le desmoplachine (DPs), appartenenti alla famiglie delle plachine, connettono il
network dei filamenti intermedi ai desmosomi [Hatsell e Cowin (2001) in 21].
Il desmosoma può essere
suddiviso in tre zone
morfologicamente identificabili: la
regione del core extracellulare
(desmoglea), la placca densa esterna
(ODP) e la placca densa interna (IDP)
(Figura 5) [Kowalczyk et al. (1994),
Schmidt et al. (1994), Garrod e
Chidgey (2008) in 22]:
la desmoglea è costituita dalla parte extra-cellulare delle desmogleine e delle desmocoline
[22] di entrambe le cellule adiacenti;
la OPD è formata dalle code citoplasmatiche delle desmogleine e delle desmocoline, dalle
PG, dalle PKP e dalla parte N-terminale delle DP;
Fig. 4: desmosoma
A
B
Fig. 4: desmosoma
A
B
Figura 3: desmosoma
Fig. 5: zone strutturali del desmosoma Fig. 5: zone strutturali del desmosoma Figura 4: zone strutturali del desmosoma
11
la IPD è rappresentata dalle desmoplachine legate ai IFs [Kowalczyk et al. (1994); Getsios
et al. (2004b); Garrod e Chidgey (2008) in 22].
Studi recenti hanno dimostrato che i DSMs non sono strutture statiche, ma hanno un ruolo
importante nella regolazione della proliferazione e del differenziamento [23]. Infatti, osservazioni al
microscopio elettronico hanno rivelato che i DSMs presentano, nelle diverse cellule e nei distinti
strati dell’epidermide, variazioni di aspetto e di dimensione. Durante il processo di differenziazione
epidermica, i DSMs piccoli e poco organizzati presenti nelle cellule della lamina basale sono via via
sostituiti da DSMs più grandi e più elettron-densi nelle cellule degli strati superiori, suggerendo
come il grado di complessità di tali sistemi giunzionali si sviluppi in base al grado di
differenziamento cellulare [21]. Studi molecolari, hanno anche definito il pattern di espressione
differenziale di desmogleine e desmocolline nei vari strati. Inoltre, si ritiene che nell’insorgenza e
nella progressione dei carcinomi la mancata espressione delle caderine desmosomiali [23] e la
conseguente perdita di contatto tra cellule adiacenti favoriscano la transizione epitelio-mesenchima
(EMT) e l’acquisizione del fenotipo invasivo da parte delle cellule neoplastiche.
Emidesmosomi
Gli emidesmosomi (HDs) (Figura 6) sono complessi
multiproteici, localizzati sul versante basale delle cellule epiteliali, che
ancorano l’epitelio alla lamina basale [24]. I componenti degli
emidesosomi sono le integrine e la proteina BP180. I domini
citoplasmatici di entrambe le proteine interagiscono con la BP230 e con
la Plectina, attraverso le quali interagiscono con i filamenti di
citokeratina, mentre i loro domini extra-cellulari legano la laminina [25].
Le integrine sono eterodimeri trans-membrana di tipo recettoriale
composte da due subunità glicoproteiche, una appartenente alla
sottoclasse α (ne esistono 12 tipi), l’altra alla sottoclasse β (7 tipi) [26].
Alcune integrine legano selettivamente una tra le proteina di matrice (ad
esempio la fibronettina o la laminina) mentre altre riconoscono il
dominio RGD presente in numerose componenti proteiche della matrice
[27].
Gli emidesmosomi rivestono un ruolo cruciale nella differenziazione, nella crescita, nella
sopravvivenza e nella migrazione cellulare ed alterazioni dell’espressione delle proteine
emidesmosomiali sono alla base di patologie come la pemfigoide bollosa, malattia cutanea
autoimmune caratterizzata dalla presenza di autoanticorpi IgG specifici per gli antigeni
Fig. 6: emidesmosoma Fig. 6: emidesmosoma Figura 5: emidesmosoma
12