III
Obiettivi
Definiamo e delimitiamo prima di tutto gli argomenti che affronteremo:
tratteremo immagini completamente polarimetriche prodotte dal sistema
AIRSAR. Il sistema AIRSAR è un radar di immagini realizzato ed
utilizzato presso il JPL - Jet Propulsion Laboratory -, un dipartimento della
NASA che si occupa appunto di telerilevamento e di "Remote Sensing"
(nell'introduzione saranno brevemente illustrati i progetti realizzati presso il
JPL). Nell'ambito di questo campo, dunque, la presente tesi si pone i
seguenti obiettivi:
Studio del sistema AIRSAR
• Analisi delle caratteristiche e delle prestazioni
• Acquisizione di strumenti e conoscenze per poter utilizzare le immagini
SAR
• Individuazione di parametri e algoritmi per la classificazione automatica
delle immagini
Applicazione a dati reali
• Verifica dell'efficienza dei metodi esistenti
• Miglioramento delle tecniche adottate e dello "stato dell'arte"
• Definizione di nuovi algoritmi sulla base dei risultati ottenuti mediante
l'uso congiunto di tecniche differenti.
IV
Argomenti trattati
Con queste premesse, gli argomenti trattati nella tesi saranno:
Introd Principi di funzionamento dei radar di immagine
Cap. 1 Studio del sistema AIRSAR
� Descrizione dei principi di funzionamento teorici
� Studio dell'implementazione e della realizzazione hardware ed
elettronica del sistema stesso
� Analisi delle prestazioni
� Analisi dei prodotti del sistema
Cap. 2 Trattazione teorica: definizione degli oggetti matematici necessari
per elaborare le immagini AIRSAR
Cap. 3 Analisi delle immagini a nostra disposizione
Cap. 4 Descrizione dei principali metodi di classificazione e in
particolare del modello "H-α"
Cap. 5 Applicazione degli algoritmi descritti alle immagini a nostra
disposizione
Cap. 6 Ricerca di maggior precisione nella classificazione mediante la
multifrequenza
Cap. 7 Miglioramento del modello proposto tramite l'introduzione di
nuovi parametri
Cap. 8 Presentazione di un nuovo algoritmo basato sull'uso congiunto di
diverse tecniche usate finora separatamente.
1
Introduzione
2
Principi di funzionamento dei radar di
immagine
Un radar per immagini è un sensore attivo che provvede a illuminare con
onde elettromagnetiche un'area sulla superficie terrestre al fine di acquisire
un'immagine digitale di tale area.
Ogni generico radar (RAdio Detection And Ranging) misura la potenza e il
ritardo dell'eco di un segnale emesso da un'antenna del radar e riflesso da
un superficie o da un oggetto. L'antenna alternativamente trasmette e riceve
impulsi a determinate lunghezze d'onda (generalmente in un range
compreso tra 1 cm e 1 metro, che corrisponde a lunghezze d'onda comprese
tra 300 MHz e 30 GHz) e particolari polarizzazioni (onde
elettromagnetiche polarizzate orizzontalmente e verticalmente).
Tipicamente un radar di immagine trasmette ogni secondo circa 1500
impulsi ad alta potenza verso l'area da illuminare; la larghezza di banda di
questi impulsi è scelta tra i 10 e i 200 MHz e la loro durata è di circa 10-50
microsecondi. Sulla superficie terrestre, l'energia di questi impulsi è diffusa
in tutte le direzioni, e un parte di questa viene riflessa verso l'antenna
ricevente: questa eco ritorna verso l'antenna ricevente del radar come
impulso a potenze inferiore e non necessariamente nella stessa
polarizzazione in cui è stato trasmesso. L'intero processo è schematizzato in
figura I.1.
I vari echi, o anche "backscatter", vengono convertiti in dati binari, i quali a
loro volta sono elaborati da un calcolatore che provvede a generare
l'immagine digitale.
3
Figura I.1: radar montato su supporto mobile in fase trasmissiva e
ricevente.
SAR: Radar ad Apertura Sintetica
La risoluzione delle immagini acquisite dai radar è determinata da due
fattori fondamentali: la larghezza di banda dell'impulso determina la
risoluzione in range, o cross-track (vedi paragrafo successivo): larghezze di
banda maggiori implicano maggiore risoluzione. La lunghezza fisica
dell'antenna, invece, determina la risoluzione in azimuth, o along-track: più
lunga è l'antenna, più fine è la risoluzione dell'immagine. Poiché, per ovvi
motivi pratici, costruire antenne più lunghe di qualche metro risulta molto
scomodo, si adotta una particolare tecnica detta SAR: Synthetic Aperture
Radar. Si fa in modo, cioè, di far viaggiare l'antenna del radar su un
supporto mobile, tipicamente un aereo o un satellite, in modo da ottenere
una lunghezza dell'antenna, o "apertura", virtualmente molto più grande
delle reali dimensioni fisiche del radar.
Durante il moto del radar, diversi impulsi sono trasmessi in vari punti dello
spazio: gli impulsi riflessi e ricevuti vengono memorizzati in una memoria
detta "echo store". Poiché l'antenna si sta muovendo rispetto al terreno, i
vari echi saranno "Doppler shifted", cioè nel dominio della frequenza
saranno traslati negativamente se il radar si avvicina al target,
4
positivamente se si allontana. Abbiamo quindi molti segnali di ritorno
traslati in frequenza: questi devono essere "messi a fuoco" in un unico
punto confrontando i vari ritorni con una frequenza di riferimento e
compensando la variazione di frequenza dovuta all'effetto Doppler in ogni
punto dell'immagine: tutto ciò necessita di una precisa conoscenza del moto
relativo tra il target e l'antenna ricevente. Questo processo di
compensazione, comunemente denominato elaborazione SAR, è sempre
eseguito da calcolatori elettronici ad alta velocità.
Figura I.2: schema di principio di funzionamento di un radar ad apertura
sintetica.
Airborne SAR: radar ad apertura sintetica montati su
aeromobili
I radar ad apertura sintetica si dividono in due classi fondamentali: quelli
montati su satelliti o veicoli spaziali e quelli montati su aerei. In questo
lavoro noi ci occuperemo della seconda classe. Al fine di acquisire la
terminologia adatta e capire il funzionamento del sistema, descriviamo
brevemente il modo in cui le immagini vengono acquisite.
5
Figura I.3: metodo di acquisizione delle immagini per SAR montati su
aerei
Si consideri un Airborne SAR per immagini montato sulla prua di un aereo
come mostrato in figura I.3. Tipicamente il sistema SAR produce
un'immagine bidimensionale.
Una coordinata è chiamata "range" o "cross-track" e consiste nella distanza
tra la "line of sight", ovvero la proiezione a terra della rotta dell'aereo, e la
posizione del target, come si vede in figura (cross-track perché è
perpendicolare alla "traccia" dell'aereo). La misura del range in un radar ad
apertura sintetica è ottenuta nella stessa maniera degli altri radar: si misura
il ritardo tra la trasmissione e la ricezione dell'impulso in modo da calcolare
la distanza del target dall'antenna. Per quanto riguarda la risoluzione in
range, questa va con la larghezza di banda dell'impulso.
L'altra coordinata è detta "azimuth", ed è univocamente determinata in
quanto è perpendicolare alla direzione in range. E' anche detta "along-
track", perché è parallela alla rotta dell'aereo. E' proprio la capacità di
produrre una risoluzione molto fine in azimuth a distinguere i SAR da tutti
6
gli altri radar: questa capacità, come già detto, è garantita proprio
dall'apertura sintetica dell'antenna e dal processo di compensazione della
frequenza Doppler: tutto va come se avessimo antenne con dimensioni
fisiche molto più grandi di quanto non siano in realtà.
Le immagini radar
Un'immagine radar è un'immagine digitale ottenuta dall'elaborazione dei
dati acquisiti da un SAR.
Le immagini radar sono composte da molti pixel (pixel = picture element).
Il pixel è il più piccolo elemento di risoluzione dell'immagine e rappresenta
il "radar backscatter" della più piccola area distinguibile in tutta la
superficie illuminata. Aree più scure nell'immagine corrispondono a
backscatter deboli, ovvero a zone in cui solo una piccola parte dell'energia
è stata riflessa verso l'antenna ricevente. Si può avere questa situazione nel
caso di aree particolarmente assorbenti o particolarmente diffusive. Aree
più chiare, al contrario, rappresentano backscatter molto forti: pixel
brillanti e chiari sono generati da aree in cui quasi tutta l'energia è stata
riflessa nella direzione dell'antenna ricevente.
In realtà la classificazione dei tipi di backscatter non è così semplice, infatti
i fattori che influenzano le caratteristiche dei ritorni sono molteplici:
dimensioni fisiche degli oggetti illuminati, orografia dell'area illuminata,
angolo di incidenza dell'impulso, presenza di materiali metallici o
particolarmente riflettenti, umidità del suolo del target…
Una regola imprecisa ma abbastanza efficace è che più l'immagine è chiara,
meno l'area sottostante è uniforme. Superfici piatte e uniformi, che
riflettono una piccola parte di energia nella direzione dell'antenna,
appariranno sempre molto scure nell'immagine. Al contrario, la
vegetazione abbastanza fitta, che è ben poco uniforme, appare sempre
7
grigio chiaro o quasi bianca. Altre aree non illuminate dal radar, come ad
esempio i versanti della montagne, sono in ombra e quindi appariranno
scuri.
Per quanto riguarda i centri abitati, abbiamo diversi meccanismi di
backscattering: le strade sono piatte e quindi appaiono scure, mentre gli
edifici appaiono molto chiari se avviene il cosiddetto double-bounce,
ovvero una doppia riflessione sulla strada e di seguito sull'edificio. Di
particolare influenza sono i materiali con cui sono costruiti gli edifici
(soprattutto se metallici) e la loro altezza. In generale, i pixel contenti centri
abitati sono molto vari e cambiano molto a seconda del tipo di centro
urbano.
Figura I.4: differenti tipi di backscatter e loro rappresentazione nelle
immagini radar.
Infine il backscatter è fortemente influenzato dalla polarizzazione: alcuni
SAR , come ad esempio il sistema AIRSAR possono sia trasmettere che
ricevere in polarizzazione orizzontale e verticale, dando così luogo a
quattro combinazioni (HH,HV,VH,VV).
8
Il Jet Propulsion Laboratory
Il sistema AIRSAR è stato progettato e realizzato presso il JPL. Il Jet
Propulsion Laboratory è il centro di ricerche del "California Institute of
Tecnology for the National Aeronautics and Space Administration
(NASA)": oltre ai radar di immagini, progetta ed attua missioni spaziali di
nuova generazione, allo scopo di esplorare non solo il Sistema Solare ma
anche il resto dell'Universo.
Dal 1958 ad oggi, il JPL ha esplorato, con le sue navicelle spaziali, tutti i
pianeti del Sistema Solare, ad eccezione di Plutone. Le strumentazioni
ideate per le navicelle spaziali si sono dimostrate utilissime per lo studio
della Terra, della sua superficie ed atmosfera, del clima, della geologia e
della oceanografia (tutti campi trattati anche con i radar di immagine).
Le origini del JPL
La storia del JPL risale agli anni '30, quando il Prof. Theodore Von Karman
(capo del Laboratorio Aeronautico di Guggenheim), insieme ad un gruppo
di studenti, condusse esperimenti pionieristici sui razzi a propulsione: il
primo motore a razzo fu acceso il 31 ottobre 1936. Pochi anni più tardi,
quando già era scoppiata la seconda guerra mondiale, Von Karman studiò
approfonditamente – su commissione dell'esercito – i V2 tedeschi e
soprattutto la possibilità di rilevare e neutralizzare i missili teleguidati. In
quell'occasione, il Professore ed il suo staff (formato da circa cento
ingegneri e duecento tecnici) si autodefinirono per la prima volta "The Jet
Propulsion Laboratory". Come "JPL" diedero inizio a esperimenti di radio-
telemetria riguardo i missili e alla progettazione di radar terrestri e di
apparecchiature radio: realizzarono così il missile Corporal, il quale era
9
controllato automaticamente e richiedeva l'uso di un canale radio
bidirezionale, di un radar e di un primitivo calcolatore.
Successivamente, il JPL si dedicò a missili capaci di volare tanto lontano
nello spazio da non poter essere raggiunti per le riparazioni. Ciò implicava
un salto di qualità nella progettazione, nella tecnologia e nei materiali
utilizzati. Il 31 gennaio 1958 fu lanciato l'Explorer 1: era il primo satellite
americano, ed era stato realizzato dal JPL. Con l'Explorer 1 si apriva l'era
spaziale americana. Sempre nel '58 fu creata la NASA: il JPL venne allora
trasferito dalla giurisdizione militare a quella civile della NASA, per la
quale ancora oggi realizza navicelle spaziali e sistemi di propulsione, ma
anche trasmettitori spaziali low-power, sensibilissime antenne e ricevitori
installati a terra, oltre a vari tipi di sensori attivi tra cui i radar di immagine.
La "Jet Propulsion" non è più il cuore del lavoro del JPL, tuttavia il nome
rimane immutato perché conosciuto ed apprezzato nel mondo intero.
L'esplorazione planetaria
A partire dagli anni '60, il JPL cominciò a progettare e costruire navicelle
spaziali automatiche in grado di esplorare altri mondi.
Le prime missioni – la serie "Mariner" – aprirono la strada alla passeggiata
lunare degli astronauti della NASA. Con il progetto "Voyager", invece, si è
potuta studiare la maggior parte dei pianeti del Sistema Solare: le varie
sonde Voyager hanno inviato e tuttora inviano dati e immagini da Giove,
Saturno, Nettuno e Urano. La navicella Magellano ha invece utilizzato un
sofisticato radar di immagine per riuscire a penetrare la densa coltre di
nuvole che avvolge Venere e tracciare, in 234 giorni, una mappa della
superficie del pianeta.
Nel 1997 è stata lanciata la "Cassini", che trasporta la sonda "Huygens".
Cassini raggiungerà Titano (la luna più grande di Saturno) nel 2004 per
10
appurare se è vero che Titano sia dotata di sostanze chimiche e organiche
simili a quelle che hanno generato la vita sulla Terra.
Infine, con l'attuale progetto "New Millenium", il JPL si prefigge di
realizzare missioni spaziali di nuova generazione e di adottare innovative
tecnologie nell'acquisizione e nella trasmissione dei dati.
Studio del pianeta Terra
Verso la fine degli anni '70, gli ingegneri e i ricercatori del JPL intuirono
che i sensori sviluppati per le missioni interplanetarie, potevano essere
efficacemente utilizzati anche per lo studio del nostro pianeta. Questo portò
a una serie di missioni orbitali intorno alla Terra, i cui risultati sono stati
positivi e incoraggianti. E' stato quindi istituito uno specifico dipartimento
del JPL con il nome "Office of Earth Observing", sempre su commissione
della NASA.
Nel 1978 il JPL costruì un satellite sperimentale chiamato SEASAT, il cui
scopo era verificare la funzionalità di vari sensori oceanografici, fra cui
radar di immagini, altimetri e scatterometri. La maggior parte dei
successivi sistemi di monitoraggio terrestre (tra cui anche l'AIRSAR),
hanno come lontano progenitore il SEASAT.
Come sviluppo del radar fatto orbitare sul SESAT, nacquero il SIR-A,
montato in due missioni a bordo dello Space Shuttle nel 1981 ed il SIR-B
nel 1984. Un'ulteriore evoluzione ha portato al SIR-C, che presto divenne
un progetto in collaborazione con l'X-SAR prodotto da Italia e Germania
(ne parleremo nel prossimo paragrafo). Lo scopo del sistema SIR-C/X-
SAR è studiare e approfondire un gran varietà di discipline – geologia,
idrologia, ecologia, oceanografia, sviluppo urbanistico… - comparando le
immagini radar con dati acquisiti a terra.
11
Il sistema AIRSAR nasce dall'esperienza maturata presso il JPL in questi
quaranta anni di lavoro riguardo missioni spaziali ed acquisizione dati
mediante radar; trae le sue origini principalmente dal progetto SIR-C/X-
SAR, di cui può essere considerato il diretto sviluppo. Rispetto a
quest'ultimo, però, ha il vantaggio di rilevare immagini da un DC8 e non
dallo Space Shuttle, permettendo così uno svolgimento molto più agevole
ed economico delle missioni stesse.