Introduzione
1
Introduzione
Nel corso dei secoli, le aree marine e costiere hanno rappresentato una risorsa
preziosa per l’evolversi delle civiltà, lasciando importanti testimonianze storico-
artistiche. Per tale motivo, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento di iniziative
volte allo studio ed alla protezione dell’ambiente marino ed a tutto ciò che esso può
custodire sui fondali, in termini di beni storico/artistici.
Nello specifico, un’area archeologica sommersa costituisce un bene che necessita di
tutela sia dal punto di vista artistico/conservativo che da quello ambientale. Pertanto, la
salvaguardia di tali aree comprende sia studi inerenti lo stato di conservazione dei
materiali, al fine di pianificare interventi di restauro e manutenzione ove necessario, sia
azioni di difesa delle colonizzazioni biologiche.
È proprio negli ultimi anni che gli orientamenti del mondo scientifico e degli Organismi
di Tutela Internazionale in materia di Beni Culturali, concordano nel voler valorizzare,
proteggere e conservare in situ, ove possibile, il Patrimonio Archeologico e Storico
Subacqueo (UNESCO Convention on the Protection of the Underwater Cultural
Heritage, 2/11/2001). Tale interesse tuttavia, incontra una serie di difficoltà legate alla
mancanza di conoscenze, capacità, tecniche e materiali idonei alla conservazione in
ambiente subacqueo. Fino ad oggi, infatti, si è preferito il recupero dei manufatti
dall’ambiente sommerso, attuando gli interventi conservativi in ambiente subaereo. Non
sempre, però, ciò è possibile; basti pensare a strutture amovibili quali murature,
pavimentazioni o elementi architettonici impossibili da recuperare. Per tale motivo, è
necessario colmare le mancanze conoscitive inerenti tale problematica, sperimentando e
progettando materiali e metodologie innovative. Inoltre, vi è la necessità di individuare
prodotti ecocompatibili, economici, di facile applicazione e con molteplice funzionalità,
Introduzione
2
allo scopo di conservare il bene culturale, rispettandone le caratteristiche originarie e
limitando nel tempo gli interventi manutentivi.
In tale contesto è stato sviluppato il presente progetto, che mira alla
caratterizzazione di specifiche tipologie di materiali archeologici utilizzati per la
realizzazione di opere di interesse storico artistico, nello specifico ubicate in ambiente
subacqueo, e dei loro processi di degrado, sperimentando nuove metodologie per la
conservazione ed il restauro.
Tale lavoro di ricerca è parte integrante del Progetto Nazionale di Ricerca denominato
“CoMAS” (Conservazione, in situ di Manufatti Archeologici Sommersi), finanziato dal
Ministero Italiano dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e rappresenta
un contributo innovativo alle tematiche inerenti il degrado e la conservazione del
patrimonio culturale ubicato in ambiente marino.
In particolare, oggetto di studio sono state le ignimbriti ed i laterizi utilizzati per la
realizzazione di strutture architettoniche presenti all’interno del sito archeologico
sommerso della città romana di Baia (Napoli).
Le fasi iniziali del lavoro hanno previsto la messa a punto di un piano diagnostico,
volto alla caratterizzazione dei materiali e del loro stato di conservazione, tramite
indagini minero–petrografiche e chimico–fisiche, valutando le interazioni dei processi di
biodeterioramento in relazione alle caratteristiche intrinseche dei materiali; tale fase di
studio è stata fondamentale per il conseguimento degli obiettivi sviluppati nella seconda
fase della ricerca.
Tra gli scopi della seconda parte del progetto, vi è quello di definire nuovi
materiali per la conservazione, nanostrutturati, con lo scopo ultimo di proteggere e
consolidare i beni archeologici in aree sommerse. L’applicazione di prodotti
nanostrutturati è molto vantaggiosa sotto diversi punti di vista, sia prestazionali, sia
ambientali. La scelta dei prodotti è avvenuta sulla base delle caratteristiche dei materiali
lapidei e degli studi condotti sui fenomeni di degrado precedentemente individuati.
Svariati test di laboratorio quali colorimetria, misura dell’angolo di contatto, peeling test,
point load test, e prove biologiche, hanno consentito di valutare aspetti tra cui quelli
riguardanti la stabilità chimico/fisica e le interazioni con il substrato, in termini sia di
proprietà filmogene e riaggreganti, sia di efficacia antifouling.
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
3
CAPITOLO 1
L’area vulcanica Napoletano-Flegrea
ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico
ed informazioni storico-archeologiche.
1.1 Caratteristiche geomorfologiche della Campania
e localizzazione dell’area Napoletano-Flegrea
L’intero territorio Campano è caratterizzato da numerose successioni rocciose che
si sono progressivamente deformate negli ultimi 20 milioni di anni. La tettogenesi
appenninica ha, inoltre, determinato la nascita, l’espansione e la chiusura di bacini marini
intracatena, ed è proseguita fino al raggiungimento dell’attuale configurazione. Sopra tali
depositi si rinvengono terreni di età quaternaria di varia origine (silicoclastici, vulcano
clastici, lavici etc.) (Ciarcia et al., 2013).
L’Appennino Campano (Fig. 1.1) ha la sua massima espressione morfologica in rilievi
montuosi che superano i 2000 m di altezza, costituiti prevalentemente da litotipi calcareo-
dolomitici. Tali successioni costituiscono l’ossatura della catena appenninica,
estendendosi dall’Abruzzo alla Calabria settentrionale (Ciarcia et al., 2013).
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
4
Fig. 1.1 – Schema tettonico (da Bonardi et al., 1988 b) e sezione geologica (da Mazzoli et al., 2008)
dell’appennino meridionale.
Tutta l’area tirrenica è stata interessata da grandi movimenti che hanno ribassato la
Catena di alcune migliaia di metri verso il Tirreno centrale. Gli effetti di tale distensione
tirrenica sono stati la risalita di masse magmatiche, con alimentazione di un’intensa
attività vulcanica (Roccamonfina, Vesuvio, Campi Flegrei) e la formazione di ampie
depressioni colmate da sedimenti (es. Piana Campana) (Ciarcia et al., 2013). I distretti
vulcanici campani di Roccamonfina, Campi Flegrei e Somma Vesuvio, rientrano
nell’ambito del ciclo magmatico che ha avuto sede nella penisola Italiana nel Pliocene-
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
5
Pleistocene, e che va sotto il nome di “Magmatismo Potassico Italiano” (Beccaluva et al.,
1991; Conticelli et al., 2002, 2004, 2010; Peccerillo, 2005).
La Piana Campana è una zona morfologicamente ribassata rispetto le coltri appenniniche,
definita come una zona di sprofondamento limitata da faglie i cui andamenti principali
sono NW-SE (direzione appenninica) lungo il bordo NE della piana, e NE-SW (direzione
anti appenninica) lungo i bordi settentrionali e meridionali (Monte Massico e Monti
Lattari) al cui interno si è insediato il vulcanismo potassico dei Campi Flegrei e del
Somma-Vesuvio. I terreni della Piana Campana sono rappresentati oltre che da depositi
piroclastici flegrei e vesuviani, anche da depositi marini ed alluvionali generati dal
disfacimento sia delle vulcanoclastiti sia dei rilievi carbonatici circostanti. I Campi
Flegrei ed il Somma-Vesuvio sono le aree di vulcanismo attivo della Campania.
La morfologia dell’area vulcanica Flegrea è il risultato di eventi tettonici e vulcano-
tettonici distruttivi e costruttivi (Orsi et al., 1996). In particolare, la variazione nel tempo
e nello spazio della relazione tra il livello del mare e la superficie terrestre, ha contribuito
notevolmente all’attuale impostazione geomorfologica della zona (Orsi et al., 1996).
L’area vulcanica in questione è costituita da una parte subaerea, che comprende i Campi
Flegrei e la città di Napoli, e da una parte sommersa che costituisce il settore nord-
occidentale del Golfo di Napoli, che comprende la Baia di Pozzuoli e la zona nord-
occidentale della Baia di Napoli.
La prima è una zona dalla particolare forma a ferro di cavallo, al cui centro è situata la
Baia di Pozzuoli. La parte centrale dei Campi Flegrei è caratterizzata dalla presenza di
numerosi anelli e coni di tufo, delimitata, a ovest, a nord e ad est da bassopiani (Fig. 1.2)
(Orsi et al., 1996). La storia geologica della parte subaerea è stata da sempre oggetto di
numerosi studi (Breislack, 1798, 1801; Johnston Lavis, 1889; De Lorenzo, 1904;
Rittman, 1950; Scherillo, 1953, 1955; Scherillo and Franco, 1960, 1967; Rosi et al.,
1983; Di Girolamo et al., 1984; Rosi and Sbrana, 1987; Barberi et al., 1991; Dvorak and
Berrino, 1991; Dvorak & Gasparini, 1991). Per quanto riguarda la zona sommersa, il
golfo può essere morfologicamente suddiviso in due settori, separati da una linea di
tendenza a NE, che collega il Vallone Anton Dohm alla piana del Sebeto nell’entroterra
(De Bonitatibus et al., 1970;. Colantoni et al., 1972;. Segre, 1972; De Pippo et al., 1984;.
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
6
Crane et al., 1985). Il fondale della Baia di Pozzuoli presenta particolari caratteristiche
morfologiche come ad esempio la zona centrale, costituita da una depressione quasi
circolare.
Fig. 1.2 – Schema geologico del distretto dei Campi Flegrei (Fedele et al., 2011).
1.2 Inquadramento geo-archeologico dei Campi Flegrei:
vulcanismo e deformazioni
L’inizio dell’attività vulcanica flegrea può essere genericamente datato a circa 48
mila anni fa (Cassignol & Gillot, 1982; Rosi & Sbrana, 1987), terminando nel 1538 con
la formazione del Monte Nuovo (Pozzuoli, Napoli). Negli ultimi 39.000 anni la
Campania è stata sede di un’intensa attività vulcanica, concentrata nei centri eruttivi di
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
7
Roccamonfina a nord e dei Campi Flegrei e del Vesuvio nell’area napoletana. Tali
complessi vulcanici sono legati ad eventi tettonici connessi al sollevamento della Catena
Appenninica Meridionale (Pliocene Superiore) ed allo smembramento del suo margine
occidentale connesso con l’apertura del Mar Tirreno (Peccerillo & Manetti, 1985), che ha
dato luogo alla formazione di una vasta depressione.
Il nome Campi Flegrei, deriva dal greco flegraios, “ardente”. In particolare, tale
denominazione, indica la zona vulcanica posta a Nord-Ovest della città di Napoli.
Quest’area presenta la forma tipica delle strutture vulcaniche chiamate caldere
1
, e
consiste in una depressione quasi circolare punteggiata da numerosi coni vulcanici. Tale
area è caratterizzata da un articolato sistema di vie di alimentazione del magma, create da
una complessa situazione strutturale. La caldera dei Campi Flegrei è una struttura
composta dalla vecchia caldera dell’Ignimbrite Campana (datata a 37.000 anni fa), che
include i Campi Flegrei, la parte meridionale e quella occidentale della città di Napoli, la
parte settentrionale della baia di Napoli e la Baia di Pozzuoli, e dalla più giovane caldera
di Tufo Giallo Napoletano (risalente a 12.000 anni fa) che comprende i Campi Flegrei e
la Baia di Pozzuoli (Orsi et al., 1992, 1996). Circa 12.000 anni fa l’attività vulcanica
della zona fu molto intensa, causando una forte deformazione del fondo della caldera. Il
sistema è ancora attivo, così come testimoniano l’ultima eruzione del 1538 d.C., i recenti
episodi risalenti agli anni 1969-1972 e 1982-1984 e l’intensa attività fumarolica (Orsi et
al., 1999).
I Campi Flegrei, sono da sempre oggetto di studi approfonditi dal punto di vista
geologico e vulcanologico (De Lorenzo, 1904; Rittmann, 1950; Scherillo & Franco,
1960; Di Girolamo et al., 1984). In particolare, gli studi più antichi sono da attribuire a
Breislak (1798, 1801) e Johnston-Lavis (1888) e più recentemente Lyell nel
diciannovesimo secolo.
De Lorenzo (1904), ha suddiviso la storia vulcanica della zona in tre diversi periodi,
individuando, di conseguenza, i prodotti vulcanici dei campi Flegrei in tre diversi gruppi,
rappresentativi, appunto, dei tre periodi di attività vulcanica. Nei primi due periodi il
1
È un’ampia depressione, di forma grossomodo circolare, che si forma su un edificio vulcanico, dopo una grossa eruzione vulcanica.
Deriva dal collasso di parte dell’edificio vulcanico che si verifica in seguito allo svuotamento della camera magmatica. Tale fenomeno
genera la perdita delle pressioni, facendo si che l’edificio vulcanico collassi su se stesso.
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
8
vulcanismo fu prevalentemente di tipo sottomarino, mentre nel terzo periodo si ebbe
vulcanismo di tipo subaereo. I materiali più rappresentativi del primo periodo sono
l’Ignimbrite Campana (IC), il Piperno e la formazione della Breccia Museo, del secondo
periodo il Tufo Giallo Napoletano (TGN) e, infine, al terzo periodo appartengono
prodotti piroclastici costituiti da ceneri, lapilli, pomici, concentrati prevalentemente nella
zona di Pozzuoli. Diversamente, Rittmann (1950) ipotizzò che il vulcanismo avesse avuto
inizio con la formazione del vulcano Archiflegreo, quasi completamente smantellato dal
collasso della caldera verificatosi durante l’eruzione del Tufo Grigio Campano. Egli
suddivide tutta l’attività vulcanica riscontrata in soli due cicli eruttivi separati da collassi
vulcano-tettonici che si sono verificati nella Baia di Pozzuoli e nelle pianure di Soccavo,
Pianura e Quarto. Studi più recenti condotti da Rosi & Sbrana (1987), suddividono
l’attività degli ultimi 10.500 anni in due fasi di intenso vulcanismo seguite dall’eruzione
di Monte Nuovo, mentre Orsi et al. (1996), divide i depositi dei Campi Flegrei in:
} precedenti all’IC;
} dell’IC;
} successivi all’IC e precedenti al TGN;
} del TGN;
} successivi al TGN.
Attualmente, per ciò che concerne i Campi Flegrei, è possibile distinguere l’attività
in quattro cicli:
1. formazione dei vulcani di Vivara, Terra Murata, Punta Serra, Fiumicello; della
cupola lavica e brecce di Punta Ottimo, delle brecce della Lingua e di Marina di Vita
Fumo, dello small scale pyroclastic flow dello Scoglio di S. Martino, della Formazione di
Monte Grillo e delle cupole laviche di S. Martino, Cuma e Marmolite. A questo ciclo
sono ascrivibili anche i tufi di Torre Franco ed un livello di pomici da caduta che spesso
si rinviene alla base dell’Ignimbrite Campana (tutti questi prodotti hanno un’età superiore
ai 35.000 anni);
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
9
2. messa in posto dell’Ignimbrite Campana e dello small scale pyroclastic flow con
breccia poligenica associata, nota come formazione del Piperno-Breccia Museo (35.000-
30.000 anni);
3. formazione del vulcano di Solchiaro; messa in posto dei tufi biancastri stratificati e
dei tufi antichi affioranti a Soccavo e nella zona urbana di Napoli. Formazione del
vulcano di Torregaveta, probabilmente tra 18.000-15.000 anni fa e messa in posto del
Tufo Giallo Napoletano (circa 12.000 anni);
4. formazione dei vulcani di tufo giallo pseudostratificato, dei vulcani piroclastici
monogenici, di coni di scorie, di cupole laviche. Eruzione storica di Monte Nuovo. Le età
assolute per formazioni di questo ciclo partono da 10.000 anni fino all’eruzione di Monte
Nuovo del 1538.
1.3 I prodotti del vulcanismo:
l’Ignimbrite Campana (IC) ed il Tufo Giallo Napoletano (TGN)
1.3.1 L’Ignimbrite Campana (IC)
L’eruzione dell’Ignimbrite Campana (39 ka) è riconosciuta da tempo come
uno degli eventi più catastrofici della storia vulcanica dell’area del Mediterraneo degli
ultimi 200 ka, ed è stata considerata un esempio di super-eruzione (Barberi et al., 1978).
Durante tale eruzione furono emessi circa 150 km
3
di magma di composizione variabile
da trachitica a trachifonolitica, che ricoprirono un’area di circa 30.000 km
2
(Civetta et al.,
1996). L’ubicazione dell’origine dell’Ignimbrite Campana (IC) è tuttavia controversa
(Civetta et al., 1997). Autori come Rosi et al. (1983, 1991), Armienti et al. (1983), Rosi
& Sbrana (1987) e Barberi et al.(1991), hanno suggerito che l’eruzione dell’IC, abbia
avuto luogo nei Campi Flegrei, e sia stata accompagnata dal collasso della Caldera dei
Capitolo 1– L’area vulcanica Napoletano-Flegrea ed il Parco Archeologico Sommerso di Baia:
inquadramento geologico ed informazioni storico-archeologiche.
10
Campi Flegrei (CCF). Di Girolamo (1970), Di Girolamo et al. (1984) e Lirer et al.
(1987), proposero invece che l’eruzione dell’IC fosse avvenuta a nord di Napoli,
attraverso un sistema di fratture. Infine, Scandone et al. (1991), ha proposto come origine
dell’IC, la Pianura del Volturno, nella parte settentrionale della Piana Campana. Tuttavia,
altre pubblicazioni (Fisher et al., 1993; Orsi et al., 1992, 1996; Civetta et al., 1996; Rosi
et al., 1996), sostengono che l’Ignimbrite Campana si sia originata nella zona interna dei
Campi Flegrei. In particolare, Orsi et al. (1992, 1996), utilizzando dati provenienti da
studi di settore, analisi gravimetriche e sondaggi magnetici, ha definito quella dei Campi
Flegrei come una caldera generatasi durante due importanti episodi eruttivi: quello che ha
generato l’Ignimbrite Campana (37 ka) ed il Tufo Giallo Napoletano (12 ka). Alcuni
autori (Civetta et al., 1996; Rosi et al., 1996), hanno ipotizzato che la caldera iniziò a
crollare nel corso dell’eruzione. Il collasso della caldera, il cui margine settentrionale non
è attualmente esposto, si è probabilmente realizzato sia attraverso la formazione di nuove
faglie, sia attraverso la parziale riattivazione di alcune strutture regionali preesistenti. La
caldera flegrea copre un’area di circa 230 km
2
e racchiude tutti i centri eruttivi attivi dopo
l’eruzione dell’IC. L’area collassata comprende una parte sommersa ed una emersa.
1.3.2 Il Tufo Giallo Napoletano
Il Tufo Giallo Napoletano (TGN) è il secondo più grande deposito
piroclastico della zona vulcanica Campana dopo quello dell’Ignimbrite Campana (Alessio
et al., 1971, 1973, 1974;. Barberi et al., 1978;. Cassignol & Gillot, 1982; Deino et al.,
1994;. Fisher et al., 1993). La sequenza del Tufo Giallo Napoletano è divisa in due
membri: membro inferiore (A) e membro superiore (B). Questi rappresentano i prodotti
di due diverse fasi eruttive, rispettivamente dispersi su una superficie di almeno 1000 km
2
(Wohletz et al., 1995). I due membri, sono distinguibili sulla base di caratteristiche