INTRODUZIONE La repubblica romana, che ha sempre suscitato un certo fascino,
soprattutto per il ricordo delle sue grandi conquiste, quantomeno
stupefacenti per quell’epoca, costituisce soprattutto un eccellente
esempio di politica. Infatti, in essa sono racchiuse tutte le
rappresentazioni concrete della politica: prima la comunità, poi
l'organizzazione dei poteri e quindi delle istituzioni per governarla,
quindi le lotte e le rivendicazioni dei più deboli contro i grandi e le
successive conquiste sociali.
L’oggetto di questo studio è proprio la politica romana nella
repubblica, o meglio i sistemi della sua corruzione sotto l’aspetto
elettorale; in sostanza, quello che oggi si definirebbe “voto di
scambio”, benché questa definizione, per la specificità dell’argomento
che si tratterà in seguito, nonché per le varie forme assunte dalla
corruzione politica, sembra troppo generica e riduttiva.
Il tema specifico di questo lavoro è dunque lo studio del crimen
ambitus . Nel corso dell’indagine (si veda il cap. III, § 3) sarà
analizzata anche la relativa terminologia. Qui è sufficiente dire che il
termine, benché specificamente riferito ad un reato (un crimina ,
appunto), nel suo generico senso, e volendo guardare ai tipi di
comportamenti concreti da esso sanzionati, può comprendere tutte
quelle azioni volte, in un certo senso, ad acquisire un indebito
accaparramento di voti nelle elezioni alle magistrature. In sostanza, il
crimen ambitus è un reato, quindi, che sanziona genericamente il
broglio elettorale, a prescindere dalle concrete modalità della sua
attuazione. Infatti, il suo sistema sanzionatorio comprende, come si
vedrà più avanti, varie condotte che, col passare degli anni, sono state
considerate interdette e quindi contenute nella fattispecie.
L’indagine è volta alla trattazione del crimen ambitus nella sua
evoluzione repubblicana (dal 509 al 27 a. C.). In primo luogo, perché
è all’inizio di tale epoca che si manifestano i primi comportamenti
ritenuti condannabili, e sempre in età repubblicana il crimen vive la
sua evoluzione, per raggiungere poi la massima considerazione verso
la fine del periodo repubblicano, soprattutto in concomitanza con i
sanguinosi conflitti sociali dell’epoca.
Alla fine della repubblica, e soprattutto con l’avvento del principato, il
crimine considerato perde i suoi caratteri peculiari di broglio elettorale
in senso stretto e tende a trasformarsi, anche a causa dei mutati sistemi
elettorali di queste epoche.
Essendo il crimen ambitus comprensivo di azioni finalizzate al broglio
elettorale, per meglio comprendere i meccanismi concreti mediante i
quali tale broglio veniva posto in essere, il presente studio si apre con
un breve ma necessario esame delle sedi principali delle elezioni
repubblicane, cioè i comizi (curiati, centuriati, tributi), le assemblee
del popolo che materializzano la democraticità delle pubbliche
istituzioni romane, e dove tutti i cittadini erano chiamati ad eleggere i
magistrati e ad approvare le leggi da loro proposte.
Successivamente lo studio, anziché porsi come oggetto immediato
l’analisi del broglio, tende a introdurre tale argomento cercando prima
di descrivere gli elementi che hanno costituito i presupposti per
l’attuazione del crimine; per questo si è proceduto ad analizzare
innanzitutto il tessuto sociale di Roma, per passare successivamente
ad esaminare uno dei capisaldi della vita sociale e politica della
repubblica, cioè l’istituto della clientela. Inoltre, si sono anche
descritti i meccanismi delle procedure di voto che, così come erano
stati congegnati, essi stessi agevolarono il broglio elettorale.
Infine, dopo queste necessarie indagini preliminari attorno alle sedi e
ai meccanismi elettorali, nonché attorno ai presupposti sociali, si è
proceduto ad entrare nel cuore della trattazione, cioè allo studio del
crimen ambitus . Per analizzare fino in fondo tutti gli aspetti della
problematica del broglio, oltre ad una brevissima descrizione del
cursus honorum , la quale serve più che altro a ricordare i caratteri
essenziali delle cariche pubbliche a cui aspiravano gli uomini politici,
si sono trattati sia i requisiti personali dei candidati, che i sistemi di
propaganda elettorale che essi attuavano, iniziando in tal modo a
introdurre i mezzi di propaganda illecita che poi andranno ricompresi
nella fattispecie del crimen ambitus . Quindi, partendo da
un’introduzione che descrive le varie tesi sull’etimologia dei termini,
l’analisi è stata dedicata alla qualificazione del crimine e alla
legislazione intesa a reprimerlo, emanata nel corso della repubblica e
nei primi anni del principato. Tale studio non ha potuto prescindere
dall’approccio storico, giacché la configurazione e l’evoluzione della
figura del crimen ambitus possono essere meglio comprese solo
mediante il supporto dei fatti; perché sono stati soprattutto gli
avvenimenti sociali e politici, succedutisi nel corso del tempo, che
hanno ispirato o contingentato l’opera dei legislatori che hanno
cercato di frenare, anche se con motivazioni diverse tra loro, la
corruzione politica e il broglio.
Quindi, possiamo osservare che, in concomitanza ad una certa
situazione sociale, si sono vietate determinate condotte piuttosto che
altre, ovvero si sono comminate sanzioni diverse da quelle comminate
in corrispondenza di altri momenti della vita repubblicana. Così,
mentre le prime norme vietavano addirittura l’accentuazione della
bianchezza delle vesti dei candidati, nel corso del tempo si sono
invece vietate le feste e i banchetti a fini elettorali, o si sono puniti
coloro che distribuivano il denaro dei candidati fra gli elettori (i
divisores ). Sempre mediante lo spunto storico, si è poi effettuato uno
studio di stampo più squisitamente giuridico, inteso tra l’altro alla
dimostrazione della difficile configurazione del crimen , nonché
all’individuazione dei sistemi processuali ad esso dedicati o da esso
ispirati.
Le campagne elettorali, specialmente negli ultimi anni della
repubblica, sono state molto spesso accompagnate anche da violenze
e atti di sangue. Ed è proprio di tali argomenti che si occupa l’ultima
parte dello studio sul crimen ambitus , la quale è essenzialmente
fondata sulla citazione diretta delle fonti, che testimoniano con perizia
di particolari sia i trucchi per brigare sia gli avvenimenti violenti che
hanno determinato addirittura la selezione di coloro che hanno
governato.
Infine, mediante una sorta di conclusione a quest’indagine, oltre a
ricapitolare sinteticamente gli avvenimenti essenziali che hanno
caratterizzato la vita sociale e politica della repubblica, si sono
evidenziate, sulla base di studi più tecnici, soprattutto le motivazioni
di fondo che hanno ispirato la legislazione disciplinante il crimen
ambitus . Da quest’ultimo studio e dalle considerazioni finali, si vedrà
quanto la storia del crimen ambitus è stata intimamente collegata a
quella degli avvenimenti repubblicani, e altresì quanto è stato
difficoltoso, nel corso di tutta la sua evoluzione, definire in modo
compiuto, e quindi configurare penalmente, questa complessa
fattispecie criminosa.
CAPITOLO I LE ASSEMBLEE POPOLARI
§ 1 - Premessa Il presente lavoro, essendo teso ad analizzare in particolare la
propaganda elettorale e il crimen ambitus , non potrà fare a meno di
trattare il tema della corruzione in generale della Roma repubblicana.
Tale fenomeno, tra l’altro attualissimo, in primo luogo tende a sfatare
il mito retorico delle virtù degli antichi romani, quella visione
oleografica del mondo romano che vive tuttora.
Tuttavia, sebbene nelle pagine che seguono si racconterà sovente del
malcostume romano, è necessario premettere che lo studio mai avrà
l’intenzione di negare i meriti delle strutture politiche e
amministrative che hanno caratterizzato la vita di questo universo.
Considerato che la trattazione avrà essenzialmente ad oggetto la
campagna e il broglio elettorale, prima di trattare le specificità proprie
di questi fenomeni, sembra opportuno soffermarsi sulle sedi ufficiali, i
comizi popolari, in cui gli effetti dei sistemi di influenza e pressione si
riverberano e nelle quali si agitano i protagonisti della scena politica
romana. Inoltre, è anche grazie alle stesse modalità di funzionamento
delle votazioni comiziali, che vengono incentivati e agevolati i
meccanismi dell’influenza e del broglio.
Date queste considerazioni, questa parte dello studio si apre dunque
con la trattazione delle caratteristiche generali delle assemblee
popolari, così che le iniziali notizie e considerazioni di questo primo
capitolo possano fare da sfondo ma anche da introduzione ai temi più
specifici che verranno trattati oltre.
E’ importante premettere che l’ordinamento politico romano, non
definito da una costituzione scritta che distinguesse, fra l’altro, il
pubblico dal privato, era impostato su un’ambiguità di fondo: da una
parte, essendo la società configurata sugli exempla dei mores
maiorum , l’ordinamento poggiava sul modello gentilizio 1
, dall’altra si
costruiva su organismi civici e meccanismi di funzionamento
pubblico, legati alla crescita della città e del suo dominio, e quindi in
continua formazione 2
.
Il popolo romano, in quanto insieme di tutti i cittadini, esiste come
entità indipendentemente dall’esistenza di ciascuno dei suoi
componenti: ma è un’esistenza in qualche modo virtuale. Infatti, il
popolo passa dalla potenza all’atto nel momento in cui uno dei suoi
interlocutori ufficiali lo chiama in esistenza; solo così diviene una
1
Vedi infra .
2
PANI, Gruppi di governo e clientele: assemblee, elezioni , Civiltà dei Romani, 2,
Il potere e l’esercito , in S. Settis (a cura di), Milano, pag. 46 ss.
realtà , che si concretizza nelle assemblee. E c’è solo un modo per
definire queste assemblee del popolo: è la parola comitia ,
l’”adunata” 3
.
Quindi, si può dire che la sovranità in un certo senso apparteneva al
popolo, in quanto esso eleggeva i magistrati, dichiarava la guerra e
faceva trattati. Però il popolo poteva riunirsi solo su ingiunzione di
uno dei magistrati superiori, poteva votare solo le proposte che questi
decideva di sottoporgli, scegliere i candidati da una lista che questi
appunto gli proponeva e dire solo sì o no alla legge che da lui gli
veniva presentata. Poteva esserci un dibattito preliminare, ma nessuno
poteva prendere la parola se non su invito del magistrato che aveva
convocato l’assemblea, sebbene altri magistrati potessero anch’essi
convocare riunioni per discutere e sollecitare l’opinione di persone
diverse. E tutto ciò rimase valido per tutto il periodo repubblicano 4
.
Il popolo romano, oltre ad essere composto da un certo numero di
cives , è strutturato anche in un numero molto preciso di "partiti" e
sotto-unità, che sono le curie, le centurie e le tribù. La regola
3
Trascendendo i normali limiti di una città-stato, Roma si era negata la possibilità
di governarsi democraticamente, almeno nel senso che questa espressione aveva a
quel tempo. Il concetto di governo rappresentativo era ancora allo stato di
abbozzo. E’ vero che Roma aveva delle assemblee, sebbene non fossero basate,
come Atene, sul principio dell’uguaglianza. Ma il territorio non troppo esteso e il
ridotto numero di cittadini di Atene, permetteva a tutti di partecipare
all’assemblea. Invece, nel II sec. a. C., vi erano cittadini romani che abitavano a
un centinaio di miglia verso sud e a quasi duecento verso est; quindi, pochi di essi
potevano permettersi le spese di viaggio (BRUNT, Classi e conflitti sociali nella
repubblica romana , Bari 1976, pag. 22).
4
BRUNT, op. ult. cit., pag. 74.
fondamentale è che la volontà del popolo non scaturisce dalla
maggioranza dei cittadini ma, a seconda dei casi, dalla maggioranza
delle curie, delle centurie o delle tribù 5
. Dunque, ciò che caratterizza
fondamentalmente le assemblee romane è il fatto che esse risultano
non dalla riunione di un numero indefinito di individui, ma di un
numero limitato e preciso di unità di raggruppamento, in seno alle
quali ogni individuo dà il suo parere ma la cui unica opinione
registrata sarà quella collettiva 6
.
§ 2 - I Comitia curiata Già nella primitiva società romana vige il principio della sovranità
popolare e lo stato che inizia a formarsi è l’immagine della famiglia,
prima società naturale. In tale contesto l’agglomerarsi di più famiglie
determina il formarsi di quei gruppi che furono le gentes . Ed è il
raccogliersi di queste gentes in una medesima cerchia e sotto un
comune imperio che segna il passaggio dalla costituzione gentilizia
alla costituzione politica.
Le gentes stabiliscono come principio quello di non ammettere nella
qualità di cittadini persone fuori dalla loro cerchia; infatti sono le
5
PADELLETTI, Storia del diritto romano , Firenze 1878, pag. 15. Per Polibio (VI,
3), quella romana è una costituzione mista, della quale il senato rappresenta
l'elemento aristocratico, i consoli l'elemento monarchico, e i comizi quello
democratico (BRUNT, La caduta della repubblica romana , Roma 1988, pag. 21-
22).
6
NICOLET, Il cittadino, il politico , in L’uomo romano (di A. Giardina), Bari
1989, pag. 20.