2
ricerca che vede impegnati numerosi linguisti che affrontano
questo tema con propositi diversi tra loro e fornendoci materia
per approfondimento in più direzioni. Weinreich definisce il
fenomeno in questione come “deviazione dalle norme dell’una e
dell’altra lingua che compaiono nel discorso dei bilingui come
risultato della loro familiarità con più di una lingua, cioè come
risultato di un contatto linguistico.”
2
Nello specifico di questo
lavoro il fenomeno dell’interferenza verrà trattato nel suo
complesso, facendo riferimento sia ai fenomeni di contatto sia
all’ influsso tra sistemi linguistici e si farà inoltre riferimento alla
specificità di altre lingue.
2. Strumenti descrittivi.
Tra i meccanismi di arricchimento di una lingua si è rivelato
molto produttivo l’inserimento di forestierismi, cioè di parole
straniere provenienti da lingue straniere, e in particolare, per quel
che ci interessa, di anglicismi. Il meccanismo più immediato e
riconoscibile con cui una parola passa da una lingua all’altra è
quello del prestito. Secondo quanto asserisce Gusmani, a rigore
dovremmo chiamare prestito “qualsiasi fenomeno di interferenza,
connesso cioè col contatto e col reciproco influsso di lingue
diverse, ove per lingue si dovrebbero intendere non solo quelle
letterarie, nazionali e cosi via, ma anche quelle individuali,
proprie di ciascun parlante. Infatti l’arricchimento di una
qualsiasi tradizione linguistica sotto l’influsso di un’altra
costituisce un caso di prestito.”
3
Secondo Dardano, “ si ha
2
Weinreich 1974:3.
3
Gusmani 1993:9.
3
prestito quando la nostra lingua utilizza e finisce per assumere un
tratto linguistico che esisteva precedentemente in un’altra lingua
e che non aveva riscontro nella nostra.”
4
Gli strumenti
terminologici descrittivi utilizzati per questo lavoro sono:
- Anglicismo esterno. Si tratta di una tipologia di prestito
che si realizza nei casi in cui l’anglicismo, accettato e
integrato nella lingua di arrivo, ha chiara origine inglese.
Esempio: cocktail.
- Prestito apparente, falso prestito o pseudoanglicismo. Il
solo aspetto alloglotto di un termine non può mai essere
prova sufficiente per reputarlo un forestierismo. Le
condizioni indispensabili per assegnare ad un termine lo
statuto di prestito vero e proprio, sono l’individuazione di
un modello alloglotto ispiratore e la possibilità di
dimostrare che tra modello e replica intercorra un reale
rapporto mimetico di dipendenza: se tali condizioni non
vengono soddisfatte, ci si trova di fronte ad un prestito
apparente. Secondo Gusmani
5
, la categoria dei falsi prestiti
raggruppa “parole che hanno l’aspetto di forestierismi o
sono addirittura identiche, in apparenza, ad un termine
straniero, ma che in realtà sono state create
indipendentemente da un modello straniero preciso”. Il
fatto che non ci si trovi di fronte ad un autentico fenomeno
di prestito è dimostrato o dall’assenza di un eventuale
corrispondente nella lingua straniera o, se questo esiste, dal
fatto che esso presenta un significato diverso. La fortuna di
4
Dardano 1996:256.
5
Gusmani 1993:106.
4
queste parole è dovuta soprattutto al prestigio di cui gode
la lingua che offre il modello, nello specifico di questo
lavoro l’inglese, che porta a preferire una determinata unità
lessicale di aspetto straniero all’equivalente presente nella
propria lingua madre, ma anche a volte alla dipendenza
tecnica dagli Stati Uniti come ha fatto notare Filipovic “ la
ragione principale per cui gli anglicismi vengono più
frequentemente usati per riempire le caselle vuote dei
vocabolari delle lingue europee è il fatto che tante
invenzioni industriali e gadgets insieme con la nuova
forma organizzativa del settore economico e sociale
vengono dai paesi di lingua inglese”. Esempio: autogrill.
- Prestito decurtato. Si tratta di “quei composti inglesi che
appaiono, soprattutto in francese e in italiano, in una forma
abbreviata, cioè in genere con la perdita del secondo
elemento: dunque la discrepanza rispetto al modello
concerne il significante”.
6
Esempio: duty free dall’inglese
duty free shop.
- Prestito di ritorno. Si tratta di un denominazione ben
consolidata nell’uso, ma impropria visto che la parola che
“ritorna” non è la stessa che a suo tempo è stata presa in
prestito dalla lingua straniera ma presenta delle
modificazioni o sul piano del significante o sul piano del
significato. Esempio: beauty-case.
- Calco semantico. Si tratta della forma più discreta di
influsso di una lingua su un’altra, poiché non comporta
una modificazione dell’inventario lessicale di una lingua.
6
Gusmani 1993:100.
5
La condizione indispensabile del calco semantico è che il
modello straniero sia polisemico, cioè caratterizzato da un
significato primario e da uno o più valori secondari, ed
inoltre che esista nella lingua ricevente un termine il cui
significato coincida con una delle accezioni del lessema
alloglotto. Il calco semantico, quindi, “consiste nel far
combaciare nella misura più ampia possibile le funzioni
semantiche delle due parole tra le quali viene istituito il
rapporto”
7
, al punto da poter essere considerato anche
come un fenomeno di polisemia indotta. Esempio: il
termine italiano pacchetto che ha mutuato la sua
accezione turistica dal modello inglese package.
- Calco strutturale. Perché si possa verificare questo tipo di
calco, è necessario che il parlante della lingua replica sia
capace di analizzare la motivazione strutturale e semantica
del modello alloglotto. È fondamentale che il modello
straniero abbia un significato descrittivo e sia
strutturalmente motivato in modo che attraverso il calco
strutturale sia possibile ricreare nella lingua replica la
duplice motivazione del modello. Esempio: il termine
italiano supervisione dal modello inglese supervision.
- Calco parziale. Per definizione i calchi parziali sono quelle
repliche che imitano un modello alloglotto, riproducendo
fedelmente un solo componente, mentre l’altro elemento
viene ricalcato con materiale linguistico indigeno.
Esempio: il termine italiano servizio shuttle modellato
sull’espressione inglese shuttle service.
7
Gusmani 1993:227.
6
- Calco sintagmatico. Questo tipo di calco consiste
nell’imitazione di un sintagma alloglotto attraverso una
replica che presenta anch’essa una struttura sintagmatica.
Esempio: il termine italiano operatore turistico è
modellato sulla locuzione inglese tour operator e presenta
un’inversione nell’ordine dei costituenti rispetto
all’archetipo alloglotto.
- Calco concettuale. In questo tipo di calco, l’autonomia
della lingua replica è molto forte. La resa indigena di
un’espressione straniera, in questo tipo di calco, non ha
con il modello una qualsiasi relazione formale o
semantica. L’interferenza concettuale, come afferma
Gusmani, “può precedere l’autentica interferenza
linguistica, che si ha quando il termine straniero da stimolo
diventa un modello (più o meno fedelmente imitato)
dell’innovazione, ovvero può subentrare ad essa quando,
per qualsiasi motivo, un prestito o un calco non riescono
ad imporsi in un certo ambiente linguistico, che preferisce
attribuire ai nuovi concetti forme di espressione
d’impronta più chiaramente indigena”
8
. Il calco
concettuale, inoltre, non costituisce solo un aspetto delle
relazioni culturali tra due comunità, ma produce anche
delle conseguenze dirette sul piano linguistico, perché
stimola o rivitalizza la creatività di una lingua. Tra i calchi
concettuali spiccano due fenomenologie tipologiche: le
traduzioni approssimative, in cui la lingua replica impiega
un lessema già in circolazione o rivitalizza un proprio
8
Gusmani 1993: 249.
7
arcaismo, conferendo a questo termine una nuova
accezione mutuata dal forestierismo (come l’italiano
panfilo, rivitalizzato per rendere l’inglese yacht;
- i neologismi sostitutivi sono quelle formazioni della lingue
replica motivate dal bisogno di trovare una resa per un
elemento alloglotto che non trova nella lingua ricevente un
adeguato corrispondente: si veda, ad esempio, l’italiano
oleodotto che riproduce l’inglese pipeline
9
.
- Clipping. Il fenomeno del clipping è stato analizzato da
Hans Marchand
10
, da Valerie Adams
11
e da Laurie Bauer
12
.
Secondo Marchand, il clipping è un fenomeno linguistico
attraverso il quale un lessema semplice o complesso viene
ridotto a una delle parti che lo compongono, mantenendo
inalterato il suo valore; per esempio l’inglese laboratory,
segmentato in lab e, in ambito italiano, il termine
informazioni, che viene rielaborato come info. Spesso
accade che il clipping si risolva come cambio stilistico: il
termine non abbreviato viene spesso utilizzato in situazioni
formali, mentre la clipped-form nasce e viene impiegata in
ambiti colloquiali. I risultati di questo fenomeno (clipped
forms) sono ovviamente lessicalizzati; i parlanti eliminano
una porzione del corpo sonoro della parola, sicuri del fatto
che i loro interlocutori saranno comunque capaci di capire
ciò a cui si riferiscono. In base a quanto asserisce
Marchand le clipped-forms possono essere classificate in
9
Gusmani 1993:247.
10
Marchand 1969.
11
Adams1973.
12
Bauer 1983.
8
base al tipo di riduzione a cui il lessema viene sottoposto:
ci sono quindi back clipping, fore clipping e clipping in cui
“the middle of the word is retained”
13
. Il tipo di clipping
più comune è il back clipping, che consiste nel
mantenimento della parte iniziale di un lessema, semplice
o composto.
- Blend. Il tecnicismo blend, registrato, secondo l’OED, per
la prima volta nel 1911, designa “a word or phrase formed
by blending”. Una precedente attestazione riferita al
sintagma blend word , in base ai dati forniti dall’OED,
risale al 1909, mentre dal 1892 è documentato in inglese il
termine blending, per la cui definizione l’OED rimanda al
lemma contamination, “the blending of forms, words, or
phrases of similar meaning or use so as to produce a form,
word, or phrase of a new type”. Un esempio di blend è il
termine fantine, fan + (mag)azine.
14
”. Laurie Bauer in cui
definisce il blend come un nuovo lessema formato “from
parts of two (or possibly more) other words in such a way
that there’s no transparent analysis into morphs
15
”.
L. Bauer fa anche riferimento al romanzo Through the
Looking Glass (1872) di Lewis Carrol che usa diversi lessemi
creati attraverso questo procedimento e definiti nel saggio
portmanteau words, poiché contengono i significati di due
lessemi differenti che in un certo modo vengono “packed up
in one word
16
”. Anche il procedimento di blending rientra nei
13
Marchand 1969:444.
14
Jespersen 1922:312.
15
Bauer 1983:234.
16
Bauer1983:234.
9
processi di Wortbildung. In base alle fonti che abbiamo
consultato, il tecnicismo blend non è ancora registrato nei
repertori di terminologia linguistica che abbiamo consultato.
Il blend viene analizzato alla voce parola macedonia,
sintagma che secondo Fanfani
17
, fu coniato da Bruno
Migliorini, che lo impiegò per la prima volta nell’Appendice
del Dizionario Moderno (1942): “Nella terminologia
sindacale, operai metalmeccanici, metallurgici e meccanici.
Parola macedonia, sul tipo di postelegrafico”. In base a
quanto riportato dal DISC alla voce parola, con questa
locuzione si indica “una parola formata da frammenti di altre
parole; le parole macedonia sono usate soprattutto nel
linguaggio giornalistico e in campo commerciale e
burocratico”.
17
Fanfani 1997:12-29.
10
Capitolo Primo
L’inglese e le altre lingue europee
1. La conoscenza delle lingue straniere nell’Unione Europea.
Il 2001 è stato dichiarato dalla Commissione Europea e dal
Consiglio d’Europa, “Anno Europeo delle Lingue”. Lo stimolo di
questa iniziativa nasce, secondo gli organizzatori, dalla
consapevolezza che la diversità linguistica costituisce “un
elemento fondamentale dell’eredità culturale europea e del suo
futuro”, e in questo futuro “tutte le lingue in Europa svolgono un
ruolo fondamentale”
18
. La motivazione per cui questa iniziativa è
nata non è tanto quella di promuovere l’insegnamento delle
lingue straniere ma la volontà di diffondere l’idea che è
fondamentale capire, anche molto sommariamente, la lingua
materna dell’altro. Secondo uno studio dell’Eurobarometro,
19
le
lingue ufficiali dell’Unione sono parlate come madrelingua dalle
percentuali della popolazione europea illustrate dal grafico che
segue:
18
http://www.europa.eu.int/comm/education/policies/lang/year/year_it.html (Ultimo
accesso 29/10/04).
19
http://europa.eu.int/comm/public_opinion/
11
Tedesco 24%
Francese 16%
Inglese 16%
Italiano 16%
Spagnolo 11%
Olandese 6%
Greco 3%
Portoghese 3%
Svedese 2%
Danese 1%
Finlandese 1%
2. L’Europa plurilingue.
Il plurilinguismo in Europa è una questione molto dibattuta. Il
Portfolio Europeo delle Lingue (PEL) e il Quadro Comune
Europeo di Riferimento per le Lingue sono divenuti, negli ultimi
anni, oggetto di studi, dibattiti e sperimentazioni nei diversi paesi
europei alla luce delle nuove competenze linguistiche richieste al
cittadino europeo. Secondo quanto già dichiarato nel Libro
bianco: " Insegnare ed apprendere: verso la società conoscitiva"
del 1995
20
"la conoscenza di più lingue diventa condizione
indispensabile per permettere ai cittadini dell'Unione di
20
http://www.europa.eu.int/en/record/white/edu9511/index.htm (Ultimo accesso 29/10/04).
12
beneficiare delle possibilità professionali e personali offerte dalla
realizzazione del grande mercato interno senza frontiere". La
Commissione Europea ha elaborato un grafico che mostra la
percentuale dei cittadini europei che parlano le lingue dei singoli
paesi dell’UE (come L1 o come lingua straniera):
Dall’analisi dei dati statistici riportati in questo grafico si evince
quanto segue:
L’inglese è la lingua più diffusa nell’Unione Europea. Il 16%
della popolazione europea è di madrelingua inglese. A questa
percentuale si somma il 31% dei cittadini europei che
posseggono una competenza linguistica tale da permettergli di
13
sostenere una conversazione in lingua. Per quanto riguarda le
altre lingue, il loro grado di diffusione è connesso al numero di
abitanti di ciascun paese. Il tedesco è la L1 del 24% della
popolazione europea ed è utilizzato come L2 dall’8% della
popolazione dell’Unione Europea. L’italiano occupa la quarta
posizione. Il francese e l’italiano vengono utilizzati come L1
dalla stessa percentuale di persone ma, la proporzione di coloro
che parlano l’italiano come L2 o come lingua straniera è
decisamente inferiore (2%). A livello europeo, lo spagnolo è
parlato dal 15% della popolazione (11% come L1 e 4% come
lingua straniera), mentre una percentuale di persone pari all’1%
dichiara di possedere le capacità linguistiche per poter sostenere
una conversazione in danese, olandese o svedese. Da diverse
indagini effettuate in questo settore emerge che metà Europa è
già plurilingue poiché il 45% dei cittadini europei è capace di
iniziare e sostenere una conversazione in una lingua diversa dalla
propria. Ovviamente tra uno Stato e l’altro intercorrono delle
differenze: per esempio, in Lussemburgo la maggior parte della
popolazione conosce una lingua straniera ad un livello
accattabile; lo stesso discorso vale per i Paesi Bassi, la
Danimarca e la Svezia dove 8 persone su 10 parlano una lingua
straniera. I più conservativi e meno propensi a parlare un’altra
lingua sono i cittadini del Regno Unito, Irlanda e Portogallo dove
meno di un terzo dichiara di conoscere una lingua diversa dalla
propria. Un’indicazione sintetica proviene dal cosiddetto indice
di diversità linguistica, che misurala probabilità che due cittadini
presi a caso in uno stato abbiano diverse lingue materne. L’indice
va da 1 (massima differenza) a 0 (massima omogeneità). Per
14
l’Italia, calcolandolo per difetto su una gamma di 33 lingue
parlate (includendo i dialetti il numero crescerebbe molto),
l’indice è di 0,59: uno dei più alti in Europa, più che doppio
rispetto alla media europea (0,26), secondo solo a quello del
Belgio trilingue (0,65) e molto superiore, per fare qualche
esempio, a quello della Svizzera, ufficialmente quadrilingue
(0,53), e di Russia (0,27), Francia (0,24), Germania (0,18) o
Regno Unito (0,07)
21
. Di seguito riportiamo l’indice di diversità
degli altri paesi europei
22
:
- Albania 0,26;
- Austria 0,14;
- Bosnia-Erzegovina 0,00;
- Bulgaria 0,22;
- Croazia 0,07;
- Repubblica Ceca 0,06;
- Danimarca 0,05;
- Estonia 0,48;
- Finlandia 0,14;
- Grecia 0,14;
- Ungheria 0,14;
- Irlanda 0,17;
- Liechtenstein 0,13;
- Lussemburgo 0,53;
- Malta 0,02;
- Paesi Bassi 0,20;
- Norvegia 0,08;
21
Lorenzetti 2002:11.
22
http://www.ethnologue.com/show_map.asp?name=Europe (Ultimo accesso 29/10/04).
15
- Polonia 0,12;
- Portogallo 0,02;
- Romania 0,20;
- San Marino 0,00;
- Slovacchia 0,25;
- Slovenia 0,17;
- Spagna 0,44;
- Svezia 0,37;
- Turchia 0,25;
- Ucraina 0,48;
- Stato del Vaticano 0,00;
- Jugoslavia 0,32.
3. La diffusione dell’inglese.
Dall’inizio del nostro secolo la politica linguistica europea e
nazionale è orientata alla promozione dell’inglese come lingua
franca. Nel ‘500 l’inglese era una lingua parlata da 6/7 milioni di
abitanti delle isole britanniche; oggi ha conosciuto un grado di
diffusione tale da aver assunto lo status di mezzo di
comunicazione necessario
23
. Un terzo della popolazione
mondiale utilizza regolarmente l’inglese o si trova
quotidianamente “esposto” ad esso. Allo stato attuale, secondo
alcuni lavori statistici che prendono in considerazione la
conoscenza della lingua inglese a livello mondiale, sono 750 i
milioni di persone che parlano inglese
24
. Secondo D. Crystal,
23
Kachru 1996:11-14.
24
Quirk 1995:1-9.