6
dettate da condizioni economiche altamente sfavorevoli. L’opzione
soggettiva, così, spariva per fare il posto ad una Maltusiana passivi-
tà. Nel lavoro appena citato, composto da una numerosa ed impor-
tante raccolta di saggi di autori di diversa estrazione, si cerca così di
ridare un volto e una volontà a chi partiva lasciando le proprie abi-
tazioni e la propria terra. Il motivo centrale, certo, era sempre detta-
to dalla ricerca di condizioni economiche e sociali migliori, ma ciò
non toglieva la presenza di soggettività e strategie all’interno di un
ventaglio, sia pur ristretto, di scelte.
4
La mobilità, quindi, sarà il cardine di questa tesi. Essa però
non sarà vista separata dalle sottostanti strutture economiche e so-
ciali. Quello che si tenterà di evidenziare nelle pagine che seguono è
il rapporto che esisteva, nel periodo che dal 1880 porta alla vigilia
della Prima Guerra Mondiale, fra il Comune di Montelupo e gli altri
luoghi, non solo dal punto di vista strettamente numerico e quanti-
tativo dei soggetti emigrati, ma analizzando le componenti socio-
economiche di tale mobilità. Tale “mappatura” dovrà poi andare a
far parte di quella più generale della Regione e, infine essere colloca-
ta nel quadro complessivo dell’Italia del periodo. Quello che si vuo-
le, alla fine, portare in superficie, è un’immagine assai meno statica
di come apparirebbe se si considerassero le caratteristiche tipiche
del luogo.
4
Come fanno notare i curatori, sin dalle prime pagine, è interessante notare una forte presenza
di antropologi fra i fautori della revisione storiografica citata. Anche Sori qualche anno prima,
letteralmente ribadiva “ Ho la netta impressione che, di recente, i migliori contributi alla storia
dell’emigrazione siano venuti più da capitoli di lavori a largo spettro scientifico e tematico […]
che dai cultori della materia migratoria in senso stretto”. Sori , E. 1991 p.61. Per una disamina
legata alle dinamiche sociali viste in un’ottica non solo di passiva accettazione di destini ingrati
vedi il recente lavoro di Salierno, G. 2001.
7
Inoltre, sarà sempre presente un ben precisa interpretazione
dello sviluppo economico della Regione: quella avanzata da Becatti-
ni e magistralmente esposta in un suo intervento di ormai una
quindicina d’anni fa
5
, pur se rivisitata criticamente alla luce di altre,
diverse, interpretazioni.
Ecco, in questo senso, scorrendo la composizione socio-
economica di chi partiva o arrivava da Montelupo, cercherò di veri-
ficare se anche l’attitudine alla mobilità legata a particolari attività
sia da inserire in quell’originale concezione della “lunga durata”
dell’autore appena citato.
Queste sono quindi le tematiche principali che affronterò:
mobilità e strutture economiche, appunto, come recita il titolo, ma
non limitate a Montelupo come punto d’inizio e fine di questo lavo-
ro. Anzi, Montelupo rimane sullo sfondo, come pretesto, quasi, per
innescare la discussione sui temi centrali per la storia della Toscana
e dell’Italia del Novecento. Ma quali sono questi nodi della storia
economica e sociale che possono accomunare Montelupo e L’Italia
passando per la Toscana e per le varie aree di cui essa era ed è com-
posta? Quali sono i punti centrali emersi studiando le componenti
di micro-realtà in una ottica il più ampia possibile, senza per questo
sacrificarne le peculiarità sull’altare di ormai ingiustificabili genera-
lizzazioni?
1. Mobilità ed emigrazione. Montelupo, piccolo paese di carattere
prettamente agricolo, con poche industrie rilevanti e con la presen-
za di una classica struttura mezzadrile, non era un paese immobile.
5
Becattini, G. 1986.
8
L’area ove esso era situato vide nel periodo oggetto della tesi,
un’ampia migrazione all’estero, che, se pur non raggiunse i livelli di
altre zone d’Italia, pur tuttavia non è da considerare trascurabile.
6
Inoltre, come abbiamo avuto ampiamente modo di verificare nel
presente lavoro, anche la mobilità locale si manteneva ad alti livelli.
Le comunicazioni e gli scambi fra i paesi limitrofi erano ampie e so-
stenute. Ogni anno, in media, emigravano da Montelupo circa 110
persone e ne immigravano 88, un numero assai rilevante se si pensa
che la popolazione media in quel periodo oscillava fra le 6000 e le
7000 persone. Circa il 2% annuo, quindi, emigrava da Montelupo,
quota non del tutto compensata dalle immigrazioni anche se la cifra
di coloro che vi arrivavano non indica certo un paese in via di spo-
polamento. Probabilmente, le motivazioni che muovevano i mi-
granti non erano solo di tipo economico. Lo studio dei documenti
ha potuto accertare che la grandissima maggioranza dei migranti era
formata da famiglie coloniche. Questa caratteristica, oltre che a ri-
calcare la struttura socio-economica del paese è indicativa del fatto
che i proprietari terrieri del paese seguivano le modalità considerate
tipiche della conduzione colonica e quindi, nell’ottimizzare le risor-
se spostavano i nuclei mezzadrili a seconda delle necessità o delle
caratteristiche del fondo.
7
Questa caratteristica è qui solo empirica-
mente dedotta da un dato abbastanza chiarificatore: nella grande to-
talità dei casi, i coloni che immigravano o che emigravano conser-
vavano la propria condizione professionale. Questo poteva, certo,
significare l’avvio di nuovi patti colonici con altri proprietari, ma,
6
Vedi l’ultimo paragrafo del capitolo 4 in questo stesso lavoro.
7
Giorgetti, G. 1974.
9
visto il carattere totalizzante del patto stesso, è molto probabile che
la famiglia mezzadrile che si muoveva conservasse il rapporto di
mezzadria con lo stesso padrone. Certo, tale rapporto, come è più
volte stato indicato, era annuale, ma questo non per dare maggior
libertà al mezzadro ma per permettere al proprietario sempre mag-
gior arbitrio nella definizione dei patti stessi. Del resto la rottura del
patto con poca probabilità poteva essere fatta valere dal colono in
quanto, vista l’assoluta disparità del patto stesso, era assai difficile
che quest’ultimo potesse poi riaccenderne di nuovi nelle vicinanze.
Questo forse spiega le emigrazioni di Coloni verso comuni più lon-
tani, fuori provincia. Comunque, ripeto, queste sono solo deduzioni
prettamente empiriche e una loro verifica potrebbe venire se fosse
possibile incrociare i dati presenti nell’appendice di questo lavoro
con altri provenenti da altre fonti, come patti colonici, archivi ana-
grafici e quant’altro. Un dato altrettanto significante ci è venuto
dall’altra mobilità legata all’agricoltura: quella dei braccianti.
Anch’essi in numero rilevante e forma tipica della crescente proleta-
rizzazione del mondo contadino che non riguardava però solo que-
sta categoria, infatti
L’accresciuta presenza di capitali padronali [e] i numerosi tenta-
tivi di dare alla contabilità aziendale un’impostazione razionale
[…] equivaleva, per una parte crescente dei mezzadri a un mu-
tamento nella loro collocazione sociale
8
Così che
I coloni erano […] divenuti “operai condotti da rispettivi padro-
ni […]”
8
Giorgetti, G. 1974 p. 306.
10
E, in questa accresciuta fragilità
Poco bastava ormai, ad un mezzadro di questo tipo per cadere
del tutto in rovina e per andare a ingrossare le file del proletaria-
to rurale.
9
A differenza dei coloni, però, e in maniera, assolutamente ti-
pica, la famiglia bracciantile era in genere nucleare e composta di
familiari esercitanti altre professioni.
10
Nel settore non agricolo, ma
ad esso legato in maniera indissolubile, secondo le strutture tipiche
delle società protoindustriali, stavano le trecciaiole, generalmente
prevalenti su ogni altra figura migratoria. Quindi, braccianti, trec-
ciaiole ed operanti formavano un nucleo ampiamente complemen-
tare nella mobilità. Così come ampiamente dimostrata è la loro
complementarietà nell’ambito delle strutture sociali dove
Da un lato le aree appoderate […]condotte a mezzadria assicu-
rava[no] uno stabile equilibrio fra bocche e terra
Mentre
Dall’altro lato […] vi erano i pigionali […] esposti alla congiun-
tura variabile del mercato del lavoro e controllavano la fecondità
[…] regolando l’età al matrimonio.
11
Anche in tale tipologia Montelupo non presenta tratti di ori-
ginalità nell’ambito della zona ove è collocato. Protoindustria, mez-
zadria e bracciantato sono così le strutture che più frequentemente
danno origine alla mobilità, nella stessa maniera con la quale le stes-
se strutture sono quelle che conformano economicamente l’area
d’interesse. Il tratto rilevante può essere appunto rinvenuto in que-
9
Giorgetti, G. 1974 p. 307. Virgolette nel testo.
10
Barbagli, M. 2000.
11
Pescarolo, A., Ravenni, G.B.1991 p. 78.
11
sta stessa mobilità legata al mondo rurale, confermando così
l’ipotesi, ormai avanzata da anni, che l’attitudine al movimento fos-
se presente in questa realtà in misura assai rilevante e che, invece, la
tesi secondo la quale le società contadine o pre-industriali fossero
immobili è assai lontana dalla realtà. Abbiamo quindi verificato che
la mobilità era parte integrante della struttura economica e sociale
del Comune di Montelupo. Una mobilità che, evidentemente, non
nasce nel 1879, anno dal quale è presente (seguendo le direttive del-
la legge del 1865) la certificazione ufficiale usata per questo studio,
ma che, assai verosimilmente, datava da molti anni addietro se-
guendo quelle vie consuetudinarie che una storiografia di recente
formazione sta cercando, da qualche anno, di decifrare. Nella tabel-
la in appendice è riscontrabile, poi, una grande frammentazione re-
lativa alla mobilità.
In effetti, al di fuori delle strutture che abbiamo visto, molto
verosimilmente, poche erano le occasioni di impiego per nuclei
consistenti di persone, e data la presenza di strutture caratteristiche
nel territorio di Montelupo, come il Manicomio criminale, il paese si
caratterizzava per degli inusuali agganci con località normalmente al
di fuori dai consueti “itinerari” migratori.
2. Il modello toscano di sviluppo
La mobilità appena descritta ci porta nel mezzo della struttura
economica della Toscana. Infatti, ci troviamo di fronte i tre prota-
gonisti del particolare tipo di sviluppo seguito da questa parte della
Regione: braccianti, coloni e trecciaiole. Vale a dire strato agricolo
proletarizzato, mezzadria e protoindustria.. Come abbiamo avuto
modo di verificare nel capitolo dedicato alla Toscana, il settore delle
lavoratrici della paglia, ad un certo punto, assurse a vera e propria
12
industria diventando centrale per l’economia di un’intera area. Tale
industria era tale per il numero delle persone impiegate, per le mo-
dalità di conduzione del lavoro, per l’assetto tipicamente capitalisti-
co con il quale si provvedeva alla commercializzazione, ma non per
le modalità di fabbricazione del prodotto.
12
Nella commistione fra
industria, agricoltura e artigianato caratteristica del lavoro a domici-
lio si realizzava così la tipica struttura di una società protoindustriale
che diveniva paradigmatica dello stesso modello toscano, ove le po-
che industrie, classicamente intese erano situate, come ho veloce-
mente cercato di evidenziare, in tutt’altre zone.
Nell’autosfruttameno dei lavoratori a domicilio, così come in
quell’attitudine al lavoro organizzato ed al razionale sfruttamento
delle risorse umane caratteristico del mondo mezzadrile, tutta una
scuola storiografica vi ha visto i prodromi del successivo, vorticoso
ed improvviso, sviluppo economico dell’intera regione nel secondo
dopoguerra.
13
Montelupo era inserito appieno in tale struttura. Tut-
tavia, vi è un grande assente, soprattutto se rapportato
all’importanza che ha assunto per la “visibilità” del comune di Mon-
telupo ai nostri giorni: il mondo della ceramica. In realtà, come a-
vremo modo di approfondire più avanti, il settore ceramico vedeva,
nel periodo di interesse, pochissimi addetti. La ceramica, che vero-
similmente poteva essere considerato un settore più di altri tipico di
una fase protoindustriale della regione, aveva da tempo finito i suoi
giorni di gloria, tra l’altro legati alla produzione di oggetti di lusso
per le famiglie nobili fiorentine. All’epoca la produzione ceramica si
12
Vedi Kriedte, P. Medick, H., Schlumbohm, J. 1984.
13
Becattini, G. 1986, 1999, 2000.
13
caratterizzava per la fabbricazione di prodotti d’uso comune e scar-
so valore. Abbiamo invece visto che la peculiarità propria di una
strutura protoindustriale, come quella della lavorazione della paglia,
si caratterizzava per la sua ampia vocazione all’esportazione.
14
3. Dalla Toscana all’Italia
Ma se la caratteristica tipica dello sviluppo economico tosca-
no viene sempre più riscontrata nella conformazione peculiare della
piccola impresa, dei distretti industriali, della flessibilità, evitando di
andare alla ricerca di quella fabbrica, che probabilmente non c’è mai
stata,
15
un recente lavoro
16
ha rimesso in discussione l’ipotesi indu-
striale per l’intero paese. E così, si è scoperto o riscoperto che
l’Italia è stata, ed è, soprattutto un paese di piccole imprese dove il
tipico autosfruttamento che abbiamo visto essere stato peculiare del
modello toscano, in fondo, era l’asse portante di tutto il sistema, ca-
ratterizzato da uso razionale delle risorse, soprattutto umane, anche
attraverso l’emigrazione e la forte mobilità
Così Montelupo, da piccolo paese inserito in una realtà locale
potrebbe divenire paradigmatico dello sviluppo non solo della re-
gione ma anche dell’intero paese: piccola industria, autostruttamen-
to, agricoltura e paternalismo. Un mix che si è rivelato funzionante
nel lungo periodo.
4. Un nuovo paradigma?
Negli ultimi anni, tuttavia, una nuova linea interpretativa della
storia economica si è affacciata,
17
interessando anche una parte degli
14
Pescarolo, A. Ravenni, G.B. 1991.
15
Vedi Merli, S. 1972. Per una “ricerca della fabbrica” sin dal titolo cfr. Lungonelli, M. 1996.
16
Paolazzi, L., Galimberti, F. 1998.
17
Mander, J., Goldsmith, E.(a cura di) 1998.
14
?
storici tradizionali. Si è così potuto affermare, senza tema di “sco-
muniche” che
I processi di mutamento che hanno investito la realtà del nostro
tempo negli ultimi 20-30 anni [sono] tali da indurre la messa in
discussione di paradigmi di durata secolare
E che
È la nozione stessa di economia […] che non rinvia più, come in
passato, a un significato univoco
18
Continuando con l’affermazione, davvero “rivoluzionaria”
che
La novità più drammatica […] è la frattura dell’equazione pluri-
secolare: crescita economica=progresso.
19
Date queste premesse, l’edificio costruito da decenni di ricer-
che storico- economiche rischia di crollare. Infatti,
Perché andare alla ricerca del “decollo” se il caso inglese non
rappresenta più il paradigma normativo a cui rapportare le
singolarità e le anomalie di un paese arrivato tardi
20
Vi è ancora una volta da puntualizzare che più di trent’anni
or sono, Stefano Merli, nella sua fondamentale
21
opera aveva am-
piamente tracciato, attraverso una capillare e monumentale ricogni-
zione documentaria, quelle che erano le caratteristiche fondamentali
dello sviluppo italiano.
Se lo sviluppo economico, di per sé, ha perduto secondo
questa interpretazione, quei caratteri oggettivamente positivi che ha
mantenuto per buona parte della sua analisi storica, si vanno rivalu-
18
Bevilacqua, P. 1999 p.160.
19
Bevilacqua, P. 1999 p. 165.
20
Bevilacqua, P. 1999 p. 173.
21
Merli, S. 1972.
15
tando invece gli aspetti strutturali delle realtà locali. Questo ha dato,
nuova linfa per più approfondite ricerche in settori precedentemen-
te considerati “minori”, per esempio nelle ricerche su migrazioni ri-
ferite a piccole o piccolissime realtà locali.
22
Tale tendenza storio-
grafica cresciuta su un sempre maggiore interesse per le micro-realtà
e per le analisi nel dettaglio, del resto, fa parte di nuove concezioni
e ricostruzioni del mondo
23
dalle quali, in una sorta di feedback è a
sua volta influenzata e
Le particolarità di questi casi non rendono più “non filosofiche”
queste argomentazioni: al contrario, il modo in cui queste stesse
particolarità impediscono di generalizzare prematuramente e in
maniera troppo larga, dà a questi casi una rilevanza speciale.
24
Abbiamo quindi potuto verificare che Montelupo partecipava
pienamente alle caratteristiche socio-economiche della Regione e
del paese, caratterizzandosi per la presenza di quelle strutture con-
siderate tipiche del modello di sviluppo italiano. Abbiamo anche
potuto inserire nella storia di questo piccolo paese una caratteristica
comune a buona parte della società ad esso coeva: l’attitudine alla
mobilità e al movimento, intesa nel senso più ampio del termine e
riferito sia alla mobilità in senso fisico che alla capacità di mobilitare
le proprie risorse come strategie coscienti e razionali di adattamento
alle diverse realtà.
La ricerca però non si deve quindi fermare all’analisi di cosa
di un dato sistema abbia più o meno funzionato
25
ma deve provve-
dere allo smontaggio dell’oggetto per cercare di comprenderne sì le
22
Levi, G. 1985.
23
Kuhn, T.S. 1962.
24
Toulmin, S. 1991 p. 263.
25
Becattini, G. 1999.
16
modalità di funzionamento ma anche le problematiche ed i punti di
frizione: l’elenco appena passato in veloce rassegna, non è che
un’illustrazione di alcuni degli aspetti del “modello” toscano ed ita-
liano di sviluppo. Come ho già accennato, molte delle tesi qui espo-
ste sono debitrici della disincantata e parimenti profonda analisi
compiuta negli ultimi anni, o decenni, da Becattini. Tuttavia, tale in-
terpretazione, spesso, e in special modo negli scritti a noi cronolo-
gicamente più vicini, ha teso a sottacere quelle che sono le “dise-
conomie” di tale sviluppo e, anzi, ha reinserito anch’esse nel virtuo-
so fenomeno della impetuosa crescita economica della Regione e
del paese. Ma, se per Becattini, questo “occultamento” si è reso ne-
cessario per rendere più chiara la sua tesi centrale non possiamo
qui non accennare ad alcune “correzioni” che sono state apportate
a tale visione. Già in questa parte abbiamo visto che nuovi para-
digmi interpretativi della storia economica sono entrati a far parte
del bagaglio di economisti e storici del settore accademico e la sem-
plice crescita del PIL o dell’indice della produzione industriale non
possono essere considerati di per sé segni di “progresso” ma solo
segni di “sviluppo” dove quest’ultimo termine tende ad assumere
connotati assai più “neutri” che nel passato. Per parlare della regio-
ne Toscana, ma con validità per tutto il paese, l’evidente arretratez-
za nei settori più avanzati come ad esempio l’ HI-TECH o
l’insistenza sulla produzione in settori “maturi” e a bassa densità
tecnologica, non può essere proposta solamente nei termini del “ca-
labrone”
26
che vola perché non sa di non poterlo fare. Probabil-
26
Paolazzi, L., Galimberti, F. 1998.
17
mente il calabrone dell’industria italiana ha usufruito di altre spinte
per spiccare il volo oltre alla propria caparbia volontà: basso costo
della manodopera,
27
squilibri scaricati sulla società (inquinamento,
cementificazione etc..), non ultimo, l’acquiescenza delle autorità lo-
cali appiattite spesso su un univoca visione dello sviluppo, basato su
consumi privati e aumento della produzione. E se alcuni distretti
industriali sono cresciuti in maniera impressionante nel secondo
dopoguerra apportando sicuro benessere materiale ai cittadini di
quelle località, la crescita è stata foriera di gravi squilibri pagati non
solo dalle generazioni successive ma, vista la repentina crescita av-
venuta in pochi decenni, anche da quelle direttamente coinvolte nel
turbinoso sviluppo. Così alcune città toscane degli anni ’50, cresce-
vano così rapidamente che non trovavano neppure
Il tempo per costruire un ponte sotto la ferrovia [e] il traffico ne
resta paralizzato per parecchie ore della giornata.
28
Mentre anche le condizioni igieniche della compenetrazione
fra sistema mezzadrile e nuovi sistemi produttivi si facevano preoc-
cupanti
29
si sono riviste anche le tesi di una meccanica trasposizione
Mezzadria-distretto industriale.
30
E’ evidente che Becattini, nei suoi scritti, non porta avanti
nessuna apologia del capitalismo “selvaggio”. Tutt’altro. A proposi-
to del distretto industriale, l’autore parla di
27
Merli, S. 1972.
28
Indro Montanelli, Italia sotto inchiesta, Firenze, Sansoni, 1965, p.479 cit. in Bianchi, R. 1999
p.61.
29
Vedi Ginsborg, P. Ramella, F. (a cura di) 1999 e in particolare, per questi punti, Bianchi, R.
1999 pp.48-72..
30
Bianchi, R. p.52.
18
Espressione paradigmatica […] del capitalismo dal “volto uma-
no”
31
Ma forse è proprio in questa esaltazione della tipologia di svi-
luppo seguita dalla Toscana (ma per Becattini è evidente, è un mo-
dello applicabile all’Italia) che sta l’originalità ma anche qualche li-
mite dell’interpretazione dell’autore.
Ma il rischio di indebite esaltazioni di supposti primati locali è
forte per le aree regionali, lo è ancor di più se, come in questo caso,
si restringono le dimensioni dell’ analisi ad un singolo paese. Ma
una ricerca di questo tipo deve procedere tenendo ben presente
che
Lo sguardo microscopico non è […] teso alla sforzo […] di por-
tare alla luce ciò che gli storici hanno trascurato sin qui come ir-
rilevante […] è diretto piuttosto al tentativo di formulare ipotesi
complessive che un approccio troppo dall’alto e da lontano ha
ignorato.
Così da
Inserire i fatti storici nella complessità dei contesti in cui rivol-
gono, per giungere a generalizzazioni diverse da quelle cui si
prende lo spunto.
32
La struttura sarà quindi sempre presente nell’interpretazione
dei dati. Infatti, se uno degli scopi del presente lavoro sarà, come
appena richiamato, quello di far emergere caratteristiche originali di
particolari zone del territorio, rispetto a macro ipotesi generalizzan-
ti, un altro obiettivo fondamentale sarà quello di non isolare Monte-
lupo dal contesto storico dell’Italia del periodo. Così potremo ap-
31
Becattini, G. 2000, p.21.
32
Levi, G. 1985 p.8.
19
prezzare una continuità fra le caratteristiche socio-economiche na-
zionali e le specificità riscontrate in questa parte del territorio.
Nel presente lavoro, inoltre, vi sarà spazio per rimandi alla
contemporaneità, al tempo presente, questo non per applicare alla
storia una funzione propedeutica, di “magister vitae”ma per la con-
vinzione che i tempi storici, soprattutto per quanto riguarda l’età
contemporanea, non siano “sezionabili”in maniera netta. E’ vero
che non sappiamo quel saremo domani, basandoci su ciò che siamo
oggi
Come sapere che cosa sapremmo se sapessimo?
33
E
Nessuna esperienza del passato […] può sollevare l’attuale gene-
razione dal compito creativo di scoprire le proprie risorse.
34
Ma è altrettanto vero che il punto d’arrivo della nostra situa-
zione attuale è dovuto anche a scelte ed opzioni messe in atto nel
passato.
33
Gerschenkron, A. 1962 p.31.
34
Gerschenkron, A. 1962 p.8. Il corsivo è nel testo.