5
determinante, la presenza di una banca centrale che consente di superare il nodo
della collaborazione tra le autorità monetarie che ha sempre reso instabili e
fallimentari i precedenti tentativi. Il progetto di unificazione può dunque essere
considerato la risposta pacifica delle maggiori nazioni Europee dopo la
drammatica esperienza di due guerre mondiali.
Con la decisione del 2 maggio 1998, che dà il via libero alla nascita dell’euro
per il 1° gennaio 1999, i governi dell’UEM hanno idealmente realizzato
l’imperativo dei padri fondatori dell’Europa Unita (De Gasperi, Monnet,
Schuman, Adenauer), sintetizzato nell’affermazione “Mai più”, nel senso di mai
più guerre.
La data che viene storicamente considerata come l’inizio dell’integrazione
europea è il 1957 quando viene firmato il Trattato di Roma con il quale viene
istituita l’EURATOM e la CEE. Nel trattato di Roma si fa solo un accenno al
problema della unificazione monetaria anche perché con gli accordi di Bretton
Woods del 1944 i paesi europei avevano accettato di ancorare le proprie monete al
dollaro. Ma tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta si
verificarono due eventi che contribuirono a modificare lo scenario politico ed
economico internazionale: la caduta del sistema di Bretton Woods ed il primo
shock petrolifero. Inizia pertanto a prendere corpo, tra i governi europei, la
necessità di darsi un sistema monetario che preservi l’Europa dalla instabilità
monetaria. L’avversione dei paesi europei al regime di libera fluttuazione dei tassi
trovava poi le sue radici anche in considerazioni di ordine storico. Il timore
6
maggiore era quello di tornare ad una situazione simile a quella degli anni ‘20 e
‘30 durante i quali la risposta alla libera fluttuazione dei cambi fu la politica di
protezionismo che alimentò l’inflazione e fu causa della grande depressione
economica del ’29. Questa situazione economica favorì il collasso dei regimi
democratici e l’avvento dei regimi totalitari in molti paesi europei quali la
Germania. Il problema della stabilità dei cambi non viene affrontato fino al
Consiglio di Copenhagen del 1978 in occasione del quale il presidente francese
Giscard d’Estaing e il cancelliere tedesco Schmidt proposero la formazione di una
“zona di stabilità monetaria” attraverso l’istituzione di un Sistema Monetario
Europeo (SME). Lo SME, che entrò in funzione il 13 marzo 1979, costituì un
deciso approfondimento dell’integrazione monetaria, ma la marcia verso
l’integrazione doveva conoscere una nuova stagione tra la fine degli anni ottanta e
l’inizio del decennio successivo. Alla fine degli anni ’80 viene ripreso il progetto
di creare una unione monetaria, affidando ad una commissione presieduta dal
Delors il compito di studiare e proporre le tappe concrete che avrebbero dovuto
portare all’Unione Economica e Monetaria. La decisione di pervenire all’Unione
Economica e Monetaria derivava dalla constatazione che se, da un lato le
economie dei Paesi europei erano sempre più integrate ed interdipendenti,
dall’altro la mancanza di un linguaggio valutario comune per la coesistenza di 15
diverse valute, costituiva un ostacolo sempre più evidente alla realizzazione degli
obiettivi del mercato unico. Tra il 1989 e il 1992, cambiò radicalmente anche lo
scenario politico in Europa in seguito alla caduta dei regimi comunisti e la
7
conseguente riunificazione della Germania. Questi eventi indussero il Presidente
francese Mitterrand e il cancelliere tedesco Kohl a promuovere un’azione politica
volta ad accelerare il progetto di unificazione monetaria europea. Il trattato
istitutivo dell'Unione europea è firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992. Insieme
alle disposizioni sulla dimensione politica dell'Unione (Politica estera e di
sicurezza comune e Cooperazione in materia di giustizia e affari interni), il trattato
contiene le disposizioni dirette a realizzare e regolare l'Unione economica e
monetaria. Sono indicati con precisione i principi, le tre fasi con le rispettive
scadenze, le regole del Sistema Europeo di Banche Centrali con al centro la BCE.
Nel disegnare l’architettura del SEBC e le sue modalità operative si è tenuto
presente quanto accaduto nella fase iniziale del Federal Reserve System
americano. Infatti, tra il 1913 e il 1935, l’insoddisfacente precisazione dei poteri
assegnati agli organi centrali del Sistema (Federal Reserve Board e Open Market
Investment Committee) favorì l’insorgere di conflitti tra questi organi ed alcune
Federal Reserve Banks. Ne derivarono situazioni di scarsa iniziativa decisionale o,
addirittura, di paralisi. A tali situazioni alcuni economisti, come Friedman e
Schwartz, imputano l’incapacità delle Federal Reserve di affrontare la crisi del ’29
e la degenerazione di quest’ultima da una normale recessione nella Grande Crisi.
L’esperienza storica ha quindi suggerito di accentrare la responsabilità della
politica monetaria dell’UEM nella Banca Centrale Europea.
La BCE è l'istituzione, dotata di personalità giuridica, che dal 1° Gennaio
1999 conduce la politica monetaria all'interno dell'Unione Economica e
8
Monetaria. In virtù del Trattato di Maastricht essa ha sostituito le singole banche
centrali nazionali che hanno così ceduto il loro potere sulla moneta. Il Consiglio
Direttivo della Banca Centrale Europea ha coniato il termine "Eurosistema",
specificando l'articolazione con cui il Sistema Europeo di Banche Centrali
(SEBC) assolve i propri compiti fondamentali. La BCE e le banche centrali
nazionali (BCN) dei dodici Stati membri dell'Unione Europea che hanno adottato
l'Euro nella fase tre dell'Unione Economica e Monetaria (UEM) formano
l'Eurosistema. L'insieme della BCE e delle BCN degli ormai venticinque
1
Stati
membri formano il SEBC: se e quando tutti gli stati membri parteciperanno
all'area Euro, il termine "Eurosistema" diverrà sinonimo di SEBC. Le banche
centrali nazionali, pertanto, non sono protagoniste di funzioni decisionali
autonome ma, in qualità di "terminali nazionali" per l'attività della Banca Centrale
Europea, hanno l'obbligo di operare in conformità alle linee guida ed alle
istruzioni della stessa.
Gli organi decisionali della Banca Centrale Europea sono il Consiglio
Direttivo ed il Comitato Esecutivo e, sino a quando sussisterà la differenza tra
Eurosistema e SEBC, è previsto un Consiglio Generale.
Il Comitato Esecutivo è composto dal Presidente e dal Vice Presidente
assieme ad altri quattro membri, tutti nominati di comune accordo dai Governi dei
Paesi partecipanti all'Eurosistema, dopo aver consultato il Parlamento Europeo e il
1
Gli stati membri dell’UE sono: Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia
Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Cipro, Danimarca, Estonia, Lettonia,
Lituania, Malta, , Polonia, , Regno Unito, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia, , Ungheria; di
questi solo i primi dodici hanno adottato l’euro. Quelli invece candidati ad entrare: sono Bulgaria,
Romania e Turchia.
9
Consiglio Direttivo della BCE (in sede di prima nomina è stato consultato il
Consiglio dell'IME). I poteri del Presidente sono circoscritti, essendo il SEBC
retto da organi collegiali: egli presiede il Consiglio Direttivo e il Comitato
Esecutivo, rappresenta la BCE all'esterno e impegna giuridicamente la stessa
verso i terzi con le sue decisioni. L'impegno di ciascun componente è a tempo
pieno, non potendo esercitare altra funzione, tranne in casi eccezionali in cui il
Consiglio Direttivo ne permetta la deroga. Il loro mandato ha una durata di otto
anni e non è rinnovabile. Per le prime nomine la durata del mandato differisce per
i vari componenti, scaglionata dai quattro agli otto anni. In tal modo i rinnovi del
Comitato saranno parziali, a garanzia di continuità e indipendenza della sua
azione. Le funzioni più importanti assegnate dallo Statuto al Comitato Esecutivo
riguardano principalmente la responsabilità nella gestione degli affari correnti
della BCE. Il Comitato, infatti, oltre ai normali compiti di amministrazione, di
gestione del personale, di dotazione del capitale informatico, si preoccupa di dare
attuazione alle decisioni di politica monetaria del Consiglio Direttivo, impartendo
istruzioni alle banche centrali nazionali che sono diventate, pertanto, il braccio
operativo della Banca Centrale Europea
2
. Il Comitato si occupa, inoltre, di
controllare l'andamento dei mercati ed il rispetto delle istruzioni da parte delle
banche centrali nazionali. Infine, esso può vedersi attribuite su delega del
Consiglio Direttivo ulteriori funzioni, non espressamente previste dallo Statuto.
2
Ad esempio, se il Consiglio Direttivo decidesse che la Banca centrale debba mirare a far crescere
nell'area dell'Euro l'aggregato monetario ampio M3 del 4,5% (così come deliberato dal Consiglio il
1° dicembre 1998) e il tasso di interesse del mercato monetario del 3%, allora il Comitato
Esecutivo renderebbe noto alle banche centrali nazionali la frequenza e l'importo delle operazioni
di politica monetaria coerenti con il rispetto delle decisioni del Consiglio.
10
Il Consiglio Direttivo è composto da tutti i membri del Comitato Esecutivo
della BCE e dai Governatori delle BCN dei paesi aderenti all'UEM. Il Consiglio
Direttivo è l'organo decisionale più importante del Sistema Europeo di Banche
Centrali (le decisioni vengono prese sulla base del criterio "una persona, un
voto"). Esso ha infatti responsabilità in merito alla definizione e alla supervisione
dell'attuazione della politica monetaria unica dei paesi dell'Eurosistema: ad
esempio, decide se scegliere un obiettivo monetario intermedio od uno finale di
inflazione; decide in che modo e in che misura le istituzioni debbano detenere una
percentuale dei depositi del pubblico sotto forma di riserva obbligatoria presso la
banca centrale; determina il livello dei tassi di interesse ufficiali per influenzare il
comportamento delle banche commerciali verso l'espansione o la restrizione
monetaria. Oltre alla definizione della politica monetaria unica, il Consiglio
Direttivo svolge altre importanti funzioni che vanno da quelle relative
all'organizzazione interna della BCE a quelle di consulenza per gli altri organi
decisionali nazionali e comunitari, fino a quelle in tema di cooperazione
internazionale. Finché esisteranno paesi "in deroga", cioè paesi che non hanno
ancora aderito all'area Euro per libera scelta o perché non hanno raggiunto il
grado di convergenza necessaria, avrà vita un terzo organo: il Consiglio
Generale. Di esso fanno parte il Presidente ed il Vice Presidente della BCE (gli
altri membri del Comitato Esecutivo possono assistere alle riunioni ma non hanno
diritto di voto) e i Governatori di tutte le banche centrali dell'Unione Europea,
incluse quindi quelle dei Paesi non partecipanti alla zona Euro. Il Consiglio
11
Generale è l'organo che consente il coordinamento e la collaborazione fra tutti i
paesi membri dell'Unione Europea: non ha, dunque, alcuna competenza per quel
che riguarda la politica monetaria dell'Eurosistema ed in esso proseguono i lavori
preparatori avviati dall'Istituto Monetario Europeo, con particolare attenzione ai
Paesi in deroga. Il Consiglio Generale, infatti, esamina le condizioni economiche
di questi Paesi per valutare se abbiano raggiunto un grado di convergenza che
consenta loro la partecipazione all'area Euro. Inoltre, si occupa di sorvegliare
l'andamento dell'accordo di cambio fra le monete dei Paesi in deroga e l'Euro, il
cosiddetto SME 2 (il Trattato prevede la partecipazione, per almeno due anni,
all'accordo di cambio in condizioni di sostanziale stabilità come prerequisito
necessario per entrare a far parte dell'area dell'Euro). Il Consiglio Generale, infine,
partecipa alle funzioni consultive della Banca Centrale Europea, incluse quelle nel
campo della vigilanza bancaria, contribuendo alla preparazione dei rapporti con i
quali la BCE riferisce al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio Europeo
sulle attività del SEBC e condividendo le responsabilità nel settore della raccolta
delle statistiche monetarie e creditizie.
In definitiva, l’Unione Monetaria Europea, comunque la si giudichi,
rappresenta uno dei principali eventi storici di questo secondo dopoguerra,
sebbene esista tuttora un ampio dibattito sui costi e benefici connessi con
l’introduzione dell’euro. De Grauwe esamina i costi di una moneta comune,
12
rappresentati dalla rinuncia alla “sovranità monetaria”
3
. Alcuni di questi costi
sono meno rilevanti di quanto appaia a prima vista perché, al di là del breve
periodo, la “sovranità” cui abbiamo rinunciato era comunque erosa dai
meccanismi di revisione delle aspettative e/o dalla globalizzazione dei mercati. In
altre parole, ci illudevamo di poter avere grandi risultati manipolando il tasso di
cambio, ma ciò non era poi così vero, al di là del breve periodo. Simmetrico a
questo è il caso dei benefici della moneta comune, che sono maggiori di quanto
sembrino a prima vista se considerati nel lungo periodo. Di solito, ci limitiamo ad
esaminare i vantaggi (diretti e indiretti) dati dall’eliminazione dei costi di
transazione. Vi si aggiungono i vantaggi derivanti dalla minor incertezza, che
favoriscono gli investimenti e quindi la crescita. Ma nel lungo periodo, ciò che più
rileva sulla crescita economica dell’intera Unione è l’effetto della miglior
allocazione delle risorse che la concorrenza con integrazione produce: grazie
all’unione monetaria, il mercato è davvero unico e grande, la selezione che così
opera è tanta ed i benefici che ne derivano al consumatore sono molti.
Questa conclusione è paradossalmente ignorata dall’odierno dibattito politico
che è pieno di polemiche sui guai provocati dall’euro. Anche negli anni ’90,
quando facevamo di tutto per “meritare” di essere accolti nell’Unione Monetaria
fin dal suo avvio, il dibattito non era mai stato correttamente centrato sulle riforme
da fare perché l’Europa diventasse una “Area monetaria ottimale” (cosa ancora da
3
Il tasso di cambio cui l’Italia ha rinunciato poteva, infatti, servire in tanti casi: in presenza di
shock asimmetrici; con diverse preferenze sul trade-off inflazione/disoccupazione; con differenze
nelle istituzioni del mercato del lavoro e nei sistemi giuridici; con differenti sistemi fiscali e
fabbisogno di “signoraggio”; in presenza di tassi di crescita diversi.
13
realizzare). Si discuteva di credibilità e reputazione della istituenda Banca
Centrale Europea, cui doveva essere garantita soprattutto indipendenza dal potere
politico. E si sottolineava la necessità di rispettare parametri come quelli fissati a
Maastricht, ma non perché ciò rappresentasse un beneficio della moneta comune,
come oggi impropriamente si sostiene quando si afferma che abbiamo tassi di
interesse davvero bassi. Il rispetto dei 5 parametri di Maastricht è necessario per
non trasmettere problemi ai partner.
In conclusione, e al di là delle polemiche odierne, sono evidenti a tutti due
cose:
1. all’inizio, è probabile che i costi dell’Unione ne superino i benefici (è quasi
sempre vero, quando si fanno delle riforme!);
2. ma i benefici netti che si realizzano nel lungo periodo, dipendono dalla
“qualità competitiva” del mercato unico europeo che, anche grazie all’Euro (che
però da solo non basta), si riesce a realizzare.
Questo dovrebbe essere l’impegno prioritario dei nostri dodici Governi: fare
le riforme grazie alle quali l’integrazione dei mercati procede, verso un mercato
europeo di buona qualità. Finora, non s’è visto nulla di tutto ciò: le riforme che si
stanno facendo (dalle pensioni alla protezione del risparmio) sono tristemente
nazionali, mentre l’euro è usato soprattutto come capro espiatorio, e non come
strumento di maggiore crescita. Speriamo che vada meglio in futuro.
* * * * * * *
14
Nella letteratura sull’UEM ampio rilievo è stato dato al problema degli shock
asimmetrici di nature reale. Scarsa attenzione è stata, invece, riservata al problema
delle asimmetrie nella trasmissione della politica monetaria, riconducibili a due
fattori principali: da un lato, l’esistenza di una diversa reattività dei sistemi agli
shock reali, dall’altro, il persistere di rilevanti differenze.
Questo lavoro si occupa proprio delle differenze esistenti tra i diversi paesi
membri, in particolare delle differenze nella struttura dei sistemi finanziari ed al
ruolo che tali differenze rivestono nel meccanismo di trasmissione della politica
monetaria. A tal fine il capitolo II passa in rassegna le principali tappe del lungo
ed acceso dibattito sul ruolo che la moneta, e quindi la politica monetaria, riveste
nella determinazione delle grandezze economiche reali, per poi analizzare i diversi
canali di trasmissione della politica monetaria proposti dalla letteratura
economica: il canale del tasso di interesse (la “Money View”) ed il canale del
credito (la “Credit “View). Il capitolo III scende nello specifico della BCE,
soffermandosi sulla strategia di quest’ultima nella conduzione della politica
monetaria e sugli strumenti a sua disposizione. Nel capitolo IV si affronta il ruolo
che la struttura finanziaria di un paese riveste nel meccanismo di trasmissione.
Dopo aver precisato in che modo la struttura finanziaria condiziona il meccanismo
di trasmissione, si analizzano le principali differenze con riguardo al settore
finanziario ed alla struttura finanziaria di famiglie ed imprese. Sulla base delle
differenze riscontrate e di alcuni studi condotti dagli economisti della BCE,
15
verranno tratte le relative conclusioni, che però aprono la strada ad ulteriori e più
complesse sfide, che l’UEM deve affrontare affinché l’area dell’euro si configuri
sempre più come un’area valutaria ottimale.
16
CAPITOLO II
IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE DELLA
POLITICA MONETARIA
Il processo attraverso il quale le decisioni di politica monetaria influenzano
l’economia in generale, ed il livello dei prezzi in particolare, è conosciuto come
meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Se chiara e pacifica è una
definizione del genere, non altrettanto può dirsi delle dinamiche sottostanti tale
meccanismo che, ancora oggi, sono oggetto di incertezze e controversie tali da
indurre alcuni economisti a definire lo stesso meccanismo come una “black box”,
una scatola nera (BERNANKE e GERTLER, 1995). L’unico aspetto sul quale gli
studiosi concordano, sia da un punto di vista teorico che empirico, è che
l’inflazione è un fenomeno monetario: prolungati periodi di elevata crescita
17
monetaria sono tipicamente associati ad una elevata inflazione. Sulla base di
numerose evidenze empiriche che confermano questa relazione, la maggior parte
degli studiosi condivide la validità del principio della “neutralità” della moneta:
nel lungo periodo, cambiamenti nell’offerta di moneta possono avere un impatto
solo sulle variabili nominali e non su quelle reali. Nel lungo periodo, infatti, il
reddito reale è determinato da fattori dal lato dell’offerta come la tecnologia, la
crescita demografica, la flessibilità dei mercati. Tuttavia, nel breve periodo, le
decisioni di politica monetaria possono influenzare le variabili reali.
Il proposito di questo capitolo è passare in rassegna le principali tappe del
lungo ed acceso dibattito sul ruolo che la moneta riveste all’interno
dell’economia, dibattito che ha caratterizzato l’intera letteratura economica del
XX secolo. Successivamente prenderemo in considerazione le principali
determinanti dei diversi canali di trasmissione.
2.1. Dai neoclassici (1900) a Bernanke-Blinder (1988): il
dibattuto ruolo della moneta.
I diversi “canali” che, insieme, rappresentano il meccanismo di trasmissione
della politica monetaria, possono essere analizzati percorrendo la strada, lunga
quasi un secolo, che la teoria economica ha compiuto nell’attribuire uno specifico
ruolo della moneta, e quindi della politica monetaria, nella determinazione delle
grandezze economiche reali. Il punto di partenza è rappresentato dalle teorie della
18
scuola di pensiero che, fra il 1870 e il 1914, risultò dominante nella ricerca e
nell’insegnamento e che viene comunemente definita scuola neoclassica in
contrapposizione all’insegnamento degli economisti classici. All’interno della
scuola neoclassica è possibile individuare due differenti approcci, quello
walrasiano e quello wickselliano. Le principali caratteristiche dello schema di
equilibrio economico generale teorizzato da Walras sono, da un lato, l’assoluta
dicotomia tra la parte reale e la parte monetaria del sistema economico, dall’altra,
la mancanza di una autentica teoria della moneta. E’ proprio quest’ultima lacuna
che Wicksell si propone di colmare, applicando alla moneta il principio della
domanda e dell’offerta, esattamente come si fa per determinare i prezzi relativi
delle merci. A differenza dello schema walrasiano, Wicksell introduce la
distinzione fra due possibili situazioni, quella di equilibrio e quella di squilibrio,
proponendosi di analizzare le situazioni del primo tipo per spiegare quelle del
secondo, ritenute più probabili. Tuttavia tali situazioni di squilibrio, data l’ipotesi
di pieno impiego dei fattori produttivi, si risolvono esclusivamente in variazioni
delle grandezze monetarie.
L’approccio di Wicksell rappresenta il punto di partenza dell’interpretazione
neoclassica della teoria di Keynes data da Hicks e Modigliani, nota come schema
IS-LM, in cui la teoria keynesiana costituisce una versione particolare
dell’approccio wickselliano.