Introduzione
Se, dunque, risulta evidente che il mercato ha in parte fallito, ci si trova di fronte alla
necessità di risolvere, o quanto meno cercare di alleviare, i problemi derivanti da tali
insuccessi. La vera domanda è:
come? Molti sono stati i tentativi sperimentati fino ad
oggi: a livello istituzionale, da organismi quali la Banca Mondiale o il Fondo Monetario
Internazionale, e non. Esistono, infatti, i cosiddetti “movimenti dal basso”, ovvero un
insieme di cittadini che, partendo dalla convinzione che un livello di vita dignitoso debba
essere assicurato a tutte le popolazioni del mondo, non attendono passivamente
l’intervento di organismi superiori, ma si adoperano giorno dopo giorno per mutare le
condizioni degli individui svantaggiati.
Il Commercio Equo e Solidale fa parte di quest’ultimo gruppo di possibili soluzioni
alle distorsioni del mercato, ma in modo radicalmente diverso rispetto alla maggioranza
delle iniziative intraprese prima di quell’ormai famoso 1969, anno in cui un gruppo di
giovani olandesi aprì la prima Bottega del Mondo e diede formalmente vita a questo
movimento. Semplicemente analizzando la definizione stessa, ci rendiamo conto di
quanto esso rappresenti un fenomeno innovativo: Commercio Equo e Solidale, quindi
commercio, non semplice carità. Ciò significa riconoscere che non è possibile uscire
dall’attuale sistema economico e che soltanto rendendo i produttori in grado di
sopravvivere autonomamente al suo interno, si potrà garantire loro un successo di lungo
periodo. Questa convinzione è il frutto di un’evoluzione del fenomeno, che, negli anni
’70, era partito come una protesta contro le tradizionali forme di commercio, per poi
trasformarsi, soprattutto tra il 1980 ed il 1990, in un movimento che non si pone più come
alternativo al mercato nella sua totalità, ma come correttore dei fallimenti di quest’ultimo.
A tal proposito, risulta emblematica una frase di Heine Grandi, ex-presidente di Ctm
altromercato: “Il Commercio Equo avrà raggiunto il successo nel momento in cui non
avrà più ragione di esistere”.
2
Introduzione
Equità, raggiunta tramite il pagamento di un prezzo equo, principale strumento del
Fair Trade, ovvero un prezzo che comprenda al proprio interno anche i costi sociali ed
ambientali, troppo spesso dimenticati dalle imprese occidentali, e che non derivi dal
semplice incontro tra domanda ed offerta, ma permetta, invece, al produttore di vivere in
maniera dignitosa. Altri strumenti utilizzati dal Fair Trade sono: il prefinanziamento,
rapporti di tipo diretto e continuativo, pari opportunità e condizioni lavorative dignitose,
tutela dell’ambiente.
Solidarietà ovvero l’offerta di assistenza sociale alle popolazioni svantaggiate, quali
l’educazione e la formazione.
Nei due capitoli centrali ho, dunque, cercato di descrivere il funzionamento del
movimento, i principi che vi stanno alla base, nonché il ruolo degli attori che operano al
suo interno, facendo molto spesso ricorso ad esempi pratici, per non lasciare il lavoro
impostato su un impianto troppo teorico.
Tra gli attori sono stati inclusi, come parte integrante, anche i consumatori del Nord:
essi svolgono, infatti, un ruolo fondamentale per il successo del movimento ed è proprio
in quest’ottica che il Fair Trade ha subito negli ultimi anni un processo di
professionalizzazione: la volontà è stata quella di trasformarsi in un fenomeno più
concreto che superasse l’impianto ideologico su cui si basava agli albori.
Occorre ricordare che il mondo equo non è univoco, bensì assume connotati diversi a
seconda del paese che si osserva, se non addirittura, della centrale d’importazione oggetto
di analisi.
Solo a questo punto, dopo aver chiarito il funzionamento del Fair Trade, emerge la
domanda a cui ho cercato di trovare una risposta in questa tesi: il Fair Trade funziona? Il
suo impatto economico è stato, è o sarà in grado di correggere i fallimenti del mercato?
A tal proposito ho studiato, nel quarto ed ultimo capitolo, i dati economici relativi al
movimento, sia in termini assoluti (la dimensione attuale del fenomeno), sia in termini
relativi (l’evoluzione dello stesso).
3
Introduzione
Nello specifico, attraverso delle ricerche condotte da EFTA e tramite l’analisi dei
rapporti annuali stilati dai vari attori equi, ho analizzato gli andamenti, in termini di
fatturati e quote di mercato, di centrali d’importazione, Botteghe del Mondo ed
organizzazioni di marchio di tutti i paesi europei raggiunti dal movimento, di Canada,
USA e Costa pacifica, per poi addentrarmi in uno studio più approfondito relativo
all’Italia.
Non è sempre stato un lavoro facile: i dati spesso erano difficilmente reperibili, o poco
attendibili. Ho, così, cercato di effettuare un’analisi il più oggettiva possibile, sempre
nell’ottica di valutare l’impatto economico del movimento e cercare di comprendere i
motivi per cui in alcuni paesi esso ha raggiunto posizioni ragguardevoli all’interno del
mercato nazionale, mentre in altri rimane ancora un fenomeno molto isolato.
Il proposito finale di questo lavoro consiste nel valutare l’esistenza di reali possibilità
di crescita per il fenomeno equo, partendo dall’analisi dei suoi punti di debolezza e
cercando di proporre possibili soluzioni per un miglioramento dello stesso.
“Non so se questo mio lavoro sia riuscito nel suo intento[…] Ho cercato un equilibrio
tra il desiderio di approfondire un fenomeno così interessante come il Fair Trade e la
necessità di analizzare, senza indulgenze, i limiti e le contraddizioni di questo
movimento. Il difficile equilibrio non sta tra un’impossibile osservazione oggettiva ed
una scelta di campo, ma tra la passione, l’entusiasmo che queste esperienze comunicano,
e la giusta presa di distanza che consente di collocarle nel più vasto contesto del mercato
mondiale.” (Perna, 1998)
4
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
5
CAPITOLO 1
PERCHÉ COMMERCIO
EQUO E SOLIDALE?
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
6
1.1 Povertà e Disuguaglianza
“Gli abituali dibattiti sul commercio sono dominati da conflitti ormai rituali tra due
campi: i “globofili” ed i “globofobi”. I “globofili” sostengono che la globalizzazione
degli scambi stia lavorando per i poveri. Le loro ricette per il futuro propongono di
accelerare il corso degli attuali eventi. I “globofobi” rovesciano la prospettiva e
sostengono che il commercio danneggia i poveri.
La guerra di parole tra le due fazioni che accompagna ogni summit internazionale è
assolutamente controproducente. Entrambe le visioni del mondo sfuggono la complessità
delle evidenze empiriche e nessuna di esse offre speranze per il futuro”(OXFAM, 2002).
I due concetti che vengono più comunemente sviscerati in relazione a tale dibattito
sono la povertà e la disuguaglianza nella distribuzione mondiale del reddito.
A questo punto, diventa estremamente importante effettuare una distinzione tra di essi.
1.1.1 Povertà
Definiamo poveri coloro (individui o famiglie) che vivono al di sotto di determinate
condizioni considerate accettabili (solitamente la soglia limite è 1$ americano al giorno
1
).
Nonostante la povertà costituisca un imprescindibile problema che tutt’oggi colpisce,
in termini assoluti, 1,2 miliardi di persone in tutto il mondo, è doveroso sottolineare che
la percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà, dal 1980 al 1997, si è
ridotta passando dal 25% al 20%
2
e che, nei paesi più poveri, la percentuale di
popolazione al di sotto della soglia di povertà estrema è passata dal 50% al 24% dal 1950
ad oggi (Becchetti e Paganetto, 2003).
1
Tale soglia, definita anche “dollar-a-day line”,è stata ideata da Chen e Ravallion e coincide, più
precisamente, con 1,08$ al giorno.
2
Per un’ analisi più precisa, è necessario considerare il lavoro condotto da Chen e Ravalion (2001) dal quale
emerge che tale crescita si è verificata per tutte le aree geografiche ad eccezione dell’Africa sub-sahariana (da
46,6% a 48,1%), dei paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia centrale (da0,24% a 3,75%).
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
7
A riprova di quest’affermazione possiamo analizzare il reddito giornaliero per varie
macro-aree (fig. 1).
Figura 1.1: Reddito giornaliero pro capite per regioni 1950-2000 ($ al giorno)
Region 1950 1960 1980 2000
Asia Orientale
1.17 1.80 3.55 10.81
Asia Meridionale 2.16 2.71 2.99 5.44
Asia 1.50 2.14 3.33 8.57
Cina ed India 1.29 1.90 2.48 7.89
Africa sub-Sahariana 3.03 3.79 5.01 3.99
Africa Orientale e
Meridionale
4.96 7.00 14.23 13.57
America Latina 7.84 9.66 17.30 17.35
Paesi in via di sviluppo 2.52 3.60 6.04 9.23
Paesi in via di sviluppo
(eccetto Cina e India)
4.16 5.38 9.45 10.38
Europa dell’Est 6.87 9.53 20.74 15.92
Mondo non
industrializzato
2.97 4.22 7.38 9.80
Mondo industrializzato 19.49 26.05 48.13 66.12
Mondo 6.31 8.77 14.29 17.71
Fonte: Bhalla, 2002
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
8
Introducendo alcuni dei dati sopra riportati all’interno di un grafico, risulta evidente
come il reddito medio giornaliero sia aumentato in tutte le regioni del Mondo:
Figura 1.2: Evoluzione del reddito medio giornaliero.
0
10
20
30
40
50
60
70
1950 1960 1980 2000
PVS
PVS eccetto Cina e India
Mondo industrializzato
Mondo
Non bisogna però limitarsi alla misurazione del reddito, poiché esso non rappresenta
l’unico mezzo per stimare il livello di povertà dei vari paesi: l’ISU, ad esempio, il
cosiddetto Indice di Sviluppo Umano, considera tre caratteristiche relative alle condizioni
di vita della popolazione: aspettativa di vita alla nascita, livello di istruzione e reddito
pro-capite.
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
9
Figura 1.3: Media Ponderata dell’ISU (Indice di sviluppo umano) per regione geografica.
1870 1913 1913 1995
Australasia
0,539 0,784 0,856 0,933
Nord America
0,462 0,729 0,864 0,945
Europa dell’Ovest
0,374 0,606 0,789 0,933
Europa dell’Est
0,278 0,634 0,786
America Latina
0,236 0,442 0,802
Asia dell’Est
0,306 0,746
Cina
0,159 0,650
Asia del Sud
0,055 0,166 0,449
Africa 0,181 0,435
Fonte: Crafts N.(22)
Dalla figura 1.2 emerge che l’ISU, almeno negli ultimi cinquant’anni, è aumentato in
tutte le zone del mondo.
Nonostante questi dati siano confortanti, essi non rappresentano nient’altro che
un’analisi superficiale: i miglioramenti sopra descritti, infatti, non sono comuni a tutte le
regioni del mondo. Dal 1990 al 1998, a riprova di quanto affermato sin’ora, i tassi di
povertà dell’Asia Orientale si sono effettivamente ridotti, passando, in termini relativi, dal
27,5 al 15,3% e in termini assoluti da 452 a 278 milioni di persone, soprattutto grazie
all’arricchimento della Cina (uno dei maggiori mai registrati nella storia).
Al contrario, invece, i tassi di povertà nell’Africa Sub-Sahariana sono rimasti
pressoché identici, subendo una trascurabile variazione di 1.3 punti percentuali (dal
47,6% nel 1990 al 46,3% nel 1998); durante tale periodo circa cinquanta milioni di
persone sono state aggiunte al conteggio della povertà africana.
Ci troviamo, dunque, di fronte ad una tragedia africana in contrasto col miracolo
dell’Asia Orientale.
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
10
La situazione dell’Africa Meridionale è, invece, intermedia: la povertà è passata dal
44% al 40%; nell’America Latina e nei Carabi i tassi sono rimasti pressoché identici,
mentre nell’Europa dell’Est e nell’Asia centrale sono addirittura peggiorati.
Da tutto ciò si evince che il miglioramento della povertà tra il 1990 ed il 1998 è
dovuto quasi esclusivamente alle sorprendenti performance della Cina (Besley e Burgess,
2003).
1.1.2 Disuguaglianza
La disuguaglianza fa riferimento alla distribuzione del benessere tra individui/famiglie
(Helg e Debenedictis, 2001). Tale concetto è talmente sfaccettato da riuscire a condurre a
risultati opposti, a seconda di quale accezione se ne stia privilegiando. E’ per questo che
Milanovic, in un suo trattato, tiene a sottolinearne la trivalenza:
ξ Disuguaglianza tra paesi non ponderata: tale concetto considera il paese come
unità di osservazione, utilizza il suo reddito (o GDP
3
) pro capite e trascura l’entità della
sua popolazione, comparando individui campione da tutte le nazioni del mondo. Tutti i
paesi, dunque, piccoli o grandi che siano, hanno lo steso peso. Immaginiamo un pianeta
composto da ambasciatori di duecento paesi del mondo, ognuno dei quali porta con sé un
biglietto su cui è annotato il GDP pro capite della nazione di provenienza. Tali
ambasciatori verranno allineati in scala, dal più povero al più ricco e la disuguaglianza
verrà calcolata in base a tale allineamento. Tale disuguaglianza non è ponderata, poiché
ogni paese ha lo stesso peso. A questo punto diventa, però, ragionevole sostenere che, se
un paese come la Cina diventa più ricco, ciò ha un maggiore impatto sul mondo piuttosto
che se fosse la Mauritania ad arricchirsi. Giungiamo, così, al secondo concetto.
3
GDP è l’acronimo di Gross Domestic Product, che coincide con il nostro PIL.
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
11
ξ Disuguaglianza ponderata tra paesi: tale concetto assume come principio base
che ogni persona, all’interno di un paese, riceve lo stesso reddito o GDP pro capite.
Tuttavia, il numero di individui presi come campione per ogni paese riflette la mole
della popolazione. Quest’accezione di disuguaglianza continua ad essere tra paesi, perché
compariamo il reddito medio di diverse nazioni.
La differenza tra il primo ed il secondo concetto sta, quindi, nel fatto che il numero di
ambasciatori per ogni paese è proporzionale alla sua stessa popolazione. Oltre a ciò
null’altro differisce; ogni ambasciatore, infatti, porta idealmente con sé lo stesso biglietto
su cui è annotato il reddito (o GDP) pro capite del proprio paese. In altre parole, tale
concetto assume che all’interno del paese la distribuzione del reddito sia perfettamente
uguale. Nonostante le sue evidenti lacune, il secondo concetto serve come mezzo per
giungere alla reale distribuzione del reddito medio, dove la disuguaglianza è calcolata tra
tutti gli individui del mondo.
ξ Disuguaglianza mondiale reale: secondo cui non esistono più gli ambasciatori; al
loro posto vengono schierati tutti gli individui, indipendentemente dal paese, dai più
poveri ai più ricchi. Gli individui cinesi, ad esempio, non verranno più mescolati: ciò
significa che i poveri cinesi saranno mescolati ai poveri africani, i ricchi cinesi con la
classe media o con i ricchi americani. Certo, è ragionevole sostenere che sarebbe utopico
voler considerare ad uno ad uno tutti i sei miliardi di individui che popolano il Mondo.
Un modo per sopperire a tale difficoltà consiste nell’intervistare individui o famiglie
(basati su un campione mondiale, assicurandosi, però, che il numero delle persone che
compongono il campione sia proporzionale alla quantità della popolazione di ogni paese)
ed allinearli dal più povero al più ricco
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
12
Quest’ultima dovrebbe, dunque, essere l’accezione di maggior interesse, se vogliamo
studiare la situazione degli individui a livello mondiale. Ciononostante, anche la prima e
la seconda sono dotate di un proprio valore: la prima, infatti, ci permette di capire se le
varie nazioni convergono o meno dal punto di vista del reddito medio, mentre la seconda
approssima in maniera efficiente il terzo concetto.
Riassumiamo i tre concetti all’interno di una tabella:
Figura 1.4: I tre concetti di disuguaglianza.
Disuguaglianza tra
paesi non
ponderata
Disuguaglianza tra
paesi ponderata
Disuguaglianza reale
mondiale
Fonti dei dati Calcoli nazionali Calcoli nazionali Ricerche sulle
famiglie
Unità di
osservazione
Paese
Paese ponderato con
la popolazione
Individuale
Concetto di
benessere
GDP o GNP pro
capite
GDP o GNP pro
capite
Reddito medio pro
capite o consumi
Conversione
della moneta
nazionale
Tassi di cambio di mercato o tassi di cambio di PPP
Distribuzione
(disuguaglianza)
interna al paese
Non considerata Non considerata Inclusa
Fonte: Milanovic, 2002
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
13
Analizziamo, adesso, le evoluzioni della disuguaglianza nella distribuzione del
reddito.
CONCETTO 1:
Dal 1960 ad oggi, l’ineguaglianza della distribuzione del reddito pro capite tra le venti
più ricche economie e le venti più povere è aumentata da 15 a 30 volte.
Figura 1.5 : Disuguaglianza tra paesi dal 1950 al 1998
Fonte: Milanovic e Branko, 2002
Da tale grafico, si evince che tra il 1950 ed il 1998 si è verificato un enorme aumento
del coefficiente Gini
4
e, quindi, della disuguaglianza nella distribuzione del reddito.
4
Tale coefficiente è una stima della quantità di ineguaglianza di un determinato fattore all’interno di una
popolazione (nel nostro caso tra i vari paesi del mondo). Un coefficiente pari a zero rimanda ad un’assenza di
ineguaglianza, mentre ad uno si ha un solo individuo o organizzazione che detiene l’intero fattore (il reddito,
nell’esempio).
0.360
0.380
0.400
0.420
0.440
0.460
0.480
0.500
0.520
0.540
0.560
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1
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9
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t
World
Capitolo 1: Perché Commercio Equo e Solidale?
14
Analizzando in maniera più dettagliata il trend di tale coefficiente, emerge che una
parte dell’incremento è dovuta alle maggiori dimensioni del campione considerato, come
quando il coefficiente, nel 1960, è passato da 44,6 a 47 punti. A partire da tale data, però,
i paesi campione e la percentuale di popolazione coperta sono rimasti praticamente
costanti.
Tra il 1965 ed il 1978 il coefficiente mostra una leggera tendenza verso il basso (
perdita di 2,5 punti), che sparisce completamente alle fine di tale periodo, facendo
registrare un’irrefrenabile tendenza verso l’alto.
Dal 1983 si è registrata una crescente divergenza nelle performance economiche dei
vari paesi, in media inferiori nei paesi poveri rispetto a quelli ricchi, giungendo, così, a
fine periodo, ad un valore del coefficiente superiore a 54 che rappresenta un guadagno di
8 punti (pari al 20%) rispetto alla metà degli anni ’80 (Milanovic, 2002).
Se vogliamo entrare ancor più nel dettaglio possiamo considerare l’evoluzione del
coefficiente in varie zone del mondo ( fig. 4):
Figura 1.6: Evoluzione del coefficiente Gini in diverse zone del mondo.
1960 1980 1998
Africa 37.8 41.1 50.4
Asia 36.2 53.1 51.8
LAC
5
30.7 27.5 34.0
Paesi in
transizione
6
15.0 18.4 32.3
WENAO
7
23.1 16.3 15.5
Fonte: Milanovic, 2002
Dalla tabella risulta evidente che la zona che comprende l’Europa occidentale, il nord
America e la parte ricca dell’Oceania (c.d. WENAO) mostra una miglior distribuzione del
reddito: è l’unica zona, infatti, dove il coefficiente Gini si è ridotto.
5
LAC: Latin America and Carribean.
6
PAESI IN TRANSIZIONE: Europa dell’Est ed ex-URSS.
7
WENAO: Western Europe, North America and (the rich) Oceania.