4
Psicodinamico, basato sul PDM e appositamente elaborato presso il DISA
dell’Università di Genova sotto la direzione della Prof.ssa Annamaria Rosso.
Sarà quindi forse già evidente da questa introduzione come non sia nostra intenzione
negare la difficoltà di stilare una “diagnosi ben definita”. Crediamo invece che ogni
clinico, qualora possieda una mente differente da quella “angusta” paventata da
Freud, si trovi necessariamente a dover affrontare questa realtà, intimamente legata
alla più generale difficoltà che si incontra inevitabilmente quando si tenti di
comprendere la complessità umana nelle sue infinite sfaccettature. D’altra parte, gli
autori del PDM fanno notare come negli ultimi 30 anni, nella speranza di sviluppare
una base empirica adeguata per la diagnosi e il trattamento, il campo della salute
mentale abbia progressivamente ristretto la sua prospettiva, focalizzandosi sempre di
più su insiemi di semplici sintomi. Ironicamente però, l’evidenza suggerisce che la
iper semplificazione dei fenomeni di salute mentale al servizio dell’attendibilità e
della validità empirica potrebbe aver compromesso il lodevole obiettivo di una
comprensione della salute mentale e della psicopatologia più scientificamente
corretta
1
.
1
AMERICAN PSYCHOANALYTIC ASSOCIATION, Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM), Silver
Spring, 2006, p. 3
5
1. Il Disturbo di Personalità secondo il DSM IV
La definizione di personalità che fornisce il DSM IV fa riferimento a modalità
perduranti di percepire, rapportarsi, o pensare a sé stesso e all'ambiente. I tratti di
personalità sono aspetti rilevanti della personalità che vengono mostrati in
un'ampia gamma di contesti sociali e personali importanti. Solo quando sono
rigidi e maladattivi, e causano menomazione funzionale significativa o disagio
soggettivo, i tratti di personalità configurano un Disturbo di Personalità.
2
La caratteristica essenziale di un Disturbo di Personalità, secondo la definizione
fornita dal DSM IV, è un modello costante di esperienza interiore e di
comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura
dell'individuo, e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitività,
affettività, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi. Questo
modello costante risulta inflessibile e pervasivo in un ampio spettro di contesti
personali e sociali, e determina un disagio clinicamente significativo o la
compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Il quadro è stabile e di lunga durata, e l'esordio si può far risalire almeno
all'adolescenza o alla prima età adulta. Il quadro non risulta meglio giustificato
come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale, e non è dovuto
agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un
farmaco, l'esposizione ad una tossina) o di una condizione medica generale (per
es., un trauma cranico). Vengono anche forniti criteri diagnostici specifici per
ognuno dei Disturbi di Personalità inclusi in questa sezione. Gli item del set di
criteri per ognuno degli specifici Disturbi di Personalità vengono elencati in
ordine di importanza diagnostica decrescente, misurata in base ai dati
corrispondenti all'efficienza diagnostica, quando essi siano disponibili.
Nel DSM, che, come già si è evidenziato, propone una classificazione descrittivo -
categoriale dei disturbi mentali, i Disturbi di Personalità sono raccolti in tre gruppi
2
AMERICAN PSYCHOANALYTIC ASSOCIATION, op. cit.
6
in base ad analogie descrittive. Il gruppo A include i Disturbi di Personalità
Paranoide, Schizoide e Schizotipico. Gli individui con questi disturbi spesso
appaiono strani o eccentrici. Il gruppo B include i Disturbi di Personalità
Antisociale, Borderline, Istrionico e Narcisistico. Gli individui con questi disturbi
spesso appaiono amplificativi, emotivi o imprevedibili. Il gruppo C include i
Disturbi di Personalità Evitante, Dipendente, e Ossessivo-Compulsivo. Gli
individui con questi disturbi appaiono spesso ansiosi o paurosi. Si dovrebbe notare
che questo sistema di raggruppamento, sebbene utile in alcune situazioni di ricerca
e didattiche, presenta serie limitazioni, e non è stato coerentemente validato.
Inoltre, gli individui frequentemente presentano una concomitanza di Disturbi di
Personalità appartenenti a gruppi diversi. Questa importante questione è in effetti
l’oggetto degli accesi dibattiti circa la reale validità di questo approccio
diagnostico e sarà ulteriormente menzionata e discussa in seguito.
7
1.1 Criteri diagnostici descrittivo - categoriali per il Disturbo Borderline di
Personalità
Il concetto di diagnosi categoriale fa implicito riferimento al modello medico.
Diagnosticare per categorie significa infatti identificare un insieme di fenomeni
clinici dotato sia di una coerenza interna, sia di un confine preciso rispetto ad altri
insiemi. La problematica principale di questo approccio, che è quello alla base del
DSM, riguarda la validità di costrutto, cioè se davvero lo strumento misura ciò che si
propone di misurare. In sostanza, il problema più cogente che riguarda la
classificazione proposta dal DSM IV, e soprattutto l’approccio categoriale alla
diagnosi dei disturbi psichici, riguarda il fatto che, a differenza delle altre patologie
mediche, nel caso delle patologie psichiche il principio della validazione esterna della
diagnosi per segni e sintomi non è applicabile, soprattutto nell’attribuzione di rapporti
di specificità tra variabili biologiche e quadri clinici. Da qui la necessità di fondare i
sistemi diagnostici categoriali su basi descrittive.
3
E ne sono appunto un esempio il
DSM IV e l’ICD 10.
Le diagnosi categoriali previste dal DSM sono invero da considerarsi come ipotesi di
lavoro. Lo scopo del DSM è infatti quello di creare un linguaggio comune sulla
clinica. Rispetto al Disturbo Borderline di Personalità, ad esempio, il DSM ha ridotto
una vastissima letteratura a soli 9 criteri molto scarni che, pur nella loro inevitabile
riduttività, rappresentano appunto una base comune di partenza per tutti coloro che, a
diverso titolo, si trovano ad occuparsi di questo quadro clinico.
Per quanto riguarda i criteri diagnostici, così come vengono proposti nel DSM IV, per
poter stilare una diagnosi Disturbo Borderline di Personalità occorre che sia presente:
A) una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine
di sé e dell'umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e
presenti in vari contesti come indicato da almeno cinque dei seguenti criteri:
3
MAFFEI C., Borderline, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, p. 95
8
1) Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono. (escludendo i
comportamenti suicidiari o automutilanti inclusi nel Criterio 5)
2) Un pattern di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate
dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione.
3) Disturbo dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e
persistentemente instabili
4) Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente autolesive per il soggetto
(ad esempio spese, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate;
escludendo i comportamenti suicidiari o automutilanti inclusi nel Criterio 5).
5) Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidiari, o comportamento
automutilante.
6) Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività umorale (per es., episodica
intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto
raramente più di pochi giorni)
7) Sentimenti cronici di vuoto
8) Rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti
accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici)
9) Ideazione paranoide transitoria, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo
stress.
4
Come già si è accennato, i criteri del DSM IV sono elencati secondo un ipotetico
ordine di efficienza diagnostica, peraltro non sostenuto dai dati di ricerca.
5
Come si può osservare, per formulare la diagnosi di Disturbo Borderline di
Personalità, seguendo le indicazioni del DSM, è sufficiente la presenza di cinque dei
nove criteri previsti. Come evidenzia Maffei, questo fatto genera decine di possibili
combinazioni che, se da un punto di vista statistico hanno un certo riscontro, non
hanno tuttavia significatività da un punto di vista clinico. All’interno di questa
categoria diagnostica vengono infatti a trovarsi soggetti dalle caratteristiche molto
4
AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (APA), (2000), Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali (DSM IV), trad. it. Masson, Milano, 1995
5
MAFFEI C., (2008), op. cit. p. 106
9
eterogenee e i vari criteri vengono ad essere arbitrariamente equiparati in merito a
rappresentatività dell’intero disturbo.
Altro importante aspetto problematico, che Maffei pone all’attenzione, è inoltre il
fatto che la diagnosi categoriale presenta un assetto binario
6
: ciò sta a significare che
un soggetto che soddisfa 4 criteri diagnostici seguendo, questo sistema viene escluso
dalla diagnosi di Disturbo borderline di Personalità, allo stesso modo di chi ne
presenta uno soltanto. Da qui la necessità, evidenziata l’autore, di associare criteri
dimensionali all’approccio categoriale descrittivo.
Sempre a proposito della efficienza dei criteri diagnostici per il Disturbo Borderline,
Maffei propone una rassegna di studi con analisi fattoriali confermative. Tali analisi
hanno invero nella maggior parte dei casi confermato la presenza ai primi posti in
ordine di importanza di problematiche nelle relazioni interpersonali e del disturbo
dell’identità, così che sembrerebbe confermata l’accuratezza del modello strutturale
di Kernberg che sarà esposto più avanti.
Molti degli studi riportati da Maffei hanno in sostanza permesso di osservare una
triade prevalente di fattori nel Disturbo Borderline: patologia delle relazioni
oggettuali, sregolazione affettiva, scarso controllo dell’impulsività.
7
Un problema molto discusso e portato all’attenzione, soprattutto dai clinici che
seguono un approccio dinamico strutturale, e con loro gli stessi autori del PDM che
sarà presentato più avanti, è proprio quello della codiagnosi. Questa eccessiva
presenza di disturbi riguarda invero sia l’Asse II al suo interno, sia il rapporto tra
Asse I e Asse II del DSM. Questo fenomeno può essere spiegato in vari modi: il fatto
che la maggioranza dei soggetti presenti due o più diagnosi in Asse II potrebbe essere
dovuto alla presenza di dimensioni psicopatologiche latenti che accomunano
trasversalmente disturbi apparentemente indipendenti. Prova ne sarebbe il fatto che
molti psicofarmaci hanno effetto su disturbi apparentemente differenti da un punto di
vista fenomenico. Dall’altra parte, un eccesso di concomitanze diagnostiche tra Asse
6
MAFFEI C., (2008) op. cit. p. 104
7
Ivi, p. 112 e ss.
10
I e Asse II potrebbe essere dovuto a problemi connessi con gli strumenti diagnostici,
con i criteri diagnostici o con la distinzione concettuale tra i disturbi.
I modelli interpretativi del rapporto tra i due Assi che Maffei riporta prevede:
Predisposizione: i disturbi di Asse II predisporrebbero la comparsa dei disturbi di
Asse I.
Complicanza: i disturbi di Asse II sarebbero una conseguenza dei disturbi in Asse I
Diatesi comune: i disturbi di Asse I e di Asse Ii sarebbero espressione separata e
indipendente di un terzo fattore comune.
Forma attenuata: i disturbi di Asse II sarebbero una forma attenuata dei disturbi di
Asse I.
Interazione: i disturbi di Asse I e asse II interagirebbero, rendendo così più probabile
ed evidente la loro reciproca manifestazione.
Casualità: la co-occorenza dei disturbi di Asse I e Asse II sarebbe casuale.
Aspecificità: tra i disturbi di Asse I e Asse due vi sarebbe un legame aspecifico.
Partendo da queste problematiche, Maffei nota che ultimamente si è riproposto
l’abbandono della distinzione dei due ambiti diagnostici a favore dell’Asse I. “Non vi
sono comunque prove […]” continua l’autore, “[…] che questa soluzione sia migliore
del male che tenta di correggere”.
8
Questa prospettiva sarebbe infatti legata ad un
errore di fondo evidenziato dallo stesso Maffei, e utilizzato appunto dai detrattori
dell’autonomia dell’Asse II, cioè la confusione dei concetti di comorbilità e
covariazione. Il primo infatti prevede l’indipendenza dei disturbi, mentre il secondo
implica appunto la loro non indipendenza e il loro rapporto tramite dimensioni latenti.
A questo proposito, Maffei riporta le conclusioni di una approfondita rassegna
sull’argomento, pubblicata dalla rivista Biological Psychiatry con lo scopo di dare
una risposta alla considerevole quantità di problemi connessi con la diagnosi
categoriale, sulla base delle evidenze empiriche raccolte fino ad allora a integrazione
delle conoscenze e dell’esperienza clinica. Le conclusioni a cui si perviene sono una
serie di commenti e di raccomandazioni che possono essere così sintetizzate: il
disturbo borderline di personalità presenta un nucleo fenotipico, costituito dal
8
MAFFEI C., ( 2008), op cit. p. 103
11
disturbo dell’identità e delle relazioni interpersonali, dal discontrollo dell’impulsività
e dalla sregolazione affettiva che pare siano legati ad una alterazione dei processi
neurobiologici in parte determinati geneticamente. La diagnosi clinica dovrebbe
essere fatta attraverso la somministrazione di interviste semi strutturate e
accompagnata da eventuali altre diagnosi, sia sull’Asse I che sull’Asse II. Inoltre è
opportuno costruire il profilo diagnostico descrivendo anche i tratti di altri disturbi
eventualmente presenti accanto alla diagnosi sopra soglia, che comunque andrebbe
specificata nella sua composizione. Si sottolinea infatti la necessità di considerare la
diagnosi DSM sia nella sua natura categoriale che dimensionale, dal momento che
accanto alla diagnosi di disturbo borderline di personalità è possibile riscontrare la
presenza di tratti sparsi di altri disturbi. Occorre inoltre tenere in considerazione
anche un’altra questione strettamente legata a questo discorso: la stabilità temporale
dei criteri e il decorso degli stessi. Infatti, la diagnosi clinica dei disturbi di
personalità secondo il DSM IV implica la presenza di alcuni criteri generali che
enfatizzano la gravità e la persistenza dei fenomeni clinici in questione, con il rischio
di generare dei falsi positivi. L’errore di fondo, spiega Maffei, è quello di dare per
scontata la stabilità dei criteri del DSM IV che descrivono i disturbi di personalità, e
quindi anche quello borderline, mentre si tratta solo di un’ipotesi. Si ritiene cioè che i
descrittori delle caratteristiche della personalità siano rappresentativi di variabili di
tratto, confondendo queste ultime con quelle di stato e, di fatto, inficiando così la
validità di tutto l’Asse II.
9
In effetti, la rassegna di studi specifici esaminata da
Maffei, mostra un’estrema diversificazione in merito a stabilità diagnostica. Invero, i
risultati emersi dagli studi condotti all’interno del Collaborative Longitudinal
Personality Study confermerebbero che almeno due delle tre aree patologiche
identificate anche dagli studi statistici, e cioè l’instabilità affettiva e l’impulsività,
sarebbero basilari nel disturbo borderline. Allo stesso tempo però, le maggiori
discrepanze tra studi trasversali e studi longitudinali sembrerebbero emergere nelle
aree dell’identità e delle relazioni interpersonali.
9
MAFFEI C., ( 2008), op cit. p. 125
12
Links e coll., citati da Maffei, in due studi del 1988 e del 2000, ipotizzano che
maggiore stabilità dei criteri nel tempo significhi maggiore vicinanza a variabili di
tratto. Secondo questi autori la rappresentatività di tratto potrebbe essere legata a
caratteristiche temperamentali, e cioè al substrato biologico-genetico della
personalità, mentre i criteri meno stabili nel tempo potrebbero essere interpretati
come comportamenti appresi, oppure come tentativi di fronteggiare le caratteristiche
patologiche nucleari più stabili.
10
In conclusione, Maffei, partendo dalla considerazione che impulsività e instabilità
affettiva sono le due aree problematiche legate più saldamente al nucleo centrale del
disturbo borderline, mentre efficienza diagnostica e stabilità temporale non sempre
presentano un chiaro legame, può affermare come «[…] la diagnosi “del momento”
non sia sempre così in sintonia con quella “nel tempo”».
11
In sostanza, in questa sede si è fatto preciso riferimento alla necessità di integrare la
diagnosi categoriale con una valutazione dimensionale. In questo modo, non solo si
integrano gli elementi positivi di ogni area diagnostica, ma il concetto stesso di
diagnosi categoriale viene ampliato, consentendo di effettuare una diagnosi
categoriale più affidabile e di articolare la stessa tenendo conto dell’eterogeneità dei
soggetti. Infatti, come i risultati delle ricerche sembrano mostrare che, seppur il
disturbo borderline sembri organizzato intorno ad alcune aree cliniche nucleari,
esistono tuttavia elementi di eterogeneità ancora poco definiti e compresi. Da qui la
necessità di integrare la componente nomotetica, classificatoria, con quella
idiografica, personalizzata e capace di cogliere l’unicità del soggetto.
12
10
MAFFEI C., ( 2008), op cit. p. 133
11
Ivi, p. 134
12
MAFFEI C., ( 2008), op cit.
13
2. L’approccio dinamico-strutturale
La storia del concetto di borderline è iniziata con tentativi di classificazione
descrittivi di quadri considerati come tipicamente psicotici. L’aggettivo borderline è
stato quindi variamente unito a sostantivi quali: stato, condizione, sindrome,
personalità ecc. La confusione terminologica che ne è nata ha finito per far
considerare questa diagnosi da molti clinici come un serbatoio dove far rientrare tutto
ciò che non è già compreso da categorie già codificate. La situazione è cambiata
quando Kernberg ha proposto di spostare il piano di osservazione dai sintomi,
descrivibili, all’organizzazione di personalità, inferibile. I tratti di personalità, infatti,
sono organizzatori latenti e non possono essere osservati come accade per i segni e i
sintomi che compaiono in superficie.
13
Come evidenzia Maffei, l’analisi strutturale poggia sia su fondamenta evolutive,
ritenendo che le progressiva organizzazione della personalità avvenga attraverso un
percorso temporale caratterizzato da precisi parametri, sia sulla concezione
topografica freudiana, la quale, nella sua seconda topica, delinea la ripartizione
dell’apparato psichico nei tre territori dell’Io, del Super Io e dell’Es. Infatti, seppur
l’analisi strutturale possa, e di fatto è, essere considerata da tre differenti prospettive,
cioè caratteristiche strutturali specifiche, caratteristiche dinamico-genetiche e
caratteristiche descrittive, a causa dell’uso spesso non omogeneo che viene fatto di
questo concetto, essa deriva senz’altro dalla tripartizione freudiana sopra menzionata,
da cui è derivata la psicologia dell’Io, fino ad arrivare all’intersezione tra questa e la
teoria delle relazioni oggettuali.
La concezione della personalità postulata da Kernberg e, in sostanza, dagli altri autori
che seguono questa linea teorica, considera le rappresentazioni di Sé e dell’oggetto
come presenti all’interno dell’Io quali derivati interiorizzati delle relazioni oggettuali
reali, legate da stati affettivi posizionabili lungo un continuum che va dalla positività
alla negatività. Questi stati affettivi, invero, secondo quest’ottica costituiscono il
13
MAFFEI C., ( 2008), op. cit. p. 126
14
sistema motivazionale fondamentale e sarebbero in grado di fissare nella memoria del
soggetto le tracce di un mondo interno di relazioni oggettuali, la cui stessa
rappresentazione cognitiva può essere quindi investita di qualità positive o negative.
Risulta pertanto evidente come per Kernberg siano fondamentali sia le componenti
cognitive sia quelle affettive nella costituzione della personalità. Invero, affetti di
polarità opposta affiancherebbero lo strutturarsi, nel corso dello sviluppo, di due
sistemi motivazionali autonomi, veicolanti rispettivamente amore e odio, i quali
sarebbero a fondamento biologico e il cui scopo sarebbe quello di soddisfare i
bisogni primari attraverso la relazione con l’ambiente umano.
14
La strutturazione della
personalità sarebbe inoltre caratterizzata da progressive modificazioni nei rapporti tra
componenti cognitive e componenti affettive, con il progressivo prevalere delle prime
parallelamente all’avanzare dello sviluppo dell’apparato psichico. Nella fase
caratterizzata dalla fusione delle relazioni oggettuali, afferma Maffei, da un punto di
vista cognitivo non vi è differenziazione tra la rappresentazione di sé e la
rappresentazione dell’oggetto, mentre sul versante affettivo queste rappresentazioni
sono affettivamente polarizzate rispetto a qualità positive o negative. Durante la fase
della scissione, altresì, sono state acquisite le capacità cognitive di distinguere il Sé
dal non Sé, tuttavia a livello affettivo domina ancora il processo scissionale che
connota le rappresentazioni del Sé e degli oggetti in modo assoluto, o totalmente
buoni o totalmente cattivi. A questo proposito, Black e Black, citati da Maffei,
propongono un parallelo con la teoria mahleriana, seguendo l’ipotesi che in questo
periodo prevalga una attribuzione positiva al Sé e una negativa all’oggetto. Nello
specifico, secondo Blanck e Blanck, nella sottofase di sperimentazione gli affetti
positivi sarebbero connessi alla rappresentazione di Sé, mentre nella sottofase di
riavvicinamento l’attribuzione di affetti positivi prevarrebbe nei confronti
dell’oggetto. Ciò sarebbe funzionale a bilanciare l’esigenza di auto-affermazione con
quella di protezione. Sarebbe altresì proprio questo livello evolutivo delle relazioni
oggettuali (parziali) ad offrire un parallelo nell’organizzazione borderline di
14
MAFFEI C., ( 2008), op. cit. p. 2 e ss.
15
personalità. Laddove la fase caratterizzata dalla fusione deterrebbe invece un valore
predittivo rispetto allo sviluppo psicopatologico di marca psicotica.
15
Kernberg propone una classificazione dei disturbi di personalità di tipo dinamico
strutturale, centrata attorno alla dimensione della gravità del quadro clinico. Tale
classificazione si presenta lungo un continuum che va dall’organizzazione psicotica
della personalità a quella nevrotica, passando per quella borderline.
16
Lo stesso
Kernberg evidenzia come la classificazione dei disturbi della personalità da lui
proposta combini criteri dimensionali e criteri strutturali e sottolinea i vantaggi insiti
in questo tipo di approccio alla nosologia.
17
Combinando, invero, concetti strutturali e
concetti evolutivi, basati su una teoria delle relazioni oggettuali interiorizzate, si
possono differenziare i disturbi della personalità a seconda della gravità della
patologia, del livello di aggressività, delle disposizioni affettive patologiche, degli
effetti dello sviluppo di un Sé grandioso patologico e della disposizione
all’introversione o all’estroversione.
18
La personalità, afferma Kernberg, “[…] può essere considerata come l’integrazione
dinamica di tutti i pattern comportamentali derivanti dal temperamento, dal
carattere, dai sistemi di valore interiorizzati e dalle capacità cognitive”.
19
A questo
proposito, secondo Kernberg occorre distinguere, quali componenti principali della
personalità, il carattere dal temperamento: il temperamento sarebbe la disposizione
innata, e costituzionalmente determinata, a manifestare reazioni specifiche agli
stimoli ambientali; si riferirebbe in particolare al ritmo, all’intensità e alle soglie di
attivazione delle risposte affettive. Il termine carattere, d’altra parte, farebbe
riferimento all’organizzazione dinamica dei pattern comportamentali. Kernberg
propone di utilizzare questo termine per indicare le manifestazioni comportamentali
dell’identità dell’Io.
15
MAFFEI C., ( 2008), op. cit, pp. 4, 5
16
KERNBERG O. F., Narcisismo, aggressività e autodistruttività, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, p. 16
17
Ivi, p. 24
18
Ivi. p. 24
19
Ivi, p. 8
16
A questo proposito lo studioso propone una caratterizzazione della personalità
normale basata appunto su criteri dinamico-strutturali. La personalità normale
sarebbe dunque caratterizzata da:
ξ Un concetto integrato di sé e degli altri
ξ Una normale forza dell’Io, tale da consentire una buona ampiezza dello spettro
affettivo e la capacità di controllare i propri affetti e impulsi
ξ Un Super Io maturo e integrato da cui deriva un normale senso di
responsabilità, una realistica autocritica, una buona integrità e una certa
flessibilità
ξ Una gestione appropriata e soddisfacente degli impulsi libidici e aggressivi.
20
L’elemento principale, assieme ai livelli di organizzazione difensiva, che differenzia
sia l’organizzazione di personalità borderline che psicotica dalle strutture nevrotiche
è quello che Kernberg definisce sindrome della diffusione dell’identità.
21
20
KERNBERG O. F., (2006), op. cit. pp. 8, 9
21
KERNBERG O. F., Disturbi gravi della personalità, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 1987, p.
25