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2. Le Politiche Integrate di Prodotto
2.1 Ambiente e Economia Politica
Scopo principale dell’economia politica è la spiegazione dei fenomeni
sociali (Del Bono, Zamagni, 1997); per motivare il comportamento del
sistema nel suo complesso è però necessario riferirsi al comportamento
delle sue unità costitutive e alle interazioni che si stabiliscono tra esse. Le
imprese rappresentano una buona parte di queste unità. Le imprese sono a
loro volta costituite da individui che agiscono in primis secondo i loro
interessi e successivamente per soddisfare l’interesse aziendale che nella
maggior parte dei casi è individuabile nel profitto. Come dimostrato dalla
teoria dei giochi, spesso questo self-interest porta però a risultati
inefficienti. Prendiamo la tabella 2.1 dove abbiamo due soggetti A e B e le
azioni che i due possono compiere: C collaborare, D defezionare. Il
dilemma del prigioniero mostra che se entrambe i soggetti A e B sono
egoisti si arriva alla soluzione (D,D) che è un equilibrio di Nash dove ogni
giocatore fa il meglio che gli è consentito data la scelta del suo oppositore e
non ha nessun incentivo a modificare il proprio comportamento. Tale
posizione è però inefficiente sia individualmente che socialmente (Del
Bono, Zamagni, 1997).
Tabella 2.1:Dilemma del Prigioniero: Comportamento egoistico
Anche estendendo il gioco per un certo numero di ripetizioni i soggetti
egoisti collaboreranno fino ad arrivare al periodo t dove uno dei due,
tentato dal fare il furbo, defezionerà e al tempo successivo l’oppositore
risponderà defezionando a sua volta. Questo esempio può essere
tranquillamente applicato alle imprese che svolgendo la loro attività sono
B
C D
C 5,5 0,9
A
D 9,0 1,1
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accecate dalla conquista del profitto e finiscono per creare danni alla
collettività maggiori dei benefici che apportano con i loro prodotti.
In quest’ambito si inseriscono gli strumenti di gestione ambientale volte a
far si che il rapporto aziende-consumatori sia il più efficiente possibile. La
microeconomia sostiene che per formare una società che induca gli
individui a comportarsi in modo socialmente ottimale ci sono due vie (Del
Bono, Zamagni, 1997):
1.Sanzione dei comportamenti anti-sociali: supponiamo che il governo
imponga una tassa a carico di coloro che defezionano; in questo caso i
soggetti saranno indotti a scegliere di cooperare. Questo metodo ha però
bisogno per funzionare di due elementi:
a. Lo stato deve essere dotato di un apparato per l’imposizione e la
riscossione dei tributi, il che comporta dei costi;
b. La maggior parte della popolazione deve accettare la tassa,
altrimenti essa non può essere applicata.
La sanzione è dunque realmente praticabile solo quando un determinato
comportamento da seguire è relativamente già diffuso.
2. Incentivazione dei comportamenti altruistici: supponiamo che i due
soggetti A e B siano altruisti. In questo caso allora l’unico equilibrio di
Nash possibile sarà (C,C) che entrambe i soggetti sceglieranno non perché
esistono dei vincoli.
Tabella 2.2:Dilemma del Prigioniero: Cooperazione
Il risultato conseguito è il migliore possibile. C’è da dire comunque che i
comportamenti altruistici non devono essere estremizzati altrimenti si
ricade in una situazione simile a quando i soggetti agiscono solo nel loro
interesse (Del Bono, Zamagni, 1997).
B
C D
C 5,5 0,9
A
D 9,0 1,1
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La prima opzione, la sanzione, non può sicuramente essere applicata alle
aziende per ciò che riguarda la totalità dei danni che apportano
all’ambiente. Una sanzione, come già accade, è possibile solo per i danni
ambientali visibili o comunque quantificabili come gli scarichi e le
emissioni nocive. Tutto il resto però (es. mancata riciclabilità del prodotto)
sono elementi difficili da sanzionare.
La seconda strada, quella cioè della cooperazione, sembra la migliore da
percorrere.
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2.2 Esternalità
Le esternalità sono conseguenze dell’azione economica esterne al
meccanismo di mercato che cioè non si riflettono sui prezzi di scambio. Le
esternalità sono effetti sia vantaggiosi che svantaggiosi che ricadono
sull’attività di produzione o consumo di altri soggetti e che sono provocati
dall’attività di produzione o di consumo di altri individui (ad esempio il
fumo di una ciminiera danneggia una lavanderia che stende i panni nelle
vicinanze) (Del Bono, Zamagni, 1997). L’esternalità non viene pagata da
chi la provoca cosicchè il costo marginale ad esempio dell’industriale è
diverso dal costo sociale (Del Bono, Zamagni, 1997). Infatti:
Cs = Cp + Ce Costo Esternalità
Costo Privato
Costo Sociale
La presenza di esternalità sia positiva che negativa provoca un’insufficienza
nel modo di operare del meccanismo di mercato: l’industriale tenderà a
produrre di più di quello che potrebbe se dovesse pagare il danno. Il primo
a cercare di risolvere il problema delle esternalità fu Arthur Cecil Pigou
(già fondatore dell’Economia del Benessere) nel 1920. Egli propose di
introdurre un sistema di tasse e sussidi: lo stato impone una tassa pari al
danno provocato dall’esternalità a chi lo ha provocato e il ricavo della tassa
va a chi è stato danneggiato (Del Bono, Zamagni, 1997). In seguito
all’introduzione della tassa la curva dei costi dell’impresa si sposterà verso
l’alto con conseguente diminuzione della quantità prodotta.
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Cs
Cp
D
Ce= T
q2 q1
Nel caso invece di esternalità positiva, lo stato finanzierà chi la produce (es.
finanziamenti per la ristrutturazione di edifici nel centro storico).
Il problema di questa soluzione è però, come fa lo stato a misurare tale
esternalità? Se esso andasse dal danneggiato a chiedere l’ammontare del
danno subito, egli potrebbe comportarsi da free-rider e richiedere somme
superiori al danno reale (Del Bono, Zamagni, 1997).
Inoltre si ripresenterebbero i problemi visti in precedenza relativi alla
presenza di un apparato atto a riscuotere tali sanzioni. Un modo del tutto
diverso per correggere la presenza di esternalità è quello suggerito da
Coase, secondo il quale esse possono essere corrette mediante il
meccanismo di mercato stesso (Teorema di Coase, 1960). Infatti se le parti
coinvolte sono in grado di negoziare liberamente, si raggiungerà
un’allocazione ottimale delle risorse che è indipendente dalla distribuzione
iniziale dei diritti di proprietà e senza intervento statale.
Poniamo (Del Bono, Zamagni, 1997) che esista un fiume sul quale a monte
un’impresa scarica sostanze inquinanti mentre a valle un’organizzazione
sfrutta il fiume per giochi sull’acqua. Quest’ultima risulta essere
danneggiata. Coase dice che questo succede perché il fiume è utilizzabile
da tutti. Se noi però attribuiamo la proprietà del fiume ad uno dei due
contendenti, allora il proprietario pretenderà dall’altro soggetto una somma
per l’inquinamento causato. In questo modo si arriverà a determinare
negozialmente il costo dell’esternalità, non ponendosi infatti il problema
delle assimetrie informative.
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Quello che le Politiche Integrate di Prodotto della UE, cercano di fare è
eliminare alla base il problema delle esternalità negative. Il loro compito è
quello di individuare chi inquina e trovare il modo per cui abbia
convenienza a non inquinare più.
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2.3 Approccio europeo all’integrazione
Rispondere ai problemi ambientali è sempre stata una soluzione “no-win”
per le aziende; “aiuta l’ambiente e danneggia la tua impresa” è stata per
anni la regola (North, 1992). Con il passare degli anni però si è andati
lavorando per una riconciliazione tra ambiente e profitto. Infatti è cresciuta
la necessità da parte dei Paesi industrializzati di misurarsi con le nuove
sfide che emergono nella prospettiva di uno Sviluppo Sostenibile
(Carnimeo, Iraldo, 2000). Questo concetto è stato definito per la prima
volta nel Rapporto Bruntland (WCED, 1987) come “ lo sviluppo che
soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le
generazioni future di soddisfare le proprie necessità”. Per i Paesi decisi a
confrontarsi con l’attuazione di questo concetto, l’obiettivo è quello di
realizzare sistemi di produzione e consumo di beni e servizi in grado di
coniugare le esigenze di sviluppo economico con il rispetto dell’ambiente
(Carnimeo, Iraldo, 2000). Le politiche di prodotto costituiscono una
componente fondamentale per il perseguimento di tale obiettivo. I prodotti
infatti sono essenziali per il benessere della nostra società; il consumo di
prodotti, tuttavia è anche la causa diretta o indiretta di gran parte
dell’inquinamento e della riduzione delle risorse (Frey, Iraldo, 1999). Le
politiche di prodotto sono chiamate ad attivare processi virtuosi che al
tempo stesso garantiscano un livello qualitativo elevato dei prodotti-servizi
disponibili sul mercato, che diano luogo a un processo di selezione
competitiva che consenta uno sviluppo economico più sostenibile e che
generino una riduzione complessiva degli impatti ambientali lungo il ciclo
di vita del prodotto riconosciuta come indispensabile per la salvaguardia
dell’ambiente.
1
L’Unione Europea è convinta che per questa via
(innovazione ambientale dei prodotti) si possa anche garantire un vantaggio
competitivo del sistema produttivo comunitario. I prodotti del futuro
dovranno utilizzare minori risorse, presentare un minore impatto e rischi
inferiori per l’ambiente ed evitare la produzione di rifiuti fin dalla fase di
progettazione (Frey, Iraldo, 2000).
1
Per utilizzare le parole del Green Paper sul contributo delle politiche ambientali di prodotto allo
sviluppo sostenibile: un modo per intervenire sullo sviluppo sostenibile è quello di conseguire un
nuovo paradigma di crescita e una più elevata qualità della vita attraverso la creazione di ricchezza
e competitività sulla base dei prodotti più verdi.
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L’orientamento delle istituzioni, in particolari europee, verso lo sviluppo
sostenibile è andato consolidandosi negli ultimi vent’anni. Se tale concetto
ha preso gradualmente corpo sin dalle prime conferenze internazionali
sull’ambiente, è stato con la Conferenza di Rio che è divenuto di dominio
comune, coinvolgendo le principali istituzioni, gli attori sociali, il sistema
delle imprese dei diversi Paesi. Gli orientamenti di Rio sono stati accolti
con grande tempestività dalla Comunità Europea, attraverso la
predisposizione del V Programma d’azione per l’Ambiente del 1992
(Commissione Europea, 1992) che, nell’affrontare il tema dello sviluppo
sostenibile in termini di politica e di strumenti attuativi, proponeva un
approccio nuovo basato sulla responsabilizzazione di tutte le parti
interessate (autorità, cittadini, imprese), dichiarando che: “la realizzazione
dell’equilibrio auspicato tra attività umana e sviluppo da un lato e
protezione dell’ambiente dall’altro richiede una ripartizione delle
responsabilità chiaramente definita rispetto ai consumi e al comportamento
nei confronti dell’ambiente e delle risorse naturali. Tale equilibrio
richiede anche un dialogo ed un’azione concertata tra le parti interessate
che possono avere, nel breve periodo, priorità divergenti”(Commissione
Europea, 1992).
Mentre le misure ambientali adottate in precedenza erano di natura
prescrittiva e seguivano l’approccio “non si deve”, la nuova strategia si basa
sull’approccio del tipo “agiamo insieme” o cooperativo (cfr 2.1 Ambiente e
Economia Politica) che rispecchia la nuova consapevolezza del mondo
industriale e produttivo che l’industria non costituisce soltanto una parte
importante del problema ambientale, ma che è anche parte della sua
soluzione.
La nuova filosofia alla base della strategia d’azione del Quinto Programma
(Commissione Europea, 1992) è mirata a integrare la politica dell’ambiente
nelle altre politiche comunitarie, coinvolgendo i cittadini, le istituzioni
pubbliche e il mondo industriale nella definizione e nell’applicazione della
politica ambientale e delle relative misure d’accompagnamento.
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Non è però solo l’auspicata integrazione tra politiche, che ha caratterizzato
l’implementazione della sostenibilità da parte dell’Unione Europea
nell’ultimo decennio, ma anche la forte attenzione al coinvolgimento e alla
partnership tra i diversi attori destinatari delle politiche (Carnimeo et al,
2002).
Una delle novità più significative del Quinto Programma è, infatti, la
particolare rilevanza attribuita alla suddivisione delle responsabilità tra le
istituzioni pubbliche, gli operatori economici dei vari settori, i soggetti
sociali e le associazioni e le organizzazioni non governative (ONG) che
hanno come obiettivo la tutela degli interessi diffusi (Commissione
Europea, 1992). La volontà di corresponsabilizzare e cointeressare tutti gli
attori nelle dinamiche di sviluppo e attuazione delle politiche ambientali, è
dettata dalla necessità di trasformare la tutela ambientale in obiettivo
condiviso per i diversi soggetti interessati e comune ai differenti ambiti di
intervento delle politiche comunitarie, affinché le decisioni e le azioni
intraprese in settori quali l’industria, i trasporti, l’agricoltura, la fiscalità o
l’energia, tengano conto delle priorità di carattere ambientale (Carnimeo et
al, 2002). Le indicazioni contenute nel Quinto Programma, riguardanti la
crescente opportunità di definire obiettivi volti alla corresponsabilizzazione
dei diversi attori nella gestione delle problematiche ambientali, al dialogo
tra le parti e all’incoraggiamento ad adottare nuovi strumenti che superino
l’approccio del command and control, hanno dato vita ad una serie di
iniziative e provvedimenti normativi, da parte dei singoli Stati membri e a
livello UE, tutti ispirati ad un unico concetto: quello dell’integrazione
(Carnimeo et al, 2002).
I riferimenti a questo concetto sono diffusi e rintracciabili in diversi
contesti: dalla produzione normativa di matrice comunitaria, all’ambito
della normazione volontaria, fino alla definizione di nuove strategie e
politiche ambientali da parte del mondo imprenditoriale. Si può ricordare il
recepimento da parte del governo italiano, con il D. Lgs. 372/99, della
direttiva IPPC 96/61 (Integrated Pollution Prevention and Control) ovvero
il fiorente dibattito sulla opportunità di definire standard per la gestione
integrata EHS (Environmental, Health and Safety).
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I richiami al concetto di integrazione non si limitano, d’altronde, alla
considerazione delle aree-obiettivo delle politiche pubbliche o aziendali, ma
si riferiscono anche agli strumenti attraverso cui questi possono essere
perseguiti (European Commission, 1996). Vanno in questa direzione la
crescente consapevolezza da parte dei policy maker che l’attività legislativa
e regolamentare debba essere integrata con altre forme di intervento – in
particolare quelle di tipo economico e orientate verso il mercato - che siano
in grado di influenzare il comportamento degli attori economici, ovvero il
riconoscimento (anche nell’ambito del consiglio Europeo tenutosi a Cardiff
nel 1998) che i problemi ambientali che l’UE deve affrontare sono di
responsabilità comune e richiedono una cooperazione e “integrazione tra
Consiglio, Parlamento e Commissione (Carnimeo et al, 2002).
Questi sono soltanto alcuni “sintomi” di una tendenza in atto, ma
significativi di come l’integrazione stia sempre più diventando un principio
ispiratore di interventi di politica pubblica o di strategie aziendali (Iraldo,
2000). Molte imprese, infatti, hanno sviluppato strategie di integrazione
nella gestione ambientale delle proprie attività, sia in termini di
coordinamento tra i diversi ambiti e funzioni aziendali, sia in termini di
utilizzo congiunto e sinergico di diversi strumenti tecnici, soluzioni
organizzative e approcci gestionali. Allo stesso modo, a livello di policy
making, molti Paesi perseguono la tutela dell’ambiente utilizzando in modo
integrato una serie di strumenti di politica ambientale e di misure che
garantiscono la partecipazione dei principali attori della scena economica e
sociale, chiamati a condividere l’obiettivo di miglioramento della situazione
ambientale e, quindi, ad integrare le proprie azioni in questo campo.
Questi “sintomi” (o segnali deboli), sono tuttora identificabili
essenzialmente nell’ambito di singole esperienze, e sono difficilmente
inquadrabili in linee progettuali (di politica pubblica o di strategia
aziendale) esplicitamente orientate a perseguire l’obiettivo dell’integrazione
o ad applicarne i principi-guida.
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Sebbene non definite con chiarezza (sia in termini di obiettivi che
intendono raggiungere, sia in termini di metodologia e di modelli di
riferimento), queste esperienze, tuttavia, oggi offrono le prime significative
indicazioni riguardanti i possibili benefici connessi ad un approccio
“integrato” e le difficoltà incontrate nella sua attuazione (Carnimeo et al,
2002).
In prospettiva, attraverso lo sviluppo di definizioni chiare e condivise di ciò
che si intende per “integrazione”, la messa a punto di indicazioni sui
vantaggi ottenibili grazie ad una gestione integrata della variabile
ambientale e la condivisione di obiettivi e strumenti di una possibile
politica ad essa orientata, si potrà favorire il passaggio da un’adozione
spontanea, non pianificata e, talora quasi “inconsapevole” di questo
approccio da parte del policy maker, alla progettazione e implementazione
di una vera e propria “politica integrata di prodotto” (IPP, Integrated
Product Policy), come attualmente si profila nelle priorità della
Commissione Europea per il ventunesimo secolo.
Nel Sesto Programma d’Azione per l’Ambiente, in realtà, la Commissione
si propone di incoraggiare il miglioramento delle prestazioni ambientali di
prodotto, lungo tutto il suo ciclo di vita, nell’ambito dell’approccio di una
Integrated Product Policy, alla cui definizione ha dedicato un Libro Verde.
In realtà, l’introduzione del concetto di integrazione rappresenta la “testa di
ponte” di un approccio alle strategie (di politica pubblica ed aziendale)
volte ad armonizzare e coordinare gli obiettivi che si pongono le diverse
politiche a tutela dell’ambiente (Carnimeo et al, 2002).