6
di agenzia, rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si
concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale anche se non a carattere subordinato”. . La ratio dell’estensione della
disciplina collettiva nel ’59, del rito del lavoro nel ‘73 si può ricavare dall’analisi dei
lavori preparatori della legge Vigorelli in cui si legge che “vi sono particolari rapporti
che pur intercorrendo fra imprenditori, hanno una speciale fisionomia, sono cioè
caratterizzati dalla soggezione di una delle due parti contraenti all’altra. Tale è il caso
degli agenti di assicurazione, il cui rapporto con le rispettive imprese proponenti si
concreta nella esecuzione di un lavoro strettamente coordinato alle direttive impartite e
alle quali l’agente deve conformarsi nella propria gestione tecnica, amministrativa e
organizzativa. L’agente, pertanto, pur rivestendo la qualifica di datore di lavoro, sia pure
in potenza, viene a trovarsi nei confronti delle imprese preponenti in uno stato di
soggezione paragonabile, sotto certi aspetti, al lavoro subordinato” .
Un altro testo legislativo, fra i più recenti, riguarda, infine, il regime tributario dei
redditi derivanti, per l’appunto, da “rapporti di collaborazione aventi per oggetto la
prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato
soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di altri mezzi
organizzati e con retribuzione periodica prestabilita” che, è già importante notare, erano
dapprima ricompresi tra i redditi di lavoro autonomo (art. 49, c. 2, lett. a, del d.p.r. 917
del 1986) e poi assimilati, invece, fra quelli di lavoro dipendente (art. 47, c. 1, lett. c bis,
del d.p.r. 917 del 1986 così come introdotto dall’art. 34 legge n. 342 del 2000)
Poiché le tre definizioni sono utilizzate per scopi e in ambiti completamene differenti,
esse sono fra loro diverse ma presentano comunque importanti tratti comuni da cui si
possono ricavare i requisiti di identificazione del lavoro parasubordinato.
Tale collaborazione è caratterizzata dalla continuità, dalla coordinazione, e dalla natura
prevalentemente personale della prestazione.
7
Se è stato, di fatto, molto facile ricavare gli elementi qualificatori di questa fattispecie
attraverso la mera comparazione di più testi normativi non sarà altrettanto semplice
chiarirne il significato sia perché l’ordinamento in questo arduo compito non ci aiuta per
nulla, sia perché le visioni dottrinali e giurisprudenziali sui significati da attribuire a
questi termini sono a volte diametralmente opposte.
1.2 LA CONTINUITA’
Per esaminare il requisito della continuità dobbiamo innanzitutto rilevare che nei testi
normativi appena analizzati essa è un aggettivo del termine “prestazione d’opera” il che,
come rilevato da vari autori
1
, potrebbe sembrare una vera e propria contraddizione in
termini. Questo perché, nel contratto d’opera, almeno che non si abbia il caso specifico
di contratti ad esecuzione periodica o c.d. di durata, la continuità può rilevare solo ed
esclusivamente come elemento caratterizzante l’attività di esecuzione dell’adempimento
dell’opus ossia solo come tempo necessario per portare ad esecuzione il risultato
promesso.
La dottrina
2
è sufficientemente concorde nel rilevare come ai contratti d’opera, che non
hanno già di per sé la caratteristica di durata, si possa applicare la continuità ma
solamente dandole “un senso atecnico”
3
. In sostanza si afferma che la continuità può
essere ravvisata : nella reiterazione della stessa prestazione, nella ripetizione di
prestazioni diverse purchè non disparate e infine nell’esecuzione di un’unica opera il cui
adempimento necessiti di una attività che si dispiega per una certa durata nel tempo.
1
Ballestrero,L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in LD (1987),Pedrazzoli, Prestazione d’opera
e parasubordinazione (riflessioni sulla portata sistematica dell’art. 409, n. 3, c.p.c.) in RIDL (1984).
2
Vedi fra gli altri:Ballestrero, op. cit. Pedrazzoli, op. cit. Santoro Passarelli, Il lavoro parasubordinato,
Milano,1979. Santoro Passarelli, Lavoro parasubordinato, lavoro coordinato, lavoro a progetto,in D Luca
Tamajo, Rusciano, Zoppoli, Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema, Napoli,2004. Vallebona, La
riforma dei lavori, Padova, 2003.
3
Ballestrero, op. cit.
8
L’esistenza di una delle tre situazioni appena elencate non è però che un mero indizio
della possibile sussistenza della continuità. Poiché sarebbe, infatti, semplicistico e
fuorviante attribuire alla continuità un significato meramente cronologico, si dovrà
valutare di volta in volta, la presenza dell’elemento della coordinazione che,
integrandosi con quello della reiterazione della stessa o di più prestazioni o con quello
dell’adempimento che si protrae nel tempo, costituirà la prova del carattere continuativo
della prestazione.
A sostegno di questa tesi possiamo richiamare un importante apporto giurisprudenziale
4
in cui si sottolinea che, laddove si abbia una reiterazione delle prestazioni che sia
meramente occasionale o che sia solo il risultato di contingenze né previste né
tantomeno volute, non sarà ravvisabile una collaborazione coordinata e continuativa.
A riprova di quanto detto sin d’ora possiamo fare alcuni esempi.
Per quanto concerne la reiterazione di prestazioni, l’art. 409, n.3, c.p.c. è stato ritenuto
applicabile nel caso del rapporto professionale ultra trentennale fra un avvocato e un
ente previdenziale fondato su mandati generali ad lites rilasciati in base a convenzioni
che si sono susseguite nel tempo
5
, mentre non si è applicato il rito del lavoro ad un
rapporto fra avvocato e cliente
6
in cui i diversi incarichi si sono succeduti nel tempo
come nel primo caso ma in questa situazione avevano acquisito una rilevanza
singolarmente. La ratio della diversa interpretazione di due casi simili, come quelli
appena esposti, sta appunto nel fatto che, mentre nella prima fattispecie i vari opera
prestati dall’avvocato erano, seppur l’uno distinto dall’altro, teleologicamente correlati e
volti a soddisfare il medesimo interesse dell’ente previdenziale (indice ne sono i vari
mandati generali ad lites), nella seconda situazione ogni incarico è totalmente
indipendente dall’altro.
4
Cass. 25.2.1982, n. 1215
5
Cass. 4.10.1978, n. 4410
6
Cass. 19.7.1983, n. 4982
9
Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi concernente la prestazione unica che si protrae nel
tempo la giurisprudenza appare molto più incerta e divisa.
Ad esempio si è esclusa l’applicabilità del rito del lavoro nel caso di un contratto
d’opera avente per oggetto la ristrutturazione di un appartamento da parte di un
muratore
7
mentre è stato ritenuto parasubordinato l’incarico professionale di un
avvocato protrattosi per otto mesi anche se unico e definitivo
8
. Come mai , dunque, due
fattispecie, costituite entrambe da un unico opus che si protrae nel tempo, sono state
valutate in modo così diverso?
La ratio giustificatrice della disparità di trattamento risiede nel fatto che nel secondo
caso, come si può rilevare dalle pronuncia stessa, è stata ravvisata una totale messa a
disposizione delle energie lavorative del prestatore con una conseguente perdita della
sua posizione di libertà e perciò una sua presumibile dipendenza economica
9
da quel
suo cliente, che invece nel caso del muratore non è stata ravvisata.
1.3 LA COORDINAZIONE
La coordinazione è il tratto distintivo, la caratteristica peculiare che distingue il lavoro
parasubordinato dal lavoro subordinato e che lo fa dunque annoverare fra il genere
lavoro autonomo.
Il coordinamento è infatti diverso dal concetto di cui all’art. 2094 c.c. perché se nella
subordinazione “il potere direttivo si atteggia come potere di conformazione del
comportamento del prestatore di lavoro e come potere di determinazione delle modalità
di esecuzione e di disciplina della prestazione lavorativa”
10
, nella coordinazione si ha
7
Trib. Monza 20.10.1975, OGL, 1975
8
Pret. Firenze 21.10.1991
9
Sul fatto di includere o meno la dipendenza economica del collaboratore dal committente fra gli
elementi qualificatori del lavoro parasubordinato rimandiamo il lettore al paragrafo 6.
10
Santoro Passarelli, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979.
10
solo un “collegamento funzionale” dell’attività lavorativa del prestatore d’opera con gli
interessi, le esigenze e l’attività stessa del destinatario della prestazione. La
giurisprudenza ci potrà aiutare a chiarire il significato dell’espressione “collegamento
funzionale”, così largamente usata dalla dottrina ma, se non sufficientemente spiegato,
abbastanza oscuro.
Negli apporti giurisprudenziali essa equivale, a seconda dei vari casi presi in esame, ora
alla possibilità di ingerenza del committente nell’attività del prestatore
11
, ora
all’adeguamento del lavoratore agli interessi dell’azienda ai fini della prestazione
stessa
12
, ora, infine, al potere del committente di fissare le direttive e di stabilire le
modalità, anche se per grandi linee, della prestazione del lavoratore
13
.
Se il lavoro subordinato è destinato a realizzare, attraverso la spendita di energie
lavorative , un programma di lavoro che il datore ha diritto di definire unilateralmente e
quindi di modificare, il lavoro coordinato è promesso in vista dell’esecuzione di un
programma consensualmente definito per cui mentre nel primo caso il lavoratore
promette la sua attività per il conseguimento di ogni obiettivo che il datore vorrà
perseguire, nel secondo caso il lavoratore mette a disposizione la sua attività ma solo ed
esclusivamente per il proseguimento del progetto stabilito in sede contrattuale. Questa
situazione si ha, com’è di facile intuizione, nella collaborazione che contempla una
fornitura della stessa opus reiterata o di più opera o di uno o più servizi che è
ovviamente stabilita in sede contrattuale, ma si ha anche se la collaborazione consta in
uno svolgimento di un’unica attività che si protrae nel tempo, proprio perché è
finalizzata alla realizzazione di un programma stabilito consensualmente
14
.
11
Cass. 26. 7. 1996, n. 6752, in DPL, 1997.
12
Cass. 2. 5. 1994, n. 4204, in ADL, 1995.
13
Cass. 5.11. 1986, n. 6475.
14
Si noti che, come suggerito da parte della dottrina, l’importante elemento della definizione consensuale
della prestazione è confermato dalla disciplina dell’agenzia e della rappresentanza commerciale a cui , in
base all’art. 409, n. 3 c.p.c. la collaborazione coordinata e continuativa è assimilato.
11
In conclusione, si può dire che il coordinamento, lungi dall’essere un sottostare al potere
gerarchico e disciplinare del destinatario come la subordinazione, è una modalità
organizzativa della prestazione che è programmaticamente vincolata al volere e agli
interessi del destinatario pur rimanendo autonoma.
1.4 LA PREVALENTE PERSONALITA’ DELLA PRESTAZIONE
Questo requisito si rifà all’implicazione della persona del lavoratore nel rapporto il
quale, come stabilito dalla giurisprudenza, può avvalersi di collaboratori il cui apporto,
però, all’attività lavorativa deve sempre essere, rispetto a quello del lavoratore
parasubordinato, di natura meramente esecutiva o in ogni caso secondaria.
Sintetizzando si può dire che laddove l’attività sia svolta in forma di impresa e quindi il
lavoratore presti certo la sua attività ma all’interno di un’organizzazione complessa, i
cui indici rilevatori saranno la presenza di personale, di capitali, di strutture ecc. ecc.,
dallo stesso predisposta, non si avrà applicazione del rito del lavoro.
Dall’analisi di rilevanti apporti giurisprudenziali si potranno ricavare alcuni importanti
casi in cui non si applica l’art. 409 n 3 c.p.c..
Innanzitutto vi è il caso in cui il titolare del rapporto non sia il singolo prestatore ma una
società, anche se di persone o di fatto, perché tali società “non potendosi identificare
con le persone fisiche dei soci, non sono in grado, per definizione, di prestare un’opera
prevalentemente personale”
15
.
Non si ha coincidenza, poi, fra ciò che è richiesto dall’art 409, n. 3 c.p.c. e la nozione di
piccolo imprenditore di cui all’art. 2083 c.c. perché non è possibile considerare
personale l’attività prestata dai componenti della famiglia del prestatore
16
.
15
Cass. 21. 2. 1985, n. 1580, in RIDL, 1985, II.
16
Cass. 10.10.1981, n. 5325.
12
Si ha invece applicazione del rito del lavoro abbastanza generalizzata in tutti quei casi in
cui l’attività lavorativa si esplica in un’opera professionale, l’art. 409, n. 3 c.p.c. si
applica infatti sia nel caso in cui il professionista sia associato con altri nella titolarità di
uno studio perché si tratta di una “forma di collaborazione assolutamente distinta e
diversa da quella della società”
17
, sia nel caso della prestazione di un consulente del
lavoro nei confronti di un impresa commerciale, svolto con l’ausilio di collaboratori e di
tecnologie avanzate “perché nulla toglie alla professionalità personale della
prestazione”
18
e si può dire, più in generale, che in tutti i casi in cui si ha un’opera
professionale, la prevalente personalità della prestazione si ritiene debba presumersi
fino a prova contraria, che dovrà essere posta a carico della parte che eccepisce la
diversa natura del rapporto
19
.
1.5 LA DEBOLEZZA CONTRATTUALE
Insieme alla continuità, al coordinamento e alla natura prevalentemente personale della
prestazione, tanto oggetto di interpretazioni diverse, quanto indiscussi elementi del
lavoro parasubordinato, mi sembra opportuno annoverare fra i tratti salienti di questa
fattispecie anche la debolezza contrattuale del lavoratore coordinato.
Questo elemento è stato ravvisato innanzitutto dal Santoro Passarelli che sostiene,
appunto, che i tratti fisionomici di questa fattispecie (continuità, coordinazione e
carattere prevalentemente personale) sono dei forti indici della debolezza contrattuale
anche se tale debolezza andrà comunque ravvisata di volta in volta, caso per caso.
17
Cass. 22.12.1978, n. 6167.
18
Cass. 21. 2.1985, n. 1580, in RIDL, 1985, II.
19
Cass. 24. 6.1987, n. 5517; Cass. 11.10.1988, n. 5479.
13
E’ poi la stessa Corte Costituzionale
20
a considerare la debolezza contrattuale fra i tratti
salienti del lavoro parasubordinato poiché ha ritenuto infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 429 c.p.c. (che prevede la condanna al datore di lavoro
anche al maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione del
valore del suo credito) sollevata perché si sosteneva che l’inapplicabilità di questa
norma ai crediti dei lavoratori autonomi darebbe luogo ad ingiusta disparità fra i
prestatori d’opera ex art. 409, n. 3 c.p.c.e gli altri lavoratori autonomi.
La Corte ha infatti chiarito che “ la mancata applicazione nei residuali rapporti di lavoro
autonomo non è priva di razionale giustificazione poiché in queste ipotesi non sussiste
la posizione di debolezza del lavoratore rispetto al datore di lavoro che rappresenta la
ratio del particolare strumento di tutela”.
Di fatto è lo stesso art. 409, n. 3 c.p.c. o meglio la ratio che lo sorregge, che ci
suggerisce di annoverare fra gli elementi qualificatori del lavoro parasubordinato anche
la debolezza contrattuale. E’ palese, che l’estensione del rito del lavoro ai rapporti in
parola voglia soddisfare un’indubbia esigenza di protezione dell’attività lavorativa.
Questa posizione, che io condivido appieno, è stata fortemente criticata da più parti tra
le quali spicca la contestazione più forte ad opera del Pedrazzoli. Egli ammonisce
dicendo che la ratio della tutela processuale della fattispecie “è un buon criterio
ermeneutico ma non sempre coincide senza residui con la rilevanza della fattispecie, né
è concettualmente trasferibile ad indice esaustivo di questa”
21
e continua dicendo che
elevando il carattere di contraente debole a dato tipologico comune tanto della
subordinazione quanto della parasubordinazione si rischia solo di cadere in uno stato di
applicazione di garanzie imprevedibili, lasciate al mero arbitrio del giudice.
A questa critica che prende le mosse dall’appunto, sicuramente vero, secondo cui
l’elemento della debolezza contrattuale lascia spazio a interpretazioni non sempre
20
Ord. 10.5.1978, n. 65, in MGL, 1978.
21
Pedrazzoli, Opera, in NDI, appendice, 1982.
14
univoche, mi sento di obiettare che lo stesso si può dire anche per gli altri elementi
tipizzanti la fattispecie, la cui interpretazione è tutt’altro che pacifica ma che nessuno ha
mai pensato, per questo motivo, di escludere dal novero delle caratteristiche del lavoro
coordinato.
E’ inoltre da sottolineare come la debolezza contrattuale non coincide (come spesso è
stato sostenuto nelle critiche a questa teoria) con una posizione di inferiorità socio-
economica del prestatore nei confronti del committente che, sia per la sua natura
pregiuridica, sia per una sua estrema genericità, non è idonea a caratterizzare la
fattispecie in discorso.
Tale debolezza consta, invece, nel momento costitutivo del rapporto “nella mera
adesione del lavoratore alla determinazione del contenuto delle clausole contrattuali già
predisposte dal committente senza il potere di modificarle” e durante lo svolgimento del
rapporto “ è determinata da quelle clausole che impongono particolari vincoli e modalità
di esercizio alla attività del prestatore di lavoro parasubordinato nei confronti di terzi”
22
.
Ecco, dunque, che, così precisata, la debolezza contrattuale assume contorni ben
definiti che limitano sensibilmente il rischio di subire decisioni giurisprudenziali di
“mero arbitrio”.
In secondo luogo, il fatto di non voler contemplare la debolezza contrattuale fra i tratti
peculiari del lavoro parasubordinato mi sembra indice di poca sensibilità perché solo per
non voler “contaminare” lo schema astratto di riferimento della fattispecie dato dal testo
normativo con la ratio della tutela, si rischia di escludere l’estensione di importanti
garanzie di diritto del lavoro a casi in cui ci sono di fatto forti esigenze di tutela.
Si dovrebbero evitare le posizioni troppo formalistiche che non vedono, o non ritengono
importante vedere, che dietro ogni fattispecie normativa ci sono soggetti, non
normativi ma reali, che abbisognano di tutele che gli potranno derivare solo da
22
Santoro Passarelli, La parasubordinazione dieci anni dopo, in ALAR, Autonomia negoziale e
prestazioni di lavoro, Milano, 1993.
15
interpretazioni illuminate e consapevoli dei testi legislativi che, pur nel rispetto della
lettera della legge, sappiano cogliere i reali tratti peculiari di un lavoro dai confini tanto
incerti e ambigui quanto largamente utilizzati come appunto il lavoro parasubordinato.
1.6 IN SINTESI: LA DEFINIZIONE DI PARASUBORDINAZIONE
Dopo aver analizzato i tratti peculiari del lavoro parasubordinato possiamo trarre alcune
conclusioni finali.
La figura della parasubordinazione secondo alcuni
23
costituirebbe un superamento della
dicotomia codicistica fra lavoro autonomo (art. 2222) e lavoro subordinato (art. 2094)
perché costituirebbe una nuova categoria di rapporti di lavoro, un nuovo tipo legale, “un
tertium genus”. Questa teoria mirava , attraverso la creazione di questo nuovo genere
giuridico intermedio, a render possibile la previsione di uno zoccolo duro di tutele per
contratti e rapporti di lavoro di dubbia qualificazione.
A me sembra che la parasubordinazione sia invece da considerare una species del genus
lavoro autonomo, “caratterizzata dall’addizione agli elementi propri del tipo di altri
elementi”
24
primo e più importante di tutti l’elemento della debolezza contrattuale del
collaboratore il quale giustifica l’estensione a questi lavoratori, sicuramente autonomi,
di tutele proprie della subordinazione.
Tali tutele, come ad esempio l’indennità di malattia per il ricovero ospedaliero,
l’assicurazione contro gli infortuni, l’assegno di maternità e quello familiare, sono state
estese anche ai collaboratori autonomi sia per la loro debolezza che li assimila alla
situazione in cui vertono i lavoratori dipendenti, sia , a mio avviso per cercare di
contenere, nell’unico modo conosciuto dalla contrattazione collettiva ossia quello
23
De Luca Tamajo, Flammia, Persiani, La crisi della nozione di subordinazione e della sua idoneità
selettiva dei trattamenti garantistici. Prime proposte per un nuovo approccio sistematico in una
prospettiva di valorizzazione di un tertium genus: il lavoro coordinato, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1998.
24
Ballestrero, L’ambigua nozione di lavoro subordinato, in Dir. Lav., 1987; conformi Mengoni, La
questione della subordinazione in due trattazioni recenti, in RIDL, 1986