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Introduzione
Il presente lavoro intitolato “Stress post-traumatico: diagnosi, prevenzione e
psicoterapia” prende in esame il disturbo da stress a seguito di eventi di vita con
conseguenze traumatiche, inteso come una possibile traiettoria psico-fisica post-trauma,
al fine di descriverne la sintomatologia, delineare i principali fattori di rischio così come
di resilienza, e tracciare gli interventi volti a prevenire o curare tale psicopatologia.
L’idea di approfondire lo studio dei disagi legati allo stress da eventi traumatici nasce
dall’interesse e dalla curiosità personale di capire quali potessero essere le conseguenza
psicologiche nelle vittime di avvenimenti traumatici.
I mass-media nel loro lavoro di cronaca riportano, quasi quotidianamente, casi di
“emergenza” come violenze perpetrate in vittime sempre più giovani e incidenti
stradali, spesso anche mortali, oltre a situazioni di maggiore rilevanza per intere
collettività come guerre e disastri naturali o tecnologici. In particolare, i telegiornali si
focalizzano, soffermandosi per giorni, soprattutto sulle questioni processuali e/o
politiche legate ad eventi stressanti che stravolgono la vita delle persone direttamente
esposte, ma anche di parenti, amici, e quanti sentono di condividere simili esperienze.
Ma, cosa succede dal punto di vista psico-fisico ad una ragazza che subisce violenza o a
intere comunità devastate da catastrofi? Quali sono le possibili reazioni umane dinanzi a
circostanze di vita critiche? Proprio per approfondire questo aspetto ho deciso di
impostare l’esercitazione per la Licenza specialistica sullo stress post-traumatico.
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Il metodo utilizzato è di tipo compilativo e il seguente lavoro non vuole apportare un
contributo originale agli studi sul Disturbo Post-Traumatico da Stress, ma solo essere
una sintesi il più possibile completa delle ricerche esistenti in letteratura sull’argomento.
Il DPTS è stato studiato nella prospettiva di un approccio multi-disciplinare, con
l’intento di evidenziarne aspetti storici, biologici, psicologici, evolutivi e sociali.
Al tal fine, il primo capitolo è stato dedicato ad alcuni elementi introduttivi al disturbo
vero e proprio. A partire dalla constatazione che quella del trauma è una realtà
complessa che non può essere definita in modo univoco, ma che risente dell’assetto
storico-cultuale del gruppo di appartenenza, della ricchezza della struttura psicologica
dell’ essere umano e delle differenze individuali (ciò che risulta traumatico per un
individuo non lo è per un altro), è stato considerato il punto di vista delle principali
teorie psicologiche riguardo alla realtà del trauma. Della Teoria Psicoanalitica è stato
approfondito soprattutto il contributo di Freud e di alcuni autori successivi. Dopodiché,
si è fatto cenno alla Teoria dell’Attaccamento e alle recenti teorizzazioni
psicodinamiche in merito al concetto di trauma psichico. Infine, è stato delineato il
notevole contributo dato dai teorici del Cognitivismo e del Comportamentismo alla
spiegazione della sintomatologia da stress post-traumatico.
Questa pluralità di prospettive può garantire una lettura complessa e multidimensionale
dello stesso fenomeno. Viene, inoltre, puntualizzato che a seconda della definizione di
trauma scelta, dipende la classificazione degli eventi traumatici in diverse tipologie,
deducendo comunque che tutti gli eventi stressanti sono, in potenza, traumatici.
Ancora nel primo capitolo, sono stati messi in relazione i concetti apparentemente
contrapposti di stress e trauma, al fine di evidenziare la presenza di un’area comune al
corpo e alla psiche (memoria e coscienza), che può essere primariamente interessata, sul
piano biologico e psicologico, dallo stress postraumatico. Quindi, segue l’ampia
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descrizione delle conseguenze generiche dello stress traumatico sulle strutture
neurofisiologiche e sui sistemi di attenzione e memoria.
Il secondo capitolo, invece, riguarda in modo specifico il Disturbo Post-Traumatico da
Stress, ovvero una delle possibili reazioni psicopatologiche a situazioni di vita
potenzialmente traumatiche, che subentra nel caso di fronteggiamento inadeguato dello
stress psico-fisico che tali eventi implicano. Innanzitutto, sono state brevemente
ripercorse alcune tappe storico-culturali nella definizioni di stress postraumatico che
sfociano nell’odierna accezione di DPTS. Successivamente, è stata descritta la
sintomatologia di tale disturbo, in età adulta e infantile, così come prevista negli attuali
sistemi diagnostici di riferimento (DSM-III-R; DSM-IV-TR e ICD-10). Il confronto tra
questi sistemi ha, inoltre, premesso di mettere in luce l’assenza di una definizione
univoca di trauma, e di discutere della possibilità di eseguire diagnosi multiple.
Si è passati, poi, ad esporre i principali fattori legati all’insorgenza del DPTS, suddivisi
in fattori di rischio e protettivi, utili nella comprensione delle differenze interindividuali
nei modi di reagire allo stress indotto da eventi di vita insoliti e imprevisti. Per finire, il
secondo capitolo, affronta in termini generali, il tema della valutazione del DPTS,
esponendo alcuni strumenti psicodiagnostici del disturbo in età adulta e nell’infanzia.
Sulla base delle conoscenze in merito ai fattori di protezione della patologia da stress
posttraumatico, sono state implementare diverse azioni volte alla prevenzione di tale
disturbo, le cui linee generali sono state esposte nel terzo capitolo. In effetti, è sempre
più evidente la volontà di operatori di pronto soccorso, servizi di volontariato ed esperti
di salute mentale, di agire in fase di crisi al fine di educare le vittime di traumi
all’utilizzo di strategie adattive di management dello stress acuto post-trauma, cercando
di evitare sequele psicopatologiche. Queste tipologie di interventi di prevenzione c.d.
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“secondaria” sono, ovviamente, rivolte a persone normali che reagiscono normalmente
a situazioni di vita inaspettate e sconvolgenti, nonché a soggetti a rischio di DPTS.
Invece, nell’ultimo capitolo di questa tesi, sono stati delineati i trattamenti
maggiormente usati per quella percentuale, seppure piccola, di persone che a causa di
vari fattori personali e ambientali, vive in modo protratto la sintomatologia da stress
posttraumatico o presenta situazioni di comorbidità. In questi casi, infatti, diviene
necessario intervenire con trattamenti terapeutici (psicofarmacologici e psicoterapeutici)
più complessi rispetto alle tecniche di prevenzione secondaria, come il debriefing, e
finalizzati alla riduzione del disturbo in essere, nonché alla prevenzione c.d. “terziaria”
di una eventuale cronicizzazione del DPTS.
1
Capitolo primo - Stress da eventi traumatici:
cause, sintomi e conseguenze
Questo capitolo ha lo scopo di fornire un quadro generale e il più possibile completo di
tutto ciò che implica l’accezione di stress conseguente ad eventi traumatici.
Il primo paragrafo costituisce un’introduzione al concetto di “trauma”, a partire dalla
sua evoluzione storico-culturale. Sono state presentate, poi, diverse concezioni e
definizioni di trauma psicologico dalle quali dipende la suddivisione degli eventi
traumatici in varie tipologie. Si fa cenno, inoltre, alla reazione soggettiva ad un evento
critico, che dipende dalla complessa interazione di molteplici variabili.
Il secondo paragrafo, lega il concetto di trauma psichico a quello di stress, descrivendo
cosa comporta a livello psico-fisico l’esposizione di una persona ad un evento vissuto in
modo traumatico. Infine, il terzo ed ultimo paragrafo, mette in luce le conseguenze
biologiche e cognitive a breve termine, e gli effetti psicologici profondi a lungo termine,
prodotti da un fallimento nel tentativo di gestire lo stress post-traumatico.
1. Definizioni di trauma e classificazione degli eventi traumatici
«In quei momenti, lo stress e l’angoscia passano,
ciò che resta è solo un vuoto senza parole»
Lebigot F., 1997.
Il termine trauma, originariamente usato in campo medico, è di derivazione Indo-
Europea (dal lat. tràuma; dal gr. traўma) e presenta un doppio significato: a) perforare,
ferire, trafiggere; e b) passare al di là
1
. La doppia accezione di trauma che può “ferire” e
nello stesso tempo “oltrepassare”, descrive perfettamente le due possibili traiettorie
1
Dizionario etimologico online: http://www.etimo.it/?term=trauma.
2
psichiche osservabili a seguito di una situazione traumatica: lo sviluppo del disturbo
post-traumatico da stress o della resilienza – cioè, l’abilità di sormontare il trauma e
dare un senso ad eventi apparentemente inspiegabili.
Il significato medico del termine è, quindi, quello di una ferita o lesione del corpo
prodotta da cause esterne sia taglienti e laceranti, sia contundenti. Nella patologia
medica, quindi, il trauma per essere tale deve soltanto possedere il rango di incidere
sulle resistenze dei tessuti cutanei o degli organi. L’ “energia” del trauma è strettamente
collegata alla tipologia della lesione.
In neuropsichiatria, invece, non è necessario reperire una lesione dei tessuti a conferma
del danno morfologico subito. Piuttosto, il trauma si riferisce ad una lesione del sistema
nervoso o dell’organismo psichico per effetto di avvenimenti che irrompono
bruscamente ed in modo distruttivo (Galimberti,1992).
1.1. Excursus storico-culturale del concetto di trauma
L’esposizione traumatica e le sue conseguenze non rappresentano un fenomeno nuovo;
la storia del trauma è antica quanto la violenza, le guerre e la distruttività dell’uomo in
generale. La letteratura sul trauma, infatti, ci fornisce una ricca fonte di forti descrizioni
rispetto ad un modo specifico di reagire dell’uomo ad eventi particolarmente
minacciosi, come combattimenti, omicidi, abusi ed altri disastri personali e collettivi
(Tehrani, 2004; Yule, 2000).
In passato, sono stati descritti casi singoli come quello di Blaise Pascal, il celebre
filosofo francese che nel 1630 subì un forte trauma a causa di un incidente in carrozza.
Invece, riguardo agli scrittori, basta ricordare Omero nell’Iliade e Shakespeare in
Enrico IV e Macbeth, che hanno decritto le reazioni dei loro personaggi a shock gravi,
3
che rappresentano una valida descrizione di disturbo post-traumatico da stress (De
Clercq, Lebigot, 2001; Beveridge, 1997).
Agli inizi del ‘600, prove aneddotiche dell’esposizione al trauma e delle conseguenti
reazioni venivano riportate molto più frequentemente. E’ il caso di Samuel Pepys che
nel suo Diario fornì un buon esempio di trauma psicologico indotto nella popolazione
inglese dal grande incendio che colpì Londra nel 1666 (Beveridge, 1997). Anche il
celebre autore Charles Dickens soffrì di numerosi sintomi traumatici dopo aver assistito
ad un tragico incidente ferroviario fuori Londra (Trimble, 1981).
Con la nascita della psichiatria cosiddetta ‘morale’ nel XIX sec., si consideravano in
modo molto negativo coloro che non riuscivano a liberarsi velocemente delle immagini
e delle impressioni cattive che li avevano colpiti (Bonomi e Borgogno, 2001). Tuttavia,
la psichiatria giocò solo un ruolo minimo nella prima evoluzione del concetto di trauma.
A partire dall’800, un serio interesse per l’argomento si sviluppò soprattutto tra i medici
inglesi, la maggior parte dei quali sostenevano l’ipotesi organicistica, secondo la quale i
sintomi traumatici erano soltanto la manifestazione di un danno fisico. Tuttavia, con la
Guerra di Secessione Americana (1882) e l’introduzione delle armi da fuoco a
ripetizione e dei cannoni, che provocarono veri e propri disastri collettivi, si cominciò a
notare che sul corpo di numerosi soldati deceduti non vi era alcuna lesione evidente
2
.
Inoltre, l’avvento dei mezzi di trasporto su rotaia (1880) e i primi disastrosi incidenti ad
essi legati, nell’Epoca Vittoriana, fecero registrare casi di gravi e apparentemente
inspiegabili di reazioni psicologiche grossolanamente attribuite ad un danno biologico.
Il passaggio dalla neurogenesi alla psicogenesi del trauma, si ebbe con il contributo del
neurologo parigino J. M. Charcot – denominato il “Napoleone delle Nevrosi”
(Beveridge, 1997) – il quale sostenne che il pensiero di aver subito un grave danno a
2
Cfr. cap. II, p. 41.
4
seguito di un incidente potesse indurre l’insorgere di un’idea patogena (ipotesi
ideogenetica dell’isteria), e quindi produrre sintomi isterico-traumatici, tra cui le
‘paralisi isteriche’
3
(Bonomi, Borgogno, 2001).
Nonostante la sua teoria sulla “nevrosi traumatica” fu costruita ancora su un modello
neurofisiologico - sintomi erano la prova di un disturbo funzionale del cervello -,
Charcot arrivò a concludere che un trauma fisico potesse produrre disturbi emotivi
(Jones e Wessely, 2007).
In parallelo con gli sviluppi teorici inglesi, lo psichiatra tedesco H. Oppenheim (1892)
descrisse per primo le “nevrosi traumatiche”, nelle quali uno stress psicologico
produceva modificazioni fisiologiche a lungo termine del sistema nervoso.
Negli stessi anni, è per merito di A. Strϋmpell che il concetto causale di trauma si
trasformò da evento oggettivo e fisico, in vissuto soggettivo. Strϋmpell sottolineò la
funzione delle idee patogene nella coscienza: rappresentazioni di desiderio che, quindi,
imprimono intenzionalità ai sintomi e uno scopo alla malattia.
Il modello ideogenetico costituì il punto di partenza anche per le teorizzazioni iniziali di
S. Freud, su cui i neurologi francesi Charcot e P. Janet (§ 3.4.) ebbero un’influenza
epocale. La psicoanalisi, in generale, allontanandosi dall’idea che gravi incidenti esterni
potessero causare sofferenza psichica in età adulta, si avviò a lunghi dibattiti sulle
complesse dinamiche intrapsichiche che sottendono ogni disagio mentale.
Il tema dei disturbi post-traumatici venne studiato in modo particolarmente
approfondito a seguito dei due grandi conflitti mondiali, e della sanguinosa Guerra in
Vietnam, che si rivelò ben presto un problema di enormi dimensioni sociali. Fu così,
3
Charcot associava la patogenesi delle “paralisi isteriche” ad un evento traumatico che,
dimenticato nella veglia, poteva riemergere solo durante l’uso dell’ipnosi (Ellenberger H.F.,
1970).
5
che s’iniziò a parlare di sindrome del Disturbo Post-Traumatico da Stress (Figley,
1978).
Un formale riconoscimento del DPTS nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi
mentali o DSM-III (APA,1980) come entità diagnostica distinta, modificò la
comprensione concettuale di trauma. In particolare, si cominciò a cercare di
comprenderne la dinamica sul piano biologico, psicologico, sociale e culturale.
L’ultima revisione del DSM (DSM-IV, 1994) contiene, in corrispondenza del criterio
A1 del Disturbo post-traumatico da stress (cfr. cap. II), la definizione implicita di
trauma inteso come “esperienza personale diretta o indiretta di un evento che causa o
può comportare morte, lesioni gravi o altre minacce all’integrità psico-fisica”. Mentre, il
criterio A2 riflette la dimensione psicologica del trauma, attraverso l’immediata
apprensione dell’evento da parte della vittima nella forma di una reazione di “intensa
paura, impotenza e orrore”. Entrambe le definizioni appaiono come alquanto restrittive
e basate su una valutazione oggettiva degli eventi traumatici.
Soprattutto il criterio A1 indica un ritorno al vecchio significato della parola “trauma”,
con cui ci si riferiva esclusivamente ad una ferita corporea, ed esclude le situazioni che
non implicano una violenza fisica diretta o una minaccia all’integrità fisica (Braga, Fiks,
Mari e Mello, 2008). Invece, dalla letteratura delle ultime decadi si evince che non sono
solo traumi violenti ed evidenti a “traumatizzare” una persona
4
.
In sintesi, il concetto di trauma in letteratura è molo vago, una vera parola “ombrello”
che assume accezioni diverse provenienti dalle più svariate origini.
In generale, però, si può assumere che «se il concetto di trauma fisico è quello di una
ferita che lacera il corpo, quello di trauma psichico è allora una ferita psicologica,
violentemente inflitta, con conseguenze durature» (Castrogiovanni e Traverso, 2003).
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E’ il caso di situazioni di maltrattamento, violenza e/o trascuratezza prolungate nel tempo.