RIASSUNTO
Lo studio condotto all’interno di questa tesi è un follow-up, che riguarda un gruppo di
genitori di bambini affetti da epilessia idiopatica. Si tratta nello specifico di un campione di
48 genitori (24 madri e 24 padri), i quali hanno compilato una serie di questionari in due
momenti differenti, all’inizio della presunta malattia del figlio (fase della diagnosi) e a
distanza di un anno e mezzo circa dalla diagnosi stessa (fase dell’adattamento), (Patterson,
Garwich, 1994).
Lo scopo della ricerca è stato quello di verificare se con il passare del tempo e con il
miglioramento o la stabilizzazione della malattia del figlio i genitori tendono a ridurre il
carico di lavoro legato cura del figlio, ad utilizzare diversamente certe strategie di coping, e
a percepire minore preoccupazione e affaticamento nella cura del figlio.
Gli strumenti che abbiamo riutilizzato all’interno del nostro follow-up sono stati: il Coping
Health Inventory for Parents-CHIP (McCubbin, H.I., McCubbin, M.A. et. al., 1983) per
indagare le strategie di coping usate dai genitori per affrontare lo stress causato dalla
malattia del figlio, il Family Strain Questionnaire-FSQ (di Rossi Ferrario, Zotti et al.,
2003), che fa emergere il grado di stress ed affaticamento dei genitori in presenza di
malattia in un figlio e la Child Vulnerable Scale-CVS (Culley, Perrin, et al., 1989),
costruita per rilevare il grado di vulnerabilità (fragilità fisica) e la preoccupazione percepita
dal genitore nei confronti del bambino malato. L’unico strumento nuovo che abbiamo
aggiunto è il SF-12 Health Survey, forma ridotta del SF-36 Health Survey, validato in
Italia da Apolone, et al., (1997). Lo strumento in questione è stato adattato alle
caratteristiche del nostro campione di genitori, con domande mirate ad indagare la Qualità
della Vita che il genitore attribuisce a se stesso e al figlio malato.
Dal confronto attuato tra le risposte date dai genitori nella fase successiva alla diagnosi e
dopo 18-21 mesi dalla prima compilazione dei questionari è emerso che rispetto al periodo
precedente i genitori attualmente:
a.percepiscono meno stressante il carico di cura legato al figlio;
b.sentono meno il bisogno di utilizzare alcune strategie di coping come la
cooperazione, il mantenimento dell’integrazione familiare o la ricerca di
informazioni inerenti alla malattia epilettica;
c.anche se percepiscono ancora il figlio malato come “vulnerabile” rispetto alla
fase iniziale della malattia, hanno maggiori aspettative positive e minori
preoccupazioni nei confronti dello stesso.
All’interno di questi dati abbiamo potuto confermare alcune differenze significative tra
padre e madre relativamente all’uso delle strategie di coping: le madri della nostra ricerca
ritengono maggiormente utili alcune strategie di coping come il mantenimento
dell’integrazione familiare e percepiscono su di loro stesse un maggior carico di lavoro
legato alla cura del figlio malato rispetto ai padri, sia relativamente alla prima
compilazione dei questionari che alla seconda.
Parole chiave: epilessia, stress, vulnerabilità, qualità della vita, coping familiare,
adattamento
6
INTRODUZIONE
Questo lavoro di tesi affronta il tema dell’impatto che ha sui genitori la diagnosi di epilessia
idiopatica in un figlio.
In particolare la ricerca ha avuto l’obiettivo di controllare nel tempo se:
a)alcuni meccanismi di coping ritenuti particolarmente utili da entrambi i genitori in una
prima fase di diagnosi della malattia, si mantengono tali dopo 18-21 mesi, (fase di
adattamento della malattia).
b)L’affaticamento psicologico e lo stress percepito dai genitori nella cura del figlio
affetto da epilessia, ha subìto variazioni nel tempo.
c)La percezione di “vulnerabilità” (fragilità fisica) che spesso il genitore ha nei
confronti del figlio malato cronico, subisce dei cambiamenti nella fase di adattamento.
d)Alcune“preoccupazioni”che i genitori hanno nei confronti del figlio malato, nella
fase immediatamente successiva alla diagnosi di malattia, (un esempio è la paura che il
figlio in futuro non possa avere una vita sociale e sentimentale “normale”), sono
diminuite, rimaste stabili o eventualmente aumentate in questa seconda fase di
rilevazione dei questionari. Contemporaneamente alla rilevazione del cambiamento
delle preoccupazioni nei genitori abbiamo anche cercato di capire se sia possibile
riscontrare la nascita di eventuali “aspettative positive”, che in accordo con la
letteratura internazionale dovrebbero aumentare a distanza di parecchi mesi dalla fase di
crisi, vale a dire dalla fase in cui viene scoperta la malattia; E’, infatti, abbastanza
comune che, nelle patologie croniche con prognosi benigna come l’epilessia idiopatica,
ad una prima fase di crisi determinata dalla scoperta della malattia segua una fase di
adattamento in cui i genitori cominciano ad accettare il cambiamento degli equilibri del
nucleo familiare e quindi a recuperare aspettative positive rispetto al benessere futuro
del figlio malato cronico (Patterson, Garwich, 1994).
In ultimo abbiamo ritenuto utile avere informazioni anche sulla Qualità della vita, in altre
parole sulla percezione e valutazione che i genitori hanno del benessere fisico e mentale del
figlio, oltrechè della personale soddisfazione per la loro vita.
Pertanto il punto di partenza di questo lavoro di tesi, è stato il tentativo di
evidenziare l’esistenza di alcuni meccanismi di cambiamento, che generalmente avvengono
all’interno dei nuclei familiari, qualora questi si trovino a dover affrontare una situazione di
totale rivisitazione della propria realtà, determinata in questo caso dalla scoperta che un
membro della famiglia è portatore di una malattia non acuta ma di tipo cronico. Abbiamo
voluto sottolineare, inoltre, che il percorso di cambiamento cui vanno incontro i genitori in
questo caso, è indubbiamente reso più difficile dalla imprevedibilità della patologia
epilettica, la quale nonostante la sua alta diffusione, non è ancora conosciuta e anzi spesso
viene considerata come un male misterioso.
Per quanto riguarda la costruzione della tesi, ho suddiviso il mio lavoro in 8 capitoli:
nel primo ho descritto la patologia epilettica, sottolineando come questo disturbo sia molto
più diffuso di quanto si creda e necessiti quindi di maggiori attenzioni a causa dei possibili
risvolti psicosociali negativi che può avere.
Nel secondo capitolo, ho poi descritto l’impatto della malattia cronica sulle famiglie,
partendo dal presupposto che il nucleo familiare nel processo di accettazione della malattia
di un membro, va incontro a diversi cambiamenti che lo portano da una iniziale situazione
di isolamento e non accettazione della nuova realtà, ad una fase di adattamento con
formazione di una nuova identità.
8
All’interno del terzo capitolo, ho voluto descrivere la particolare difficoltà che si
trovano a dover affrontare le famiglie di un bambino epilettico, sottolineando l’impatto che
questo tipo di malattia ha sui genitori e sui meccanismi di adattamento che si vengono a
creare.
Il successivo quarto capitolo, è nato con lo scopo di illustrare il costrutto psicologico
di Qualità della Vita (QoL), e di sottolinearne l’importanza, soprattutto nell’ambito della
cura di malattie croniche come appunto l’epilessia (Sillanpaa, Haataja, Shinnar, 2004).
Nel quinto e ultimo capitolo teorico, ho voluto soffermarmi sul concetto di coping
genitoriale, cercando di analizzare che genere di meccanismi di fronteggiamento della
situazione si mettono in atto all’interno della triade madre-padre-figlio affetto da epilessia.
I successivi e ultimi tre capitoli presentano il progetto di ricerca nelle sue fasi:
1. La presentazione degli obiettivi: con la presentazione delle variabili indagate e
l’illustrazione dello scopo della ricerca condotta all’interno di un lavoro di follow-up su un
gruppo di genitori con figli affetti da epilessia idiopatica.
2.Gli strumenti utilizzati: in cui viene illustrato l’utilizzo dei 4 test, il Coping
Health Inventory for Parents (CHIP) di McCubbin, McCubbin et al., (1983), che analizza
le strategie di coping di genitori con figli affetti da malattia cronica, il Family Strain
Questionnaire (FSQ), di Rossi Ferrario, Zotti, et al., (2003) usato per indagare il livello di
affaticamento del genitore nella cura del figlio, la Child Vulnerable Scale (CVS) di Culley
e Perrin (1989), usato per testare la “vulnerabilità” e le preoccupazioni che il genitore prova
verso il bambino malato, e in ultimo il SF-12 Health Survey, validato in Italia da Apolone,
et al., (1997), che analizza la percezione che il genitore ha della propria qualità della vita e
di quella del figlio malato.
3. Il campione e il procedimento: con l’illustrazione del campione (24 madri e 24
padri di bambini affetti da epilessia idiopatica) reperito per la seconda volta presso il Centro
Regionale per l’Epilessia del Fatebenefratelli di Milano e con la spiegazione del
procedimento e dell’ordine di presentazione dei questionari.
4. La presentazione dei risultati: nella quale in funzione dei nostri obiettivi
abbiamo sottolineato se ci sono stati cambiamenti nel tempo rispetto alle risposte date dai
genitori ai 4 questionari, i quali sono stati fatti compilare subito dopo la diagnosi e a
distanza di 1 anno e mezzo circa dalla prima rilevazione e nella quale abbiamo potuto anche
evidenziare che permangono alcune differenze di genere (tra madre e padre) che erano già
state evidenziate nella precedente ricerca.
9
1.L’EPILESSIA
1.1. CLINICA DELL’EPILESSIA: ASPETTI GENERALI
1.1.1 L’EPILESSIA NELLA STORIA
Il termine “epilessia” che deriva dal greco epilambanein (essere sopraffatti, essere colti di
sorpresa), sta ad indicare una modalità di reazione del Sistema Nervoso Centrale a diversi
stimoli (Canger, 1999).
L’epilessia si può definire un male antico, già presente nel trattato di medicina babilonese
compilato tra il 1067-1046 a.C. dove è ricordato col nome di miqtu (malattia che fa cadere).
Nel tempo l’epilessia è stata designata con i termini più strani, che di volta in volta hanno
riflettuto l’atteggiamento della cultura che li esprimeva. Termini come “mal caduco” della
cultura medioevale e rinascimentale si sono alternati con definizioni come “male sacro”
della cultura greca, che alludono ad una supposta origine soprannaturale del disturbo
(Canger, 1999).
Nel V secolo a.C. Ippocrate, (illustre medico greco), all’interno del famoso Corpo
Ippocratico, (che è in assoluto la prima raccolta di scritti di medicina pervenutoci dalla
Grecia antica), contestava duramente il pregiudizio che si era da sempre avuto nei confronti
dell’epilessia considerandola per nulla più divina o più sacra delle altre malattie, ma avente
la stessa natura da cui le altre provengono. Così facendo l’autore contrastò energicamente le
credenze superstiziose del suo tempo.
La cultura romana, condivise per lo più le concezioni espresse precedentemente da
Ippocrate e dobbiamo a Galeno, (I secolo d.C.), la distinzione tra epilessia primaria ed
epilessia secondaria, (definita così perché l’evento epilettico è secondario ad un’altra
malattia come ad esempio un tumore cerebrale).
10
Si dovrà aspettare il XIX secolo, per avere la prima vera teoria sull’epilessia, ad opera di
Hughling Jackson (1831- 1911) il quale per primo elaborò la concezione che il tessuto
nervoso danneggiato, fosse soggetto a scaricarsi in maniera eccessiva, dando finalmente alla
medicina una concettualizzazione dell’epilessia che si è rivelata attuale anche ai giorni
nostri (Senatore Pilleri, Oliverio Ferraris, 1991).
D’altro canto nonostante il progresso scientifico e i miglioramenti tecnici cui si è giunti
oggi, non si è ancora abolito il pregiudizio e lo stigma che circondano quest’affezione.
tuttora capace di suscitare in molti una superstiziosa paura (Canger, 1999).
1.1.2 CHE COS’E’ L’EPILESSIA
L’epilessia è una sindrome caratterizzata da frequenti crisi convulsive e/o da altre
manifestazioni critiche motorie, sensitive, psichiche, neurovegetative, le quali hanno in
comune l’acessualità, in altre parole il fatto che si presentano improvvisamente, e la
tendenza a ripetersi nel tempo (0,5% della popolazione); può essere sostanzialmente
definita come un’anomalia del nostro sistema nervoso, causata da un’alterazione
dell’attività elettrica del cervello detta “ipereccitabilità”, rilevabile
all’elettroencefalogramma (EEG), (Adams, Victor, Ropper, 1998). Si verifica, infatti, un
eccesso di funzione del sistema nervoso: alcune cellule del cervello iniziano a lavorare ad
un livello molto superiore al normale, producendo così la scarica epilettica (registrata con
EEG) e la crisi epilettica (valutata attraverso l’osservazione del paziente) (Adams, Victor et
al., 1998).
Le possibili cause dell’epilessia possono talvolta essere identificate, ed includono tumori,
traumi, infezioni, disfunzioni metaboliche, disturbi vascolari e predisposizione genetica, (se
uno dei genitori n’è affetto, il rischio che anche il figlio presenti la patologia è circa del 5%,
se affetti entrambi il rischio sale al 20-30%), ma in molti casi la causa che ha scatenato
11
l’epilessia è sconosciuta. E’ molto improbabile che un solo meccanismo spieghi tutti gli
attacchi (Bear, Connors, Paradiso, 2000).
1.1.3 INCIDENZA DELLA MALATTIA E PROBLEMATICHE SOCIALI
L’epilessia è sicuramente una delle affezioni più comuni del Sistema nervoso centrale,
infatti, l’uno per cento della popolazione italiana ha problemi di epilessia (circa 500.000
persone), mentre si stima che nel mondo vi siano addirittura 46,7 nuovi casi l’anno ogni
100.000 abitanti. Le epilessie possono insorgere a qualsiasi età; tuttavia, in circa la metà dei
casi, (l’80% dei casi), le crisi iniziano prima dei 20 anni, nell’infanzia e nell’adolescenza
(Canger, 1999). Questi dati sono però solamente una stima, poiché la reale incidenza della
malattia è difficilmente valutabile: sono molti, infatti, i casi che sfuggono ad una facile
classificazione (Adams, et al., 1998). Inoltre ancora più estesa è la non conoscenza che le
persone hanno riguardo all’epilessia, infatti, secondo un’inchiesta della DOXA, condotta
per conto della Lega Italiana contro l’Epilessia nel 1990, è emerso che addirittura il 16%
degli italiani non è a conoscenza di questa malattia. La disinformazione, pertanto,
contribuisce a mantenere vivi i pregiudizi nei confronti delle persone che ne soffrono. Oggi
l’epilessia è considerata un problema di grande rilevanza sociale, infatti, in Italia oggi viene
riconosciuta come “malattia sociale” spesso non accettata all’interno della stessa famiglia.
(D.M.: del5.1. 1965, n 249 ai sensi D.P.R dell’11.2.1961); questo impedisce a chi soffre
d’epilessia di poter avere una vita sociale varia e di poter usufruire delle stesse possibilità di
un cittadino cosiddetto “normale”, infatti, la legislazione italiana prevede numerosi limiti
alla persona epilettica, (Senatore Pilleri, Oliverio Ferraris, 1989); l’utilizzo della patente di
guida è un esempio lampante, infatti, chi è affetto da epilessia può ottenerne il rilascio solo
per le categorie A e B, purché non abbia avuto crisi da almeno due anni, indipendentemente
dall’effettuazione delle terapie antiepilettiche (Canger, 1999).
12
Un’altra dimostrazione delle difficoltà in cui spesso incorre chi soffre di questa
problematica riguarda il mondo del lavoro; infatti, nonostante le difficoltà d’impiego
dovute esclusivamente all’epilessia, siano rare, la disinformazione è ancora molto
accentuata e spesso queste persone vengono escluse da lavori ritenuti pericolosi, nella
convinzione che potrebbero nuocere gravemente alla salute altrui (Canger, 1999).
I pregiudizi nei confronti di chi è portatore di questa affezione sono ancora molto radicati,
infatti, la collettività accetta molto più facilmente una persona che presenta una
minorazione fisica visibile e permanente, ad un’altra che pur essendo in pieno e apparente
benessere fisico, presenta delle crisi magari di breve durata, che da sole sono però in grado
di sconvolgere l’ordine naturale delle cose.
Questi atteggiamenti di paura e di rifiuto si ripercuotono sul soggetto e provocano col
tempo vergogna e senso d’estraniamento, che non fanno altro che aggravare la condizione
psico-sociale del soggetto.
Ad acuire questo senso di incomprensione ed estraniamento spesso contribuiscono anche i
genitori, i quali vogliono nascondere la diagnosi non solo ai parenti ma anche agli
insegnanti, o addirittura alle volte allo stesso paziente (Senatore Pilleri, Oliverio Ferraris,
1989). Oggi si ritiene che un tale atteggiamento sia da scoraggiare e che sia più produttiva
un’informazione adeguata, rivolta tanto al paziente quanto ai familiari (Senatore Pilleri,
Oliverio Ferraris, 1989).
1.2. PRINCIPALI FORME EPILETTICHE
1.2.1. CLASSIFICAZIONE DELLE EPILESSIE
La prima classificazione internazionale delle epilessie e delle sindromi epilettiche (CSE), fu
adottata dall’ottobre del 1989 a New Delhi dalla Commissione di Classificazione della Lega
13
Internazionale contro l’Epilessia (Canger, 1999). La CSE considera che la “sindrome
epilettica” sia un insieme di sintomi e segni che accadono insieme in modo costante e non
fortuito. Sempre secondo la CSE la classificazione si può fare seguendo due assi:
- L’asse sintomatologico (elementi caratteristici) - Le epilessie vengono distinte in:
1. Parziali (inizio delle crisi laterale, possibile la secondaria generalizzazione), suddivise
in semplici e complesse (le prime senza perdita di coscienza, le seconde con perdita di
coscienza).
2. Generalizzate (crisi subito bilaterali).
- L’asse eziopatogenetico (causa della nascita della malattia) - Le epilessie vengono
distinte in:
1. Epilessie primarie o idiopatiche.
2. Epilessie secondarie o sintomatiche.
3. Epilessie criptogenetiche.
- Le epilessie primarie o idiopatiche sono caratterizzate da crisi che non sono generate da
alcuna lesione cerebrale, infatti, i soggetti sono dal punto di vista neurologico del tutto
normali, a parte questa singolare caratteristica.
Il principale fattore eziologico è una predisposizione genetica o fattori di disfunzione
metabolica (ipoglicemia), ancora sconosciuti; si manifesta in età infantile o adolescenziale.
- Le epilessie secondarie o sintomatiche, le quali interessano la maggioranza dei pazienti, si
sviluppano a seguito di una lesione cerebrale. Si va dai disturbi dell’ossigenazione cerebrale
al momento della nascita, a malformazioni della corteccia cerebrale, fino a tutte le altre
patologie acquisite (infezioni, tumori, traumi ecc). Qualsiasi evento morboso che danneggia
la corteccia, può, infatti, dare origine a un focolaio di questo tipo.
- Le epilessie criptogenetiche contrariamente alle prime due, sono forme in cui non è
possibile trovare una causa per l’insorgenza delle crisi. Tuttavia in alcuni casi possono
14
essere sintomatiche di lesioni presenti, ma non ancora evidenziabili con i metodi di
rilevazione in uso ai giorni nostri (metodi anamnestici, clinici, funzionali); Quando invece
parliamo di epilessie benigne intendiamo tutte quelle forme epilettiche con prognosi della
malattia eccellente e che entrano col tempo in remissione spontanea (Canger, 1999). La
maggior parte delle epilessie benigne rientra nella categoria delle epilessie parziali
idiopatiche (EPI), che sono in numero molto alto tra le epilessie presenti nei bambini.
All’interno di questo raggruppamento le epilessie sono età-dipendenti (in pratica dipendono
dall’età) e non sono presenti danni neurologici visibili. L’unico fattore eziopatogenetico
individuabile è una presunta o reale predisposizione genetica; antecedenti familiari di
epilessia idiopatica sono frequenti (Adams, et al., 1998).
Tra le forme di epilessie parziali idiopatiche (EPI) più frequenti ci sono:
1.L’epilessia parziale benigna a parossismi rolandici (EPR).
2.L’epilessia parziale idiopatica del bambino a parossismi occipitali (EPIBPO).
- L’epilessia parziale benigna a parossismi rolandici è la più frequente tra le epilessie
infantili. L’età di esordio si situa tra i tre e i tredici anni, con una leggera predominanza del
sesso maschile. La prognosi è eccellente con remissione nel periodo puberale. Le crisi sono
emi-facciali (presenti solo in un emicampo della faccia), con interessamento soprattutto
della zona bucco-faringo-laringea e con conservazione della coscienza, (Adams, et al.,
1998).
- L’epilessia parziale idiopatica del bambino a parossismi occipitali è invece un’affezione
ancora oggetto di studio. Caratterizzata per lo più da crisi legate a sintomi visivi (illusioni,
allucinazioni ecc), le quali spesso portano a crisi parziali complesse che in un secondo
momento evolvono verso crisi secondariamente generalizzate a tutto il corpo (Adams, et al.,
1998).
15
1.2.2. CLASSIFICAZIONE DELLE CRISI EPILETTICHE
La Classificazione Internazionale delle Crisi Epilettiche fu proposta da Gastaut nel 1970, a
seguito di un’osservazione rigorosa delle crisi e della loro traduzione elettroencefalografica,
la quale portò ai cosiddetti “ lavori di Henry Gastaut e della scuola di Marsiglia”.
Secondo la presente classificazione, le crisi epilettiche si possono dividere in tre gruppi
principali:
•Crisi parziali (semplici, complesse, secondariamente generalizzate).
•Crisi generalizzate
•Crisi non classificabili
- Le crisi parziali sono tipiche dell’epilessia secondaria sintomatica o di quella
criptogenetica. Le scariche anomale iniziano in una parte del cervello e generalmente
rimangono confinate in quel luogo; quando si diffondono in tutto l’encefalo si può parlare
di epilessia secondariamente generalizzata (Adams, Victor, 1998).
Le crisi parziali semplici sono crisi focali, in altre parole espressione di una lesione
localizzata, (il focus), da cui parte la scarica durante la quale sono conservate sia la
coscienza sia la memoria. I sintomi sono multiformi perché dipendono dalla localizzazione
cerebrale delle scariche, in altre parole se queste avvengono nella corteccia motoria. I
sintomi possono consistere in rotazione della testa e degli occhi quando sono coinvolti
centri nervosi autonomi e possono essere avvertiti come disagio nella regione addominale,
con pallore e sudorazione. Infine i sintomi possono essere psichici, con sensazioni di ansia,
allucinazioni, ma anche fenomeni di “dejà vu” (avere la sensazione di aver già visto
qualcosa), (Adams, et al., 1998).
Le crisi parziali complesse (psicomotorie) sono crisi focali con alterazione dello stato di
coscienza, incapacità a comunicare e eliminazione della memoria per il tempo della crisi.
Talora il paziente mostra movimenti automatici del volto e del tronco (crisi psicomotorie).
16
Solitamente si presentano all’interno della corteccia dei lobi temporali o frontali; infatti,
come nelle crisi parziali i sintomi dipendono dalla localizzazione cerebrale delle scariche
(Adams, Victor, 1998).
- Le crisi generalizzate dette anche bilaterali e simmetriche sono chiamate così, perché la
scarica è estesa sin dall’inizio a tutte le cellule cerebrali dei due emisferi. La loro origine è
considerata centro-encefalica perché, di solito, non si trova un focus o una lesione
localizzata da cui partono le scariche nervose. Tipiche dell’epilessia primaria o idiopatica
si suddividono in mioclonie (improvvise scosse muscolari degli arti o del tronco di breve
durata, che fanno cadere gli oggetti di mano e che si riscontrano a qualsiasi età e dipendono
spesso da disordini metabolici, malattie degenerative del cervello o ischemie cerebrali),
assenze o “piccolo male” (si manifestano per lo più in età infantile e adolescenziale, con
remissione spontanea nel passaggio all’età adulta e sono caratterizzate da arresto motorio e
breve perdita di coscienza; in linea di massima si tratta di sintomi lievi, con un ritorno alla
normalità notevolmente rapido, tanto che sovente sfuggono all’osservazione, soprattutto per
la loro breve durata, mai più di 5-30 secondi), crisi convulsive generalizzate o “grande
male”, hanno una fase tonica caratterizzata da irrigidimento dell’intero corpo e una brusca
perdita di coscienza della durata di 15-20 secondi, e una fase clonica determinata da
movimenti a carico del capo, del tronco e degli arti con caduta a terra e in alcuni casi
morsicatura della lingua; segue un periodo di rilassamento muscolare, durante il quale si
può avere anche perdita di urine e feci, subentra poi uno stato semicomatoso cui fa seguito
un risveglio caratterizzato da stato confusionale; è la manifestazione epilettica più
importante per i rischi di trauma e per l’impegno respiratorio che comporta (Canger, 1999).
Esistono poi altre tipologie di crisi meno facilmente identificabili come: le assenze atipiche
(attacchi generalizzati difficili da classificare, dove la perdita di coscienza dura più a lungo
rispetto alle assenze, accompagnati da mioclonie, enuresi, automatismi motori. Le crisi
17