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INTRODUZIONE 
 
 
 
Il termine stress è oggi usato assai frequentemente, in tutti gli ambiti della vita 
quotidiana e sempre più spesso in riferimento agli ambienti di lavoro. La professione 
insegnante, in particolare, ha subito nel tempo una flessione del prestigio sociale 
riconosciuto, parallelamente ad un aumento delle richieste provenienti sia dall’interno 
che dall’esterno del sistema scolastico.  
Tali cambiamenti hanno contribuito all’aumento della percezione di stress da parte dei 
docenti, che ne subiscono tutta la pressione, a fronte di risorse sempre più esigue unite a 
scarsi riconoscimenti economici e sociali. Queste situazioni di disagio, se non 
adeguatamente affrontate, cronicizzano e influenzano le credenze che l’individuo ha su 
di sé - come l’autostima e l’autoefficacia - e finiscono, nei casi più gravi, per condurre 
all’insorgenza di patologie come la burning-out syndrome. Inevitabilmente, disagio 
psichico e convinzioni di inefficacia professionale influenzano in negativo la qualità 
delle prestazioni lavorative e delle relazioni instaurate con gli alunni. 
Questo lavoro ha un duplice obiettivo: da un lato presentare i principali approcci allo 
stress e al burnout nella professione docente, dall’altro illustrare il costrutto di 
autoefficacia dei docenti e le sue implicazioni in riferimento a stress, burnout e 
relazione educativo-didattica. 
Nel Capitolo Primo viene presenta una panoramica generale dei fenomeni dello 
stress e del burnout. Vengono presentati i contributi teorici alla definizione del concetto 
di stress, per poi passare alle definizioni date al fenomeno del burnout, considerato 
come un particolare disagio che risponde ad un eccessivo stress prolungato nel tempo. 
Si illustrano, infine, i fattori del burnout nella professione docente. 
Nel Capitolo Secondo l’analisi è focalizzata sul costrutto di autoefficacia, con 
particolare riferimento agli studi di Albert Bandura e alla teoria social-cognitiva, con 
un’attenzione particolare alle possibili applicazioni di tale costrutto all’ambito 
lavorativo. Sono state prese in esame le quattro fonti individuate da Bandura, dalle quali 
l’autoefficacia si sviluppa e si alimenta; è stata osservata la differenza tra efficacia 
individuale e collettiva; si sono studiate le implicazioni dell’autoefficacia all’ambito 
lavorativo degli insegnanti;  infine, si sono indagati i nessi esistenti tra stress, burnout e
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autoefficacia. Relativamente alla percezione di stress e all’insorgenza del burnout si è 
posta attenzione sia ai fattori ambientali, sia a quelli personali, facendo ricorso al 
costrutto di autoefficacia considerato come fattore predittivo e protettivo, nonché come 
risorsa personale di coping per l’individuo. 
Nel Capitolo Terzo, dopo aver approfondito le caratteristiche della relazione 
bambino - insegnante a partire dalla teoria dell’attaccamento elaborata da John Bowlby, 
si è analizzata la natura specifica delle convinzioni di efficacia degli insegnanti. 
Si sono, poi, illustrate le principali teorie e ricerche che hanno evidenziato l’influenza 
dell’autoefficacia degli insegnanti e le sue implicazioni nel processo di insegnamento -
apprendimento e nella relazione con gli allievi. 
Il Capitolo Quarto illustra, infine, i risultati di una ricerca condotta su un 
campione di insegnanti di scuola primaria allo scopo di evidenziare eventuali 
correlazioni sia tra stress, burnout e costrutto di autoefficacia degli insegnanti, sia tra 
percezioni di efficacia personale dei docenti, comportamenti, rendimento scolastico 
degli alunni e qualità della relazione alunno-insegnante. 
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CAPITOLO 1 
   
STRESS E BURNOUT 
 
“The widespread use of the term stress  
is also objected to on the grounds  
that it can be use to explain everything  
and as a result explains nothing”. 
(Cassidy, 1999) 
 
 
1.1      Il fenomeno dello stress: definizione e approcci teorici. 
 
Partendo da un’analisi etimologica della parola stress, essa è riconducibile alla voce 
latina strictus, col significato di stretto, serrato, compresso,
1
ed ha generalmente una 
connotazione negativa nell’immaginario collettivo.  
L’idea che tale parola evoca è, infatti, quella di qualcosa di fastidioso, nocivo, che 
assume una connotazione intrinseca negativa assimilabile a quella associata a parole 
come ansia, tensione e malessere diffuso.  
In area scientifica, inizialmente, il termine fu usato dalle scienze fisiche e 
ingegneristiche in riferimento alla tensione delle strutture metalliche delle costruzioni. 
Nell’ambito della biologia e psicologia, invece, il termine fu introdotto per indicare 
stimoli specifici, definiti stressors, in grado di indurre una reazione difensiva 
nell’individuo, agendo su quest’ultimo a livello fisiologico, psicologico e 
comportamentale. (De Filippo, 2007) 
Nel tempo sono stati elaborati diversi modelli teorici per la definizione e interpretazione 
del fenomeno dello stress. In particolare, secondo French e Kahn (1962), risulta 
decisivo, nell’insorgenza dello stress individuale, il ruolo dell’ambiente esterno, mentre 
il medico e scienziato canadese di origine ungherese, Hans Selye (1976) pone l’accento 
sull’importanza del ruolo dei fattori interni all’individuo.
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Secondo i modelli interazionista e transazionale lo stress si colloca, invece, a un livello 
intermedio tra il polo-ambiente e il polo-individuo, come risultato dell’interazione tra le 
due polarità (Cooper, Dewe, O’Driscoll, 2001). 
Ma che cosa si intende con la parola stress? Secondo la definizione più classica, 
che dà il titolo a un articolo di Hans Selye (1936), lo stress si configura come “una 
sindrome prodotta da diversi agenti nocivi”
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ed in particolare come una reazione 
aspecifica, cioè generalizzata, dell’organismo a situazioni critiche o agenti stressanti 
detti stressors, che possono essere interni (di natura psicologica) o esterni (di natura 
fisica). Si può, quindi, intendere lo stress come un campanello di allarme che segnala il 
venire meno dell’ equilibrio psico- fisico individuale e come un fenomeno finalizzato a 
ristabilire l’equilibrio omeostatico per permettere l’adattamento all’ambiente.
1 
  
Nello specifico Selye (1979) parla di Sindrome Generale di Adattamento
 
(SGA) in cui 
lo stress è una risposta fisiologica che, in termini comportamentali, è alla base della 
capacità di interazione con il mondo esterno, ed è un meccanismo finalizzato alla 
sopravvivenza individuale di cui è dotata la specie umana,. 
In particolare, la Sindrome Generale di Adattamento è articolata in tre stadi (fig.1.1):  
 
1) Reazione di allarme: l’organismo mette in atto dei meccanismi di difesa come 
risposta all’azione di uno o più stressors. Attraverso la produzione di sostanze 
come l’adrenalina, l’organismo mobilita le risorse energetiche necessarie a 
potenziarne le difese e a prepararlo all’azione. Vi è inizialmente una risposta di 
lotta, ma se le circostanze sono particolarmente sfavorevoli e la lotta risulta 
inutile, si passa alla fuga.        
2) Resistenza: si continua a far fronte allo stress e la capacità di resistenza sale al 
di sopra del normale per cercare di ristabilire l’equilibrio turbato. 
3) Esaurimento: se l’organismo non riesce a fronteggiare adeguatamente la 
situazione può esaurire le risorse a disposizione, aumentando la propria 
vulnerabilità. 
                                                           
 
1
 Già il fisiologo americano W. B.Cannon citato da Selye (1976)  parlò di capacità di restare statici, potere 
di resistenza e di equilibrio. Quando fattori esterni o interni alterano il livello omeostatico del nostro 
organismo, quest’ultimo risponde cercando di ripristinare il precedente equilibrio.
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Figura 1.1: La sindrome generale da adattamento e le sue fasi (in Gabassi, 2006) 
 
 
Se l’adattamento risulta difficoltoso, per l’ostilità delle condizioni ambientali o per 
l’eccessiva debolezza individuale, vi è l’insorgenza della malattia sotto forma di 
disturbo psicologico o somatico.  
Lo stress, però, entro certi limiti, può essere utile e costruttivo: in questo caso si parla di 
eustress o stress positivo (dal greco eu, bene). In questa condizione l’attivazione 
psicofisiologica porta alla messa in gioco delle risorse del soggetto, migliorandone 
l’attenzione, la percezione, la memoria, la concentrazione, l’apprendimento e 
inducendo, ad esempio, la reazione attacco-fuga che consente di far fronte a una 
situazione pericolosa.  
Al contrario, in seguito all’accumularsi di eventi che superano la soglia di tollerabilità 
da parte del soggetto, si sviluppa il distress o stress negativo (dal greco dis, suffisso che 
indica negatività e distruttività), che dipende anche da come l’individuo valuta tali 
eventi e dal peso emotivo che viene loro assegnato (Selye, 1976). 
STRESSORS 
LIVELLO DI 
ATTIVAZIONE 
CONTROSHOCK 
STATO 
NORMALE 
FASE DI 
ALLARME 
FASE DI 
RESISTENZA 
FASE DI 
ESAURIMENTO 
SHOCK
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Antonovsky (1987), in particolare, ha coniato il termine “eterostasi” per indicare lo 
squilibrio necessario all’organismo per funzionare al meglio. Il termine è formato dalla 
parola greca etero = altro, diverso, e da quella latina stasi = stato, condizione: il 
significato è quindi di diverso stato, altra condizione. Il concetto si oppone a quello di 
omeostasi (dal greco omeo = uguale, simile, stesso stato, condizione simile).  
Il principio dell’eterostasi significa qui imparare non solo ad evitare lo stress, ma anche 
a tollerarlo. Si tratta di conoscere i limiti della sopportabilità fisica e psichica, per poterli 
poi ampliare. Il riferimento è alle abilità di coping individuali e al fatto che certe 
persone, pur trovandosi a fronteggiare gli stessi stressors, reagiscono in maniera 
differente. 
In sintesi, Selye intende lo stress come una risposta biologica di adattamento 
dell’organismo all’ambiente, riconoscendo che l’esposizione a degli stimoli o agenti 
stressogeni (sia positivi sia negativi) causa uno squilibrio psico-fisico, che si traduce poi 
- laddove l’azione degli stressors si protrae nel tempo - in alterazioni persistenti del 
sistema psico-fisico, riducendo fino ad annullarle, le capacità di adattamento 
dell’individuo.  
Gli studi successivi riprendono il concetto di stress così com’è stato teorizzato 
da Selye, ampliando e approfondendo le conoscenze sul fenomeno: nel determinare 
l’insorgenza di uno squilibrio viene rilevata, oltre all’influenza dei fattori ambientali, 
l’importanza dell’interazione tra questi, i fattori psicologici (atteggiamenti, modi di 
pensare e di rapportarsi in date circostanze, esperienze passate, aspirazioni future, abilità 
acquisite ecc.) e i fattori sociali (Caprara, Borgogni, 1988). 
In altri termini, il soggetto valuta le situazioni che vive e vi attribuisce un determinato 
significato psicologico, che va a influenzare l’intensità percepita dei fattori stressanti: se 
il soggetto percepisce gli stimoli sociali come una minaccia al proprio equilibrio 
psicologico essi finiscono per acquisire significatività e divenire di fatto agenti stresso 
geni (Baiocco, Crea, Laghi, Provenzano, 2004). 
Appley e Trumbull (1967) sono tra i primi ad individuare, tra le dimensioni alla base 
dello stress, i sistemi biologico, psicologico e sociale. In base a tale modello la SGA 
avrebbe inizio quando si crea una discrepanza in uno dei sistemi, tra la domanda 
dell’ambiente e le capacità del soggetto di farvi fronte.