9
Dunque il declino del centro storico è prima di tutto declino economico:
economico in quanto riconducibile prevalentemente alla dimensione commerciale.
Il centro storico è infatti da sempre cuore commerciale non solo della città ma del
territorio nel quale è inserito; il commercio è allo stesso tempo fonte di vita e
vitalità, capace di attrarre e fungere da catalizzatore delle relazioni sociali.
Pertanto il declino del centro storico è il declino della città intesa nella sua
funzione sociale ed aggregativa. Riduzione del commercio significa, soprattutto
per quei luoghi dove è ancora viva l’antica pratica del passeggio, riduzione della
vita sociale e politica. La valorizzazione del centro storico, inquadrata in una più
ampia visione di risanamento urbano, storico e monumentale, culturale, diviene
allora la risposta necessaria ad una problematica seria ma che nello stesso tempo
apre le porte a nuove opportunità di sviluppo e di crescita. Il risorgere del
commercio nel centro storico, se pianificato in una visione lungimirante e
pluriennale, ha la capacità di creare valore per la cittadinanza ed occupazione:
nello stesso tempo conferisce un nuovo potenziale innovativo agli esercenti e
soprattutto genera come conseguenza una nuova offerta più vivace e dinamica, e
più rispondente alle esigenze del cliente.
Eppure sussistono ragioni che vanno al di là della mera logica economica e
che investono quelle che possono essere definite come ragioni umane: si sta
perdendo infatti proprio la considerazione dei rapporti umani come fondamento
della vita stessa dell’uomo, anestetizzandoli e banalizzandoli, in una logica che
riduce tutto ad un meccanismo di compravendita e di ricerca di profitto, intesi sia
in senso economico sia come soddisfazione delle ambizioni personali,
disumanizzando così l’uomo ed il luogo che lo ospita. Allora la valorizzazione del
centro storico diventa una vera e propria missione, che necessariamente deve
comportare la considerazione degli elementi umani non più considerandoli come
collaterali ad un processo di rivitalizzazione, ma come elementi irrinunciabili ed
essenziali.
10
Capitolo 1
Origini della funzione commerciale del
centro urbano
1.1 Origini del centro urbano quale luogo di scambio naturale
Probabilmente si può considerare la città come il più alto prodotto
dell’ingegno umano, luogo artificiale per eccellenza, cuore e insieme mente e
presupposto essenziale e risultato della crescita umana intesa come evoluzione
intellettuale, cognitiva e sociale.
Dunque, in quanto prodotto dell’uomo e quindi per certi aspetti speculare ad
esso, la città non può non essere anch’essa custode prezioso delle peculiarità
umane, intese come debolezza, audacia, ingegno, e tutto quanto fa dell’uomo un
individuo. La perpetua mutevolezza quindi è carattere essenziale di ogni città, che
la rende soggetto e insieme oggetto di processi di “evoluzione ed involuzione,
sviluppo e declino, ristrutturazione e destrutturazione, integrazione e
disintegrazione”1.
Ergo, è in un’ottica dinamica che deve essere inserita la realtà del centro
urbano, ed è proprio questo dinamismo la ratio stessa dell’esistenza del concetto
di città. È infatti il dinamismo fisico dell’uomo prima, inteso come flusso
migratorio, e la necessità di relazioni poi, che hanno spinto l’uomo a creare una
sovrastruttura capace di permettere lo scambio e dunque di soddisfare l’innata
esigenza umana di relazioni legata all’essenza stessa di uomo come essere sociale
e politico.
1
Cfr. FUSCO GIRARD L., NIJKAMP P., Le valutazioni per lo sviluppo sostenibile della città e del
territorio, Franco Angeli, Milano, 1997, pag.
11
E’ dunque nello scambio quale concetto, e quindi nella sua più ampia
accezione di commercio, che si individua con tutta probabilità la ratio essenziale
dell’esistenza della città.
Ma si rende necessaria una panoramica sui processi evolutivi che hanno
portato alla concezione del centro urbano, ed alla sua realizzazione.
Si può dire, senza timore di essere smentiti, che è il concetto di centro
urbano, o meglio di centro, che ha traghettato l’uomo dalla preistoria alla storia ed
alla civiltà. E’ evidente infatti che è la dimensione accentrata a permettere e
stimolare lo sviluppo di nuove e specifiche competenze, ma che soprattutto pone
l’uomo in relazione con l’uomo: dunque, il contatto, lo scambio che genera
civiltà.
Infatti il sistema generato dalla rivoluzione agricola in età neolitica ha avuto
successo e si è diffuso perché gli uomini e le donne hanno cominciato a vivere
seguendo una logica di comunità, andando a costituire i primi villaggi ed i primi
centri urbani. Tutto questo, inevitabilmente, portava la comunità alla costituzione
di forme organizzative sempre più complesse, il cui elemento essenziale è
caratterizzato dalla divisione dei compiti e del lavoro2. Questa divisione del
lavoro si riconduceva alle attitudini, al sesso, alle competenze. La nascita di forme
organizzative stabili porta dunque alla configurazione dell’uomo come produttore,
e non più come cacciatore-raccoglitore3.
Dunque la comunità, ora divenuta a tutti gli effetti stanziale, edifica
abitazioni più stabili e diviene consapevole della necessità e nello stesso tempo
della utilità di una dimensione collettiva.
L’embrione centro urbano così considerato è già un’organizzazione sociale
di produzione e di consumo, e quindi un sistema economico: a renderlo sistema
economico infatti è lo sviluppo e l’esercizio di diverse competenze, e dunque il
principio di specializzazione. La specializzazione, nella sua dimensione di
divisione del lavoro, da vita a forme elementari di scambi, che coinvolgono non
solo gli uomini della comunità, ma, diverse comunità, e quindi diversi centri.
2
PALERMO L., Storia del commercio, Laterza, Milano, 2000, pag. 23.
3
Idem, pag. 23. Per l’autore, «il compito di procurare i beni necessari alla sopravvivenza ed al
benessere veniva assolto attraverso l’organizzazione razionale del lavoro e l’elaborazione di
forme stabili di produzione e di conservazione dei beni».
12
Pertanto non è possibile pensare allo sviluppo di un sistema complesso
quale è quello di un seppur embrionale centro urbano, senza una divisione interna
del lavoro. Tutte le figure che lo animano, infatti, sono produttori, che sentivano
la necessità di scambiarsi, al fine di veder accrescere la propria utilità, i risultati
della propria attività4.
In conclusione, se lo scambio ha come irrinunciabile presupposto la
divisione del lavoro, questo porta a dedurre il lavoro stesso sia più produttivo.
Esso è infatti in grado di dare vita ad una produzione che supera la soglia
dell’autoconsumo: diviene surplus. E’ quindi su questo surplus, che viene ceduto
al mercato, che si fonda e fortifica il meccanismo dello scambio.
E’ possibile dedurre, alla luce di quanto descritto, che il binomio scambio-
centro urbano, sia rappresentativo di una dimensione simbiotica, che vede l’uno
presupposto essenziale dell’altro; e di una dimensione di interdipendenza, nella
quale l’uno determina lo sviluppo e il successo dell’altro, in una visione dinamica
che a volte però sfugge alle logiche razionali che fino ad ora hanno cercato di
spiegarne l’origine e di comprenderne il funzionamento.
1.2 La funzione commerciale del centro urbano
Lo studio del commercio nel centro urbano, attività questa affascinante e, si
potrebbe dire, essenziale alla comprensione delle dinamiche urbane, deve la sua
complessità alla presenza di elementi connotati da forte eterogeneità che
inevitabilmente coinvolgono diverse discipline, che vanno dall’urbanistica alle
scienze sociali, dall’ingegneria all’architettura alle discipline umanistiche,
statistiche e demografiche, e evidentemente alle discipline economiche 5.
4
Idem, pag 24. Nella fattispecie, l’Autore precisa che «la stessa necessità di procurarsi le materie
prime essenziali, non dappertutto facilmente reperibili, imponeva spostamenti di beni anche
su distanze medio-lunghe e implicava la possibilità di offrire in cambio altri beni a loro
volta spendibili e altrettanto richiesti e non è difficile intuire che questi beni dovevano
essere soprattutto prodotti agricoli ed alimentari».
5
Cfr. GILI G., PESCI G., ROSSI I., Valorizzazione del commercio nei centri storici, ETAS libri,
Milano, 1994, pag 11.
13
Il concetto di funzione commerciale rimanda a quello, molto più ampio, di
commercio urbano: con esso ci si può fare riferimento sia al commercio di grandi
città, si a quello del piccolo centro.
Inoltre con il concetto di commercio urbano si intende sia, ovviamente,
l’attività svolta all’interno del centro storico, ma anche quello esercitato nelle aree
semicentrali e periferiche: dunque vede come luogo di riferimento la città in tutta
la sua globalità, senza fare alcuna distinzione riferita alla zona della città cui si
riferisce.
Ancora, il concetto di commercio urbano implica il necessario riferimento a
tutte le possibili attività che possono essere così configurate, e dunque senza un
particolare riferimento ad una particolare tipologia di punto vendita, piuttosto che
un altro, e quindi si riferisce a processi di acquisto molto diversi tra loro.
Ed infine, con questa locuzione il riferimento è chiaramente a tutte le forme
e formule commerciali presenti all’interno della dimensione urbana, senza alcuno
specifico riferimento ad una forma o formula commerciale6.
Si può dire dunque che città e commercio rappresentano un binomio
inseparabile; la funzione commerciale è connaturata con la città, intesa come
centro di un sistema territoriale gravitante economicamente su essa.
La città diviene, in questa prospettiva, polo di attrazione ed insieme motore
dell’economia di un’area territoriale: la funzione commerciale del centro urbano
diviene quindi quella di essere mercato, nel senso globale del termine, per il
territorio. In una dimensione economica quanto detto imputa al centro urbano
l’essere luogo fisico degli scambi tra gli attori commerciali. Ma può questa
definizione essere limitata soltanto alla dimensione territoriale che, come detto
sopra, gravita su di esso? Evidentemente, in una prospettiva contemporanea,
questo indicherebbe un’agire limitato del centro urbano quale soggetto che
esercita la funzione commerciale.
6
Cfr. BRUNETTI F., SANTINI C., Percorsi di sopravvivenza per il commercio urbano: insegnamenti
dai “piccoli leader”, in Sinergie, 2006/61, pag. 254.
14
Nella realtà in cui, infatti, gli attori economici non risentono di limiti
imposti in senso geografico, il mercato rappresentato dal centro urbano, diviene
mercato globale. La funzione commerciale allora travalica i limiti intrinseci
all’essere polo del territorio, e viene consapevolmente esercitata al di fuori,
all’esterno del territorio, raggiungendo, o cercando di raggiungere, una
dimensione internazionale.
Eppure il centro urbano, proprio in quanto riferimento del territorio,
manifesta anche un’altra declinazione della propria funzione commerciale: quella
di essere cioè servizio alla cittadinanza. In questo solco si supera anche la
dimensione economica, e si individua una vera e propria funzione sociale. E
dunque la funzione svolta in questa prospettiva è quella di veicolo, in senso
figurato, che ha il compito di collocare presso la cittadinanza prodotti e servizi
essenziali alla vita quotidiana.
Cosa sarebbe infatti una città senza il commercio, inteso come negozi,
strutture di intrattenimento, banche, erogatori di servizi? Assumerebbe la forma di
un contenitore vuoto, privo del suo scopo, della sua ratio.
Dunque, accanto alla funzione commerciale in senso economico di luogo
fisico e consapevole di incontro tra gli attori economici, il centro urbano esercita
anche una funzione sociale: ma sussiste un’ulteriore declinazione, rappresentata
dall’aspetto politico che si realizza attraverso la funzione commerciale,
individuato dall’agire del centro urbano, quale soggetto consapevole che esercita
la funzione stessa in una prospettiva volta alla realizzazione di finalità collettive e
di sviluppo proprio di quel territorio che ad esso fa riferimento.
1.3 Il centro storico
La dialettica centro urbano-centro storico prende evidentemente spunto dalla
sovrapposizione e distinzione dei concetti e dei valori di cui sono portatori:
nell’accezione centro urbano può ravvisarsi la identificazione di una definita area
territoriale, caratterizzata da una presenza umana stabile e concentrata, seppur
15
eterogenea nel senso delle attività svolte, ma resa aggregato unico dalla presenza
di strutture comuni alla cittadinanza che fungono da supporto al perpetuarsi della
vita urbana, nonché dal servizio e dalla utilità che offrono ai cittadini, senza
peraltro dimenticare il valore simbolico e di coesione che esse rappresentano.
La sovrapposizione con il concetto di centro storico è intuibilmente
riconducibile ad un’ottica puramente temporale: infatti quello che oggi è centro
storico, prima era il centro urbano di una città. Dunque l’accezione centro storico
assume valenza e scopo solamente in una visione relativista: cosa si intende per
centro storico? E cosa è veramente centro storico?
Se si procedesse ad un piccolo excursus temporale si potrebbe dire che per i
romani il centro storico sarebbe potuto essere rappresentato dall’acropoli ateniese,
o dai templi egizi di Alessandria, o addirittura dalle miseri villaggi galliche. E’
dunque comprensibile che si renda necessario individuare criteri che possano
consentire la qualificazione inequivocabile di un aggregato urbano come centro
storico.
Si può individuare sicuramente nell’urbanistica, intesa nell’accezione più
ampia, il reale criterio di qualificazione di un’area come centro storico. E’ infatti
il tessuto urbano storico, la sua struttura, la sua unicità, il valore storico e culturale
degli edifici che ospita, in un certo senso l’aria che si respira, che identifica quella
particolare area come cuore pulsante del centro urbano7.
Emerge qui una necessaria considerazione della dialettica tra l’origine
storica dell’insediamento e la sua moderna configurazione: nelle città europee e
quindi a maggior ragione in quelle italiane, il nucleo centrale delle città, seppur
diverso e certamente modificato, non ha potuto non tener conto del nucleo antico:
quest’ultimo ha infatti influenzato in maniera determinante la configurazione
urbanistica del centro urbano8. Pertanto si può affermare ch sussiste una
imprescindibile dialettica tra nucleo antico e attuale centro urbano, declinazione
ed insieme simbolo di una più ampia dialettica: quella tra presente e passato, tra le
varie epoche vissute dal centro urbano.
7
GILI G., PESCI G., ROSSI I., op. cit.
8
Cfr. CERASI M., Lo spazio collettivo della città, G. Mazzotta, Milano, 1976, pag. 30.
16
Ebbene queste relazioni rivestono particolare importanza non soltanto in
virtù di un valore storico, ma soprattutto perché rappresentano, forse un po’
audacemente, quella che è la personalità della città, e dunque elemento questo che
può condizionare il futuro9.
La considerazione di questi elementi porta a comprendere come i fattori che
hanno determinato l’edificazione della città assumano particolare importanza.
Questi fattori infatti rappresentano le particolarità di una determinata area: la
redditività, la funzionalità, la morfologia e la memoria storica10.
Dunque, l’aspetto più immediato, la configurazione urbana, assume
caratteristiche intrinseche proprie.
Infatti la morfologia di un centro storico non è schematizzabile in nessun
modello formale: risponde invece ad esigenze e assume connotati propri ed
univoci. Pur tuttavia, si può osservare che in Italia la morfologia del centro storico
si costituisca lungo quattro direttrici principali.
Esse sono l’unità dell’ambiente urbano, che raccoglie l’insieme degli edifici
pubblici e molti edifici privati, caratterizzato da un contesto di alto pregio
architettonico ed artistico. Secondo fattore è la complessità, riconducibile a
numerosissimi elementi, ma perlopiù derivante dai rapporti di potere, che
definisce il modello policentrico, all’interno del quale vengono inserite le
attrezzature. In terzo luogo si individua nella concentrazione un altro
importantissimo fattore, che ha sull’urbanistica una incidenza notevole, favorendo
la crescita verticale degli edifici, e accentrando le attività, con la rilevante
conseguenza del rafforzamento e dell’importanza del centro storico.
9
Cfr. BENEVOLO L., La città nella storia d’Europa, Bari, 2007, pag. 85.
10
Idem., pag. 86. Nella fattispecie, l’Autore cita:«Gli edifici pubblici e privati, ravvicinati
liberamente, formano un organismo complessivo fortemente individuato, che offre
dall’esterno una veduta riassuntiva ben leggibile. […] La complessità; lo spazio pubblico
della città ha una struttura risultante dall’equilibrio tra diversi poteri. […] La
concentrazione; la città occupa uno spazio il più possibile ristretto, il centro della città è il
luogo più ricercato. […] Il dinamismo dello sviluppo conduce ad un assetto sempre
incompiuto, che noi fatichiamo a percepire perché conosciamo la forma della città dopo
[…] »
17
Infine l’ultima direttrice è rappresentata dalla crescita, che modifica
continuamente il paesaggio urbano, ma che, pur influendo sulla struttura
urbanistica del centro storico, non crea discontinuità con il passato, anzi genera
una varietà e contestualmente una armonia che rafforza la personalità del centro e
che quindi definisce il messaggio del centro urbano.
E’ innegabile infatti che la declinazione più immediata della dialettica tra
passato e presente passi per l’urbanistica: così infatti si può osservare la presenza
di strutture antiche contigue a moderne soluzioni architettoniche, che, pur
considerando non rari esempi di cattivo gusto, si mostrano al cittadino ed al
visitatore come un unicum, che adopera un proprio linguaggio, che occupa una
propria posizione nell’immaginario collettivo11.
E dunque, se il centro storico è cuore della città, è anima della città, ed è
anche risultato di dinamiche complesse e articolate, che hanno determinato nel
corso della storia la sua struttura attuale e la sua personalità, diviene
comprensibile come il messaggio, la comunicazione, il linguaggio adottato, siano
naturale espressione della stesso.
1.4 La configurazione commerciale del centro storico
L’”organismo” centro storico individua nella sua vitalità la stessa sua ragion
d’essere, il suo, per così dire, scopo, la sua configurazione, la sua identità. Si
ritrova infatti nel dinamismo tipico del centro storico quello che è il proprio
carattere, la propria unicità.
E dunque, non si può immaginare un centro storico senza la sua vivacità,
che è indubbiamente risultato, espressione e, se vogliamo, anche motore di una
dimensione collettiva, che diviene anima del centro. E la dimensione collettiva
trova la sua espressione nella dimensione urbanistica delle strade e delle piazze,
luoghi questi, che, per caso o intenzionalmente, nella edificazione del nucleo, la
richiamano e la stimolano.
11
Idem., pag. 87.
18
Le attività commerciali assumono in questa sede il ruolo determinante di
stimolo e attrazione non solo della cittadinanza, ma anche e soprattutto dei
visitatori. Più in profondità, è possibile comprendere come la funzione
commerciale sia essenza stessa del centro storico: si potrebbe dire che il centro
urbano non avrebbe una sua connotazione univoca, una sua propria dimensione,
una sua singolarità, senza la funzione commerciale12.
Questa simbiosi tra centro storico e funzione commerciale trova le sue radici
in tempi remoti13, dove il luogo dedito alle attività commerciali era sicuramente il
foro romano prima, e le piazze in tempi successivi.
Dunque si andava a realizzare una commistione tra le funzioni pubbliche, di
culto, e commerciali all’interno dello stesso luogo14.
Si può quindi dedurre come la funzione commerciale abbia avuto una
influenza determinante anche nella urbanistica dei centri antichi: se è vero che
spesso questo ha portato conflitti, è pur vero che l’attività commerciale è stata ed
è tuttora portatrice di quell’animazione, di quella vitalità che, come detto sopra,
diviene anima stessa della città. In questa visione il centro storico diviene sede del
commercio, ma si potrebbe dire del terziario in generale. Ed infatti, l’evoluzione
socio economica vissuta dalla città ha portato l’aggregazione e la concentrazione
delle attività del settore terziario all’interno del centro storico a ridosso di esso.
Ma è il commercio guida di questa espansione del terziario: è infatti esso che,
attraverso le vie, le piazze dei negozi, e dei mercati, fornisce un tracciato allo
sviluppo di altri insediamenti terziari.
12
Cfr. ROSSI A., L’architettura della città, CLUP, Milano, 1978, pag. 36, dove l’Autore cita: «La
funzione commerciale, nel suo costituirsi e nella sua continuità, si presenta come quella più
convincente a spiegare la molteplicità dei fatti urbani; e a legarsi con le teorie di carattere
economico sulla città».
13
BENEVOLO L., op. cit., pag. 51.
14
Cfr. STOCCHETTI A., “I mercati”, in Architettura pratica, di CARBONARA P., vol. IV, tomo 2º,
Torino, UTET, 1986, pagg. 581-586, dove l’Autore sottolinea che diversi studiosi non sono
concordi nel riconoscere alla piazza pubblica delle città italiche la funzione di contenitore
del mercato, ma ricorda che il commercio sicuramente trovava in esse «il luogo più adatto
per corrispondere alle esigenze vitali della città»
19
Il commercio ha un ruolo di vivificatore15 del centro urbano: esso
contribuisce alla sua sopravvivenza grazie ai flussi di persone che è in grado di
attrarre, in simbiosi con il valore riconosciuto al centro di custode dell’identità,
della memoria storica, del senso di appartenenza della comunità che ad esso fa
riferimento: esso rappresenta un valore16. In considerazione di questo, il
commercio urbano diviene un bene pubblico: i benefici indotti dallo stesso, si
estendono anche a quelli che non ne usufruiscono, i quali sopportano un
ridottissimo costo; esso grava invece quasi esclusivamente in capo agli
utilizzatori17. Inoltre, se si esclude il ritorno in termini economici, argomento
questo estremamente vasto e per questo trattato più avanti, il valore intrinseco del
commercio urbano va individuato nell’offerta di spazi ed occasioni di relazione,
socialità, comunicazione: questa offerta non può essere quantificata, essa
rappresenta un valore immenso, soprattutto in un contesto sociale caratterizzato
da assenza di relazioni nel senso proprio del termine, dove invece prevalgono
rapporti sempre più impersonali, freddi, e spesso quasi esclusivamente
commerciali18. Tutto questo senza peraltro richiedere un corrispettivo.
Inoltre sussiste un ulteriore punto di rilevante interesse: la natura delle
relazioni tra clienti e esercenti. Essa assume connotati non individuabili in altre
realtà commerciali: qui prevalgono la pressione all’acquisto; laddove invece
l’esercizio è inserito in un contesto unico, familiare, collettivo, il rapporto tra le
parti diviene, pur non perdendo la finalità dell’acquisto, una relazione che
spessissimo trascende questa dimensione, divenendo più ricca di spessore19.
15
Cfr. BRUNETTI F., SANTINI C., op. cit., pag. 250.
16
Si veda, al riguardo, MIGLIETTA A., I centri commerciali naturali: una via per il rilancio delle
città e del piccolo commercio, in Sinergie, 1998/47, pag. 312.
17
Cfr. PELLEGRINI L., Chi ha paura del gigantismo, in Il Sole 24 Ore, del 25/5/1997, dove
l’Autore precisa che si rende irrinunciabile un riconoscimento della funzione sociale del
commercio all’interno del centro storico, riconoscimento delle sue esternalità positive.
Precisa però che queste esternalità, pur contribuendo in maniera determinante a mantenere
vivo e dinamico il centro storico, non trovano riconoscimento, legittimando invece
quest’ultimo alla evidenza rappresentata dal commercio come bene pubblico, al cui utilizzo
infatti non corrisponde un prezzo.
18
Si veda, sui rischi derivanti da una società che si evolve privilegiando quasi esclusivamente la
sfera economica, RIFKIN J., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy,
Mondadori, Milano, 2000
19
Cfr. BRUNETTI F., SANTINI C., op. cit., pag. 251.