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Introduzione
L’obiettivo del presente lavoro è quello di evidenziare come in un contesto sempre
più globalizzato, standardizzato e uniforme vi possano essere delle occasioni di
differenziazione e di accentuazione delle diversità culturali ed etniche. Dal punto di vista
delle imprese, soprattutto quelle multinazionali, è evidente come questo possa essere uno
degli approcci vincenti di questa epoca, in grado di sintetizzare elementi di unione e di
diversità per raggiungere segmenti di popolazione globali. Questo obiettivo può essere
raggiunto tramite diverse strategie, che nel complesso condividono il tratto comune della
conciliazione tra la necessità di standardizzazione e la richiesta di differenziazione in base
al segmento di riferimento. Queste strategie vengono per l’appunto denominate “glocali”.
Il mio obiettivo sarà quello di mettere in luce come la promozione delle diversità
culturali, che molti percepiscono come minacciate dal fenomeno stesso della
globalizzazione, possa venir risaltata e promossa all’interno di una campagna di
marketing efficace e attenta al mantenimento di quel particolarismo a rischio di
omogeneizzazione. Non solo quindi sarà possibile per le aziende accrescere il proprio
prestigio e la propria ricchezza, ma sarà anche un grande passo in avanti per recuperare
un rapporto sano e duraturo con il concetto di diversità, anche in ambito economico.
In particolare, nel primo capitolo ho cercato di riassumere i tratti generali che
caratterizzano l’epoca della globalizzazione in cui siamo immersi: tratti che indicano una
tensione crescente tra un naturale processo di unificazione dei mercati che influenza in
modo decisivo anche i tratti culturali ed un processo antagonista che si oppone a queste
spinte uniformanti, spesso con atteggiamenti totalmente aggressivi o di rifiuto. Le barriere
spazio-tempo che da sempre avevano governato e, in un certo senso, “limitato” i rapporti
umano vengono, con l’avvento della globalizzazione, divalicate e superate e il “piano di
gioco” diventa un territorio nuovo da esplorare e su cui adattare e riformare le proprie
esperienze. Il sociologo Giddens esprime efficacemente la convergenza di opinioni ed
azioni, che grazie soprattutto alle nuove tecnologie hanno una risonanza più amplificata
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sulle nostre vite, le quali “sono sempre più influenzate da attività ed eventi che hanno
luogo ben al di là dei contesti sociali in cui operiamo quotidianamente”
1
.
Nel secondo capitolo viene analizzato il concetto di “cultura” e la sua influenza sul
piano strategico aziendale. Verrà presentata una visione d’insieme dei principali elementi
che concorrono a formare il marketing mix e l’insieme delle accortezze che lo adattano
al panorama internazionale. Adattamento al prodotto, alla comunicazione, al canale
distributivo ed al prezzo sono quindi gli elementi cardine che l’impresa deve considerare
quando attua delle strategie per i consumatori internazionali, tenendo sempre presente
quanto il fattore “cultura” sia sempre lo sfondo su cui progettare le azioni da
intraprendere. Difatti non si tratta di un elemento statico, ma dinamico, che modifica le
modalità d’uso, le preferenze e le aspettative dei consumatori, rendendo assolutamente
varie le combinazioni di prodotto adattabili. Sta ovviamente all’azienda cercare di
individuarne quelle vincenti.
Come esempio di azienda capace di individuare queste complessità ho trattato nel
terzo capitolo del caso L’Orèal, azienda multinazionale e leader del mercato della cosmesi
che ha saputo cogliere al volo le occasioni di differenziazione e ne promuove il
perseguimento grazie ad incredibili investimenti nell’ambito della Ricerca & Sviluppo.
Concetti molto sfaccettati come quello di “diversità” acquisiscono in L’Orèal dei
significati molteplici, che si riferiscono non solo alle diversità culturali ma anche quelle
personali. Oggetto della ricerca del terzo capitolo è stata proprio l’individuazione di
quelle accortezze che permettono al marchio il raggiungimento di mercati internazionali
valorizzandone la cultura e le tradizioni di appartenenza, pur continuando ad esportare il
prodotto globalmente. Verranno analizzati non solo i marchi, ma anche ambiti relativi
alla promozione, alla distribuzione, al prezzo e al packaging, che compongono il
marketing mix che l’azienda sfrutta.
In ultima analisi sarà presa in considerazione la presenza online dei marchi L’Oréal,
per analizzarne il rapporto con il contesto in cui sono immersi e per notare quali sono gli
accorgimenti utilizzati per un corretto inserimento nello stesso.
1
(A., Sociologia, 1991)
13
Capitolo 1: Globalizzazione e Società
I was in Bangalore, India, the Silicon Valley of India, when I realized
that the world was flat.
Thomas Friedman
“Il mondo era piatto”, una perifrasi del giornalista statunitense per sottolineare quanto
secondo lui il mondo sia globalizzato, privo di confini e senza distanze.
La parola “Globalizzazione” viene usata spessissimo nel gergo contemporaneo e,
nonostante si parli soprattutto di globalizzazione in termini economici, in realtà è un
fenomeno che va ben oltre la “limitata” sfera commerciale. Come spiegherò più avanti
in questo capitolo, il termine tocca moltissimi ambiti della nostra società.
Il termine “Globalizzazione” viene così esposto:
“Fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito
dalla diffusione delle trasformazioni economiche, dalle innovazioni
tecnologiche e dai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso
modelli di produzione e di consumo più uniformi e convergenti.
Coniato dalla rivista The Economist nel 1962, il termine g. si è diffuso
solo a partire dalla metà degli anni Novanta del 20° secolo, e talvolta
è inteso come sinonimo di liberalizzazione, per indicare la progressiva
riduzione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei
capitali su scala planetaria.”
2
L’ampiezza di tale fenomeno si evince già a partire da questa breve e concisa
definizione. Essa contiene al suo interno elementi e concetti con un’importanza e una
portata molto vaste relativi però essenzialmente alla sfera economica.
È facile notare invece come in questa seconda definizione il concetto acquisti un’ulteriore
sfumatura:
“The fact that different cultures and economic systems around the
world are becoming connected and similar to each other because of the
2
Enciclopedia Treccani, Dizionario di Storia, ED. 2010
14
influence of large multinational companies and of improved
communication”
3
Ciò che appare più evidente in questa definizione è, infatti, la parola “cultures”, che
comprende un’accezione molto importante: oltre alla sfera economica prendiamo in
considerazione il bagaglio culturale di un determinato paese. Di conseguenza, lingue,
costumi e tradizioni vengono inevitabilmente influenzate (positivamente o
negativamente) dalla globalizzazione. Da questa definizione si evince un altro dettaglio
importante: si legge infatti che non solo i sistemi economici, ma anche le culture
diventano simili gli uni dagli altri. Di questa omogeneizzazione parlerò più avanti nel
corso del capitolo.
È utile alla comprensione di tale fenomeno domandarsi quale sia stato il punto di
partenza e seguirne le tappe più importanti, che verranno qui brevemente esposte.
Cenni storici
Generalmente, gli imperi coloniali spagnolo e portoghese a partire dal 1.600 sono
considerati i fautori dei primi scambi, soprattutto commerciali, che coinvolsero
direttamente Europa, Africa, Asia e America. Ecco che quindi nasce una sorta di
interdipendenza e una prima bozza di quello che oggi viene definito come “divisione del
lavoro” a livello globale: il colonialismo, assieme alla Rivoluzione Industriale (e di
conseguenza attraverso i miglioramenti tecnologici sui trasporti e sulla produzione)
accresce sempre di più questa dipendenza economica. Dipendenza che crebbe in modo
esponenziale fino al raggiungimento della prima fase della “globalizzazione propriamente
detta”
4
tra il 1860 e il 1914 caratterizzata da una enorme crescita dei flussi capitali e
migratori, e da una preponderante ostilità tra le Nazioni coinvolte nel processo. Dopo la
Seconda Guerra Mondiale ci fu il tentativo di conciliare gli interessi economici con quelli
geopolitici: fu in accordi che istituirono la Banca Mondiale (World Bank), il Fondo
3
Globalization. (2010). Oxford Advanced Learner’s dictionary (pg 659, VIII ed).
4
Enciclopedia Treccani, (2010). Dizionario di Storia .
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Monetario Internazionale (International Monetary Fund – FMI) e il GATT (General
Agreement on Tariffs and Trade) a rappresentare la svolta che intendeva fornire una
“cornice giuridico- istituzionale”
5
all’economia mondiale, al fine di evitare conflitti e
tensioni e per salvaguardare un fragile equilibrio.
Dal 1960 al 1980 ebbe luogo una seconda fase della globalizzazione: il numero dei
Paesi coinvolti aumentò e le esportazioni che componevano una percentuale del PIL
crebbero non solo in quelle dei paesi industrializzati ma anche in quelli in via di sviluppo,
anche se con differenze molto più che sostanziali, le cui ripercussioni possono essere
notate con facilità anche oggi. È a questi anni di grande progresso economico e
informatico che il Fondo Monetario Internazionale attribuisce il diffondersi della parola
“globalizzazione” con queste parole:
“The term ‘globalization’ has acquired considerable emotive force.
Some view it as a process that is beneficial – a key to future world
economic development – and also inevitable and irreversible. […] The
term has come into common usage since the 1980s, reflecting
technological advances that have made it easier and quicker to
complete international transactions – both trade and financial flows. It
refers to an extension beyond national borders of the same market
forces that have operated for centuries at all levels of human economic
activity – village markets, urban industries, or financial centres”
6
La terza fase della globalizzazione è la fase che testimoniò una crescita esponenziale
degli scambi internazionali sia in ambito intra industriale fra paesi in fasi di sviluppo
simili o uguali sia gli scambi fra paesi in fasi di sviluppo diverse. Soprattutto, ha acquisito
sempre più importanza la liberalizzazione degli scambi. Non è raro, in questa fase della
globalizzazione, notare come anche i concetti di “produzione” è “filiera” siano stati
profondamente modificati ed ampliati: i costi del processo produttivo si sono ridotti e
spesso molte imprese delocalizzano in Paesi a basso costo del lavoro.
5
id
6
IMF, Globalization: Threat or Opportunity? Washington, 2002, pp. 1-2.
http://www.imf.org/external/np/exr/ib/2000/041200to.htm#I (data ultimo accesso: 27 settembre 2016)
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La nuova globalizzazione
Ciò che potenzialmente potrebbe modificare profondamente la società, ma soprattutto
il mondo del lavoro attuale, è ciò che alcuni studiosi, primi fra tutti i professori Gene
Grossman, Alan Blinder
7
e il saggista inglese Richard Baldwin con base a Ginevra hanno
teorizzato come “Nuova Globalizzazione”.
La Nuova Globalizzazione necessita di un “nuovo paradigma”, che “rappresenta la
sfida di una nuova e distinta fase nell’evoluzione dell’interdipendenza economica nel
mondo”
8
. Difatti, ciò che si esplica all’interno di questa nuova era può essere spiegato
come una sorta di sviluppo della delocalizzazione, che non comprende più quindi solo il
settore industriale ma anche quello dei servizi. Come altre innovazioni nell’ambito della
globalizzazione, anche questa è il risultato della progressiva semplificazione delle
comunicazioni e dei trasporti a livello globale, che però si traduce come una
delocalizzazione elettronica molto più profonda, per esempio, delle call- centre inglesi
delocalizzati in India. Secondo questa nuova teoria, per essere delocalizzato un servizio
deve possedere queste quattro caratteristiche fondamentali:
- Deve essere coadiuvato da un uso intensivo di Information Technology (IT)
- Il prodotto finito deve poter essere trasmesso al cliente via IT
- Deve prevedere mansioni che possono essere codificate
- Non richiede l’intervento o l’interazione degli impiegati nel servizio
Il concetto principale che differenzia questo nuovo paradigma dal vecchio è il
cambiamento di prospettiva: non si tratta più di stabilire quali e quanti settori appartenenti
all’economia di un Paese prevarranno nello scenario globale, ma la concorrenza riguarda
ora il singolo posto di lavoro o del tipo del posto di lavoro. Le conseguenze sono
innumerevoli, ma rimangono ancora pressoché impossibili da quantificare. Ciò che è
certo è che, per esempio, non avranno più importanza il livello di istruzione, il reddito o
la provenienza di un individuo nel quadro competitivo di un’azienda ma saranno il suo
grado di specializzazione, la sua flessibilità e il livello di delocalizzazione della mansione
svolta a determinare il suo successo. Questa sorta di rivoluzione potrà anche avere delle
7
Economisti all’Università di Princetown, New Jersey (USA)
8
(Giddens, 2006)
17
ripercussioni su settori che, fino ad ora, potevano essere considerati esterni o immuni da
queste dinamiche. Un esempio riportato anche nell’articolo accademico “Globalization:
the Great Unbungling(s)”
9
riguarda il servizio erogato da un medico chirurgo: grazie
all’incredibile progresso in ambito medico, oggi è possibile praticare alcuni tipi di
operazioni chirurgiche grazie all’ausilio di computer e interfacce (ecco che quindi si è già
nell’ambito dell’IT) anche a grandi distanze. Come conseguenza, i confini geografici che
un tempo potevano precludere ad un medico chirurgo asiatico di esercitare la sua
professione in Europa, ora possono essere sormontati. Diventa pertanto molto difficile
prevedere quali potranno essere “i vincitori o gli sconfitti della globalizzazione”
10
in
ambito economico.
Le varie sfaccettature della globalizzazione
Uno degli aspetti più rilevanti e contradditori è la sfumatura stessa del termine
“globalizzazione”, che prende il nome di “globalizzazione culturale”.
Essa infatti si focalizza “ora sulla predominanza di “forze globalizzanti” nell’impatto
sulle culture locali, ora sulla capacità delle tradizioni autoctone di interagire con processi
transnazionali, internazionali, globali, adattandoli ai propri valori culturali”
11
. Si tratta
quindi di studiare ed analizzare l’interazione tra l’universale e il particolare. Da questa
analisi si è però arrivati nel corso degli ultimi anni ad osservare un’imposizione sempre
più marcata di modelli culturali dominanti su modelli più emarginati, nascosti o deboli,
che non appaiono quindi in modo rilevante sulla scena mondiale. Nella fattispecie ci si è
riferiti a questi modelli come “Americanization” e “McDonaldization”. Tutti i termini
sopra citati riflettono il sistema di valori, idee, concetti e saperi occidentali, in modo
significativo quelli degli USA. Si tratta quindi di una proliferazione di tutti gli aspetti
dello stile di vita nordamericano, dalle teorie del consumismo, del capitalismo e
dell’espansionismo economico derivate essenzialmente dall’ “Americanization”, alle
teorie della standardizzazione, che non si esplica solo nel settore della ristorazione “fast-
food” di cui McDonald ne è solo una delle icone più rappresentative, ma anche
9
Baldwin (2006), “Globalization: the Great Unbundlings” Contributo al progetto “Globalisation
Challenges for Europe and Finland” organizzato dal segretariato del Consiglio Economico. (R., 2006)
10
(Giddens, 2006)
11
(G., a.a 2007/2008)