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Ma non è finita. Scanner e videocamere digitali permettono di realizzare composizioni e
"book" elettronici da riversare su compact disk e regalare ai soci, ai potenziali clienti, agli
sponsor. Carte dotate di memoria possono aiutare a gestire e razionalizzare la gestione
dei soci e delle loro attività.
E' grazie a questo tipo di evoluzione che oggi una buona idea realizzata con i mezzi alla
portata di tutti vale molto di più di una idea mediocre ma "pompata" con effetti speciali e
grandi investimenti. Di questo il mondo "virtuale" del Web e ricco di esempi, a volte anche
eclatanti, e lo sport non si potrà sottrarre a questa nuova tendenza.
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CAPITOLO I - GLI OBIETTIVI
La comunicazione nelle società no profit
Per precisare ulteriormente il campo d’interesse di questo lavoro, è bene nominare alcuni
elementi. Si utilizza la definizione "non profit" per delimitare un ambito di società popolato
da persone e realtà associative il cui operare parte da storie e assume forme diverse
(volontariato di ispirazione religiosa, politica, sociale), ma in cui si possono dare per
condivisi alcuni obiettivi e caratteristiche:
ξ l’essere senza scopo di lucro;
ξ l’operare per la promozione del benessere, della dignità, della cultura delle persone
senza ricercare come contropartita beni materiali;
ξ l’enfatizzare, in forma più o meno forte, la dimensione del volontariato.
E' corretto ritenere che - nella diversità di impostazione ideologica e operativa - tali
caratteristiche siano abbastanza omogenee da richiedere e meritare che si lavori per una
strategia di comunicazione volta alla diffusione dei contenuti e dei valori comuni di cui il
"no profit" è portatore.
Non è naturalmente possibile scendere nel dettaglio dei contenuti di una comunicazione
"dal" non profit, che del resto variano a seconda degli interessi di ciascuna associazione e
dei momenti storici e sociali in cui si vive. Avendo presenti le comuni caratteristiche sopra
indicate, si può invece discutere dei "modi" di fondo.
Si potrebbe nell'occasione lanciare lo slogan della "comunicazione etica" come dovere
specifico di chi opera nel non profit.
Per fare solo tre esempi, un modo etico di fare comunicazione comporta l’avere come
priorità:
ξ la correttezza e l’attendibilità assoluta di ciò che si comunica;
ξ il perseguimento di istanze ideali (cambiamento delle politiche, formazione di una
consapevolezza sociale diversa, sensibilizzazione delle coscienze sui problemi…)
come scopo primario, rispetto a quelli – legittimi - di "far parlare" della propria
associazione o dei propri aderenti, ed anche di raccogliere le risorse economiche
per portare avanti le attività istituzionali;
ξ la non assunzione dei peggiori aspetti della comunicazione sportiva, politica o
commerciale.
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L’ambito del non profit, a seconda delle griglie di valutazione, è composto nel settore
sportivo da centinaia di migliaia di persone. Sono cifre che a volte frastornano. Potrebbero
indurre a un "delirio" di potenza comunicativa, tanto da far pensare che tutto ciò che si fa
nelle "associazioni" sia degno di essere pubblicato. Oppure che tutto ciò che viene
organizzato si comunichi da sé, tanto è "importante" per una parte di società.
Non è così, e ormai i responsabili della maggior parte delle associazioni sportive se ne
stanno rendendo conto. Tuttavia, benché la consapevolezza della funzione strategica della
comunicazione sportiva "anche" per il non profit stia ormai diventando patrimonio comune,
spesso non vi è coerenza tra la realtà e le affermazioni di principio.
In questo tempo di rivoluzione tecnologica nel mondo delle telecomunicazioni, dove anche
le apparecchiature un volta considerate per pochi eletti oggi sono alla portata di tutti sia
dal punto di vista economico che culturale, questo è un momento molto importante per
strutturare una efficace comunicazione "dal" non profit. Per questo occorre rinunciare
all’improvvisazione e i responsabili delle associazioni sono chiamati oggi dare maggiore
concretezza alle proprie azioni, con più energia e obiettivi mirati rispetto al passato,
modificando la convinzione che vede considerare la comunicazione come un "accessorio
costoso e inutile".
Se indubbiamente va data un’attenzione sempre maggiore alla necessità di avere
all’interno delle associazioni una figura che curi questi aspetti, si nota anche che tale
attenzione è ancora occasionale, poco diffusa.
La comunicazione è forse il settore in cui si esprimono maggiormente le disomogeneità
culturali interne al no profit sportivo e non solo.
Per vari motivi è diverso il rapporto dei dirigenti delle società con il mondo dei mass media:
si va dalla "sovraesposizione" al "voluto appartarsi" dai giornalisti, dalla naturale
comunicatività alla "cattiva riuscita" dei rapporti formali e istituzionali, dalla estrema
dimestichezza nel "gestire" i messaggi alla inesperienza, dall’iniziativa autonoma alla
totale delega all’addetto stampa e così via. Sono situazioni inevitabili per chi ha sempre
privilegiato altri obiettivi rispetto a quelli della gestione dell’immagine e della
comunicazione
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I destinatari del messaggio
Nell'ambito dei servizi, dei compiti e del ruolo della società sportiva, vanno individuati i
diversi destinatari della comunicazione proveniente dall'interno. In base a questa precisa e
approfondita definizione di coloro che riceveranno il messaggio, il tipo di comunicazione, i
modi e i tempi corretti per utilizzare specifici strumenti andranno via via scelti e modulati a
dovere. In questa non facile operazione sono chiamati a collaborare in staff, oltre
all'"esperto" in comunicazione (giornalista o incaricato dalla società che sia), dirigenti e
tecnici per fornire tutti quegli elementi necessari a meglio strutturare il contenuto del
messaggio.
Semplificando, i destinatari della comunicazione diretta (ovvero non "mediata") di una
società sportiva possono essere suddivisi in:
a) utenti-clienti e potenziali utenti-clienti
b) sponsor e potenziali sponsor
c) Istituzioni Locali (Comuni, Provincia, Università, Camera di Commercio, Prefettura,
Coni)
Spesso il messaggio può essere organizzato nello stesso modo per tutti ma a volte
occorre differenziare con strategie e mezzi specifici in base all'obiettivo da raggiungere.
Ecco che, per esempio, gli sforzi e le risorse economiche per comunicare nuovi corsi e
nuove iniziative legate all'attività societaria istituzionale andranno concentrati nei confronti
dei potenziali utenti-clienti che non frequentano ancora la sede, mentre il resoconto
periodico dell'attività agonistica e amatoriale andrà particolarmente diffuso fra sponsor
attuali (e potenziali) e le Istituzioni Locali, nonché coloro che sono i protagonisti della
struttura: i tesserati, gli atleti, i tecnici e i dirigenti. Dal saper individuare nell'ambito di una
programmazione annuale strategie, tempi e modi di intervento, dipenderanno i risultati e
l'efficacia della comunicazione. Ovviamente nessuno può prevedere cosa accadrà
nell'anno sportivo che si andrà ad affrontare, ma proprio per questo, i progetti di
comunicazione vanno strutturati in modo "elastico" e facilmente modificabili "in corsa",
dimensionandoli il più possibile alle esigenze del momento.
Agli errori occorre dare rimedio immediato, analizzando la nuova situazione e inserendo gli
elementi correttivi che si rendessero necessari.
Si insiste nell'affermare che per questo tipo di programmazione e analisi è evidente che il
"coordinatore" di queste attività debba possedere le capacità e l'esperienza giusta.
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Comunicazione, informazione e pubblicità
Può sembrare banale, ma il destinatario della comunicazione deve, come prima cosa,
essere esposto alla comunicazione stessa. Deve essere in grado cioè di riceverla e
comprenderla. Questa premessa, se è valida in tutte le forme di comunicazione, lo è in
special modo quando, come in questo caso, essa persegue precisi obiettivi di spinta
all'utilizzare i servizi sportivi offerti, a ottenere credibilità e fiducia negli sponsor e negli enti
istituzionali del territorio.
Dove la comunicazione è un fatto professionale e non dopolavoristico, sottoposta dunque
a precise leggi ed esigenze di un riscontro pratico, non c'è dubbio che sia il destinatario il
polo più importante: che la comunicazione vada cioè studiata e impostata in funzione di
come sarà recepita. Risulta così importante la scelta del linguaggio e del mezzo per
portare a destinazione il messaggio.
Secondo teorie ormai classiche (vedi in particolare Popper e Buehler) il linguaggio
adempie quattro funzioni: quella espressiva, che serve per manifestare sentimenti; quella
di significazione, che serve a segnalare qualcosa a qualcuno per spingerlo ad agire; quella
descrittiva, che descrive una realtà; quella argomentativa, che "sviluppa un ragionamento
ed è il linguaggio della critica in generale" (U. Santucci, La comunicazione multimediale,
Milano, "Il Sole 24 Ore", 1991).
Ora, sicuramente, la comunicazione come è intesa dal marketing, "serve a segnalare
qualcosa (il prodotto) a qualcuno (il potenziale cliente) per spingerlo ad agire (comprare)":
privilegia dunque la seconda delle quattro funzioni del linguaggio: quella di significazione
(la quale, sempre secondo Umberto Santucci, "è l'unica vera funzione comunicativa"). Ma
certamente anche le altre tre funzioni (l'esprimere, il descrivere, l'argomentare) sono parte
non secondaria di questo tipo di comunicazione.
L'aspetto più importante di tutto il processo comunicativo, parlando di marketing, pubblicità
redazionale e aree connesse, è proprio il momento finale: se e come il "ricevente" (e non
più destinatario) sia stimolato e reagisca in modo opportuno (cioè "compri"). Questi i
parametri principali che riguardano il destinatario della comunicazione, ossia il potenziale
cliente.
Anche se Marshall McLuhan, il grande teorico della comunicazione di massa, afferma che
"il mezzo è il messaggio", cioè che mezzi di comunicazione come la televisione hanno
portato nella vita dell'uomo una rivoluzione indipendentemente da ciò che in TV viene
trasmesso, scendendo nel nostro caso a un'analisi più tecnica e meno filosofica, una di-
stinzione tra mezzo e messaggio va certamente fatta.
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A noi interessa chiarire, che il destinatario non solo, per esempio, deve possedere un
televisore, comprare il giornale ecc.; ma deve accendere la TV, sintonizzarsi su quel
determinato programma e guardarlo mentre va in onda la nostra comunicazione; deve
aprire il giornale e leggere l'articolo o l'annuncio pubblicitario che a noi interessa; deve
vedere il manifesto affisso sugli appositi pannelli: allora e solo allora sarà esposto alla
nostra comunicazione.
L'esposizione, a sua volta, ha caratteristiche intrinseche diverse.
Può essere volontaria (io compro quel determinato giornale e leggo quella determinata
pagina; io accendo la radio e mi sintonizzo su quel dato programma) o involontaria (sul
tavolino del bar vedo i pieghevoli pubblicitari o le locandine attaccate al vetro). Molto
spesso l'esposizione involontaria è anche inevitabile (nel senso che non posso sottrarmici)
e di conseguenza percepita negativamente, come fastidio o imposizione.
L'esposizione può essere individuale (il citato esempio del giornale o del programma
televisivo) o collettiva (ad esempio la pubblicità in una sala cinematografica).
L'esposizione ha una durata, che dipende direttamente dal mezzo e dalla possibilità
d'intervento del ricevente (è chiaro che lo spettatore televisivo può cambiare canale, quello
cinematografico no). Se la durata raggiunge per il destinatario i limiti di stanchezza, la
comunicazione viene percepita con fastidio e intolleranza via via crescenti e, se possibile,
interrotta.
È’ chiaro che oltre alle caratteristiche specifiche del mezzo e del contesto nel quale la
comunicazione viene fruita (guardare la televisione in poltrona o, sempre in poltrona,
leggere il giornale, consente un tempo di attenzione molto maggiore che guardare lo
stesso programma in piedi in un bar o leggere lo stesso articolo sballottati su un autobus),
hanno una fondamentale importanza l'argomento e il modo in cui è trattato (si sopportano
piacevolmente ore di diretta televisiva sulle olimpiadi; cinque minuti di dibattito sulle
capacità comunicative del c.t. della Nazionale azzurra di Calcio Zoff sono più che
sufficienti). Resta il fatto che, da questo punto di vista, è determinante l'interesse
soggettivo del ricevente.
Altro parametro molto importante per l'esposizione è la qualità tecnica, non solo del
messaggio, ma del mezzo tramite il quale viene veicolato. Una trasmissione televisiva
piena di sfarfallamenti (in linguaggio tecnico, "drop"), una emissione radio disturbata, con
la voce che va e che viene, una stampa con i caratteri troppo piccoli e le righe troppo
lunghe o la carta che assorbe l'inchiostro e rende faticosa la lettura, sono tutti difetti che
danneggiano gravemente la possibilità di una buona esposizione.
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Anche l'attenzione gioca senz'altro un ruolo fondamentale. Senza attenzione, o peggio
ancora in presenza di disattenzione, il messaggio non viene percepito nella sua interezza
o, comunque, non viene memorizzato e non lascia perciò traccia. Talvolta si crede di
ovviare al rischio della disattenzione aumentando a dismisura la quantità e la ripetitività
dell'informazione, iterando il messaggio in forme diverse e ripetendolo più e più volte. E il
procedimento tipico della pubblicità classica, che tuttavia può non funzionare in altre forme
di comunicazione.
Dice, come meglio non si potrebbe, Santucci: "Allo stesso modo in cui l'eccesso di cibo
porta alla sazietà, l'eccesso di informazione porta alla disattenzione. Se mangiamo seduti
a tavola e ci viene servita una porzione di carne, tendiamo a finire la nostra porzione. Se
invece siamo davanti a un ricco buffet e possiamo aggirarci da un capo all'altro del tavolo,
tendiamo a spilluzzicare qua e là e ci rimpinziamo senza aver gustato nessuna pietanza.
La stessa cosa avviene con i media, di fronte ai quali ci saziamo senza aver approfondito
nulla" (op. cit., p. 122). Ecco che per evitare questo rischio di "sazietà di comunicazione"
occorre produrre messaggi mirati e diretti su un solo concetto. Con messaggi in cui sia
chiaro l'oggetto dell'interesse. Con messaggi che non abbiano contenuti dispersivi. In
breve, usando in maniera professionale gli strumenti della comunicazione: la pubblicità,
l'ufficio stampa, le pubbliche relazioni.
Si propone di seguito una breve carrellata delle caratteristiche del linguaggio di alcuni
mezzi di comunicazione: dalla carta stampata (quotidiana, periodica, il libro), alla
televisione, dai manifesti alla trasmissione dati via cavo (Internet).In un buon progetto di
comunicazione tutti i mezzi sopra citati vanno, se non proprio utilizzati tutti, analizzati e
tenuti in considerazione in base all'obiettivo da raggiungere. Sicuramente già da ora ci si
deve abituare a pensare la comunicazione come attività multimediale. Canali diversi e
mezzi diversi per fruitori differenziati, con una finalità unica: mettersi dalla parte del
destinatario.
Partire dalla percezione, risalire all'elaborazione della strategia, del messaggio, della
comunicazione completa: se si avranno sempre presenti queste considerazioni, il più del
lavoro sarà fatto con una buona percentuale di successo.
Spesso si confonde il concetto di comunicazione con quello di informazione e pubblicità.
Se per il primo e il terzo termine è possibile trovare terreni operativi comuni (spesso e
volentieri un progetto di comunicazione comprende esclusivamente interventi pubblicitari),
per l'informazione il terreno si fa più complesso e spinoso.
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E' un po' il problema di tutte quelle strutture come gli uffici stampa degli enti pubblici che
oltre a curare "l'immagine" del "datore di lavoro", hanno l'importante compito di "informare"
i cittadini e i mezzi di informazione sull'articolato complesso delle attività "politiche e
istituzionali". Mentre la comunicazione-pubblicità sarà orientata a raggiungere l'obiettivo
con tecniche e strategie proprie del marketing, l'informazione dovrà senz'altro seguire le
tecniche del settore giornalistico.
Un poco attento utilizzo di questi elementi potrebbe risultare "fatale" al raggiungimento
degli obiettivi di comunicazione in senso generale.
Relativamente al linguaggio dei diversi mezzi di comunicazione si può va tenuto conti di
questa elementare suddivisione:
La lingua dei giornali (e non dei giornalisti) tende a uniformarsi rendendo più difficile,
anche se non impossibile, l'emergere di un timbro stilistico personale. Nel vasto panorama
giornalistico non si può non rilevare come, oltre che per l'aspetto stilistico, anche dal punto
di vista dell'interpretazione dei fatti e della linea ideologica, sulla firma dell'autore del
«pezzo» gravi fortemente l'influenza dell'editore, cioè della testata sulla quale il pezzo
esce; se non addirittura della proprietà. Un esempio: nella stesura di quella parte
importantissima dell'articolo che è il titolo. Quando il materiale elaborato dal giornalista
passa nelle mani del caporedattore ed entra nella fase di "cottura" del quotidiano che di lì
a poche ore si troverà nelle edicole (ma il discorso non è molto dissimile per i periodici),
ecco la lingua subire sovente un'accelerazione, un rialzo di temperatura per rispondere
alle esigenze di attenzionalità del titolo. Così nascono i titoli "strillati" o a caratteri cubitali,
spesso uni che parti dell'articolo letti dalla massa. E proprio nel titolo, più ancora che nella
stesura del corpo dell'articolo, le ragioni superiori della linea della testata tendono a
travolgere quelle dello stile linguistico del singolo giornalista. Il titolo può travisare persino il
senso dell'articolo, oppure gonfiarne una parte di dettaglio per portare più facilmente il
pubblico alla lettura. Tipico in questo senso è il procedimento di mettere in evidenza un
dettaglio aneddotico dell'impresa di uno sportivo per assicurarsi la lettura della cronaca di
una gara.
Perché la stampa giornalistica, in particolare quella sportiva, è una divoratrice insaziabile
di storie e di personaggi. Al punto da influenzare la vita stessa della quale il giornalismo
dovrebbe dare una rappresentazione, per renderla più atta, più appetibile ad essere
rappresentata. Attraverso la lingua dei giornali, vocaboli e modi di dire nati in ambienti
tecnici o specialistici (così come nello sport anche nello spettacolo, politica, arte o altro)
sono entrati ormai nel linguaggio comune.
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Oppure, per mediazione della lingua giornalistica, si è visto a volte un curioso,
imprevedibile scambio tra linguaggi tecnici. Si pensi al vocabolario sportivo usato per
definire realtà e concetti politici («squadra», «battitore libero», «record», «riserva», «in
panchina» ecc.). Oppure a termini del mondo dello spettacolo («regista», «fantasista»,
«solista» ecc.) cooptati nel vocabolario sportivo.
La prima grande rivoluzione nella comunicazione operata da Gutemberg con i suoi
caratteri a stampa, è quasi nulla però se la mettiamo a confronto con l'esplodere nel '900
della "Galassia Marconi", cioè dell'informazione radiotelevisiva. La diffusione a macchia
d'olio dell'informazione radiotelevisiva nel mondo contemporaneo rappresenta forse la più
colossale rivoluzione culturale di tutti i tempi. In quello che viene definito da tutti il
"Villaggio globale", essendo il mondo percorso da una così ramificata rete di
comunicazione che la stessa notizia può rimbalzare in tempo reale da un capo all'altro del
globo, la comunicazione, la pubblicità e l'informazione tendono a invadere la totalità della
vita. La televisione contiene in sé le caratteristiche di tutti i mass media e in qualche modo
ne è il compendio e la sintesi finale anche dal punto di vista del linguaggio. La televisione
è un gigantesco contenitore di comunicazione: attraverso di essa ci può giungere per
esempio qualsiasi forma di informazione: la diretta o la differita di un evento sportivo, una
conferenza scientifica, un notiziario e altro ancora. Tutto può essere teletrasmesso.
Proprio perché la televisione è un mezzo audiovisivo, la lingua della televisione non può
essere valutata separatamente dall'immagine: basti pensare alla differenza davvero
notevole che c'è tra il linguaggio di un radiocronista sportivo e quello di un telecronista.
Seguono tutti e due la stessa partita di calcio: ma il primo vede la partita per lo spettatore;
il secondo la vede con lo spettatore.
Il linguaggio del radiocronista necessita dunque di una ricchezza molto maggiore,
soprattutto dal punto di vista emotivo. Egli deve infatti ricostruire attraverso le sole parole
la scena dell'incontro che il radioascoltatore non vede.
La sua aggettivazione sarà infinitamente più varia, la scelta lessicale più mirata a
descrivere con la maggiore puntualità possibile una scena complessa. È dunque un
linguaggio molto ricco di definizione. Il telecronista invece ha il compito di far compagnia
allo spettatore che da casa segue con lui la partita, limitandosi a chiarire ciò che accade
sul campo e che l'immagine non rende con sufficiente evidenza: suo compito principale è
l'individuazione dei singoli giocatori che sono coinvolti nell'azione, l'interpretazione delle
decisioni dell'arbitro, una sommaria interpretazione degli schemi tattici.
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Per il telecronista, inoltre, la partita è solo quella che si svolge nella parte di campo che è
inquadrata dalle telecamere. Per una necessità di coerenza parola-immagine, egli si
disinteressa di quanto accade nella parte del campo non inquadrata, che invece è molto
più presente nel racconto ricco di sintesi evocativa e di suggestione del radiocronista.
Ancora per fare un esempio, si prenda la parola "squadra". Fino a ieri limitata al mondo
sportivo (a parte i significati tecnici legati alla geometria), essa da un po' di tempo si è
arricchita di valenze politiche: oggi vuole anche dire "insieme dei ministri che compongono
un gabinetto" o, più genericamente, "gruppo operativo che sostiene un personaggio
politico". Concludendo, va sottolineato come in definitiva la televisione, molto più della
radio che l'ha preceduta, porti con sé il trionfo della lingua parlata sulla lingua scritta.
Tra le varie funzioni del linguaggio senza dubbio nella pubblicità è privilegiata in modo
evidente quella di significazione: segnalare qualcosa (il prodotto, i servizi, la società) a
qualcuno (il potenziale cliente, lo sponsor) per spingerlo ad agire (comprare). Le
caratteristiche dunque del linguaggio pubblicitario si misurano più che in altri campi della
comunicazione in termini di funzionalità a un risultato concreto: la vendita. Mentre in tempi
passati, l'efficacia della lingua pubblicitaria sembrava quasi misurabile in termini di causa-
effetto riguardo al successo delle "vendite", oggi, col prevalere dell'immagine sulla parola
anche nella pubblicità, la tensione si è attenuata: difficilmente una frase pubblicitaria
vengono percepiti come "risolutivi".
Non è possibile analizzare la pubblicità e il suo linguaggio con criteri validi per altre
categorie culturali, come per esempio l'espressione artistica. Anche se potrebbero trarci in
inganno i termini usati dai pubblicitari stessi per indicare certi ruoli. Per esempio, il termine
di «creativi» che si usa per indicare quei professionisti che hanno il compito di ideare,
verbalmente e graficamente, il messaggio (appunto, il copywriter e l'art director), non va
confuso con «artisti», o «autori». Il pubblicitario non è e non deve essere un artista, un
autore che esprime in piena libertà fantastica una propria visione del mondo attraverso
l'arte della parola o dell'immagine. Il "pubblicitario" deve essere, un bravo "venditore del
prodotto" attraverso l'abilità con cui sa usare la parola e l'immagine, attenendosi a una
strategia di comunicazione prestabilita: semmai è un gran bravo tecnico della
comunicazione.
Per tutte queste ragioni la lingua della pubblicità influenza meno di quanto si potrebbe
pensare. Certamente meno della televisione, del cinema, del giornalismo o dell'evento
sportivo.
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Oltre alla scarsa efficacia in un panorama intasato da spot (soprattutto quelli televisivi) che
come risultato principale hanno spesso quello di creare confusione nel destinatario della
comunicazione, c'è in generale un problema di selettività del "target". Mentre cioè la
pubblicità di un prodotto di largo consumo di solito deve essere destinata a un pubblico
molto vasto (per esempio, le casalinghe, o addirittura tutti i membri della famiglia), la
pubblicità di un corso o di un evento sportivo deve indirizzarsi selettivamente ai potenziali
praticanti e spettatori. In caso contrario si avrebbe una inutile dispersione e
un'insopportabile sproporzione di costi. Si ripropone perciò una scelta mirata dei mezzi.