Introduzione
In un mondo dove la turbolenza è spesso la normalità, in cui tutto ciò a cui si è abituati è
destinato a cambiare anche radicalmente, ogni realtà economica dev’essere, in ogni
momento, pronta ad assumere orientamenti e approcci strategici sempre nuovi. È stato lo
stesso Darwin a sostenere che “non sono i più forti della specie che sopravvivono, non i
più intelligenti, ma coloro che meglio si adattano al cambiamento”.
Il settore approfondito in questo elaborato sembra avere una predisposizione naturale al
cambiamento
1
. Il Sistema Moda italiano si è trasformato profondamente negli ultimi anni,
dimostrando come l’adattamento fosse insito nel proprio DNA.
La produzione si è evoluta da prettamente hardware con offerta monoprodotto verso la
progettazione soft dei propri capi d’abbigliamento, estendendo la propria offerta in altri
settori, anche non presidiati direttamente, ma spesso con licenze, al fine di offrire al
consumatore finale un Total Look sempre più consono all’identità creata dal brand.
È nella nostra immaginazione percepire il Made in Italy non come indicazione di origine
geografica, ma come un contenitore di una varietà di prodotti e di comportamenti che
caratterizzano l’Italian Style.
La crescita di aziende quali Zara ed H&M, che si sono affermate nel mondo della moda
imponendo il concetto di fast fashion, ha reso necessario alle aziende comprendere la
motivazione di tanto successo che, per forza di cose non è solo legato all’alto value for
money offerto da questi marchi, ma dalla capacità, meglio e prima di tutti, di capire ed
interpretare le esigenze del cliente, rendendole subito disponibili sul mercato con
un’organizzazione che permetta un sistema logistico efficiente accompagnato da
4
1 G. Iacobelli, Fashion Branding 3.0, Franco Angeli Milano, 2010, (Introduzione a cura di Gianmarco Gabrieli)
un’intelligenza informatica di pianificazione della domanda e gestione dell’intera Supply
Chain.
Indagando sulle strategie di marketing di un’azienda del settore Tessile-Abbigliamento, è
facilmente intuibile come la comunicazione sia diventata il fulcro dell’attività per tutto il
management aziendale. Le aziende sono sempre più interessate a farsi conoscere dai
consumatori e a rimanere presenti nelle loro menti. Per raggiungere quest’obiettivo è di
fondamentale importanza una pianificazione uniforme di ogni singolo mezzo a
disposizione. Dalla sede aziendale, alla presentazione del prodotto, al prezzo alla
distribuzione, tutto deve racchiudere coerentemente l’idea che l’azienda ha di brand,
eliminando ogni possibile fonte di “rumore”
2
.
Se si pensa all’azienda di qualche anno fa, viene in mente un’impresa focalizzata sulle
vendite, orientata alla produzione di un bene al minor costo possibile, senza approfondire
le esigenze del consumatore. Oggi l’impresa deve essere customer-driven attraverso
politiche di “ascolto” e studio dei trend evolutivi del proprio mercato di riferimento.
Come accennato, oltre a progettare e realizzare in tempi brevi un prodotto customer-driven,
l’azienda deve adottare una comunicazione a 360° sfruttando appieno tutti gli strumenti a
disposizione che le permettano di collocare stabilmente il prodotto nella mente dei
consumatori. Figura chiave di questo periodo, quindi, è il consumatore.
Oltre all’evoluzione del consumatore, è cambiato anche il concetto di acquisto, che in
precedenza raffigurava la mera soddisfazione di un bisogno e che oggi muove verso
un’esperienza che non deve essere facilmente dimenticata dal consumatore. In questo
senso, lo strumento più importante è rappresentato dal brand, inteso come valore distintivo
e difficilmente imitabile in quanto composto da una serie di valori intangibili costruiti nel
tempo tramite meticolosi sforzi comunicativi. L’evoluzione del mercato porta sempre più
5
2 M. Ricchetti - E. Cietta, Il Valore Della Moda, Bruno Mondadori Hermes Lab, 2006
verso la “banalizzazione” dei prodotti e l’accorciamento dei cicli di vita dei prodotti - non
è un caso il grande successo riscosso negli ultimi tempi da aziende di fast fashion, capaci
di rendere disponibili al cliente nuove collezioni una/due volte a settimana - quindi
un’attenta strategia di branding assume un’importanza chiave.
La marca è ciò che consente al consumatore di esprimere la sua specificità individuale
nella società, ogni sua scelta di consumo costituisce un importante segnale verso il proprio
contesto sociale in merito alla propria personalità, ai bisogni, ai suoi desideri.
Partendo da queste considerazioni, il presente lavoro proseguirà introducendo il concetto di
Brand Identity. Quest’ultimo concetto appare essere di fondamentale importanza se
l’obiettivo dell’azienda è esportare il prodotto per ampliare il proprio mercato di
riferimento ed avviare i processi di internazionalizzazione.
Negli ultimi anni, infatti, a causa di una serie di eventi quali l’abbattimento delle frontiere
da parte di alcuni Paesi, la crisi nei mercati interni, la notevole riduzione dei costi per gli
spostamenti internazionali, le molteplici opportunità comunicative offerte dalle nuove
tecnologie, la diffusione di nuove forme di internazionalizzazione (joint venture, accordi di
collaborazione tecnologica e/o commerciale
3
) sta prendendo sempre più piede il concetto
di internazionalizzazione non più derivante dalla mera esigenza di cercare sbocchi
commerciali, ma come fonte di vantaggio competitivo.
Il lavoro prosegue quindi con approfondimenti relativi alle politiche che le imprese del
settore moda attuano per l’internazionalizzazione.
L’ultima parte del lavoro mira ad analizzare il settore moda in Italia, attraverso una ricerca
volta all’individuazione dei trend in atto relativamente alle politiche di branding per
l’internazionalizzazione.
6
3 Cfr. E. Valdani - G. Bertoli, Mercati Internazionali e Marketing, Egea, Milano, 2006
1. Il Brand Management nel Fashion
1.1 Nascita e Sviluppo di un Brand Management System
A partire dal 1830, durante la rivoluzione industriale, si è sentita la necessità di sviluppare
molti marchi. Principalmente i fattori che hanno contribuito allo sviluppo dei prodotti di
marca sono stati:
- l’aumento della densità di popolazione e dell’urbanizzazione che ha fatto scaturire la
richiesta di prodotti “pre-impacchettati”;
- la produzione di massa e i miglioramenti (o talvolta l’introduzione) di infrastrutture che
hanno permesso ad alcuni prodotti di ampliare il proprio raggio di influenza;
- l’incremento del numero dei negozi e dei rivenditori che ha dato la possibilità di
incontrare i consumatori ai primi branded articles.
Sia durante che dopo la Rivoluzione Industriale, la situazione del mercato per i prodotti di
marca non era, comunque comparabile alla situazione odierna, a causa della totale, o quasi,
mancanza del fattore comunicativo. Il potere della catena distributiva era totalmente nelle
mani dei grossisti. Nelle loro mani era il potere dei produttori e furono proprio loro ad
accrescere l’assortimento di prodotti nei punti vendita.
Alla fine del diciannovesimo secolo il potere ha cominciato a “slittare” verso i produttori,
ed è proprio in questo periodo che il marchio di fabbrica ha iniziato il suo periodo di
fioritura, portando ad un approccio fondato su nuove leggi, in cui clienti e negozianti erano
trasformati in consumatori e commercianti che operavano in un mercato non definito dalle
loro interazioni personali, ma dalle iniziative delle grandi società.
7
Nonostante ciò, nei primi anni del ‘900, la maggior parte dei consumatori, acquistava
ancora zucchero e aceto contenuto in barili e vaschette in piccole drogherie o in negozi di
generi vari che vendevano anche pacchetti di spille senza etichetta e chiodi sfusi
4
.
Il marchio forniva ai fabbricanti un nuovo genere di controllo quando vi era affiancata una
pubblicità efficace, andando ad alterare gli equilibri di potere all’interno della tradizionale
catena produttore-grossista-dettagliante-cliente.
Apponendo il marchio sui propri prodotti, i fabbricanti si assumevano la responsabilità di
garanti rispetto alla qualità ed al modo in cui venivano prodotti, introducendo un
importante aspetto peculiare del marchio, ovvero la responsabilità verso i clienti. Le
confezioni con etichetta avevano la funzione di identificare da dove vengono e chi è il
responsabile delle loro condizioni e caratteristiche.
In questo periodo, oltre ai marchi industriali, nacquero anche i marchi commerciali. Si
verificava spesso, infatti, che il nome del grossista fosse riportato direttamente sulle
confezioni dei prodotti. Venivano a crearsi tensioni continue fra grossisti e produttori lungo
tutta la catena distributiva, non vi erano ancora i presupposti per creare accordi di co-
makership e collaborazioni.
Fino agli anni ’40 del secolo scorso, l’impostazione organizzativa del marketing prevalente
nelle grandi imprese era l’approccio di tipo funzionale. Le diverse attività di marketing
venivano assegnate a specialisti di pubblicità, di vendita, di ricerca di mercato. Questa
soluzione appare essere adeguata quando le singole attività richiedono un notevole
impegno e competenze specifiche, ma soprattutto quando l’azienda ha in portafoglio un
numero molto ridotto di prodotti.
Fino a quegli anni la maggior parte delle imprese era sostanzialmente monoprodotto e le
due funzioni prevalenti erano il sales management e l’advertising management.
8
4 S. Strasser, Soddisfazione Garantita - La nascita del mercato di massa, Il Mulino, 1999.
Se le aziende curavano molto l’aspetto relativo alle vendite, lo stesso non si può affermare
per la gestione dell’advertising, che veniva spesso delegato ad agenzie pubblicitarie
esterne, le quali assumevano un importante ruolo di consulenti nello sviluppo delle marche
industriali.
Con l’affermazione delle imprese multimarca l’approccio funzionale si dimostrò
inadeguato: lo sviluppo di una marca richiede di sicuro competenze specialistiche, ma
queste ultime devono far capo ad una strategia unitaria.
Spesso, quello che mancava era proprio il coordinamento e la collaborazione tra manager
responsabili delle diverse funzioni per le svariate marche presenti in portafoglio.
La diffusione di un vero e proprio Brand Management System non fu comunque immediata
e fu solo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che le grandi imprese produttrici di
beni di consumo iniziarono a capirne l’importanza. Nonostante l’iniziale diffidenza e
sfiducia, le previsioni furono smentite dai fatti. I consumatori, consapevoli del reale valore
aggiunto della marca rispetto a prodotti anonimi, tornarono in massa alle grandi marche:
nel 1945 il 78% dei consumatori americani sceglieva sulla base del riconoscimento della
marca.
Il boom economico del dopoguerra segnò una seconda era positiva per le marche
industriali, favorita dall’aumento del reddito dei consumatori e dalla crescita della classe
media urbana. Le marche ricevettero un grande slancio dalla continua introduzione di
nuovi prodotti e dal massiccio ricorso alla pubblicità televisiva.
Le agenzie pubblicitarie persero gradualmente il loro ruolo di consulenti della strategia di
marca, a favore dello sviluppo di tali strategie all’interno delle imprese, e concentrarono la
loro attività esclusivamente su servizi relativi alla creatività e alla pianificazione dei mezzi
di comunicazione pubblicitaria.
9
Negli anni fino al 1980 l’attività dei Brand Manager, impegnata direttamente nell’analisi
della domanda ed in particolare del consumatore, ampliò il raggio d’azione verso la
dimensione competitiva del mercato.
Proprio nella seconda metà degli anni ’80 questa nuova concezione iniziò a diffondersi: la
concezione che il brand sia una delle più importanti proprietà dell’azienda, rappresentando
non solo un valore finanziario, ma anche una risorsa strategica.
Nel decennio successivo vi è un ulteriore sviluppo chiave
5
, ovvero la definizione di brand
passa da product-plus value all’idea di brand come concept più ampio. L’idea assume la
forma, viene plasmata in strategia di comunicazione, marchi come Nike o Swatch hanno
sviluppato con successo negli anni passati, le loro politiche non su vantaggi legati ai
singoli prodotti, ma comunicando la loro idea di marchio, associata a determinati stili di
vita.
Altri esempi nel campo della moda, possono essere rappresentati da marchi come Calvin
Klein, Gucci, o Tommy Hilfiger che hanno riscosso successo, diventando leader di
mercato, approfondendo le motivazioni e i desideri della loro fascia di consumatori,
creando attorno ai loro prodotti un’immagine di forte appeal.
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5 R. Riezebos, Brand management: a theoretical and practical approach, Pearson Education, 2003
1.2 L’Evoluzione dei Modelli di Consumo nel Settore Moda
A partire dall’inizio degli anni Duemila i modelli di consumo nel settore fashion sono
notevolmente cambiati, il culmine di questo cambiamento si è avuto nel 2008 a seguito
della crisi economica che si stava attraversando e dalla quale tutte le imprese stanno
tentando di uscire.
A conferma di quanto precedentemente esposto, si può osservare come un vero e proprio
cambiamento nel consumo dei prodotti moda abbia avuto inizio dagli anni ’80. A questo
scopo può essere utile analizzare l’immagine riportata di seguito
6
.
Negli anni ’80 il focus centrale della ricerca dei consumatori dei prodotti moda era
essenzialmente basato sul prodotto, l’aspetto principale ricercato era il Valore Intrinseco
del prodotto, determinato dalle sue caratteristiche funzionali, dal Design, dall’estrema cura
dei dettagli derivante prettamente da know-how artigianale, dall’attenzione alla qualità
delle materie prime utilizzate.
Figura 1 - L‘evoluzione dei modelli di consumo dei prodotti fashion. Fonte: The European
House - Ambrosetti
11
6 http://www.ambrosetti.eu Flavio Sciuccati - Il sistema moda in tempi difficili: Cosa buttare, cosa tenere e
come creare maggiore competitività'
Nel decennio successivo, con il passare del tempo e delle mode, l’evoluzione ha portato a
sviluppare interesse verso il Valore Aspirazionale del prodotto, dove l’attenzione si è
progressivamente spostata dal semplice prodotto alla costruzione di un marchio, inteso
come valore ampio che racchiuda uno status, uno stile di vita, un’icona in cui il
consumatore possa riconoscersi. Questo modello ha caratterizzato lo sviluppo dell’intero
settore moda e l’affermarsi di molte imprese che hanno saputo lavorare meglio di altri sul
proprio brand (spesso portafoglio di marchi) fino alla metà degli anni 2000.
L’avvento della crisi economica nel corso del 2008 ha mostrato i limiti di questo modello,
portando al ridimensionamento di alcuni marchi famosi che, pur avendo sviluppato discreta
identità e reputazione non disponevano di un prodotto coerente con il valore comunicato e
con il prezzo praticato sul mercato.
L’evoluzione ha portato, negli anni attuali a dirigere le scelte dei consumatori verso la
ricerca del Valore Personale del bene, legato all’effettivo valore monetario, non più quindi
influenzato dalle pesanti campagne di comunicazione che nel periodo precedente hanno
portato alla creazione di marchi “vuoti”, ma spinto dalla capacità del bene di suscitare
interesse tramite aspetti che siano realmente innovativi.
Può essere utile a questo punto comprendere quali siano state le cause che hanno
determinato questo processo evolutivo del modello di consumo.
A partire dagli anni ’90 è stato introdotto il concetto di “moda e lusso accessibile”, dove la
netta linea di demarcazione tra il consumatore che può permettersi certi tipi di prodotti e
quello che non può è sempre più inconsistente e diventano sempre più frequenti fenomeni
di trading-up
7
e trading-down
8
. Di conseguenza l’acquisto diviene totalmente trasversale
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7 Consumatori che acquistano beni destinati ad utenti con fasce di reddito superiori. Cfr. G. Iacobelli, Fashion
Branding 3.0
8 Consumatori che acquistano prodotti alla moda ma appartenenti alla categoria “cheap”. Cfr. G. Iacobelli,
Fashion Branding 3.0
alla “piramide” della moda e non più strettamente collegato alle logiche tradizionali della
segmentazione del mercato.
Un ulteriore aspetto evolutivo riguarda lo spiazzamento della moda, a conseguenza del
quale suddetto settore assorbe una quota sempre più ridotta del consumo privato in tutti i
principali Paesi Europei a favore di altri servizi esclusivi come vacanze, cura della persona,
tempo libero, ecc.
Negli ultimi anni, inoltre, la crescente mobilità del consumatore e la conseguente difficoltà
a catturare l’attenzione dello stesso da parte delle aziende ha portato ad investire ingenti
risorse di capitale al fine di aumentare le occasioni di coinvolgimento del proprio cliente
target e al fine di intensificare i momenti di contatto con i clienti, portando all’utilizzo di
nuovi veicoli comunicativi, con l’obiettivo di creare l’esperienza della marca attraverso
l’utilizzo di nuovi e più innovativi canali. La shopping experience, quindi ricopre
un’importanza sempre maggiore, il legame che unisce la marca ed il consumatore prende
sempre più piede attraverso una relazione che passa attraverso la proposta di vissuti inediti,
attivando canali di comunicazione e forme di linguaggio innovative e sofisticate che
riescono a rendere tangibile e più vicino il mondo della marca.
L’esperienza di acquisto si sta trasformando sempre più in un’esperienza ampia, che
coinvolge il cliente a 360°, provoca emozioni, il consumatore la ricorda come unica e
memorabile.
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1.3 Il Branding: Concettualizzazione
Una prima definizione di Brand può essere utile per meglio comprendere il contesto che si
sta per analizzare: è un nome, un simbolo, disegno o combinazione di tali elementi con cui
si identificano prodotti o servizi di uno o più venditori al fine di differenziarli da altri
offerti dalla concorrenza
9
. Il codice della Proprietà Industriale
10
, all’art. 7 definisce la
marca come “tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le
parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del
prodotto o dalla confezione di esso, le combinazioni e le tonalità cromatiche, purché atti a
distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.”
In realtà le definizioni appena citate sembrano essere inadeguate per descrivere ciò che
effettivamente oggi la marca rappresenta, in quanto sono trascurate le valenze funzionali e
simboliche che la marca ha assunto, quale istanza astratta, imprevedibile, entità molteplice
e sfuggente.
La marca può essere vista come memoria del prodotto, ciò che meglio riassume le
caratteristiche dello stesso, l’esperienza che ha fatto il consumatore, così come gli
investimenti effettuati dall’azienda nel corso del tempo.
Il brand può anche essere interpretato come ciò che consente al consumatore di esprimere
socialmente la propria specificità individuale, in quanto ciascuna sua scelta di consumo,
fatta di marche oltre che di diversi prodotti, rappresenta un segnale molto rilevante rispetto
al contesto sociale, alla sua personalità ai suoi orientamenti, bisogni e desideri.
La marca sembra inoltre essere divenuta una necessità da parte delle imprese perché
composta da una serie di valori intangibili e quindi difficilmente imitabili da parte dei
14
9 http://it.wikipedia.org/wiki/Marca
10 A. Vanzetti - V. Di Cataldo, Manuale di Diritto Industriale, Giuffrè Editore, Milano, 2009