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Introduzione
Il mercato automobilistico, per le sue caratteristiche, tra cui l‟eterogeneità dei
clienti, l‟elevatissima concorrenza e il crescente numero di potenziali entranti, è,
attualmente, uno dei mercati più competitivi.
Una delle scelte strategiche adottata dalle imprese operanti in questo settore,
per raggiungere una posizione di vantaggio rispetto ai tanti competitor presenti sul
mercato, è stata l‟internazionalizzazione.
La prima parte dell‟elaborato è stata dedicata, proprio per tale motivo, alla
descrizione di alcune tra le teorie dell‟International business, utili ad analizzare
tale fenomeno, in relazione ai processi attuati dalle aziende automobilistiche.
Ovviamente non si può ricondurre, a tutte le imprese, lo stesso processo di
internazionalizzazione, infatti, quest‟ultimo cambia a seconda delle diverse
motivazioni che hanno spinto le aziende a questa scelta, e, a seconda degli
obbiettivi che intendono perseguire. In relazione a ciò, anche, la scelta dell‟area
geografica di destinazione e i comportamenti adottati, variano da impresa ad
impresa.
Nell‟ottica delineata sono stati proposti due gruppi, ognuno composto da due
casi, di fenomeni di internazionalizzazione di imprese operanti nel settore
automobilistico, che hanno seguito diversi processi di internazionalizzazione, al
fine di perseguire distinti obbiettivi aziendali.
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Il primo gruppo presenta l‟acquisizione da parte della Renault della casa
rumena Dacia, e la creazione della joint venture con l‟impresa statale serba,
Zastava, ad opera di Fiat. Questi, come si nota, sono due esempi di
internazionalizzazione verso paesi dell‟Europa dell‟Est.
Differentemente, il secondo gruppo, caratterizzato dalla delocalizzazione
produttiva attuata dalla casa automobilistica nipponica Nissan in India e
Thailandia e dalla costituzione di due joint venture in Cina da parte dell‟impresa
tedesca Volkswagen, ha come aree di destinazione due paesi emergenti del
continente Asiatico.
La scelta dell‟area di destinazione, è stata effettuata dalle imprese in relazione
a determinati fattori country specific ritenuti coerenti con gli obbiettivi prefissati.
Individuare e studiare le diverse ragioni e i diversi obbiettivi alla base della
scelta dell‟area e dei processi di internazionalizzazione analizzati, è stato lo scopo
di gran parte di questo elaborato.
Infine, l‟attenzione è stata spostata su una rilettura critica dei casi trattati,
nell‟ottica delle teorie tradizionali, le quali hanno, però, evidenziato diversi limiti,
avvalorando, così, l‟utilizzo della prospettiva resource-based.
Proprio nell‟applicazione del modello resource-based ai casi di studio, è
emersa la sostanziale differenza strategica tra i due gruppi di processi di
internazionalizzazione.
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I. Le strategie di internazionalizzazione: l’approccio
resource-based
I.1. La strategia di internazionalizzazione: alcuni paradigmi
interpretativi
La letteratura sull‟International Business è ricca di contributi diversi e trova le
sue origini nei modelli economici, che hanno spiegato l‟evoluzione del
commercio internazionale e degli investimenti diretti all‟estero (IDE), e nelle
teorie organizzative, che hanno interpretato la crescita delle multinazionali
statunitensi durante gli anni ‟60. Solo a partire dagli anni ‟80, il tema
dell‟internazionalizzazione ha acquisito un ruolo centrale nei paradigmi strategici,
sebbene, anche in questo caso, notevole sia l‟influenza dell‟economia industriale e
delle teorie organizzative.
Da un punto di vista storico, gli anni ‟70 segnano il confine tra teorie
interessate al fenomeno dell‟internazionalizzazione a livello macro e teorie che,
soffermandosi sul fenomeno microeconomico, hanno ricercato, nell‟analisi degli
investimenti esteri e nelle teorie sulla crescita delle multinazionali (Hymer, 1960,
1976; Buckley e Casson, 1976; Dunning, 1977) quei fattori che fossero in grado
di spiegare il successo internazionale delle imprese.
Questi filoni considerando la capacità strategica dell‟impresa come elemento
distintivo della stessa, focalizzano maggiormente la propria attenzione sui fattori
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da cui dipende la spinta all‟internazionalizzazione e sulle diverse modalità
perseguibili dall‟impresa.
Anche questi approcci sono influenzati dalle teorie economiche.
Le prime teorie economiche, infatti, sono anche alla base dei paradigmi
interpretativi dell‟internazionalizzazione produttiva, intesa come il processo di
decentramento produttivo che prevede la localizzazione, in un paese diverso dal
proprio, di alcune o tutte le fasi del processo produttivo; decentramento che può
avvenire attraverso la creazione di proprie filiali e, quindi, la realizzazione di
investimenti diretti all‟estero, o stringendo rapporti collaborativi con imprese
localizzate nel paese estero. In questo caso, le determinanti del processo vanno
ricercate nel perseguimento di maggiori livelli di efficienza, attraverso lo
sfruttamento di costi della produzione più contenuti, o nella volontà di acquisire
conoscenze di cui gli operatori locali sono portatori. L‟internazionalizzazione
produttiva avviene, generalmente, nei mercati emergenti quando l‟obiettivo è
quello dello sfruttamento di vantaggi location specific connessi ai fattori
produttivi a basso costo o alla presenza di dotazioni specifiche; avviene, invece,
verso paesi industrializzati o che presentano punte di eccellenza in determinati
settori e/o comparti, quando l‟obiettivo è quello dell‟acquisizione di nuova
conoscenza o del monitoraggio dei processi innovativi.
Gli approcci teorici che interpretano le scelte strategiche orientate al
raggiungimento dell‟efficienza sono, in primo luogo, i paradigmi dell‟Industrial
Organization, che giustificano i processi di crescita dell‟impresa in relazione
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all‟obiettivo di ridurre i costi complessivamente sostenuti. Tali teorie rientrano in
quelle che studiano l‟evoluzione degli investimenti diretti all‟estero e sono
riconducibili a tre filoni fondamentali: l‟Internalization Theory della Reading
School, la Teoria del Potere di Mercato di Hymer (1960, 1976) e il paradigma
eclettico di Dunning (1981, 1993).
Le imperfezioni dei mercati, così come gli esponenti dell‟Internalization
Theory, costituiscono anche nella Teoria del Potere di Mercato di Hymer (1960,
1976), la principale fonte dei vantaggi oligopolistici da cui dipende la possibilità
delle imprese di accrescere le proprie quote di mercato e, quindi, i propri profitti.
L‟Autore, partendo dalla constatazione che la teoria tradizionale (neoclassica) non
spiega l‟esistenza di investimenti reciproci tra i paesi avanzati, ricerca quindi nelle
caratteristiche dell‟impresa le determinanti del processo di internazionalizzazione.
In una prima fase, l‟impresa cresce a livello nazionale attraverso un processo
di concentrazione (aumento delle quote di mercato, acquisizioni e fusioni) che le
consente di ottenere profitti sempre maggiori. Ad un certo punto, il processo di
concentrazione a livello locale non può più essere spinto oltre (perché sono
rimaste solo poche grandi imprese) e l‟elevato profitto derivante dal grado di
monopolio raggiunto è utilizzabile per investimenti all‟estero, aventi come
obiettivo quello di estendere il processo di crescita anche oltre frontiera. Quali
sono allora i fattori che consentono all‟impresa di accrescere il proprio potere di
mercato? E soprattutto, quali sono i fattori che le consentono di superare i naturali
svantaggi che caratterizzano l‟operare di un‟impresa all‟estero rispetto ai
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concorrenti nazionali (minore conoscenza del mercato e del contesto ambientale,
rapporti più difficili con le istituzioni e con gli altri operatori locali)?
Hymer elenca una serie di potenziali vantaggi dell‟IMN (impresa
multinazionale), tra i quali include anche l‟innovatività del prodotto, così
riconducendosi alla teoria del ciclo di vita del prodotto di Vernon. Altri vantaggi
possono essere il possesso di un marchio, di skills specialistici, la capacità di
raccogliere capitali, le economie di scala, le economie di integrazione verticale,
ecc. Posta l‟esistenza di tali vantaggi, l‟impresa sceglierà la via delle esportazioni
o quella della produzione in loco a seconda delle condizioni del mercato in cui
essa intende operare. Una volta scelta la produzione in loco rispetto alle
esportazioni, l‟IMN dovrà decidere se intervenire direttamente (tramite IDE)
oppure cedendo licenze a produttori locali. Tale scelta sarà condizionata
soprattutto dalla natura degli specifici vantaggi competitivi posseduti
dall‟impresa. In particolare, l‟IDE risulterà favorito quanto più i vantaggi
competitivi dell‟IMN consistono nel possesso di know-how specialistico e di altri
intangible assets, che difficilmente possono essere valorizzati tramite la cessione
di licenze.
L‟espansione dell‟impresa all‟estero non è dunque per Hymer altro che un
momento del processo di sviluppo dell‟impresa, in senso geografico e secondo
sentieri di crescita sia orizzontali che verticali.
Dunning (1981) propone, nella teoria eclettica, un ampliamento
dell‟Internalization Theory in quanto considera, tra le determinanti,
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dell‟internazionalizzazione, non solo le imperfezioni dei mercati, ma anche
vantaggi collegati ai fattori location specific e alla proprietà di risorse specifiche
trasferibili all‟estero a costi sostenuti.
Secondo il paradigma eclettico, le scelte di internazionalizzazione
dell‟impresa si basano sul contemporaneo verificarsi di tre tipologie di vantaggi:
gli ownership advantages (vantaggi competitivi esclusivi) , i location advantages
(vantaggi di localizzazione delle attività) e gli internalization advantages
(vantaggi di internalizzazione in situazioni di fallimento del mercato).
I vantaggi derivanti dalla “proprietà”, che rispondono alla domanda Who?,
sono rappresentati da caratteristiche e capacità firm-specific che rendono
un‟impresa superiore rispetto ai competitor locali indipendentemente dalle
caratteristiche generali della localizzazione. Questo tipo di vantaggi sorge dalla
disponibilità di capitale umano e di conoscenze, e da specificità intangibili relative
a diverse funzioni e attività in cui si concretizza l‟attività aziendale: marketing,
organizzazione, processi informativi, governo, finanza, esperienza nei mercati
esteri.
I vantaggi derivanti dalla localizzazione, che rispondono alla domanda
Where?, sono quelli che un‟impresa può ottenere localizzando in modo ottimale le
sue attività della catena del valore. Questi vantaggi derivano principalmente dalle
differenze country-specific sia per quanto concerne i fattori della produzione
(disponibilità, qualità, prezzo), sia relativamente ad altri aspetti quali
infrastrutture, costi dei trasporti e delle comunicazioni, tasse e sussidi, normative
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vigenti, ecc..
I vantaggi derivanti dall‟internalizzazione, che rispondono alla domanda
How?, sono quelli che possono sorgere dall‟internalizzazione delle transazioni di
mercato, realizzata attraverso fusioni e acquisizioni o mediante la creazione di
accordi e alleanze; in tal modo un‟impresa può ottenere tutta una serie di vantaggi,
quali la riduzione dei costi di ricerca e di transazioni, l‟assicurazione della
disponibilità di materie prime e componenti, la garanzia di elevati standard
qualitativi degli stessi, ecc.
L‟Autore sostiene che l‟IDE è vantaggioso solo se l‟impresa possiede
vantaggi competitivi, derivanti dal possesso di risorse specifiche o dalla gestione
su scala internazionale delle attività, e può sfruttare tali vantaggi nella gestione dei
fattori localizzati nel paese ospite. In tal senso il paradigma coniuga ownership
advantage e vantaggi di localizzazione e lega il potenziale successo dell‟impresa
al possesso di capacità superiori rispetto a quelle dei concorrenti.
Al di là della specificità di tale teoria, rivolta essenzialmente all‟investimento
diretto all‟estero, l‟autore sembra aver dato un contributo importante agli studi
sull‟internazionalizzazione per due motivi fondamentali. In primo luogo il
concetto di scelta come combinazione di fattori supera il determinismo degli
approcci neoclassici; in secondo luogo, il paradigma basato sulla dimensione
interna/esterna, in quanto le prime due tipologie di vantaggio risultano connesse
alla natura dell‟impresa (dimensione interna), mentre i vantaggi di localizzazione
riguardano le caratteristiche strutturali dei paesi ospitanti (dimensione esterna),