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Introduzione
Questa tesi invita a scoprire le strategie della formazione degli adulti e le
responsabilità che emergono, per ciascun professionista della salute
dall’accompagnamento dello studente nel tirocinio non solo rispetto alla trasmissione di
un sapere, ma soprattutto nell’identificazione di un modello e di un ruolo professionale.
Quando il sapere non è costituito solo da nozioni ma comporta anche l’acquisizione di
comportamenti, atteggiamenti, di ruoli e di valori, è veicolato dalla relazione tra chi
apprende e chi insegna (Sasso, Lotti, Gamberoni, 2009). Sono state analizzate le teorie
di insegnamento e di apprendimento in modo di comprendere quali strategie migliorano
l’insegnamento e rendono più efficace l’apprendimento. Secondo Rogers (1969) la
verità dell’uomo moderno consiste nel fatto che vive in un ambiente in continua
evoluzione, per ciò lo scopo dell’istruzione deve essere la facilitazione
dell’apprendimento e definisce l’insegnante un facilitatore d’apprendimento. Uno dei
contributi più noti è stato dato da Malcolm Knowles (2010) attraverso una teoria
dell’apprendimento degli adulti che tiene conto delle caratteristiche specifiche che
presentano i discenti adulti, ossia un’arte e una scienza di aiutare gli adulti ad
apprendere. Knowles ha iniziato a costruire il modello andragogico d’istruzione basato
sul modello pedagogico e ha identificato le differenziazioni del modello andragogico
rispetto a quello pedagogico sulle base di sei presupposti quali: il bisogno di conoscere,
il concetto di sé, il ruolo dell’esperienza del discente, disponibilità ad apprendere,
l’orientamento verso l’apprendimento e la motivazione. Gli ultimi vent’anni hanno
prodotto dei nuovi importanti sviluppi nel contenuto dei progetti di apprendimento per
gli adulti. Anche gli studi di Tough riguardavano i progetti di apprendimento concentrati
sul “ruolo di aiuto” del formatore e hanno prodotto un “immagine composta ma
abbastanza coerente dell’aiutante ideale secondo le quali le abilità relazionali del
formatore riguardano: la capacità di monitorarsi continuamente per giungere a un buon
livello di consapevolezza, le competenze relative alla gestione delle emozioni, la
conoscenza di strumenti utili all'individuazione e alla valorizzazione delle differenze
individuali, la consapevolezza di sè, l’ascolto attivo. In seguito a tutto ciò è nata
l’esigenza di formare professionisti in grado di sviluppare e integrare l’apprendimento
teorico “il sapere” (competenze intellettuali) e l’apprendimento clinico “il saper fare” (
competenze tecnico/gestuali-organizzative) con “il saper essere” (competenze
comunicative-relazionali). Con la legge n. 341 del 1990, all’art.13 (Riforma degli
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ordinamenti didattici universitari), viene istituita in Italia la funzione tutoriale che è
centrata sullo studente e sulle modalità adottate dal tutor, in qualità di facilitatore di
apprendimento, per condurre lo studente ad essere consapevole del proprio stile di
apprendimento. La didattica tutoriale è quella che oggi sembra rispondere meglio alle
esigenze di una formazione centrata sullo studente, orientata ai bisogni sanitari di una
società in rapido cambiamento, capace di formare professionisti in grado di mantenere
livelli adeguati di competenze. (Sasso et al., 2006). I protocolli d’intesa tra Università e
Regioni, nelle norme attuative per la gestione dei corsi di Laurea e Laurea Magistrale,
hanno definito con maggior dettaglio i requisiti, le modalità di reclutamento e
soprattutto le funzioni di questa figura. Le competenze specifiche soprattutto di tipo
metodologico e relazionale del tutor, attraverso le quali si vanno a produrre
cambiamenti ossia apprendimenti negli individui coinvolti nella relazione educativa
sono legate all’esercizio della tutorship. Alcune metodologie della tutorship indicate
come funzionali per l’acquisizione di saperi strumentali sono: il PBL, il role playing, gli
autocasi, il briefing e il debriefing.
Visto il significato e la necessità del ruolo del tutor nella formazione degli adulti
nasce l’esigenza di uno strumento metodologico attraverso il quale strutturare il
percorso formativo allo scopo di raggiungere, nella modalità più adeguata, la finalità di
una maggiore autonomia degli studenti. Proprio a tal proposito, la pedagogia ha
approfondito il tema della progettazione educativa. Per capire meglio le funzioni e
l’interesse che lega il tutor all’ambito della progettazione, si è inteso percorrere le fasi
della progettazione educativa ipotizzando un progetto educativo per lo studente del
primo anno nel laboratorio analisi di biochimica clinica.
Nello svolgere il proprio compito lavorativo, i tutor dovranno mettere in campo
delle capacità relazionali quali: la comunicazione, la creazione di un rapporto di fiducia,
e la conoscenza che il tutor può avere di se stesso, che gli aiuteranno ad entrare in
contatto con gli studenti e a instaurare e mantenere una relazione di aiuto e sostegno.
L’aspetto relazionale riveste un’importanza particolare per il tutor, il quale svolge una
professione interamente basata sul rapporto interpersonale e di conseguenza, per quanto
“esperto” e abile tecnico, centra il suo focus lavorativo su questa dimensione. Provare a
percorrere le tappe della relazione educativa all’interno dei rapporti umani può rendere
tali professionisti maggiormente consapevoli della responsabilità, ma anche della
ricchezza che questo compito porta con sé.
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Capitolo 1. La formazione in età adulta
1. Apprendimento e insegnamento
Un ambito proprio della pedagogia che l’operatore sanitario può trovarsi ad
affrontare è l’istruzione, intesa come attività mediante cui si condividono riflessioni,
conoscenze, abilità. In campo educativo, sono state messe in atto molteplici ricerche per
comprendere quali strategie migliorano l’insegnamento e rendono più efficace
l’apprendimento, soprattutto con riferimento al contesto formale scolastico. Tali ricerche
sono state condotte dal 1500 e un processo di accelerazione è avvenuto in ambito
sperimentale intorno al 1950-1960 a partire dall’ambiente statunitense. Gli ultimi
decenni del secolo scorso sono stati dominati, in occidente, dalle teorie dell’istruzione e
dell’apprendimento, sulla spinta efficientistica e produttivistica delle società
economicamente più forti (Chiosso, 2009).
Secondo le teorie dell’insegnamento è fondamentale la programmazione
puntuale dell’istruzione controllando tutti i passaggi per giungere il successo
nell’apprendimento. La teoria dell’istruzione programmata, ad esempio, evidenzia il
fatto che si debba iniziare con la soluzione di problemi semplici, progredendo verso i
più complessi e che il comportamento desiderato nell’allievo è rinforzato, passo per
passo, da ricompense o riconoscimenti (feedback). In questo modo si punta a una
realizzazione e ottimizzazione dell’organizzazione scolastica e dell’azione didattica,
rispetto a cui l’insegnante è un esperto organizzatore e pianificatore di conoscenze
predefinite (Guarcello, 2009).
Secondo le teorie dell’apprendimento, invece, l’insegnante ha la responsabilità
di proporre all’allievo situazioni non programmate, ma aperte, che possano fungere da
occasione per stimolare le capacità esplorative e creative. Lo studente, in questa
accezione, deve apprendere gli elementi che trova interessanti e utili tra quelli offerti
dall’insegnante, al fine di riuscire a ricercare e approfondire le proprie conoscenze
all’interno del suo contesto di appartenenza. Si delinea una dimensione quasi opposta
rispetto a quella delle teorie dell’istruzione, in quanto il centro del processo non è
l’insegnante che trasmette delle conoscenze allo studente, ma quest’ultimo che le coglie
e le riorganizza. L’aspetto fondamentale, quindi, non è tanto la quantità e il contenuto
delle nozioni, quanto piuttosto la possibilità che esse vengano assimilate dal soggetto,
secondo il presupposto che l’informazione non è compresa dallo studente solo per il
fatto di essergli stata trasmessa dall’insegnante. Secondo questo approccio, quindi, non
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conta insegnare e apprendere molte cose a livello quantitativo, perché facilmente
verranno dimenticate o saranno superate da altre conoscenze più aggiornate (Guarcello,
2009, pp. 20-21).
Secondo lo psicologo Nathaniel Lees Gage (Gage, 1972) si può operare una
distinzione tra teoria dell’apprendimento e teoria dell’insegnamento. Mentre le teorie
dell’apprendimento si occupano delle modalità secondo le quali un organismo apprende,
le teorie dell’insegnamento si occupano del modo in cui una persona influenza
l’apprendimento di un organismo. Presumibilmente, la teoria dell’apprendimento
seguita da un insegnante influenzerà anche la sua teoria dell’insegnamento.
L’insegnamento diventa il processo in cui viene fornito al discente ciò che una data
teoria dell’apprendimento considera essenziale. Secondo l'autore esistono diversi
approcci che l'insegnante può utilizzare: il condizionamento, secondo cui vengono
forniti degli stimoli per arrivare a una risposta e il rinforzo per esserci riusciti; il
modeling (o identificazione), secondo cui viene fornito un modello da osservare e
imitare; il cognitivismo, in base a cui l’insegnante deve fornire una struttura cognitiva o
gli stimoli che ne produrranno una. Evidentemente Gage non ha considerato i teorici
umanistici.
Il lavoro di Hilgard e Bower (Hilgard e Bower, 1976) identifica venti principi
derivati da tre diverse famiglie di teorie:
1. Teoria S-R (stimolo risposta) dove il discente viene descritto come un soggetto
attivo e non semplicemente uno spettatore passivo e dove lo stimolo viene
considerato molto importante per l’apprendimento.
2. Teoria cognitiva, secondo la quale le caratteristiche percettive del problema
presentato al discente costituiscono delle condizioni d’apprendimento importanti
per cui un problema d’apprendimento dovrebbe essere strutturato e presentato in
modo che le sue caratteristiche essenziali siano aperte all’esame del discente.
L’organizzazione delle conoscenze, il feedback cognitivo e il pensiero
divergente che conduce ad una risoluzione di problemi di tipo creativo
completano la teoria cognitiva.
3. I principi derivati dalla teoria della motivazione e della personalità sono centrati
sulle capacità del discente, lo sviluppo postnatale, il livello di ansia,
l’organizzazione delle motivazioni e l’atmosfera di gruppo nell’apprendimento.
In effetti, il ruolo centrale del concetto di sé nello sviluppo umano (e
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nell’apprendimento) è stato sempre più sottolineato da tutta la psichiatria, che si
stava allontanando dal modello medico per andare verso un modello educativo
sia nella ricerca sia nella pratica clinica.
Alcune teorie dell’insegnamento derivano direttamente dalle teorie
dell’apprendimento, specialmente dai modelli meccanicistici e altre dalle teorie
dell’insegnamento (Knowles, 2010, p. 104). I concetti sull’insegnamento derivati dalle
teorie dell’apprendimento degli adulti erano basati principalmente su studi sugli animali
e sui bambini e se guardiamo alle concezioni sull’insegnamento degli autori che hanno
derivato le loro teorie dell’apprendimento da studi sugli adulti, vediamo che sono molto
diverse. Lo psicologo Rogers afferma che l’insegnamento è una funzione ampiamente
sopravvalutata. “Insegnare vuol dire istruire” dice lui “ma personalmente non sono
particolarmente interessato a istruire qualcun altro su quello che dovrebbe sapere o
pensare” (Rogers, 1969, p. 103). Rogers prosegue spiegando che secondo la sua
concezione insegnare e impartire delle conoscenze hanno senso in un ambito che non
cambia, il che spiega perché questa funzione non è stata messa in discussione per secoli.
Rogers afferma che la verità dell’uomo moderno consiste nel fatto che vive in un
ambiente in continua evoluzione, per ciò lo scopo dell’istruzione deve essere la
facilitazione dell’apprendimento e definisce l’insegnante un facilitatore
dell’apprendimento (ibid., p 104-105). L’elemento critico nell’assumere questo ruolo è
il rapporto personale tra il facilitatore e il discente, che a sua volta dipende dal fatto che
il facilitatore possieda tre qualità attitudinali quali:
1) verità o autenticità,
2) sollecitudine non possessiva, apprezzamento, fiducia e rispetto,
3) comprensione empatica e capacità di ascolto sensibile e puntuale (ibid., p.106-126).
Oltre le qualità attitudinali, Rogers propone anche delle linee di condotta per un
facilitatore di apprendimento come segue:
1. Il facilitatore d’apprendimento si occupa di predisporre l’atmosfera o il clima
iniziale dell’esperienza di gruppo o di classe.
2. Il facilitatore aiuta a scegliere e a chiarire gli scopi degli individui nella classe e
gli scopi più generali del gruppo.