I
INTRODUZIONE
La crisi ecologica che stiamo attraversando non merita meno attenzione rispetto alla
crisi economica globale odierna. In particolare quella dei rifiuti rappresenta una delle
questioni fondamentali da affrontare per garantire un equilibrato rapporto tra ambiente e
uomo.
In natura il “rifiuto” non è mai esistito. L’equilibrio ecologico naturale è fondato
stabilmente sull’esistenza di “cicli chiusi”, cioè su una catena di processi spontanei che
hanno la caratteristica di ricostituire le condizioni di partenza senza dispersioni e senza
“scarti”. Quando l’ecosistema non subisce l’intromissione di attività antropiche non genera
materiali che non vengano spontaneamente riutilizzati nell’ecosistema stesso. La produzione
di rifiuti, dunque, è una prerogativa dell’uomo.
Prima dell’industrializzazione il problema dei rifiuti era sentito in modo marginale in
quanto gli scarti che l’uomo produceva erano affini a quello che la natura offriva: manipolati,
lavorati, ma sostanzialmente simili. La produzione di rifiuti ha cominciato ad assumere
aspetti preoccupanti, causando gravi problemi ecologici, in seguito ai processi
d’industrializzazione e soprattutto con la nascita della c.d. “società dei consumi” nel secondo
dopoguerra.
Il sistema produttivo moderno, infatti, ha poco in comune con i cicli ecologici naturali
e li ha profondamente modificati, sia rispetto all’utilizzo dell’energia sia rispetto alla materia
impiegata. Per quanto riguarda la materia, la rottura dei cicli di recupero dipende da un lato
dalla creazione di materiali artificiali trasformati così radicalmente da non poter essere
recuperati spontaneamente nell’ecosistema; dall’altro dal trasferimento di singole materie in
ambienti lontani e diversi da quelli da cui si sono originate, così da ridurre ulteriormente la
possibilità di reinserimento in un contesto adeguato al loro recupero. Questo “ciclo aperto” in
II
continua espansione ha portato i rifiuti ad essere il maggiore fattore di pressione antropica sul
territorio, sia per quantità implicate che per pericolosità.
Il modello consumistico della società odierna ha determinato stili di vita basati su un
consumo crescente di beni con cicli di vita sempre più brevi. Ciò ha portato all’accumulo di
enormi montagne di scarti che la nostra società produce, rendendo impellente il problema del
loro smaltimento. Per affrontare tale problema, le politiche ambientali del XX secolo si sono
basate esclusivamente sull’utilizzo di discariche e inceneritori, ma ciò ha portato ad un
semplice ricollocamento dei rifiuti e non alla risoluzione del problema. Negli ultimi anni tali
politiche hanno previsto una gestione dei rifiuti volta a diminuire l’impatto ambientale, in
particolare attraverso un ridotto ricorso allo smaltimento in discarica, puntando sul concetto
di sostenibilità. Ciò significa cercare, al contempo, di valorizzare al massimo le risorse insite
nei rifiuti, con una corretta ed efficiente gestione dei rifiuti volta al recupero.
Si rende necessario, dunque, una gestione sostenibile del ciclo beni/rifiuti che preveda
da un lato il disallineamento tra crescita economica e aumento degli scarti, e dall’altro lo
sviluppo di pratiche efficienti di raccolta differenziata
1
.
A tal proposito la normativa europea, che negli anni ha guidato gli Stati membri
nell’adozione di tali politiche, evidenzia tre obiettivi da perseguire:
- prevenzione della formazione di rifiuto, con interventi in fase di
progettazione/produzione/distribuzione e in fase d’uso, che permettono di ottimizzare
l’uso di beni e servizi e di ritardarne la trasformazione in rifiuti;
- minimizzazione del rifiuto, che riduce la destinazione a smaltimento dei rifiuti
massimizzandone il recupero di materia;
- smaltimento (con tutte le garanzie per la salute e per l’ambiente) dei rifiuti residui non
ulteriormente recuperabili.
1
FederAmbiente (2010), Linee guida sulla prevenzione dei rifiuti urbani.
III
Nel primo capitolo di questo lavoro verrà ampiamente esposta la normativa che
regola la gestione dei rifiuti, sia a livello nazionale che comunitario. La prima
regolamentazione nazionale organica è stata il DPR del 915/1982 che ha fatto chiarezza sul
problema dei rifiuti e ha posto le basi per affrontarlo in modo adeguato, con il grande merito
di fissare i principi generali della materia. Il decreto legislativo 22/1997, meglio noto come
“Decreto Ronchi”, ha sostituito il DPR 915/82 ed ha recepito le Direttive europee emanate
nella prima metà degli anni novanta, a seguito del IV Programma di azione ambientale.
Nell’aprile 2006, dopo un lungo iter iniziato nel 2001 attraverso una legge delega, è stato
approvato in via definitiva il Decreto legislativo n. 152/ 2006 concernente “Norme in materia
Ambientale”. Il cosiddetto “Codice Ambientale” modifica la legislazione esistente. La parte
IV del codice contiene le norme sulla gestione dei rifiuti. Viene confermato l’approccio non
più basato sullo smaltimento dei rifiuti, bensì sulla loro gestione, ed è proprio la complessità
di questo processo che il provvedimento va a regolamentare e disciplinare. Lo smaltimento
continua ad essere considerato come un’attività “residuale” e viene confermata l’introduzione
del sistema gestionale dei rifiuti, dove trovano sempre più spazio la prevenzione e le attività
di recupero. Il Codice dell’Ambiente viene successivamente modificato dal D.lgs. 205/2010,
il quale recepisce la direttiva europea sui rifiuti 2008/98/CE.
A livello europeo la regolamentazione della problematica ambientale legata alla
gestione dei rifiuti urbani è risalente agli anni settanta, anno del primo Programma di azione
ambientale comunitario; risale infatti al 1975 l’emanazione della Direttiva CEE n. 75/442
relativa ai rifiuti. L’ultimo intervento è la Direttiva 2008/98/CE che introduce una “gerarchia
dei rifiuti”, con la quale si stabilisce un «ordine di priorità» di ciò che rappresenta «la
migliore opzione ambientale nella normativa e nella politica dei rifiuti».
Il secondo capitolo introdurrà un quadro generale sul tema della raccolta
differenziata. Verranno delineati i fattori che influenzano maggiormente la produzione dei
rifiuti, il modello europeo di una loro gestione sostenibile, alcuni concetti chiave della
IV
raccolta differenziata, i diversi sistemi operativi con cui si può attuarla, ed i principali Enti
pubblici ed i consorzi che hanno competenze in materia di rifiuti (ISPRA, ONR, ARPA
Lazio, CONAI). Nella seconda parte saranno presentati alcuni rapporti sullo stato di
attuazione della raccolta differenziata in Italia ed Europa. «L’analisi dei dati sui rifiuti riveste
un ruolo fondamentale per comprendere lo stato di fatto nella gestione e per pianificare le
attività future, al fine di perseguire gli obiettivi di prevenzione della produzione e di
riduzione dei rifiuti indifferenziati»
2
. E’ stato scelto di dare ampio spazio al rapporto ISPRA
del 2011, «poiché nel panorama nazionale tale fonte risulta l’unica realmente attendibile in
quanto i dati, pubblicati annualmente, derivano da una complessa attività di raccolta, analisi
ed elaborazione»
3
. Dal Rapporto emerge che nel 2009 la produzione di rifiuti urbani si
attesta, a livello nazionale, a 32,1 milioni di tonnellate, facendo rilevare un calo percentuale
pari all’1,1% circa rispetto al 2008. Per quanto riguarda la percentuale di raccolta
differenziata, a livello nazionale si è manifestato un trend crescente nel periodo 2001-2009,
passando dal 17,4% al 33,6%. Nonostante l’evidente crescita, tuttavia, la quota di raccolta
differenziata non solo non ha raggiunto l’obiettivo fissato dal D.lgs. 152/2006 previsto per il
2009 (50%), ma neanche quello del 2006 (35%). Solo due regioni hanno raggiunto e superato
l’obiettivo 2009 del 50%: il Trentino Alto Adige ed il Veneto, rispettivamente con il 57,8% e
il 57,5% di raccolta differenziata. Il Friuli Venezia Giulia si è fermato nel 2009 al 49,9%, con
un deficit di appena 0,1 punti percentuali. Tali dati consentono di affermare che rispetto alla
raccolta differenziata il Nord Est è l’area più virtuosa del Paese.
Dallo studio emerge fondamentalmente un’Italia divisa in tre aree: il Nord con il 48%
di raccolta differenziata, il Centro con il 25% ed il Sud con il 19%. Nel complesso è evidente
la spaccatura esistente tra Nord e Sud del Paese. Quasi tutte le regioni del Nord hanno infatti
superato l’obiettivo 2006 del 35%, mentre la maggior parte delle regioni del Sud, nel 2009,
2
Tratto dal volume: Raccolta differenziata e Giovani: un Modello statistico per la Diffusione di Buone Eco-Prassi, Università del
Salento (2010), pag. 71.
3
Ibidem
V
risultano ancora fuori obiettivo. Puglia, Calabria, Basilicata, Molise e Sicilia nel 2009 non
hanno neanche raggiunto il 15% di raccolta differenziata, ad eccezione della “virtuosa”
Sardegna (42,5%). Nel contesto europeo la principale fonte analizzata per i dati relativi alla
produzione ed alla gestione dei rifiuti è Eurostat (l’Ufficio Statistico dell’Unione europea).
Secondo le informazioni contenute nel rapporto Eurostat “Energy, transport and environment
indicators” (pubblicato nel febbraio 2011), integrate con i dati ISPRA, si stima che nel 2008
in Europa (UE 27) siano state prodotte in totale circa 2.667 milioni di tonnellate di rifiuti. La
gestione dei rifiuti urbani in Europa, nel 2009, mostra che circa il 38% è stato smaltito in
discarica, il 20% è stato avviato ad incenerimento, mentre il 24% ed il 18% sono stati
rispettivamente avviati a riciclaggio e compostaggio.
Affinché possa raggiungere elevati livelli di efficacia, la raccolta differenziata deve
essere anticipata, supportata ed affiancata da efficaci strategie di comunicazione ed
informazione. Sarà questo l’argomento trattato nel terzo capitolo in cui verranno descritti
alcuni esempi di campagne realizzate negli ultimi anni da CONAI, CiAL, CNA, e
Legambiente. Per quanto concerne l’attività di comunicazione a livello territoriale degli Enti
Locali, essa risulta essere in molti casi poco adeguata. Si è preferito, dunque, trattare alcune
iniziative premiate da Legambiente all’interno del progetto “Comuni Ricicloni”, e presentare
una ricerca condotta dall’Osservatorio sulla Comunicazione Ambientale dell’Università
“Sapienza” di Roma, denominata “Riciclo e best practices. Il ruolo della comunicazione
nella gestione dei rifiuti”. Il capitolo terminerà con una digressione sul tema della
responsabilità sociale d’impresa (delineandone le diverse tipologie ed introducendo concetti
chiave come il c.d. green marketing), e con una breve analisi del caso aziendale Ferrero
S.p.A.
Nel quarto capitolo di questo lavoro verrà analizzato un caso concreto di
implementazione della raccolta differenziata, relativo al comune di Arce (Fr). Verranno
descritte le strategie di comunicazione adottate dall’impresa che gestisce il servizio e dal
VI
Comune, le procedure operative che il cittadino deve seguire per una corretta dif-
ferenziazione dei rifiuti, l’andamento ed il livello di raccolta differenziata raggiunto nel corso
del 2011 (pari al 43,9%), ed infine i costi relativi al servizio.
RINGRAZIAMENTI: vorrei approfittare di qualche riga per ringraziare le persone che mi
hanno seguito ed aiutato nel realizzare questo lavoro. Innanzitutto la prof.ssa Enrica Aureli
che mi ha dato la possibilità di approfondire questo argomento; il Dott. Gennaro Galdo
responsabile comunicazione CiAl, il quale si è mostrato davvero molto disponibile nel
fornirmi tempestivamente i materiali richiesti; il Sindaco del comune di Arce Dott. Roberto
Simonelli e l’Assessore all’Ambiente Vincenzo Colantonio i quali hanno manifestato
interesse al lavoro e piena disponibilità nel concedermi alcuni preziosi documenti per la
trattazione del caso di Arce. Infine desidero ringraziare una persona per me molto speciale,
Monica, senza la quale questo lavoro non sarebbe stato ciò che è.
Capitolo primo
LA NORMATIVA SUI RIFIUTI
8
1.1 La normativa sui rifiuti in Italia
La normativa ambientale italiana, ed in particolare quella in materia di rifiuti è,
come quella di tutti i Paesi membri della UE, di stretta derivazione comunitaria. L’entrata
in vigore della nuova direttiva-quadro sui rifiuti, direttiva 2008/98/CE del Parlamento
europeo e del consiglio che abroga alcune direttive, ha obbligato il legislatore nazionale
ad adeguare le norme vigenti nel settore alle nuove disposizioni comunitarie, soprattutto
per quanto attiene ai concetti di rifiuto, sottoprodotto e recupero.
Il presente paragrafo descrive, con riferimento al tema dei rifiuti, alcune tappe
fondamentali della normativa italiana, la quale risulta tra le più severe in Europa in tema
di lotta all’inquinamento e di tutela ambientale.
Nel panorama della normativa italiana la prima norma in materia di raccolta,
trasporto e smaltimento di rifiuti è la legge n. 366 del 20 marzo 1941
4
, la quale stabilì
che: «i rifiuti avessero carattere di interesse pubblico, nei riflessi dell’igiene,
dell’economia e del decoro.
Ai fini di tale legge, erano considerati rifiuti solidi urbani:
• Esterni: le immondizie e i rifiuti delle aree pubbliche o comunque destinate ad uso
pubblico;
• Interni: le immondizie e, in genere, gli ordinari rifiuti dei fabbricati a qualunque
uso adibiti.
La suddetta legge attribuì al Ministero dell’Interno l’alta vigilanza ed il controllo
sull’andamento dei servizi contemplati dalla stessa e di tutti gli altri che, nella materia,
avessero carattere complementare ed accessorio. Per assolvere a tali compiti e ad altri
previsti dalla legge, fu istituito un Ufficio Centrale per i rifiuti solidi urbani, come
ripartizione organica del Ministero dell’Interno. Presso quest’ultimo venne istituita,
inoltre, la Commissione Centrale per i rifiuti solidi urbani.
4
Abrogata dall’art. 56 del D.lgs. 22/1997.
9
In particolare, la legge 366/41 stabilì che i servizi inerenti alla raccolta, al
trasporto ed allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani fossero di competenza dei comuni
(…). Inoltre, fissò la disciplina della conservazione temporanea, della raccolta, del
trasporto e dello smaltimento dei rifiuti urbani:
• stabilendo che i rifiuti interni dei centri di popolazione agglomerata fossero raccolti
e conservati fino al momento del trasporto, in modo da evitare qualsiasi dispersione;
• vietando il gettito dei rifiuti ed il temporaneo deposito di essi nelle pubbliche vie e
piazze;
• prevedendo che la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani venissero eseguiti
in modo da evitare ogni dispersione di materiale, ogni esalazione maleodorante ed
ogni offesa al decoro del cittadino;
• imponendo la tassa annuale per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani
interni:
- commisurata alla superficie dei locali serviti ed all’uso cui i medesimi
vengono destinati;
- per l’applicazione della quale i comuni erano tenuti ad adottare appositi
regolamenti
5
.
Successivamente, con l’emanazione del D.P.R. 616/1977
6
fu stabilito il
trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative dello Stato nelle materie indicate
dall’articolo 117 della Costituzione, tra cui la tutela dell’ambiente. Furono così definiti i
livelli di intervento e le competenze degli enti locali: Regioni, province e comuni.
Parallelamente alla normativa nazionale venne data attuazione alla normativa
europea sui rifiuti, ossia la direttiva 1975/442/CEE, concernente lo smaltimento dei
5
Università del Salento, op. cit. (pp. 18-19).
6
Abrogato dall’art. 56 del D.lgs. 22/1997.
10
rifiuti. In Italia, tuttavia, questa direttiva venne recepita con notevole ritardo con il
D.P.R. 915/1982»
7
.
Tale decreto introdusse per la prima volta la nozione di trattamento dei rifiuti
inteso come «l’operazione di trasformazione necessaria per il riutilizzo, la rigenerazione,
il recupero, il riciclo e l’innocuizzazione
8
dei medesimi. Inoltre stabilì le varie competenze
dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Secondo l’articolo 6 del presente
decreto spettava alle Regioni promuovere iniziative dirette a limitare le formazioni dei
rifiuti, a favorire il riciclo e la riutilizzazione degli stessi e/o l’estrazione di materie
utilizzabili e di energia»
9
. Per quanto concerneva le competenze dei comuni, all’articolo 8
fu sancito che per la disciplina dei servizi di rifiuti urbani i comuni dovevano adottare
appositi regolamenti i quali prevedessero, in particolare, norme atte a favorire il recupero
di materiali da destinare al riciclo o alla produzione di energia.
«Dopo vari interventi a carattere frammentario e settoriale, la disciplina dello
smaltimento dei rifiuti viene sottoposta ad una profonda ed organica revisione con il
D.lgs. 22/1997»
10
.
1.1.2 D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22
«Con il D.lgs. 22/1997, denominato Decreto Ronchi
11
, l’Italia ha recepito in
materia di gestione dei rifiuti i principi stabiliti dalle norme comunitarie emanate agli
inizi degli anni ‘90
12
.
Il Decreto Ronchi, pur abrogando la normativa precedente (in particolare il
D.P.R. 915/1982), recupera i contenuti di ordine generale della disciplina sulla gestione
7
Università del Salento, op. cit. (pag. 19).
8
Processo mediante il quale si trasformano in sostanze innocue per l’ambiente i prodotti di scarto urbani, agricoli e industriali.
9
Università del Salento, op. cit. (pag. 23).
10
Ibidem (pag. 27).
11
Ministro dell’Ambiente che ha emanato il decreto, attualmente Presidente della “Fondazione per lo sviluppo sostenibile”.
12
Si tratta delle direttive: 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti da
imballaggio. (Fonte: Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio 2012)
11
dei rifiuti, conferendo maggiore incidenza ai poteri provinciali di controllo e di decisione
nella localizzazione degli impianti.
Il suddetto decreto stabilisce che lo smaltimento costituisce la fase residuale della
gestione dei rifiuti e deve essere effettuato in condizioni di sicurezza. Pertanto, i rifiuti da
avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti, potenziando la
prevenzione e le attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero, e realizzando una rete
integrata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più avanzate a
disposizione senza comportare costi eccessivi»
13
. Il decreto considera la gestione dei
rifiuti «attività di pubblico interesse» e la disciplina «al fine di assicurare un’elevata
protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti
pericolosi» (art.2, c.1). Pertanto, «i rifiuti devono essere recuperati e smaltiti senza
pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero
recare pregiudizio all’ambiente» (art.2, c.2), secondo «i principi di responsabilità e di
cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo
e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti» (art.2, c.3).
In via prioritaria, il Decreto punta sulla prevenzione a monte della produzione dei
rifiuti e degli imballaggi che le autorità competenti devono perseguire adottando, ciascuno
nell’ambito delle proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire «lo sviluppo di
tecnologie pulite (...), la promozione di strumenti economici, eco-bilanci, sistemi di
ecoaudit, analisi del ciclo di vita dei prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione
dei consumatori, condizioni di appalto che valorizzino le capacità e le competenze
tecniche in materia di prevenzione della produzione di rifiuti, la promozione di accordi e
contratti di programma finalizzati alla prevenzione ed alla riduzione della quantità e
della pericolosità dei rifiuti» (art.3).
13
Università del Salento, op. cit. (pp. 27-28).
12
Dunque, l’obiettivo centrale del Decreto Ronchi, sancito all’articolo 4, è «la
riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:
• il reimpiego ed il riciclaggio;
• altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
• l’adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che
prevedano l’impiego di materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire al mercato
dei materiali medesimi;
• l’utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per
produrre energia».
Il decreto fornisce alcune importanti definizioni, tra le quali è opportuno
menzionare le seguenti (art. 6):
• Rifiuto: inteso come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
deciso o abbia l’obbligo di disfarsi;
• Produttore di rifiuti: ovvero la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona
che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio che abbiano mutato la
natura o la composizione del rifiuto;
• Detentore: inteso come il produttore di rifiuti o la persona fisica o giuridica che li
detiene;
• Gestione dei rifiuti: ovvero la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei
rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle
discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura;
• Raccolta dei rifiuti: ovvero l’operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento
dei rifiuti per il loro trasporto;
• Raccolta differenziata: ovvero la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in
frazioni merceologiche omogenee;
• Smaltimento: ovvero le operazioni previste nell’allegato B;
13
• Recupero: ovvero le operazioni previste nell’allegato C;
• Stoccaggio: ovvero le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito
preliminare di rifiuti, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di
messa riserva di materiali;
• Bonifica: ovvero ogni intervento di rimozione della fonte inquinante e di quanto
dalla stessa contaminato fino al raggiungimento dei valori limite conformi
all’utilizzo previsto nell’area.
In base alla loro origine, inoltre, «i rifiuti sono classificati in rifiuti urbani e rifiuti
speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non
pericolosi» (art.7). Vengono classificati come rifiuti urbani:
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso
di civile abitazione;
b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli
indicati di cui alla lettera a);
c) i rifiuti di qualsiasi natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche.
Sono considerati rifiuti speciali quelli provenienti da attività agricole, agro-
alimentari, di demolizione e costruzione; da lavorazioni industriali, commerciali,
artigianali; da attività di recupero e smaltimento di rifiuti.
Il Decreto Ronchi, dunque, disciplina la materia dei rifiuti configurando un sistema
compiuto che punta sulla riduzione della produzione dei rifiuti e imballaggi e sul loro
recupero e riutilizzo, abbattendo al massimo la quota di rifiuti urbani da smaltire in
discarica.
Le Regioni, sentite le province ed i comuni, nel rispetto dei principi e delle finalità
stabilite dal decreto, predispongono piani regionali di gestione dei rifiuti garantendo
appropriata pubblicità e la massima partecipazione dei cittadini (art.22).