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negli organi sociali, un ambiente competitivo più specifico in funzione dei rapporti di
scambio che andrà ad attivare.
Ecco quindi che l’analisi del comportamento delle imprese cooperative non può
prescindere dalle reciproche interdipendenze esistenti con l’ambiente di riferimento ed è
per questo che la struttura dei mercati influisce sul loro contesto decisionale e sulla
formulazione delle loro strategie.
Figura 1.1 - Le relazioni cooperativa-ambiente di riferimento.
Fonte: Nostre elaborazioni su Sciarelli, 1999.
Come appare nella Figura 1.1 la cooperativa si presenta al centro di un micro-ambiente,
suddiviso convenzionalmente in ambiente transazionale
1
e ambiente competitivo, che a
sua volta è inserito in un macro-ambiente o ambiente generale.
Nonostante l’impresa cooperativa non possa decidere quale sia il suo macro-ambiente di
riferimento, essa ha comunque la possibilità di scegliere l’ambiente transazionale e
competitivo all’interno del quale svolgere la sua attività.
1
Ogni impresa deve far ricorso al mercato per l’approvvigionamento delle risorse di cui abbisogna
attivando una serie di “transazioni”. Le sue scelte di acquisto saranno influenzate dalle comparazioni di
convenienza tra il produrre all’interno ciò che utilizza e il rifornirsi all’esterno. Di certo, più essa farà
ricorso al mercato, più si amplierà l’ambiente transazionale con il quale dovrà intessere le sue relazioni di
scambio (cfr. Sciarelli: “Economia e gestione delle imprese”, 1999).
COOPERATIVA
AMBIENTE TRANSAZIONALE
AMBIENTE COMPETITIVO
MERCATO
DEL
LAVORO
MERCATI DI
PRODUZIONE
MERCATO
FINANZIARIO
COOPERATIVE ED
AZIENDE
CONCORRENTI
CLIENTI
3
Per farlo al meglio dovrà adottare i comportamenti più idonei per volgere a suo
vantaggio l’evoluzione dei mercati di fornitura, finanziari e del lavoro e poter essere
così poi pienamente competitiva in quello di vendita.
Il contesto in cui si trova ad operare è però sempre meno semplice e per riuscire a
relazionarsi al meglio con i vari mercati la cooperativa deve tener conto dell’aumento
del numero delle variabili e delle differenti situazioni che si presentano.
Fenomeni di recente sviluppo come la globalizzazione e l’internazionalizzazione dei
mercati, l’innovazione tecnologica, l’immaterialità, la diversificazione e la
terziarizzazione dei beni prodotti hanno tutti contribuito a creare una sempre maggiore
complessità ambientale, alla quale le aziende hanno dovuto reagire adottando strategie
più flessibili capaci di conformarsi ai cambiamenti in atto.
Se andiamo infatti ad analizzare uno ad uno questi fenomeni si può comprendere come
essi abbiano inciso nel modificare il contesto nel quale l’azienda si trova ad operare.
- Il processo di globalizzazione, a partire dalla metà degli anni settanta, ha provocato un
mutamento fondamentale nelle relazioni economiche tra regioni, paesi e gruppi
d’interesse. I legami commerciali e di investimento si sono ampliati e approfonditi in
modo significativo sotto la spinta delle nuove tecnologie, della caduta dei costi di
trasporto e di comunicazione e della progressiva eliminazione delle barriere tariffarie.
Se agli inizi erano le multinazionali a guidare la globalizzazione, oggi sono le piccole e
medie imprese a seguire questa strada sfruttando i vantaggi comparati di diversi paesi e
perseguendo obiettivi strategici anche lontano dai propri confini nazionali.
Questo fenomeno sollecita forme crescenti di interazione fra imprese, fra imprese e
consumatori, nonché fra queste/i e l’insieme sempre più diversificato di soggettività
economiche e politico-istituzionali e spinge le aziende ad abbandonare comportamenti
di standardizzazione sia a livello di offerta che di domanda.
Dal lato dell’offerta, si tende ad accentuare il carattere di flessibilità dei processi di
produzione in modo da sviluppare la capacità di rispondere tempestivamente alle
richieste del mercato anche attraverso la partecipazione a forme di collaborazione con
4
altre imprese. Dal lato della domanda, invece, si fa leva sull’uso dell’informazione per
affermare modelli di consumo caratterizzati da un alto contenuto di identità (Berni,
1996).
- Il fenomeno dell’internazionalizzazione
2
risulta legato al processo appena descritto e
perciò finisce anch’esso per influire sulla complessità del contesto decisionale
dell’impresa cooperativa.
La crescita del commercio internazionale, a seguito della crescente apertura ed
integrazione delle economie, ha favorito l’allargamento dell’orizzonte di riferimento e
la diffusione mondiale delle attività produttive, soprattutto a livello di industria
alimentare (e del settore vinicolo in particolare).
- I concetti di immaterialità e di terziarizzazione sono strettamente connessi l’uno con
l’altro, oltre al fatto che interessano più da vicino i beni prodotti. Se prendiamo in
considerazione il nostro oggetto di studio, il vino per l’appunto, ci accorgiamo che oggi
esso assume per il consumatore valori sempre più immateriali riguardanti la
trasmissione di conoscenze sulla sicurezza alimentare, sui caratteri nutrizionali, sulle
caratteristiche organolettiche, sui contenuti culturali legati a tradizioni storiche,
sull’influenza delle caratteristiche pedoclimatiche e più in generale territoriali.
Quelle appena elencate sono tutte conoscenze sedimentate nel tempo grazie al
miglioramento dei processi di produzione e sulle quali influisce anche l’azione psico-
sociale dei media capaci di indirizzare i consumatori ad acquistare un tipo di vino
piuttosto che un altro per le sue qualità immateriali.
- La terziarizzazione della produzione spinge invece le imprese alimentari e quindi
anche le aziende vinicole ad adeguarsi alle richieste dei propri clienti fruitori di un bene
non solo dotato di determinate caratteristiche materiali, ma anche di un adeguato
sistema di servizi, conoscenze ed informazioni (packaging, servizi logistici e così via).
Ciò è dovuto, principalmente, all’evoluzione dei modelli di consumo che puntano ora su
2
Il concetto di internazionalizzazione commerciale sarà maggiormente sviluppato nel quarto paragrafo di
questo capitolo.
5
un forte richiamo alla tradizione storica, al territorio
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e alla garanzia di un prodotto
genuino di alta qualità. In questa ottica il servizio diviene quindi un chiaro elemento di
vantaggio competitivo che tende a garantire al prodotto caratteri di univocità e
differenziazione. Di conseguenza a livello di gestione aziendale si riscontra la necessità
di acquisire competenze distintive, adozioni di modelli di “non price competition”,
utilizzo di approcci di marketing relazionale, nonché di ripensamento della logistica e
delle strategie di approvvigionamento.
2. DINAMICA DEI CONSUMI
L’evoluzione dei consumi di vino a livello mondiale ha seguito, negli ultimi cinquanta
anni, un percorso singolare. Dopo una fase di progressiva espansione che ha permesso
di superare, alla fine degli anni 70’ i 250 milioni di hl, la domanda si è prima
stabilizzata per poi, iniziare (a partire dal 1984) una lenta discesa raggiungendo il
minimo di 210 milioni di hl nel 1991.
Successivamente il mercato del vino ha cominciato a manifestare segnali di ripresa che
hanno permesso di ritornare oggi intorno ai 220-230 milioni di hl.
A determinare questo andamento è stata soprattutto l’Europa che ha subito negli ultimi
venti anni una lenta ma continua e progressiva contrazione dei consumi. Di contro, la
domanda è aumentata nei paesi del resto del mondo. Ciò ha permesso di compensare la
contrazione europea e di portare un notevole cambiamento nella struttura della domanda
mondiale con il significativo aumento del peso dei paesi del resto del mondo, la cui
quota è passata dal 19% del periodo 1961/65 al 30% del 2000.
Analizzando più in dettaglio i singoli mercati, il trend negativo nei consumi di vino
dell’Europa tra il 1980 e il 2000 (Figura 1.2) è stato determinato soprattutto da Francia
(-31,6%), Italia (-38,4%) e Spagna (-35,4%) che hanno reso vane le crescite del mercato
tedesco (+16,7%) e britannico (+130,8%).
3
Da sottolineare, in questo contesto, l’importanza sempre maggiore attribuita ai vini a denominazione
d’origine (DOC e DOCG) negli ultimi anni.
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Un altro grande mercato in contrazione è quello sudamericano (-32,8%) dove, anche
qui, sono soprattutto i paesi tradizionali produttori di vino a cedere il passo, cioè
Argentina (-43,0%) e Cile (-41,9%).
Rimane invece più o meno stabile la domanda nella maggior parte dell’Asia e
dell’Africa, dove il vino non è ancor entrato nelle abitudini alimentari, ad eccezione
delle zone più sviluppate come l’est asiatico e il sud africa; in particolare Giappone
(+259,5%) e Cina (+1.270%) segnano notevoli e significative crescite, tanto da proporsi
tra i mercati più interessanti nel prossimo futuro.
Figura 1.2 - Evoluzione del consumo di vino nel mondo, 1980-00.
0
50.000
100.000
150.000
200.000
0
0
0
h
l
Europa Sud Am. Asia Nord Am. Oceania
1980
2000
Fonte: Nostre elaborazioni su dati FAO.
In questi ultimi venti anni un importante ruolo trainante della domanda è stato poi
svolto da Nord America (+15,5%) ed Oceania (+44,3%); capaci di entrare
prepotentemente nel settore vitivinicolo sia come produttori che come consumatori. In
particolare, USA (+9,8%), Canada (+74,8%) ed Australia (+52,9%) hanno avuto tutti
crescite notevoli portando i consumi pro-capite a livelli vicini a quelli dei paesi europei.
In un settore che, come vedremo, è stato spesso caratterizzato da eccessi di produzione,
le prospettive offerte dai mercati emergenti permettono di guardare con maggior
serenità al futuro, che altrimenti rischierebbe di essere decisamente più cupo vista la
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tendenza, da molti ritenuta irreversibile, alla decrescita dei mercati tradizionali, Francia,
Spagna ed Italia su tutti.
Se si va infatti ad analizzare l’evoluzione dei consumi di vino in Italia appare chiaro il
trend negativo. Dai 48.723 hl del 1981 si è lentamente ma progressivamente passati ai
40.081 hl del 1989, ai 35.859 hl del 1994 fino ai 27.190 hl del 2002 con una evoluzione
discendente che per la sua regolarità sembra più strutturale che non congiunturale
(Figura 1.3).
Figura 1.3 - Andamento dei consumi totali di vino in Italia e in Europa, 1981-2002.
0
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
120.000
140.000
160.000
0
0
0
h
l
1981 1984 1987 1990 1993 1996 1999 2002
Europa
Italia
Fonte: UE.
Anche i consumi pro-capite seguono un trend simile: dai 104 litri consumati in media da
ogni italiano nel 1975 si è progressivamente scesi ai 51 litri del 2000 con in pratica un
dimezzamento in un quarto di secolo. Il trend ha subito però un’interruzione nel 2002
quando i consumi pro-capite sono tornati a 51 litri, dopo essersi attestati nel 2001 a 50
litri. Si tratta certamente di un aumento pressoché insignificante, ma che assume un
significato positivo, perlomeno dal punto di vista simbolico.
2.1. Fattori alla base della diminuzione dei consumi
Ma quali sono i fattori alla base di questo progressivo calo dei consumi? Un’attenta
analisi ci può suggerire qualche risposta.