dipendenti, clienti e alla comunità.(1)” Differente è la
spiegazione data da Ansoff, secondo cui: “La strategia è
il filo conduttore che collega l’attività di un’impresa e le
combinazioni prodotto/mercato a cui si rivolge, e che
definisce il tipo di area d’affari in cui opera o intende
operare in futuro.(2)” Ansoff prosegue poi individuando
quattro elementi che andrebbero a costituire tale filo
conduttore, e precisamente il raggio d’azione, intendendo
i prodotti e i mercati in cui l’impresa opera; il vettore di
crescita, ovvero i cambiamenti che l’impresa pianifica di
apportare al proprio raggio d’azione; i vantaggi
competitivi e cioè quelle caratteristiche particolari di
singoli prodotti/mercati che garantiscono all’impresa una
forte posizione competitiva; le sinergie, un indice di
effetti congiunti (3).
Risultano evidenti le differenti posizioni su cui si
collocano i due autori. Da un lato Andrews fa rientrare
nel concetto di strategia sia gli obiettivi e i fini che
un’impresa intende raggiungere, che i mezzi per
raggiungerli, dall’altro Ansoff include solo i mezzi con
cui è possibile conquistare i predefiniti traguardi; ancora
le opinioni dei due differiscono sugli elementi costitutivi
della strategia, sostenendo il primo che questa non può
essere scomposta in un certo numero di elementi,
contrariamente a quanto afferma l’altro; l’ultimo punto di
contrasto tra Andrews e Ansoff sta nello stabilire se la
definizione dei fini aziendali rientri nel processo di
formulazione della strategia, come sostenuto dal primo,
oppure sia una procedura a parte, come invece afferma il
secondo. In definitiva possiamo concludere, seguendo
l’approccio suggerito da Ansoff, che la strategia altro non
è che una serie di scelte razionali ordinate in vista
2
dell’obiettivo da raggiungere, quest’ultimo considerato
rientrante in un distinto processo di definizione.
3
CAPITOLO PRIMO
CONCETTO DI STRATEGIA
§ 1. Strategia d’Impresa
Lo sviluppo della strategia è il frutto della valutazione dei
seguenti fattori:
a) Grado di complessità che si vuole assegnare al
lavoro: definire il grado di complessità significa,
innanzitutto, verificare la presenza di attività non
affrontabili o gestibili con le risorse a disposizione.
La complessità di un lavoro dipende essenzialmente
da due fattori:
- Varietà del progetto, e cioè numero di attività o fasi
costituenti, necessarie per l’implementazione dello
stesso;
- Livello di innovazione (sia tecnologico che
organizzativo) insito nelle molteplici componenti
che costituiscono il progetto nella sua interezza;
b) Valutazione dei punti di forza, in combinazione con
lo sviluppo e l’evoluzione dell’ambiente in cui si è
inseriti, sovrasistema di riferimento;
c) Identificazione e riformulazione delle attività
necessarie a raggiungere gli obiettivi, per i quali la
strategia è stata sviluppata, in sede di predefinizione.
Sulla base delle risultanze di questa analisi complessa, si
procederà alla pianificazione vera e propria, ossia alla
formulazione di un ordine di priorità, che sfocerà nella
definizione di programmi specifici volti al
conseguimento di obiettivi precisi e quantificabili,
associati a determinate scadenze temporali e ad azioni
4
concrete, da associare a precise responsabilità ai diversi
livelli (4).
E’ ora importante individuare quelli che sono
universalmente riconosciuti come i livelli aziendali in cui
si svolge il processo di pianificazione strategica:
● Strategia Corporate
● Strategia di Business
● Strategia Funzionale
Tale suddivisione risulta cruciale, soprattutto se si prende
in considerazione quella che è l’organizzazione tipica di
un’impresa, specie se di grandi dimensioni. Questa può
essere bene articolata in tre livelli gerarchici. Al livello
più alto si parla di “corporate”, e cioè di gruppo di
imprese; al livello intermedio si collocano le unità di
business, le c.d. SBU (Strategic Business Unit o Area
d’Affari); al livello più basso la singola Area d’Affari si
articola nelle varie funzioni tipiche di ogni azienda. Si
avrà pertanto una strutturazione di questo tipo
CORPORATE
IMPRESA (GRUPPO)
SBU 1 SBU 2
Pro-
du-
zione
Fina-
nza
R&S
SBU 1 SBU 2 SBU 3
Mar-
ket-
ing
DI BUSINESS
FUNZIONALE
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Risulta evidente dallo schema che le attività tipiche della
strategia a livello corporate saranno assunte ai massimi
livelli dell’organizzazione e pertanto se ne occupano
organi quali la Direzione Generale e il Consiglio
D’Amministrazione. Lo scopo della strategia a livello
Corporate è quello d’individuare quali sono i settori in
cui competere e quali le SBU da sviluppare. Le tipiche
decisioni, quindi, che vengono assunte a questo livello
riguardano la definizione degli obiettivi generali
d’impresa (ad es. tasso di crescita e redditività); il grado
di integrazione verticale, cioè l’ampiezza della filiera
produttiva direttamente gestita dall’impresa nei diversi
settori; gli investimenti che devono essere posti in essere
per lo sviluppo dei nuovi business; l’allocazione delle
risorse disponibili tra le diverse SBU. Altrettanto
evidente è come la strategia di business sia di
competenza dei responsabili delle diverse Aree d’Affari
in cui l’impresa si articola, ed è a questo livello che
vengono definiti i piani d’azione delle singole unità di
business, cioè si determinano quali debbano essere le
azioni da porre in essere sui processi e sulle attività della
SBU per renderla più competitiva. La definizione di tali
azioni è però sottoposta a delle limitazioni, in quanto
deve avvenire in maniera coerente con le opportunità e le
minacce del settore; con i punti di forza e di debolezza
della stessa SBU; e soprattutto con le decisioni prese a
livello di corporate, gerarchicamente al di sopra, con
particolare riferimento all’ammontare e al tipo di risorse
da esso rese disponibili. Il livello più basso, quello della
strategia funzionale è di competenza dei responsabili
delle varie funzioni. Le decisione prese a questo livello si
traducono in piani di sviluppo delle competenze
funzionali volti ad elevare il grado di competitività
6
dell’impresa nel suo complesso. La definizione di tali
piani di sviluppo deve avvenire in armonia con le
decisioni prese a livello di corporate, e con le risorse di
cui ciascuna SBU dispone.
Il processo di pianificazione strategica si estende pertanto
attraverso i tre livelli gerarchici di cui sopra,
generalmente seguendo una logica di tipo top down,
pertanto le decisioni prese al livello corporate, danno
origine a decisioni al livello inferiore, in genere
attraverso un processo di contrattazione tra i responsabili
dei due livelli. Si avrà in questo modo un passaggio di
competenze e responsabilità dal corporate fino al livello
funzionale, passando per quello intermedio delle varie
SBU, ognuno dei quali si vedrà impegnato nella
formulazione di una specifica strategia e di un preciso
piano d’azione. Al termine di questa catena, attraverso un
processo di feedback, le informazioni risalgono al livello
corporate ove si procede ad una verifica e ad
un’approvazione delle decisioni assunte ai piani inferiori.
Evidentemente il processo si articola in modo analogo
per quanto riguarda la definizione degli obiettivi, nonché
la redazione dei piani operativi.
Descritti in modo generale i differenti ruoli dei tre livelli
gerarchici tipici di una grande impresa è ora opportuno e
necessario passare in rassegna quelli che sono i compiti e
le funzioni principali svolte a ciascun livello, seguendo lo
stesso criterio assunto nel trasferimento di responsabilità
dal top management ai vari capi funzionali, quello Top
Down.
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§ 1.1 Corporate Strategy
Si sta parlando delle decisioni fondamentali assunte dal
top management dell’impresa e che in primo luogo
concernono le tipiche decisioni circa la composizione del
portafoglio d’impresa, nonché l’analisi del portafoglio
stesso attraverso i molteplici strumenti a matrice
comunemente utilizzati in questo campo. Le decisioni sul
portafoglio d’impresa sono di due tipi: il primo consiste
nelle decisioni inerenti il bilanciamento del portafoglio; il
secondo fa riferimento alle decisioni da assumere in
riferimento alla allocazione, tra tutte le Aree d’Affari,
delle risorse a disposizione. Per quanto fa riferimento al
primo punto il management è chiamato a definire la
composizione del portafoglio avendo cura di valutare
due aspetti fondamentali, da una parte la possibilità di
estendere il portafoglio, dall’altra la possibilità di
concentrarlo. Rispetto al secondo tipo di decisioni il
management del corporate deve stabilire come utilizzare
le risorse finanziarie, stabilendo pertanto i flussi
finanziari che si dovranno avere tra le SBU in cui
l’impresa ha deciso di suddividersi. La composizione del
portafoglio, appare dunque essere la risultante della
connessione del bilanciamento da una parte e
dell’allocazione delle risorse dall’altra. Tale
composizione può quindi dar luogo a due tipologie di
portafoglio, il primo definito conglomerale, cui fa
riscontro una strategia di diversificazione, e il secondo
detto correlato al quale viene generalmente affiancata una
strategia di specializzazione. Vantaggi di un portafoglio
conglomerale sono evidenziabili nei seguenti:
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