PRESENTAZIONE
Parola e immagine vivono di un rapporto sinergico frutto di un’ universale forza poetica. Le vicende
intellettuali della Venezia del Cinquecento sono tra le migliori espressioni del fatto che la Cultura è
un organismo dalle mille facce in cui da sempre concorrono scambi, mestieri, contaminazioni. Il
libro moderno illustrato, che è summa di sapere enciclopedico, poesia ed immagine, se analizzato in
relazione all’opera d’arte cosiddetta “alta” come documento della medesima Cultura, è un ottimo
punto di partenza per parlare di tutto questo, nonché uno spunto fondamentale per andare più a
fondo nel meccanismo di Nachleben der Antike proprio del Rinascimento veneto. La xilografia è
più spesso invenzione che emulazione, perché più libera rispetto al dipinto; è in grado di veicolare
messaggi su ampia scala e riattivare con forza antiche formule, e al contempo si lega
indissolubilmente al testo con cui si ibrida, di cui può essere semplice illustrazione o da cui può
prendere spunto per disegnare un tutt’altro universo. Con quest’elaborato vorrei soffermarmi su
alcune delle relazioni icono-testuali che meglio hanno saputo tenere in piedi quest’equilibrio; in
particolare su quei casi in cui la figura è stata capace di colmare le manchevolezze del linguaggio,
scavalcando il testo cui fa riferimento fino a sopravvivergli, da esso svincolata, come modello
proprio, formula o narrazione a sé stante. In un’analisi iconologica che non intende essere soltanto
decifratoria, cercherò di passare al setaccio molte delle storie più celebri - dalle Metamorfosi
ovidiane alle favole morali, dall’Hypnerotomachia Poliphili all’Orlando Furioso - partendo dalla
loro vicenda editoriale, da quando, cioè, le loro pagine fresche d’inchiostro escono dai torchi delle
principali botteghe tipografiche veneziane. Quello dello stampatore che diventa editore è un
mestiere che si gioca in bilico tra le più dotte commissioni e una vita di piazza ancora compromessa
col mondo dell’oralità; in queste botteghe si lavora tra le suggestioni dei grandi pittori e le fatiche di
incisori spesso anonimi incaricati di corredare la bozza di stampa con il più sontuoso degli apparati
illustrativi. Ma soprattutto, e specialmente a Venezia dove le magie della Cultura avvengono di
norma nei salotti delle case patrizie, le proliferanti botteghe tipografiche diventano fucine di idee
sovversive, crogioli di incontri, invenzioni e (ri)scoperte. Senza pretendere di tracciare una storia
delle cinquecentine illustrate, vorrei invece prendere in esame le vicende del libro moderno a
1
«And what is the use of a book - thought Alice - without
pictures or conversation?»
Lewis Carroll, Alice’s adventures in Wonderland, 1856
Venezia per dare di questa e di alcuni dei suoi protagonisti una visione trasversale e parlare della
creazione artistica come di un’urgenza contestuale, che parta dall’analisi delle ragioni dei testi, testi
che sono pilastri della nostra civilizzazione e che da sempre - lo vedremo - hanno avuto bisogno
delle immagini.
Nel primo capitolo vorrei proporre uno sguardo d’assieme sulla vita culturale e politica di Venezia
negli anni che intercorrono tra la sconfitta di Agnadello e il trionfo di Lepanto. Qui messaggi ed
immagini sono veicolati dagli opuscoli politici e religiosi, che rilanciano tutti i crismi di quel mito
di Venezia - forte già dai tempi delle cronache che ne costruiscono la leggendaria fondazione - e al
contempo mettono in campo uno dei primi esempi di propaganda “a tappeto”, ovvero quella contro
il nemico Turco, per identificare il quale ci si avvale di simboli antichi che, come vedremo,
risultano ancora perfettamente in grado di scuotere le coscienze. Se da un lato si fa sempre più forte
la necessità di individuare il nemico Ottomano cristallizzandolo in un’iconografia negativa - la più
pregnante è certamente quella del drago-serpente - dall’altro la controparte positiva, rappresentata
da Venezia, risulta allo stesso modo sempre più inscindibile dalle sue personificazioni, prima su
tutte quella con la Vergine. La letteratura storica e i luoghi del potere si riempiono così di queste
immagini.
A Venezia, con il libro moderno nascono anche l’estetica e il business del libro. Nel secondo
capitolo cercherò pertanto di analizzare le prime politiche di copyright rappresentate dall’istituto del
Privilegio, la conquista dell’istanza autoriale e le principali soluzioni per quanto riguarda l’uso delle
illustrazioni, rivoluzioni incarnate nella figura del primo editore veramente moderno, Aldo
Manuzio. Dopo aver preso in esame l’istituto della marca editoriale, perfetto esempio di equilibrio
fra immagine emblematica e motto tipica dello spirito del Cinquecento, che risente delle invenzioni
di grandi artisti - proporrò l’esempio di Tiziano -, e che faciliterà anche un’enumerazione delle
principali famiglie di stampatori attive in Laguna, il discorso culminerà con una breve disanima
della rivoluzionaria impresa editoriale rappresentata dall’Hypnerotomachia Poliphili, ideale punto
d’avvio d’una tradizione poetico-artistica, il cui apparato illustrativo rilancia la fascinazione per il
geroglifico egizio e riattiva in maniera definitiva numerosissimi antichi topoi prelevati dalle più
varie fonti.
2
Il secondo macro-serbatoio di temi e figure su cui mi soffermerò sono le Metamorfosi di Ovidio, cui
il terzo capitolo è dedicato. Dalle severe moralizzazioni dei primi volgarizzamenti manoscritti fino
alle censure dei nostri tempi, i personaggi e le favole ovidiane sono stati oggetto di un processo di
ricezione mai uguale a se stesso, in cui il testo originario è stato fatto oscillare tra il più assoluto
oblio e le riprese funzionali, e le figure che ne abitano le pagine si sono via via svincolate fino a
costituire delle formule di linguaggio potentissime ed immediatamente riconoscibili, che gli artisti
di ogni tempo hanno saputo declinare in maniera sempre nuova. Si vedranno tanto la continuità
quanto i punti di rottura tra la tradizione manoscritta e le prime edizioni a stampa nel trattamento di
specifici personaggi, da Orfeo a Medea, la cui vicenda iconografica si configura col tempo come
mito a sé stante, per approdare infine alle ispirate «poesie» mitologiche di Tiziano per Filippo II di
Spagna, una delle massime espressioni dell’assimilazione del mito nella pittura “alta” della seconda
metà del secolo.
Infine, passerò in rassegna alcune delle tipologie più originali e “oscure” di pubblicazione. Le Cento
favole morali sono un’opera popolaresca di cui Giovanni Mario Verdizzotti, discepolo di Tiziano
influenzato dal suo ultimo stile, cura sia il testo che le illustrazioni; sarà uno spunto per parlare della
sempre più necessaria unione delle arti per l’intellettuale del pieno Cinquecento. La Predica de i
sogni di Daniele Barbaro è un breve scritto filosofico privo di immagini, ma estremamente
evocativo e legato a doppio filo al capolavoro del suo editore Francesco Marcolini, Le Sorti,
ambiziosa opera collettiva in grado di gettare luce sulla vita privata e sociale dell’uomo del
Rinascimento di fronte all’onnipresente entità di Fortuna. Proprio di Fortuna vedremo dunque il
trattamento in altri testi figurati, dalle Imagini di Vincenzo Cartari alle variazioni cui è soggetta la
tradizione del libro di ventura che proprio nelle Sorti vede il suo apice. Figura di intellettuale in
grado di incarnare - con il suo amore per i giochi eruditi ed i simboli figurati - lo spirito del proprio
tempo, il Marcolini, personaggio cui dedicherò l’ultima sezione del capitolo, è creatore di un’opera
che la condanna ecclesiastica eclissa a lungo dalle vicende del libro illustrato, ma le cui figure, che
vantano le mani, tra gli altri, di Francesco Salviati, hanno continuato a vivere sganciate dalla loro
finalità editoriale: verranno rilette, ristampate e reinterpretate, e insieme a tante altre confluiranno
infine in quel fondamentale dizionario che è l’Iconologia di Cesare Ripa.
Ringrazio sentitamente la Professoressa Sonia Cavicchioli, la Dottoressa Giulia Brusoli, il personale
della Biblioteca Nazionale Marciana e dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
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CAPITOLO I: Sguardo d’assieme. La Venezia del XVI secolo tra identità e alterità
1.1 La Serenissima oltre il mito. Dalla fondazione leggendaria ai simboli dell’identità
veneziana
Leggendaria potenza mercantile, a capo di una Repubblica che s’inizia a dire millenaria,
incredibilmente popolosa, capitale d’un dominio coloniale e di uno Stato di Terraferma, prestigioso
polo culturale, città dell’opulenza debordante di merci, di chiese e di libri: tutte queste definizioni
non sono sufficienti a tracciare l’immagine di Venezia, ma soprattutto della percezione di Venezia,
città unica e divina, al sorgere del Cinquecento. Come molti suoi contemporanei, scrivendo della
sua patria allo scadere del secolo precedente, il prolifico diarista Marin Sanudo la paragona - senza
troppe riverenze - a Roma per la sua intoccabile ed eterna libertà, la sua origine mitica e santa e la
nobiltà dei suoi fondatori . Già da molto tempo Venezia è interessata, più di altre città-stato, alla
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propria reputazione, e l’atipicità del suo sito, la sua straordinaria ricchezza e l’originalità della sua
storia di fatto glielo consentono: gli strumenti di questa perenne “campagna pubblicitaria” sono
un’auto-presentazione sfarzosa orchestrata attraverso riti e cerimoniali in cui si sfruttano i simboli
antichi legati alla sua mitica origine e la manipolazione attenta dei resoconti storici, in una
storiografia che privilegi alcuni eventi, inscindibili dalla leggenda. Ciò che ne risulta è l’immagine
della Venezia mitica, stato ideale nato ed in perpetua evoluzione sotto l’egida della divina
provvidenza. Questo paradigma può dirsi completo ai tempi del doge Andrea Dandolo (1343 -
1345) e basa su una narrazione i cui punti chiave sono la mitica fondazione avvenuta il giorno
dell’Annunciazione del 421, la traslazione delle reliquie del patrono San Marco tra 828 e 829 e la
pace firmata dal doge, con papa ed imperatore, nel 1177. Simboli e rituali non potranno prescindere
da questi eventi fino alla fine della Repubblica nel 1797. A Venezia più che altrove il passato, in
forma di storia o leggenda, riaffiorerà continuamente, perché in perenne compimento.
M. Sanudo, De origine, situ et magistratibus urbis Venetae ovvero La città di Venetia (1493-1530), a cura di A.
1
Caracciolo Aricò, Venezia, Centro Studi Medioevali e Rinascimentali “E. Cicogna”, 2001
4
«Il vero et honesto dominio debe esser sempre volontario
et fatto di amore, et mai violento né fatto di paura.»
Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et
singolare descritta in XIIII libri, 1581
Nei primi resoconti, uno dei punti più discussi è la relativamente tarda fondazione. Nella Cronaca
veneziana di Giovanni Diacono , redatta all’inizio dell’XI secolo, si legge di due Venezie: la prima
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è quella continentale, la Venezia della Terraferma che domina sull’Adriatico, con capitale Aquileia -
dove l’evangelista Marco ha predicato il Vangelo - la seconda è la Venezia isolana, quella che
conosciamo, che si sviluppa dalla prima in un secondo momento, al tempo dell’invasione
longobarda del 568: gli abitanti della Terraferma si sarebbero spostati sull’isola selvaggia per
fuggire alla dominazione, guidati dal patriarca di Aquileia. La migrazione dei Venetici (dal greco
“degni di lode”, scrive Diacono) continua, fino alla nascita della Venezia nuova Aquileia. Questo
paradigma, detto duplicatio, sarà dato per scontato nella maggior parte delle cronache successive.
Secondo Antonio Carile, è nel XII secolo che la storia della fondazione di Venezia assume un
carattere fantastico : la leggenda di San Marco primo patriarca di Aquileia resta largamente
3
accettata ed invariata dai tempi di Diacono, ma già la prima edizione della Chronicon Altinate
aggiunge al mito dell’origine di Venezia l’onore di una discendenza troiana . Vi si narra che il
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saggio Antenore raggiunse le cose della laguna con una flotta di sette galee, e qui fondò la città di
Aquileia. Al tempo della terza edizione si attribuisce ad Attila Flagellum Dei, e non più ai
longobardi, la distruzione della prima Venezia; e il nome tribale Venetici o Eneti si dice ora origini
da Enea stesso. Alla fine del XII secolo la cronologia delle origini di Venezia viene fissata con
maggior precisione: negli Annales veneti è decretata la data di fondazione, il 421 .
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Per molte città-stato con mire imperiali l’attribuirsi una discendenza troiana è una scelta attraente: i
troiani, che hanno preferito lasciare la loro terra che soccombere al nemico, sono il popolo simbolo
di dignità ed orgoglio; inoltre, è per molti una facile occasione di arrogarsi nobili natali. La Venezia
insulare farà dunque leva su questa narrazione per ribadire la propria indipendenza e la
giurisdizione sul patriarcato di Grado . Il ruolo di Venezia nel Mediterraneo diventerà sempre più
6
centrale: con la quarta crociata, che si conclude con la vittoria su Bisanzio, in seguito alla quale il
doge Enrico Dandolo diventa dominator quarte et dimidie partis totius imperi Romaniae, e dopo il
sacco di Costantinopoli del 1204, la sua potenza è ormai indiscussa. Alla fine del XIII secolo la
G. Monticolo, Cronache veneziane antichissime, Roma, Forzani, 1890
2
A. Carile, G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna, Patron, 1978
3
Origo civitatum Italiae seu Venetiarum: Chronicon Altinate et Chronicon Gradense, a cura di R. Cessi, Bottega
4
d’Erasmo, 1972
V . Lazzarini, Il pretesto documento della fondazione di Venezia e la cronaca del medico Jacopo Dondi, in Atti del
5
Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 75, n. 2, 1915-1916
E. Muir, Civic Ritual in Renaissance Venice, Princeton University Press, 1981, pp. 67-68
6
5
cronaca di Martino da Canal e quella successiva del misterioso Marco , datata intorno al 1292,
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ribadiscono la fondazione troiana, la missione apostolica di San Marco ad Aquileia e l’insediamento
sull’isola in seguito alle razzie di Attila, ma entrambe le narrazioni sono impregnate di un nuovo
senso di auto-celebrazione: leggiamo di nobili uomini e donne che fuggono dalla devastazione di
Aquileia con l’oro e l’argento che useranno una volta sull’isola per edificare chiese e campanili. Lo
sforzo maggiore è quello di fissare la data di fondazione il 25 marzo del 421, giorno
dell’Annunciazione e quindi dell’incarnazione del Verbo in Cristo, per sovrapporre così ab initio la
storia cittadina ed il cammino del genere umano verso la redenzione. Il resoconto di Marco si
spinge oltre, sostenendo che il primo troiano sia arrivato sull’isola immediatamente dopo la caduta
di Troia, mentre Roma sarà fondata soltanto 454 anni dopo. Rialto sarebbe dunque stata edificata
prima delle fondamenta di Roma, e per fugare ogni dubbio e mettere a tacere molti padovani, che
negli stessi anni rivendicano una precedente fondazione da parte di Antenore, Marco è perentorio
nell’affermare che Antenore arrivò sull’isola ben prima dell’inizio vero e proprio della costruzione
da parte dei suoi uomini, e che solo in un secondo momento fondò il centro patavino . La ricerca di
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un passato fabbricato, in cui si sovrappongono nuove storie a quelle già date per vere, assumerà
presto caratteri parossistici .
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Due secoli dopo Marin Sanudo, in alcune note che accompagnano il suo manoscritto De origine,
situ et magistratibus urbis Venetae , fissa alcune date cardine: fondate prima di Cristo sono Troia,
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nel 2931, Ravenna nel 2914, Roma nel 715; dopo l’avvento di Cristo Costantinopoli nel 270, e
Venezia nel 421. La priorità su Roma non sembra più essere una questione urgente. Ciò che importa
è che Venezia rientri a pieno titolo in una sorta di linea ideale di grandi città; inoltre, Venezia
discende da Troia senza alcuna mediazione romana. L’evocazione visuale attraverso i simboli
distintivi di questo clima, secondo Otto Demus, inizia dalla basilica di San Marco: chiave di volta
A. Limentani, Martin da Canal, Les Estoires de Venise. Cronaca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275,
7
Firenze, Olschki, 1972
http://www.treccani.it/enciclopedia/l-eta-del-comune-la-cultura-i-messaggi-la-religione-i-cronisti-e-la-determinazione-
8
di-venezia-citta_%28Storia-di-Venezia%29/
P. Fortini-Brown, The self-definition of the Venetian Republic, in Athens and Rome, Florence and Venice. City-states in
9
Classical Antiquity and Medieval Italy, A. Molho, K. Raaflaub & J. Emlem, Franz Steiner Verlag, Stuttgart, 1991, pp.
511-548
A. Carile, Le origini di Venezia nella tradizione storiografica, in Storia della Cultura Veneta. Dalle origini al
10
Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976
Sanudo 2001
11
6
per la comprensione di Venezia tutta, ci offre molteplici esempi di queste narrazioni . Ai tempi
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della cronaca Les Estoires de Venise di Martin da Canal, nel 1267, decorano già la facciata otto
icone scultoree (Figg. 1, 2, 3, 4, 5, 6): una Vergine orante con l’arcangelo Gabriele, Demetrio e
Giorgio, due figure di Ercole in lotta rispettivamente con il cinghiale di Erimanto e con l’idra di
Lerna e la cerva di Cerinea e due anonimi santi guerrieri. Un elemento di ogni coppia è uno spoglio
bizantino, l’altro è scolpito ad hoc. Secondo Otto Demus la scelta dell’arcangelo Michele come
accompagnatore di questa Maria orante, protettrice dei governatori di città, sarebbe stata una scelta
più logica, ma Gabriele è stato posto accanto alla Vergine per parlare ai veneziani, anche se in
maniera velata, della storia dell’Annunciazione, così importante per la storia della città. L’elemento
più bizzarro sembra essere la presenza di Ercole, che scopriamo però avere una particolare rilevanza
locale: la città di Eraclea (Civitas Heracliana) è il primo centro politico della laguna e sede del
primo dogado, e il suo nome discenderebbe non dall’imperatore bizantino Eraclio I, ma da Ercole,
che diventa così, altrettanto convenientemente, l’eroe tribale dei veneti. Sulla facciata di San Marco
queste icone apotropaiche si ergono a protezione del doge e dello Stato; il programma iconografico
nel suo complesso vuole parlare del passato mitico di Venezia, ed il revival di modelli cristiani delle
origini per questa nuova campagna di decorazione della basilica suggerisce il chiaro intento di una
renovatio imperi christiani .
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In tutte le principali cronache successive, compresa la Chronica brevis del doge-storico Andrea
Dandolo - che ha il merito di fissare l’insieme di questi materiali in un vero e proprio modello
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narrativo - l’accento sarà sempre posto sull’Annunciazione, che assume presto un carattere
schiettamente politico. Allo stesso modo gli altri due miti fondativi, la Traslazione delle reliquie di
san Marco e la Pace di Venezia, si consolidano anch’essi negli stessi anni, assumendo presto
particolare rilievo nel culto e nell’immaginario collettivo. San Marco diventa patrono di Venezia tra
l’828 e l’829, quando le sue spoglie giungono in città sostituendo il culto del guerriero bizantino
San Teodoro. Si tratta, naturalmente, di una liberazione simbolica dal controllo orientale, ma la
traslazione delle reliquie, che per molti è in realtà un furto, è presto occasione di una disputa
ecclesiastica: l’episcopato di Aquileia reclamava già da tempo San Marco come suo fondatore, e ora
che la “seconda Venezia”, così come il patriarcato di Grado, rappresentano dei rivali, lo scontro è
O. Demus, The church of San Marco in Venice: History, Architecture, Sculpture, Dumbarton, Oaks Studies, n. 6,
12
Washington D.C, 1960
Fortini-Brown 1991
13
Andreae Danduli ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta, aa. 46-1280 d.C., a cura di E. Pastorello,
14
Bologna, Nicola Zanichelli, 1938-1958
7
inevitabile. Venezia prende le parti di Grado, e l’acquisizione delle reliquie mina definitivamente il
sogno di Aquileia. Il doge Giovanni Partecipazio I riceve i resti dell’apostolo e ordina la costruzione
della basilica; la priorità è ora quella di dare un’identità precisa al nuovo patrono. Negli anni
1056-1125 circola una moneta con il busto di San Marco, e in questo periodo vede la luce nella
basilica il ciclo di mosaici del presbiterio, con scene della vita del santo: la predicazione ad
Aquileia, il martirio ad Alessandria, il trasporto delle reliquie a Venezia . L’elaborazione della
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leggenda di San Marco vede il suo apice nel 1200, con l’invenzione dei due episodi della
Predestinazione e dell’Apparizione (Figg. 7, 8) - di cui aveva scritto Martino da Canal - che si
radicano presto nel culto locale. La Praedestinatio è la storia di un sogno profetico in cui Marco,
durante il presunto ministero in Laguna, riceve la visita di un angelo che lo saluta: Pax tibi, Marce
Evangelista Meus, e gli annuncia che le sue spoglie troveranno riposo nel luogo dove ora sorge la
basilica. Nell’Apparitio, anche detta Inventio, le reliquie del santo sono recuperate nel 1094 dopo
essere state dimenticate durante la ricostruzione della chiesa, nascoste in un luogo segreto dal doge
in persona. Queste storie sono presentate con la nuova campagna di mosaici, che espandono quelli
già esistenti nel presbiterio al vestibolo, al transetto e alle lunette della facciata ovest . Canal,
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rispettando una pratica largamente usata nella stesura di resoconti, utilizza queste immagini ex post
facto come testimonianza nell’avvisare i suoi lettori che, se volessero verificare quanto egli scrive,
non dovrebbero far altro che entrare nella basilica, alzare il capo e guardarsi attorno .
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È in questo periodo che il leone alato di San Marco, animale araldico capace di grande risonanza, si
configura come emblema della Repubblica. Un leone bronzeo (Fig. 9), probabilmente trafugato nel
sacco di Costantinopoli del 1204, è posto nel 1293 su una delle colonne all’entrata della Piazzetta. A
Venezia vi sono aggiunte le ali ed il libro, che diventano da questo momento gli attributi del santo
patrono. Eretto sulle colonne, il simbolo diventa ancora più potente. Sulla facciata della basilica,
oltre alla disseminazione di icone apotropaiche, vediamo lo sfoggio di trofei di guerra e simboli di
sovranità: la maggior parte sono spogli provenienti dal sacco di Costantinopoli in ricordo della
quarta crociata. Di questi il più imponente è la quadriga bronzea sopra il portale principale,
proveniente dall’ippodromo di Costantinopoli, in cui i cavalli - ora sostituiti con delle copie e
conservati al Museo di San Marco - con l’aggiunta del doge in trionfo, simboleggiano la mitica
O. Demus, The mosaics of San Marco in Venice, Chicago-London, Chicago University Press, 1984
15
Fortini Brown 1991
16
Limentani 1972, pp. 20-21
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8
vittoria veneziana . Altri memento sono disseminati nella facciata sud, la prima che il visitatore
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giunto dal mare si trova di fronte. Gli oggetti più preziosi trafugati a Bisanzio sono disposti
all’interno. Tra questi, la Madonna Nicopeia (Fig. 10), conservata nella sagrestia ed esposta
sull’altare maggiore nelle occasioni di festa legate alla Vergine, è tra le prime icone miracolose ad
essere venerata dai veneziani. Il doge, solus patronus et verus gubernator ecclesiae et capellae
Sancti Marci, è incaricato della sicurezza delle reliquie, di indire le campagne di restauro e
decorazione e della scelta degli ecclesiastici operanti nella basilica. Nella cerimonia d’investitura,
presentato al popolo veneziano in San Marco, diventa anello di congiunzione tra la gente, lo Stato e
la Chiesa, facendosi egli stesso reliquia . Il reale potere del principe serenissimo tra XIII e XVI
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secolo è di fatto in declino, ma il suo ruolo simbolico e la sua magnificenza non fanno che
aumentare: se prima della metà del X secolo la cerimonia d’investitura aveva carattere quasi
privato, nel 1485 il doge è incoronato sui gradini di Palazzo Ducale di fronte all’intera città . Il suo
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ruolo è centrale nella leggendaria Pace di Venezia del 1177: come leggiamo nella Historia Ducum
Veneticorum , in quell’anno il doge Sebastiano Ziani è impegnato nella firma della pace con papa
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Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa. L’anonimo autore del resoconto si trova tra il
pubblico di questo spettacolo diplomatico, a suo dire incredibilmente partecipato. In un’altra
cronaca, scritta da Bonincontro dei Bovi per il governo veneziano , l’accento è posto sulla forte
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affiliazione con il papato: in cambio del supporto militare nelle battaglie navali contro le forze
imperiali, il papa promette a Sebastiano Ziani una serie di regali simbolici chiamati Trionfi: un cero
bianco in segno di fede, una spada simbolo di sovranità e giustizia, un ombrello facente parte di un
trio che ribadisce la parità tra doge, imperatore e papa, una sedia, vessilli e trombe d’argento. C’è
poi un regalo legato ad un’indulgenza concessa ai visitatori di San Marco nel giorno santo
dell’Ascensione: un anello d’oro che il doge dovrà usare quel giorno in uno speciale sposalizio,
noto come Matrimonio del Mare. I trionfi diventeranno le sette insegne dogali, portate in
processione. Tuttavia, nelle pagine della Historia Ducum Venetirocum, così come in molte altre
cronache del tempo, non risulta che i veneziani abbiano combattuto alcuna battaglia per conto del
M. Perry, Saint Mark’ s Trophies, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», V ol. 40, 1977, The Warburg
18
Institute, pp. 27-49
Demus 1960
19
G. Fasoli, Liturgia e cerimoniale ducale, in Venezia e il Levante fino al secolo XV , Agostino Pertusi, Firenze, Olschki,
20
1973
Historia ducum Veneticorum, 1102-1229 in L. A. Berto, Testi storici veneziani (XI-XIII secolo), Padova, CLEUP,
21
1999
B. Dei Bovi, Hystoria de discordia et persecutione quam habuit Ecclesia cum imperatore Federico Barbarossa
22
tempore Alexandri tercii summi pontificis et demum de pace facta Veneciis et habita inter eos, 1319 ca.
9
papa, e leggiamo inoltre che alcuni dei trionfi erano usati come emblemi dal doge ben prima del
1177; così sarebbe precedente anche il rito dello sposalizio, che risalirebbe al 998, anno in cui il
vescovo benedì le acque prima della partenza della flotta del doge Pietro II Orseolo per la
Dalmazia, nel giorno dell’Ascensione. È a partire da questa spedizione che lo stendardo di San
Marco accompagna la flotta veneziana nelle sue imprese .
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Nella grande incisione di Matteo Pagan «stampador in Frizzeria all’insegna della Fede», impressa
tra il 1556 e il 1559 (Fig. 11), vediamo il Serenissimo uscire da Palazzo Ducale per “andar in
trionfo”. Accompagnato da sei Consiglieri ducali, dai capi della Quarantia, dal Consiglio dei Dieci,
dagli Avogadori, dai Procuratori di San Marco e dai Savi del Consiglio, come stabilito dalla legge
nel 1327, e accerchiato dal popolo plaudente, è circondato dagli emblemi del suo potere. Aprono il
corteo otto vessilli col leone marciano, portati dai Commendatori, di colori diversi: due bianchi, due
rossi, due turchini e due color ametista. Se bianco e rosso rappresentano rispettivamente pace e
guerra, gli altri colori, così quelli delle vesti dei commendatori, sono passibili di variazioni in
speciali situazioni politiche: nel periodo di Cambrai sono posti in testa i vessilli color vermiglio, a
dichiarare che Venezia è in guerra con quasi l’intera Europa. Seguono i vessilli le trombe, sempre
più grandi e numerose; sfilano poi il Patriarca di Castello e un chierico che porta il cero; il
cappellano ducale e il cancelliere grande, due scudieri che portano sulle spalle uno la sedia del
doge, simbolo di fermezza e dignità, l'altro il cuscino cremisi, che simboleggia il meritato riposo
dopo il duro lavoro per il bene dello Stato. L’ombrella dorata ed ornata con l’immagine
dell’Annunciata ed il bastone sono segni di onore, sotto l’ombrello appare il doge con il manto
d’oro orlato d'ermellino, poi un patrizio che reca la spada, chinata dinanzi a San Marco come
reverenza al corpo del santo .
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La testimonianza di Bonincontro intende rilanciare l’importanza di questi simboli in una nuova
veste politica. Vediamo come lo stesso messaggio venga sottolineato da alcune immagini, poste nei
luoghi simbolo del potere della Serenissima: nel 1360 l’argomento sarà ampliato con un nuovo ciclo
nella grande sala del consiglio in Palazzo Ducale; nei mosaici di San Marco l’aggiunta dei trionfi dà
vita ad una potentissima metafora delle prerogative ducali e dell’equivalenza tra impero e papato:
sopra le scene dipinte con le storie troviamo i ritratti dei dogi in successione. Questi simboli saranno
pregnanti fino alla fine della Repubblica perché introiettati in ogni aspetto della vita civica, nei
Crouzet-Pavan 2001
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https://www.conoscerevenezia.it/?p=47070
24
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cerimoniali, esposti negli spazi pubblici e tuttavia sempre riletti e “rinfrescati”. Secondo Gina
Fasoli, il cerimoniale della processione fissato nel 1327 resterà invariato per tutto il XVI secolo .
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Se i fasti di Venezia, cristallizzati così nei suoi cerimoniali, sono ormai prescritti e notori, sarebbe
un errore pensare al mito di Venezia nei termini di uno status raggiunto e quindi immutabile:
l’identità civica non cesserà mai di evolversi, e nella produzione editoriale ed artistica vedremo
riflettersi le diverse reazioni dei veneziani a vicissitudini via via nuove e rinnovate priorità socio-
politiche.
L’idillio sembra vacillare con la sconfitta di Agnadello, il 14 marzo del 1509. La Lega di Cambrai,
formatasi l’anno precedente, riesce a strappare a Venezia gran parte dei territori acquisiti in un
secolo d’espansione, e il nemico preme sulla Laguna. Ma Venezia si rialzerà velocemente e nei
primi decenni del secolo, come sancito nel 1530 dalla pace di Bologna, riconquisterà tutto. Mentre
le altre città italiane soccombono allo straniero e Roma soffre il sacco dei Lanzichenecchi, Venezia
esce dalla crisi rinvigorita e si profila sempre di più come roccaforte della libertà e meta privilegiata
per gli umanisti. Pietro Aretino la definirà «arca di Noè» trasferendovisi nel 1527. Ma la compagine
politica è cambiata: con l’incoronazione di Carlo V gli Asburgo acquisiscono di fatto il dominio del
territorio italiano e Venezia, accerchiata, deve rinunciare ai sogni d’espansione. Sarà in questo
periodo che opterà per quella linea di neutralità e diplomazia che la renderà nota per tutto e oltre il
XVI secolo. Il suo pacifismo, dettato inizialmente dalla necessità di riscattare la propria immagine,
sarà ideologia, vocazione ed orgoglio della Repubblica. Nei venti esemplari pervenutici della
celeberrima veduta prospettica di Jacopo de’ Barbari (Fig. 12), commissionata dal mercante tedesco
Anton Kolb nel 1497 e fino al XVIII secolo attribuita al Dürer, vediamo come il territorio
circostante sia parte integrante delle attività cittadine. La veduta è ripresa a volo d'uccello da sud:
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in primo piano emergono la Giudecca e l’isola di San Giorgio. Sullo sfondo, oltre le isole della
laguna settentrionale, si profilano le Prealpi con i passi montani che conducono ai mercati del nord,
indicati dalla dicitura «Seraval »; evidenziate sono poi le ville patrizie sul Brenta e l’Adriatico,
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passaggio obbligato delle rotte commerciali . Spiccano le architetture più rappresentative: l’area
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marciana, le basiliche dei Frari e dei SS. Giovanni e Paolo, il ghetto ebraico e le facciate dei palazzi
G. Fasoli, Nascita di un mito (Il mito di Venezia nella storiografia), in Studi storici in onore di G. Volpe, I, Firenze
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1958, p. 476
https://anticacorderiaverona.org/corderia/venetie-md-veduta-a-volo-d-uccello/
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https://correr.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/a-volo-duccello-jacopo-de-barberi-e-le-rappresentazioni-di-citta/
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2011/10/4294/jacopo-de-barberi-una-nota-biografica/
Forting-Brown 1991
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