4
INTRODUZIONE
Lo studio presentato in queste pagine si propone di indagare un periodo storico estremamente
dinamico dal punto di vista culturale, soggetto a impetuosi venti di cambiamento che
andavano disseminando le spore di un nuovo entusiasmo artistico. Dopo aver percorso tutto il
centro Europa, questa corrente supera finalmente il limite fisico delle alpi per essere avvertito
anche in quella parte d’Italia più prossima al confine.
Il fenomeno della Scapigliatura nasce negli anni successivi all’unità d’Italia e risente
intensamente del clima storico e culturale in cui si inserisce; un clima fatto di nuovi assetti
politici e tensioni sociali che indirizzeranno le scelte stilistiche nell’arte e nella scrittura di
prosa e poesia.
Il movimento può essere definito come una conseguenza letteraria scaturita da un incontro
che vede coinvolta una generazione di aspiranti artisti e scrittori, - mossi dal desiderio di
rinnovare e svecchiare le arti esercitate -, con i nuovi modelli letterari che andavano
affermandosi e diffondendosi nella letteratura europea, incline alla sperimentazione di
tematiche nuove e suggestive con le quali l’Italia, per una sorta di intorpidimento letterario,
ancora non si era confrontata.
Nella prima parte di questo lavoro si è tenterà di tracciare le caratteristiche peculiari del
momento storico e il suo riflesso nell’ambito culturale dell’Italia settentrionale, che si
dimostra attratto dalle frontiere artistiche raggiunte nella prosa e nella poesia europea.
La presa di coscienza di nuove inesplorate dimensioni artistiche, accresce negli scapigliati il
desiderio di mettersi al passo col resto degli ingegnosi scrittori stranieri, già da tempo esperti
nel trattare le nuove poetiche.
Un giudizio comune nei confronti di questo singolare fenomeno letterario e delle rispettive
personalità che lo animarono riguarda proprio il fatto che, per lungo tempo, gli scapigliati
siano stati considerati in maniera eccessivamente seria, fermandosi all’attenta valutazione di
quelle tematiche volte a scrutare le dinamiche sentimentali e intimistiche, che finivano per
rivelare uno stucchevole logorio dell’anima, retaggio di una cultura romantica di cui si era
ancora vittime compiaciute. Secondo un’altra prospettiva, l’eccesso di realismo e naturalismo
di derivazione francese sembra non voler lasciare alcuno spazio a quelle stesse divagazioni
5
sentimentali, prediligendo una descrizione sterilizzata della realtà, volta scrutare tra le pieghe
del quotidiano e portando alla luce storie minute in cui si raccoglievano i residui di vite
nascoste.
Romanzo intimo e romanzo sociale quindi, sono i risultati a cui si perviene con maggiore
frequenza, ma non gli unici. C’è anche il racconto, per essere precisi il racconto breve, quello
che in poche righe presenta la sintesi di un dire e un raccontare al quale, nel caso specifico di
Tarchetti, si accede tramite una doppia chiave di lettura, l’ironia e la dicotomia.
In questo contesto fatto di schermaglie culturali dai risvolti socio-politici, si aggira la figura
di Igino Ugo Tarchetti, anch’esso ben inserito nei ranghi scapigliati della Milano fin du
siècle. Un’analisi accurata della sua produzione letteraria ha permesso di penetrare a fondo
gli elementi che hanno caratterizzato i suoi risultati artistici, tenendo come punto di
riferimento le personali scelte di stile e di poetica dell’autore, che ben si allineano a quelle
sostenute dai suoi colleghi, anch’essi, come Tarchetti, legati al mondo dell’editoria che in
quegli anni ribolliva di novità.
La nostra attenzione è rivolta soprattutto al racconto umoristico e fantastico di Igino Tarchetti
nei quali è possibile individuare quella componente ironica che contraddistingue un certo tipo
di letteratura scapigliata.
È nell’estensione ridotta dei suoi racconti che si riescono meglio a districare i labirintici
giochi di riflessi e sdoppiamenti attraverso cui l’autore libera le sue stravaganti invenzioni
letterarie, tutte protese verso una doppiezza in bilico tra il reale e l’illusione.
Si pensa all’ironia come ad un voler dissimulare dietro la falsa riga di ciò che viene scritto un
gioco di illusione e verità, creando storie che potrebbero non esserci, e forse realmente non ci
sono, che però godono di un’esistenza arrangiata, costantemente in bilico tra il dentro e il
fuori, tra quello che si vuole far trapelare e quello che concretamente, nei limiti della pagina,
succede.
Un gioco di ambivalenze si coglie nelle pagine del Tarchetti, personalità vaga e inquieta,
vittima di un tempo troppo breve, che non gli ha permesso di esaurire tutto quello che aveva
da raccontare, prima che a un pubblico, a se stesso, soprattutto quando lo scrivere viene
considerato, come nel suo caso, processo conoscitivo volto ad indagare e rivelare le
profondità del proprio inconscio.
La sua precoce scomparsa contribuisce a maturare una certa idea sulla personalità artistica
dell’autore che agli occhi dei suoi compagni d’inchiostro, si presentava con i lineamenti di:
6
[...] un genio sventurato, e il suo nome è tramontato così rapido, come l’astro precoce
della sera; la sua vita, simile a meteora luminosa, irradiò e si spense a breve ora. Quattro
o cinque anni di vita letteraria bastarono perché egli lasciasse fama di valoroso scrittore.
1
L’immagine e la fisionomia tarchettiana ebbero un notevole impatto su chi avrebbe tenuto per
ancora un po’ di anni le redini del movimento scapigliato, al punto da considerarlo una delle
personalità che meglio aveva incarnato lo spirito del suo tempo, trasportando sulla pagina
quel gioco di inquietudini e di costanti rimandi alla sua personale esistenza.
In ogni personaggio dei suoi racconti, oltre al romanzo palesemente autobiografico di Fosca,
Tarchetti lascia una traccia del suo essere, della sua indole inquieta e curiosa, e lo fa con una
particolare volontà dall’essenza contraddittoria: a volte l’autore sembra volersi rivelare
tramite i suoi personaggi, tal’altre sembra voglia nascondersi dietro la loro maschera, come
per tutelarsi, usando anche ricercati espedienti stilistici, come in quei racconti che nascono
partendo dalla trascrizione di manoscritti e lettere ritrovate, appartenenti a personaggi distinti
solo dal proprio nome, e attraverso cui riporta una storia che vuole narrare, ma dalla quale,
allo stesso tempo, attribuendo la vicenda ad altri, sembra volerne prendere le distanze.
È un ricercato effetto stilistico attraverso il quale si rende presente il dualismo che
caratterizza l’evolversi delle vicende narrate, di fronte alle quali il lettore rimane incastrato,
non riuscendo a liberarsi dai mille nodi invisibili in cui si chiude la sua pagina; e l’autore,
scegliendo di raccontare storie e avvenimenti che rivelano duplici e quanto meno strani
risvolti cade nell’imbroglio della sua stessa trama, dalla quale spesso si scioglie mediante
stratagemmi letterari poco ortodossi.
2
Ci troviamo di fronte a storie poco estese ma articolatissime, dove ogni dettaglio non occupa
mai un posto a caso. Sono contenuti episodi che si muovono ondeggiando sul filo della
verosimiglianza in grado, in base al libero arbitrio creativo dello scrittore, di pendere o verso
una verità reale e concreta oppure, come nella maggior parte delle storie narrate, cedere del
tutto ad una verità diversa, interiore e determinante, e non percepita e controllata, se non
vagamente, dalla coscienza di chi scrive. L’arbitrarietà delle preferenze operate dal Tarchetti
diventa un’ulteriore spia che ci permette di intuire come l’autore sia totalmente catturato
dall’azione dello scrivere e lo dimostra il suo elaborare convulsivo che lo invade, quasi come
un’estasi, negli anni più prossimi alla sua dipartita.
1
C. Catanzaro,Cari estinti, (Bozzetti letterari), Firenze, Tip. del Vocabolario, 1873, p. 35.
2
Avremo modo di notare in seguito all’analisi dei racconti di Tarchetti qui prospettata, come spesso l’autore
interrompa bruscamente l’ordine logico della narrazione, concludendo in maniera forzata e approssimata l’iter
della vicenda, improvvisamente interrotta e ricondotta alla sua fine senza specificarne tutti i dovuti passaggi.
7
Tracciare il profilo della personalità artistica del Tarchetti attraverso la ricerca dell’elemento
ironico e il gioco di ambivalenze che si annidano nelle trame dei suoi racconti, è l’obiettivo
mirato di questo studio, con il quale di riflesso, cercheremo di delineare anche le motivazioni
che sono alla base delle sue scelte di stile.
L’analisi dei suoi racconti si confonde col sentiero che il nostro sguardo traccia sulla pagina
alla ricerca dell’elemento che stride; come una corda di violino troppo tesa che, vibrando
sotto l’archetto, infastidisce, ma libera note distorte capaci di garantire l’esistenza di suoni
tanto insoliti quanto intensi.
Come il violino stonato di Gubart.
8
I CAPITOLO
I.1 La Scapigliatura. Il riverbero socio - culturale del fenomeno. Le considerazioni
linguistiche.
Durante la seconda metà del diciannovesimo secolo, la città di Milano, forte della sua felice
posizione geografica, si affaccia sul panorama europeo come una primadonna, ammaliando con
il suo fascino metropolitano le giovani risorse intellettuali provenienti dalle province del nuovo
Regno d’Italia, pronta a raccogliere i venti culturali che percorrono questi anni soggetti a
numerosi cambiamenti.
La città si adatta ai fervori del tempo. Diventa anch’essa la culla da cui cominceranno a vagire
nuove correnti artistiche e letterarie insieme a filosofie di pensiero che da questo epicentro
italiano avranno modo di irradiarsi, fino a compenetrare dimensioni culturali ancora poco
esplorate.
Dopo la ripresa dai moti rivoluzionari della calda estate del 1830 e le cinque giornate del ‘48,
persa ormai quella centralità politica e amministrativa che deteneva prima di sottoporsi alla
serrata piemontizzazione del paese, la città cambia volto e lo modella guardando al profilo delle
capitali d’Europa.
3
Milano diventa una nuova Parigi lombarda capace di proiettarsi nel vivace contesto culturale
europeo, portavoce di una nuova nazione che vuole allinearsi alle sue già affermate consorelle
come moderna capitale, aggiornata sui movimenti culturali che stavano determinando
cambiamenti nella mentalità borghese con forza sempre maggiore.
Si realizzano le grandi opere pubbliche che definiscono la fisionomia della città moderna,
lasciandosi persuadere dai ritmi frenetici dell’urbanizzazione violenta e impetuosa, con risultati a
3
Nel 1830 in Europa vi furono nuove rivoluzioni. Mentre le società segrete iniziavano a estinguersi, la coscienza
delle cause patriottiche si estese sempre più nell'opinione pubblica, trasformando quelle che prima erano rivolte di
alcune elìte intellettuali in rivolte popolari vere e proprie. Con le Cinque giornate di Milano si indica uno dei
maggiori episodi della storia Risorgimentale italiana del XIX secolo. Quasi contemporaneamente ai moti popolari
del 1848 che si sollevarono nel Regno Lombardo Veneto, insorgeva, il 18 marzo di quell'anno la città di Milano: fu,
questo, il primo episodio a testimonianza dell'efficacia dell'iniziativa popolare che, guidata da uomini consapevoli
degli obiettivi della lotta, poteva rivelarsi in grado di influenzare le decisioni dello stesso Re di Sardegna. La città
allora era capitale del Regno Lombardo Veneto, parte dell'Impero Austriaco. La dominazione austriaca era dura, e
finalizzata soprattutto a spremere il più possibile finanziariamente quella che era la parte più prospera e sviluppata
dell'Impero. Da qui il malcontento della popolazione, ed il desiderio di liberarsi dal giogo per partecipare alla
costruzione di una nazione italiana libera ed indipendente.
9
volte devastanti, - come l’abbattimento di antichi edifici e quartieri - per fare spazio alle nuove
architetture. Contemporaneamente si adatta ai meccanismi commerciali e industriali che già
avevano preso piede nel resto dell’Europa e che faranno di Milano una nuova capitale pronta a
vendersi alle speculazioni edilizie e morali a discapito di quell’equilibrio sociale già precario e
sempre più sensibile ai sentori di ribalta.
Nonostante i primi entusiasmi, la nascita della società post-unitaria è attraversata da una
profonda crisi culturale che viene impressa sulle pagine di quanto viene pubblicato in questi
anni. Attraverso racconti, romanzi, articoli di giornale viene manifestato un disagio intellettuale
che si protrarrà per tutta la seconda metà dell’ottocento. L’epopea risorgimentale si chiude
vittoriosa, ma lascerà l’amaro nella bocca di chi sperava di trovarsi di fronte anche ad un altro
tipo di dimensione unitaria dopo i conflitti sociali, le insurrezioni e le propagande catartiche che
avevano inneggiato una libertà per la quale tanto sangue era stato versato.
La coscienza intellettuale della nuova nazione comincia a prendere atto della crisi culturale in cui
versa e presente l’impossibilità di indirizzare la crescita del paese sulla linea di un’unità
culturale. Il contesto storico e sociale viene indagato dalle nuove leve intellettuali che per prime
avvertono la discrepanza che esiste tra la realtà siffatta e l’idea di una realtà che sembrava così
prossima e che si preferì abortire. Quanto si era fin’allora realizzato corrispondeva solo al
bozzetto deforme di ciò che si era sognato negli anni in cui tutto doveva ancora succedere, non
essendoci una concreta corrispondenza tra quanto propugnavano gli ideali liberali ottocenteschi e
il contesto in cui cominciava a predisporsi un’Italia che aveva legittimato la sua unità solo
formalmente.
Un sentimento d’insoddisfazione comincia a diffondersi tanto nei salotti borghesi cittadini
quanto nelle dimensioni più provinciali, che risentono l’eco della voce di un comune dissenso,
futuro elemento di coesione alla base del movimento artistico e letterario della Scapigliatura.
In questa corrente culturale confluiscono le aspirazioni di una generazione di giovani inquieti,
incapace di adattarsi alle soffocanti conformità sociali e culturali. Dalla penna si libera l’ingegno
di queste personalità ribelli, strette in una morsa dalla quale rifuggono manifestando ripugnanza
per tutto ciò che è convenzionale e metodico, anche nelle lettere, rivolgendo lo sguardo più in là,
oltre il confine alpino, per confrontarsi con modelli letterari stranieri e nuove tematiche estranee
alla tradizione italiana, ormai accomodatasi sugli allori manzoniani.
Sono versatili personalità che manifestano un vivace disapprovazione nei confronti della realtà
da cui provengono e dalla quale cercano di svincolarsi. Appartengono ad una cerchia di
intellettuali di estrazione più o meno borghese e ricadono sotto il simpatico nome di scapigliati,
nome che tradisce un senso di irriverenza nei confronti del costume e della tradizione di un’Italia
10
nata vecchia, pronta ad incanalare quanto di propositivo suggeriva il momento storico in nuovi
rigidi canoni.
Il fenomeno Scapigliatura nasce tra Milano e Torino negli anni sessanta e settanta e prende il
nome da un’opera di Cletto Arrighi, Gli ultimi coriandoli (Milano, 1857), per poi trovare più
specifica contestualizzazione in La scapigliatura e il 6 febbraio, in cui lo stesso autore definisce
gli scapigliati come una sorta di sottospecie cittadina che si muove guardinga nelle strade
irregolari della città, per ritrovarsi in qualche oracolare bettola con i propri simili:
In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui di
ambo i sessi fra i venti e i trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più
avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle alpi; pronti al bene quanto al male;
irrequieti, travagliati, ... turbolenti – i quali – o per certe contraddizioni terribili fra la loro
condizione e il loro stato – vale a dire, fra ciò che hanno in testa e ciò che hanno in tasca – o
per certe influenze sociali da cui sono trascinati – o anche solo per una certa particolare
maniera eccentrica e disordinata di vivere - o, infine, per mille altre cause, e mille altri
effetti, il cui studio formerà appunto lo scopo o la morale del mio nuovo romanzo – meritano
di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale,
come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte le altre.
Questa casta o classe - che sarà meglio detto – vero pandemonio del secolo;
personificazione della follia che sta fuori dai manicomi; serbatoio del disordine della
imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini prestabiliti – io l’ho
chiamata appunto la Scapigliatura.
4
La Scapigliatura rileva la sua natura polivalente nella Milano fin du siècle, soprattutto per le
sfere artistiche che coinvolge. Non solo la penna, ma anche il pennello e la musica diventano
strumenti attraverso i quali prendono forma espressioni e visioni artistiche che finiranno per
identificarsi in questo movimento ed essere corredate dall’aggettivo scapigliato.
5
Il significato della Scapigliatura viene recuperato nella prospettiva sociale e politica e viene
valutato nelle sue implicazioni all’interno di un contesto fatto di tensioni eversive, capaci di
imprimere nell’Italietta dell’ufficialità post-unitaria una forte scossa a partire dalla prima
4
Cletto Arrighi, La scapigliatura e il 6 febbraio, Mursia, Milano, 1988, introduzione al testo, p. 27.
5
Giovanna Scarsi, Scapigliatura e novecento. Poesia, Pittura, Musica, Nuova Universale Studium, Roma, 1979, pp.
258. In quest’opera consultata l’autrice cerca di esporre un’organica trattazione sulle affinità che esistono fra le arti e
la Scapigliatura, dandone una visione complessiva che abbraccia anche i primi decenni del ventesimo secolo,
coinvolgendo avanguardie e poetiche decadenti.
11
esperienza milanese. Arrighi con la sua definizione propone una caratterizzazione psicologica e
sociologica delle personalità che convergono in questo movimento cittadino. Sono pittori,
scrittori e musicisti d’ogni sorta, accomunati da un atteggiamento anticonformista, d’opposizione
ai modelli di vita borghese - da cui paradossalmente molti di essi provengono -, e alle forme
artistiche dominanti.
Testimoni insoddisfatti di questa stagione di passaggio, gli scapigliati tentano di dare una svolta
a quel mondo intellettuale in cui si sentono inseriti, ancorandosi non solo alle esperienze
letterarie che stavano maturando in Europa, e non ancora sperimentate in Italia, ma anche
modificandone gli strumenti attraverso un radicale rinnovamento del linguaggio, capace di dar
voce alle intuizioni soggettive.
Nei ritmi convulsi del mondo urbano e industriale, il movimento si presenta nelle sue vesti
disordinate e sciatto nelle espressioni, costantemente soggette a nuove sperimentazioni.
In questi anni in Italia prende piede una capillare politica linguistica con la quale si cerca di
tracciare i confini geografici della lingua italiana. Lo stesso Manzoni, tanto avversato dalla
nuova generazione intellettuale, affrontò la questione della lingua a partire dalle sue personali
esigenze di romanziere, adeguandola ad un ideale di lingua corrispondente al fiorentino d’uso
colto, purificato da affettazioni locali e espressioni letterarie dal sapore arcaico. Al contrario, gli
scapigliati seguiranno la linea del mistilinguismo, anticipando in maniera più o meno volontaria
l’espressionismo linguistico otto - novecentesco.
6
Con gli scapigliati riemerge la questione della lingua con un volto differente da quello che il
Manzoni aveva cominciato a delineare. La toscanità immaginata dall’autore dei Promessi sposi
non poteva realizzarsi dal momento che alcune espressioni dialettali erano ormai già felicemente
inserite nei dialoghi del parlare quotidiano. Emerge la necessità di trovare dei procedimenti
linguistici appropriati ai caratteri e alle classi sociali dei personaggi di cui si andavano narrando
le vicende, ricorrendo a forme idiomatiche gergali, perdendosi in sperimentazioni linguistiche, in
compositi impasti stilistici, anticipando sulla pagina scelte che saranno ricorrenti nella successiva
letteratura decadente e d’avanguardia. Questo intervento spontaneo sulla lingua è dovuto al fatto
che la parola di cui si dispone diventa debole e il linguaggio tradizionale viene considerato
inadeguato per esprimere le nuove realtà. Dal momento che le certezze oggettive sono sfumate,
occorre trovare ad esse una valida alternativa che conduce gli scapigliati a rompere la prigione
dei significati, prediligendo il carattere evocativo della parola capace di giustificare anche le
interferenze fra le arti, superando i limiti espressivi delle medesime.
6
Per un’indagine più approfondita sull’argomento si rinvia al testo di Claudio Marazzini, Breve storia della lingua
italiana, Il mulino, Bologna, 2004, pp. 175-184, in cui si analizza la soluzione manzoniana alla questione della
lingua e, a seguire, gli effetti linguistici dell’unità politica.
12
Al linguaggio viene dunque affidato il compito di
[…] tradurre in arte, con mutuo scambio di strumenti e tecniche espressive la condizione di
disagio etico sociale e di protesta contro l’Italia ufficiale.
7
Cosi Giovanna Scarsi argomenta nella parte introduttiva della sua opera il dibattito linguistico e
filologico che la Scapigliatura era stata in grado di accendere in questi anni. Il fenomeno, pur
mantenendosi in una posizione marginale, non è rimasto privo di significato soprattutto in quei
contesti in cui l’arte e la letteratura sono ancora considerate appannaggio di pochi. Il contesto
culturale invita ad azioni concrete ed a radicali modifiche, per gli scapigliati la lingua fu il primo
campo d’azione su cui esercitarsi e su cui riflettere la propria ideologia antiborghese.
L’intervento linguistico viene intrapreso con la consapevolezza che il contesto reale soggetto a
costanti sollecitazioni e dibattuto su molteplici fronti dalle coscienze critiche, poteva essere
tradotto in una volontà artistica e contestualizzato sulla pagina attraverso un linguaggio
dirompente e disarticolato, distante dal modello linguistico manzoniano.
Eppure la presenza del Manzoni diventa fondamentale proprio per le nuove prese di posizione
linguistiche degli scapigliati. Le scelte linguistiche del Manzoni diventano il modello di una
lingua di partenza da cui distanziarsi gradualmente. Sempre la Scarsi continua dicendo che la
vera opposizione al Manzoni non è rispetto la componente realistica che contrariamente viene
elogiata e ammirata, soprattutto da quella scapigliatura piemontese che vede in Camerana il più
attivo sostenitore del modello linguistico manzoniano, considerato capace di esprimere la poetica
del vero con chiarezza e intensità. I motivi sono di scuola e di stile, e fare il conto con Manzoni
significava mettersi alla ricerca di alternative stilistiche risolutive che gli scapigliati non
sarebbero stati in grado di formulare in maniera concreta se non avessero avuto un polo da
avversare.
8
Manzoni diventa anche promotore di un’attenzione letteraria nei confronti delle
vicende reali, in grado di motivare il realismo scapigliato perseguito dai suoi epigoni, prima di
cedere all’infatuazione zoliana, che predispone sulla linea di un realismo meno sentimentale e
volto a respingere ogni preoccupazione stilistica capace di distrarre l’artista dal suo vero scopo,
rappresentare la vita in tutte le sue manifestazioni.
9
7
G. Scarsi, Op. cit., p. 40.
8
Ivi, p. 56.
9
G. Mariani, Storia della scapigliatura, Salvatore Sciascia, Roma - Caltanissetta, 1967, pp. 906; cit. p.89 «era sua
(di Emilio Praga) ferma convinzione che proprio dallo studio e dall’approfondimento dell’opera del Maestro
potessero nascere nuove suggestioni e nuovi stimoli per tutti coloro che sognavano una poesia più aderente alla
13
L’esempio manzoniano funge da spartiacque in grado di dividere da un lato le volontà artistiche
predisposte verso l’esigenza di una scrittura che si muovesse in direzione realistica e capace di
esprimere la presa di coscienza del nuovo contesto sociale e culturale in maniera lucida e
concreta; dall’altro andava stimolando una volontà innovatrice protesa verso il tentativo di
sprovincializzare una letteratura sempre più stantia per mettersi al passo con le altre nazioni.
In questo dualismo tematico si muove il fenomeno letterario e artistico della Scapigliatura, un
dualismo da cui non si libererà facilmente, ma con cui dovrà convivere senza risolversi, laddove,
di fronte all’esigenza del reale fortemente ricercata e sentita, si contrappone l’incapacità di
esprimerla se non attingendo al mondo dell’irrazionale, alimentando una poetica del paradosso.
I.2 Il tipo scapigliato tra riveste e nuovi modelli letterari.
Questo periodo di transizione è animato da personalità intellettuali provenienti da un contesto
provinciale e trasferitesi a Milano proprio quando la città stava cominciando la sua conversione
cittadina in una realtà capitale. Fin dal loro primo insediamento gli scapigliati manifestano un
sentito disagio nei confronti delle nuove strutture borghesi mentali e sociali.
L’atteggiamento di fondo del movimento era quello di un ribellismo anarcoide che, partendo un
rifiuto moraleggiante dell’ipocrisia annidata nel campo della retorica e del linguaggio poetico, si
lasciava coinvolgere dai problemi politici e sociali nella propaganda culturale divulgata
soprattutto mediante le numerose riviste indipendenti che prolificano in questo periodo. Lo
strumento mediatico diventa il terreno sul quale si riversano le discussioni critiche estese sul
piano ideologico e politico, dalle quali era possibile cogliere i sintomi di un socialismo populista
venato d’anarchia.
Nelle riviste traboccano l’impegno sociale e il dibattito letterario, che invitano non solo ad una
sensibilizzazione delle coscienze, ma puntano ad un’azione concreta con l’intento di distendere
le pieghe in cui si stava increspando il volto del paese.
In terra piemontese questo tipo di periodici assumono toni meno eversivi, puntando alla
diffusione dei valori morali tramite una letteratura scritta con l’intento di educare al bene il
realtà, un’arte meno legata ai vecchi schemi tradizionali»; per poi riprendere il punto di vista di quell’umanità
scapigliata che, cit. p. 617, «risentita e sconvolta, rifiuta ormai letterariamente le viete forme dell’epigonismo
manzoniano per esprimersi in quelle del socialismo zoliano denunciatario e ribelle, scapigliato e “perduto”, che dalle
bordate della letteratura degli umili cara alla scuola manzoniana passerà all’attacco diretto del Manzoni».
14
popolo, considerato come laborioso modello di virtù che può essere indirizzato alla morale e
allontanato dalle retoriche decadenti che stavano invadendo i contesti culturali.
10
Dal Piemonte giunge quindi una voce apparentemente discordante con il resto del coro
scapigliato. Più moderate nell’esternare le loro volontà, riviste come «Il velocipede» o la «Dante
Alighieri» inneggiano a una reazione mite e posata, finalizzata a screditare i vaneggiamenti
ribellistici dell’ultima ora per indagare realisticamente il quotidiano e fare del dibattito letterario
culturale che andavano animando, lo strumento mediante il quale sarebbe stato possibile
rinnovare, tramite la letteratura, i valori sociali e morali.
Nella capitale lombarda invece l’esemplare rivista «Cronaca grigia» di Arrighi mette da parte le
prime schermaglie letterarie per volgere la propria battaglia sul fronte sociale e politico
intonando polemiche populiste volte a documentare le storie della Milano meno conosciuta,
mettendo sulla pagina
[…] il mondo dei perduti, […] cioè degli sbandati e dei disadattati che non accettano la
soluzione moderata e si agitano in un fermento eversivo, in cui sono le premesse di quel
socialismo contestatario contro il sistema, tutto lombardo. […] Anzi, nello svolgimento di
tale dibattito è facile cogliere le linee di una letteratura socialisteggiante, sia pure dalle
aspirazioni e dai programmi confusi.
11
Le ideologie che sono alla base delle prime pose scapigliate si dissolvono nelle loro pagine
confuse dove, - sviluppato il primo intento di carattere sociale e politico -, l’aspetto che sembra
mantenersi più vivo nella sua permanenza sulla pagina letteraria, pur presentandosi in maniera
assai disordinata, è la ricerca della novità, del motivo psicologicamente oscuro e nascosto nelle
profondità umane analizzate perseguendo indagini ossessive e precise, subendo la suggestione
dei modelli stranieri, sentendosi vicini a quei francesi maledetti che meglio ne avevano incarnato
lo spirito.
12
10
G. Mariani, Op. cit., p. 63, «Voglio insomma dire che da una parte c’era Arrighi con la sfrenata violenza
antiborghese della sua Cronaca grigia e dall’altra c’erano Praga e Boito con la consapevole – anche se
contraddittoria e bruciante – strutturazione della loro polemica quale andava definendosi sulle colonne del Figaro:
una polemica anch’essa violenta, antiborghese ma sorretta da ragioni critiche e non soltanto da un marcato
estremismo ideale».
11
G. Scarsi, Op. cit., p. 30.
12
Per un approfondimento sulle tematiche prese in considerazione dal movimento della Scapigliatura si suggerisce
la lettura del capitolo introduttivo dal titolo Le tendenze della Scapigliatura e la poesia fra tardo – romanticismo e
realismo, pp. 5 – 92, in L. Bolzoni - M. Tedeschi (a cura di), Dalla Scapigliatura al Verismo, Letteratura Italiana
Laterza, Roma – Bari, 1978.