INTRODUZIONE
plus complexes»
2
. Il gesto di Commynes si inserisce, infatti, nel quadro più
ampio di una «mobilité sociale de plus en plus grande»
3
, caratteristica
dell’universo politico europeo di fine ‘400 e come tale non «giudicabile»
sulla base di criteri tipici di un patriottismo o di un nazionalismo,
decisamente più tardo. Quel particolare atto solleva tuttavia almeno due
ordini di problemi. In primo luogo è necessario domandarsi in che modo
esso potesse essere qualificato giuridicamente nel XV secolo ed in
particolare se si trattava realmente di un tradimento. Certamente, scrive
Blanchard, Commynes è «le vassal de Charles; mais le Témeraire est lui-
même le vassal d’un suzerain, le roi de France»
4
. Benché al tempo la morale
feudale avesse già subito e ancora subisse continue lacerazioni, la ribellione
del proprio signore contro il re implicava ancora che il vassallo si sentisse
autorizzato a seguire il signore supremo, in questo caso il re di Francia. È
dunque all’interno di questa gerarchia di fedeltà che trova una sua
legittimità il gesto di Commynes. In secondo luogo restano da sondare le
circostanze nelle quali si svolge l’azione. Tra gli uomini di Luigi XI non è
infrequente ritrovare un buon numero di transfughi, sia provenienti dal
ducato di Borgogna, sia dalla Bretagna, come afferma Commynes nello
stesso luogo in cui discute del suo gesto
5
. Insieme a Commynes, il re aveva
accolto anche la maggior parte dei servitori del duca di Guyenne e tra gli
altri Odet d’Aydie, signore di Lescun, al quale i Mémoires riservano uno dei
ritratti politici più riusciti. Ciò fu dovuto soprattutto alla “campagna” messa
2
J. BLANCHARD, Commynes l’européen: l’invention du politique, Genève, Droz, 1996, p.
30.
3
ID., Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, Introduction, édition, notes et
index de J. Blanchard, Paris, Le livre de poche (Lettres gothiques), 2001, pp. 7-82: p. 9.
4
Ibid., p. 10.
5
Cfr. PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, édités par Joseph Calmette avec la
collaboration du G.Durville, Paris, Belles Lettres, 1964-1965, pp. 240-241.
6
INTRODUZIONE
in atto dal sovrano alla fine di «gagner les hommes du parti ennemi»
6
, sulla
quale Commynes si dilunga nel celebre ritratto di Luigi XI
7
. L’idea che
anima questi transfughi non è tanto legata a uno spirito di sottomissione e,
benché fondata giuridicamente, neppure è legata unicamente al dovere di far
ritorno al proprio “signore naturale”. Secondo Blanchard «s’ils vont vers le
roi, c’est parce qu’ils vont ‘s’arranger’ avec lui»
8
. Il loro intento era,
dunque, di stabilire un “contratto” che sancisse un rapporto tra le due parti
«solennel et sacré»
9
, come testimonierebbero i primi contatti intrapresi da
Luigi XI con Commyes fin dal 1468 a Péronne.
Sarà soprattutto il ritratto di Luigi XI e la raccolta di testimonianze
intorno alla regalità francese, a divenire, subito dopo le prime stampe, un
vero e proprio modello per la storiografia politica. Si tratta di un ritratto,
lontano dall’agiografia, che pone in risalto i vizi e finisce per esaltare i pregi
del biografato, ma che soprattutto parte dalle osservazioni di quanto l’autore
poteva conoscere per sua informazione diretta, affermando espressamente
che per il resto andavano interrogati altri «che avevano preso parte»
10
. Paolo
Carta afferma che con i Mémoires si assiste, dunque, al «passaggio da una
storiografia della corte a una storiografia dalla corte; ove la corte costituisce
il luogo privilegiato da cui narrare la storia politica»
11
.
Il carattere probatorio della testimonianza diretta e dell’esperienza
delinea il “metodo” storico di Commynes. Benché si cerchi d’indagare sulla
6
J. BLANCHARD, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, cit., pp. 7-82: p. 10.
7
Cfr. PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., pp. 67-68.
8
J. BLANCHARD, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, cit., p. 11.
9
Ibidem.
10
Cfr. PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., pp. 1-3.
11
P. CARTA, COMMYNES PHILIPPE DE, Mémoires, introduction, édition, notes et index de J.
Blanchard, avec la collaboration de M. Quereuil pour le glossaire, Paris, Le Livre de
Poche, 2001, p. 896, cit., p. 109.
7
INTRODUZIONE
«culture d’un ‘non lettré’»
12
, tentando di sgomberare il campo
dall’immagine di un Commynes «sans culture», nell’ambito della fortuna
dell’opera – cui contribuirono, tra gli altri, Bodin, Gentillet, Lipsio,
Guicciardini, Giovio – fu proprio l’assenza di una cultura umanistica
dell’autore a destare la fervida ammirazione nel pubblico dei suoi lettori.
Anche un nunzio apostolico, come il cremonese giurisperito Cesare
Speciano, richiama il Commynes quale uomo savio e prudente. Ciò avviene
non a caso in quanto, afferma Carta, «L’ignoranza delle lettere e della
scienza diviene motivo di ammirazione, poiché ne risulta accresciuto il
valore acquisito per il solo tramite dell’esperienza»
13
. Stando a Lipsio, la cui
opinione fu largamente condivisa e riproposta lungo tutto il ‘500, i
Mémoires andavano letti come un compendio di politica fondato sulla viva
esperienza dell’autore. Philippe de Commynes, degno di essere accostato ai
migliori storici dell’antichità, aveva scritto i suoi Mémoires al modo di
Polibio, penetrando gli arcani della politica con rara maestria e distillando, a
beneficio del lettore, precetti e ammaestramenti di singolare utilità pratica. Il
fatto che Commynes mai avesse letto Polibio o altri storici antichi, scriveva
Lipsio, contribuiva ad accrescere il valore dei Mémoires e il merito del suo
autore per aver condotto tale impresa solamente con l’esperienza e con una
certa bontà di giudizio. Fin dalla loro prima circolazione a stampa, i
Mémoires si presentarono come un nuovo modello di scrittura politica. Ciò
che più colpiva, come testimonia il giudizio di Lipsio, era la «scienza» di
Commynes, improntata sul buon senso per gli affari politici ed, in assoluto,
12
J. BLANCHARD, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, cit., pp. 29-33.
13
P. CARTA, Ricordi politici. Le «Proposizioni civili» di Cesare Speciano e il pensiero
politico del XVI secolo, XXXVII (Università degli Studi di Trento - Dipartimento di
scienze giuridiche), Trento, 2003, pp. 25-26.
8
INTRODUZIONE
la più difficile da imparare
14
. Il memorialista magnificava questa scienza nel
ritratto di Luigi XI
15
, dando così il via a un dibattito sull’esemplarità della
storia antica in relazione alla concreta esperienza del presente, tanto caro
alla storiografia e alla trattatistica politica del primo ‘500. I Mémoires,
scrive Carta, «rilevarono al lettore le potenzialità dell’esperienza
diplomatica per la comprensione della realtà politica e l’impossibilità di
circoscrivere la varietà di quest’ultima nei soli casi ricondotti alla memoria
dai libri di storia»
16
. È attraverso l’attività diplomatica che nel XV e XVI
secolo si conosce il mondo: per il tramite degli ambasciatori si conoscono
altri re e altri principi che non è possibile incontrare personalmente ed,
inoltre, dalle lettere e dalle istruzioni, scrive Commynes, si può essere
abbastanza informati sulla loro natura e sulle loro qualità. Particolarmente
nei libri VII e VIII dei Mémoires, il lettore potrà apprezzare l’esperienza
diplomatica di Commynes nella penisola italiana, al fianco di Carlo VIII.
Tuttavia, nota Carta, è soprattutto il tono delle sentenze, con le quali
Commynes introduce le sue memorie, ad avvicinare la sua opera ai più
celebri testi politici rinascimentali
17
. Si veda ad esempio l’esordio
machiavelliano o, se si vuole, guicciardiniano, del capitolo 6 nel secondo
libro: «Grant follie est à ung prince de se soubmettre à la puissance d’un
autre, par especial quant ilz sont en guerre, ou ilz ont esté»
18
.
14
Cfr. ID., COMMYNES PHILIPPE DE, Mémoires, introduction, édition, notes et index de J.
Blanchard, avec la collaboration de M. Quereuil pour le glossaire, Paris, Le Livre de
Poche, 2001, p. 896, cit., p. 109.
15
Cfr. PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., pp. 128-129.
16
P. CARTA, COMMYNES PHILIPPE DE, Mémoires, introduction, édition, notes et index de J.
Blanchard, avec la collaboration de M. Quereuil pour le glossaire, Paris, Le Livre de
Poche, 2001, p. 896, cit., p. 109.
17
Cfr. ibid., p. 110.
18
PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., p. 128.
9
INTRODUZIONE
Alla narrazione dei fatti si alternano, infatti, frequenti digressioni dove
Commynes dà degli avvertimenti politici, facendo dell’opera una sorta di
“breviario politico” ad uso dei diplomatici e dei principi. Distinguendosi
profondamente dai cronisti francesi di epoca precedente e dai suoi
contemporanei, il Commynes è l’uomo politico che trae le osservazioni
dalla realtà cercando di indicare ai futuri principi e soprattutto ai futuri
uomini di governo quelle regole di condotta che egli aveva individuato sulla
base della propria esperienza. Per l’autore, la buona riuscita di un principe
passa attraverso l’umiltà, la diffidenza e il timore. Al fine di riuscire in
politica è necessario mostrarsi umili di fronte all’avversario. Ciò equivale ad
accecare il nemico poiché si ha modo di conoscerlo meglio e di ridurlo
all’impotenza. Non si trionfa sui nemici che intuendo i loro desideri
profondi e lusingando il loro amor proprio e i loro segreti istinti, come fa
Luigi XI che, come afferma il Commynes, sa essere compiacente con coloro
di cui ha bisogno. È necessario poi essere bene informati, imparare gli
insegnamenti che si possono trarre dall’esperienza e disporre di numerosi
consiglieri, nella cui scelta occorre essere molto lucidi, come nella
valutazione delle proprie forze e delle conseguenze delle proprie azioni. Il
pericoloso universo della politica impone inoltre di dissimulare i propri
sentimenti e il proprio agire di fronte agli altri. Non bisogna scambiare
l’apparenza con la realtà, ma bisogna saper sfruttare le apparenze. L’attività
del sovrano deve essere costante su un gran numero di palcoscenici, e
l’iniziativa continuamente mantenuta, come fa Luigi XI alla fine della sua
vita. Inoltre bisogna riuscire e a tal scopo conviene sacrificare l’accessorio
all’essenziale, senza lasciarsi frenare da nessuna considerazione di dignità,
giustizia, gratitudine, promessa, pietà. In conclusione, il sovrano deve
possedere tanta virtù e forza di carattere quanto senso acuto della realtà.
Ed è attenendosi fedelmente alla realtà che Commynes ha narrato
senza pretese stilistiche, ma con uno stile incisivo, soltanto le cose viste, le
battaglie, le città, ed ha parlato degli uomini, dei popoli che ha avuto agio di
10
INTRODUZIONE
conoscere e di scrutare, interrompendo il suo discorso con osservazioni
sempre acute e opportune, morali o politiche. Egli ha capito, per esempio,
che la guerra è il grande male del tempo suo e che essa non è una soluzione,
come pure vede il declino della fede religiosa; ad un’età che ha perduto i
suoi ideali, bisogna pertanto sostituire altre regole pratiche di vita:
compromessi, negoziati, equilibri di forze. Nemico del potere dispotico, a
più riprese si pronuncia a favore di una monarchia coadiuvata nel governo
dall’opera degli Stati Generali e dà la preferenza al governo inglese.
Moralista di una morale pratica benché non privo di un senso di simpatia e
di pietà per gli umili e i poveri, trae dalle massime politiche insegnamento
più universale di saggezza umana. Inoltre, credente cattolico, attribuisce a
Dio le forze inesplicabili che vengono a mutare gli avvenimenti, nonostante
tutte le previsioni e i piani dell’intelligenza umana. Nella visione storica del
Commynes, quindi, signoreggia pur sempre, come in quella degli storici e
cronisti medievali, la volontà divina, ma l’oggetto specifico del suo
interesse è l’uomo e il mondo umano della politica, veduti e raffigurati
senza illusioni ed idealizzazioni con una obiettività che mira a cogliere
uomini ed eventi senza astratte tipizzazioni o mistificazioni. Sono ad un
tempo le memorie di un politico, ricco di consumata esperienza umana e di
una persona che ha sentito come poche, alle soglie dell’età moderna, i
problemi e i valori della politica; di uno storico di singolare acutezza e
maturità di giudizio, capace di intendere i grandi problemi ed eventi del suo
tempo e di valutarne la genesi e i riflessi, prossimi o remoti. Il giudizio che
egli ha recato su di loro e, in particolare, sulla lotta tra Luigi XI e Carlo il
Temerario, sull’opera di Luigi XI e sulla spedizione d’Italia di Carlo VIII,
ha finito, nella maggior parte dei casi, con l’imporsi anche ai posteri: il cui
giudizio rimane anche oggi, dopo tanti studi e ricerche, sostanzialmente il
suo. Queste memorie costituiscono, quindi, una delle opere capitali della
storiografia moderna, tanto per le novità che per molti aspetti rappresentano,
11
INTRODUZIONE
quanto per l’influsso esercitato sulle ricostruzioni e valutazioni storiche
posteriori.
Commynes dimostra una certa sicurezza nel proprio giudizio e traccia
ritratti di grande penetrazione, come quelli di Carlo il Temerario e di Luigi
XI, sicché i Mémoires, mentre sono una fonte di primissimo ordine per lo
studio della politica francese ed europea di quel tempo, sono anche una
grande novità nella Francia del XV secolo.
12
CAPITOLO PRIMO
COMMYNES TRANSFUGA E DIPLOMATICO
Nella notte fra il 7 e l’8 agosto del 1472 Philippe de Commynes (1447-
1511)
1
lascia il campo del duca di Borgogna, Carlo il Temerario (1433-
1477)
2
, allestito presso la città d’Eu in Normandia, per raggiungere a Ponts-
de-Cé, vicino ad Angers, gli accampamenti del re Luigi XI (1423-1483)
3
. Il
1
Per i dati biografici di Commynes si veda J. DUFOURNET, La vie de Philippe de Commynes,
Paris, Sedes, 1969; C. FIERVILLE, Documents inédits sur Philippe de Commynes, Paris,
Champion, 1881; G. CHARLIER, Commynes, Bruxelles, La Renaissance du livre, 1945, pp. 7-
61; J. LINIGER, Philippe de Commynes, un « Machiavel en douceur », Paris, Perrin, 1978.
2
Carlo, detto l’Ardito o il Temerario (Digione 1433-Nancy 1477), ultimo duca di Borgogna,
era figlio di Filippo il Buono e di Isabella di Portogallo. Quando Luigi XI di Francia
costrinse Filippo a cedere alcune città della Somme, Carlo fondò la Lega del pubblico bene,
un’alleanza di nobili che sconfisse il re nel 1465: ai duchi di Borgogna furono restituite le
città della Somme e concessi territori nella contea di Boulogne e in Piccardia. Conte di
Charolais, fu nominato duca nel 1467 e divenne così signore dei Paesi Bassi, del ducato di
Borgogna e della Franca Contea. Nel 1468 Carlo sposò in terze nozze Margherita di York,
sorella del re d’Inghilterra Edoardo IV, con il quale strinse un’alleanza. Nel tentativo di
ricostituire l’antico regno di Borgogna, Carlo si oppose ripetutamente al re di Francia. Dopo
l’annessione del ducato di Lorena nel 1475, nel marzo dell’anno seguente invase la Svizzera,
ma fu sconfitto a Granson e a Morat. Nell’ottobre del 1476 assediò Nancy, dove fu ucciso in
battaglia. Per un approfondimento sulla vita di Carlo il Temerario rimando ai lavori di J.-M.
CAUCHIES, Louis XI et Charles le Hardi, Bruxelles, De Boeck-Université, 1996; L. CERIONI,
Per la storia della storiografia francese del Quattrocento: Carlo il Temerario, Luigi XI,
Carlo VIII ed i Mémoires di Filippo de Commynes, «Nova Historia», XIV (1962), pp. 80-
122.
3
Cfr. J. BLANCHARD, Commynes l’européen: l’invention du politique, cit., p. 29. Luigi XI
(Bourges 1423-Plessis-les-Tours 1483), re di Francia (1461-1483), era figlio e successore di
Carlo VII. Dopo aver partecipato insieme ad altri nobili a un’insurrezione fallita contro il
padre nel 1440, Luigi venne perdonato e fu nominato governatore del Delfinato. Dopo la
morte della prima moglie, Margherita di Scozia, disobbedì alla volontà paterna e nel 1457
sposò Carlotta di Savoia. Dal 1456 al 1461 visse alla corte di Filippo il Buono, duca di
Borgogna, ricevendo il soprannome di “Ragno” per la sua deformità fisica e per la tendenza
a ordire trame contro i suoi nemici. Divenuto re, il suo principale avversario fu Carlo il
Temerario, successore di Filippo come duca di Borgogna, il quale organizzò la Lega del
bene pubblico. Gli succedette Carlo VIII. Per un approfondimento sulla vita di Luigi XI
13
CAPITOLO PRIMO
Commynes, signore di Renescure, entra al servizio di Carlo il Temerario,
futuro duca di Borgogna, nel 1464 ed è da lui incaricato di importanti
missioni diplomatiche in Francia e Spagna. Dopo il convegno di Péronne
(1468), il Commynes comincia ad offrire i suoi servigi a Luigi XI re di
Francia e in breve cessa ogni rapporto con la corte di Borgogna (1472). Al
servizio del re diviene influente uomo di governo, guadagnandosi la sua
fiducia con non sempre facili ambascerie in Inghilterra e nel territorio
italiano, ove giunge per la prima volta nel 1478. Principe di Talmont, grazie
al dono del principato da parte di Luigi XI, signore d’Argenton per il suo
matrimonio con Hélène de Chambes, Commynes acquista titoli, onori,
ricchezze con le spoglie di cortigiani caduti in disgrazia. Alla morte di Luigi
XI (1483) prende le parti del duca d’Orléans e, coinvolto nella congiura
contro Anna di Beaujeu, reggente durante la minorità di Carlo VIII
4
, è
arrestato (1486), imprigionato per sei mesi nel castello di Loches e in seguito
esiliato. La successiva riconciliazione tra il duca d’Orléans e Carlo VIII gli
permette di rientrare, seppure senza l’influenza di un tempo, alla corte di
Parigi nel 1490 e di prendere parte di nuovo alla vita politica del suo paese,
partecipando come consigliere e diplomatico alla campagna nelle terre
italiane del 1494. A Venezia il Commynes non sa però impedire la
formazione della lega contro il suo re. Perciò, nel 1498 si allontana dalla vita
rimando ai lavori di J.-M. CAUCHIES, Louis XI et Charles le Hardi, cit.; L. CERIONI, Per la
storia della storiografia francese del Quattrocento: Carlo il Temerario, Luigi XI, Carlo VIII
ed i Mémoires di Filippo de Commynes, cit., pp. 80-122; P.-R. GAUSSIN, Louis XI un roi
entre deux mondes, Paris, Nizet, 1976; M. SPENCER, Thomas Basin (1412-1490): the history
of Charles 7. and Louis 11., Nieuwkoop, De Graaf, 1997.
4
Carlo VIII (1470-1498), ultimo dei Valois, succedette al padre Luigi XI nel 1483. Nel
1494, chiamato da Ludovico il Moro, discese in Italia e conquistò il Regno di Napoli. Sulla
strada del ritorno in Francia dovette affrontare una coalizione di stati italiani a Fornovo
(1495) e a stento riuscì a salvarsi ed a rientrare in Francia. Per un approfondimento sulla
personalità di Carlo VIII si vedano L. CERIONI, Per la storia della storiografia francese del
Quattrocento: Carlo il Temerario, Luigi XI, Carlo VIII ed i Mémoires di Filippo de
Commynes, cit., pp. 80-122; C. DE FREDE, Più simile a mostro che a uomo. La bruttezza e
l’incultura di Carlo VIII nella rappresentazione degli italiani del Rinascimento,
«Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», ILIV (1982), pp. 545-585.
14
COMMYNES TRANSFUGA E DIPLOMATICO
politica, richiamato soltanto nel 1505 da Luigi XII ch’egli segue ancora in
territorio italiano. Si ritira infine nel castello di Argenton, che aveva
acquistato nel 1473 al tempo della sua maggiore fortuna politica, e vi
trascorre gli ultimi anni della sua vita tra continue liti e processi
interminabili. Fra il 1489 e il 1498 scrive i Mémoires, otto libri di “ricordi”
vissuti in prima persona
5
.
Solamente una «demi-ligne»
6
Commynes consacra alla decisione di
passare al servizio di Luigi XI: «Envyron ce temps, je vins au service du Roy
(et fut l’an mil CCCCLXXII)»
7
. In realtà Commynes compie quella notte
l’atto decisivo della sua vita, atto gravissimo, realizzato non senza esitazioni
ed incertezze. Si tratta di un atto che indigna fortemente il duca di Borgogna,
il quale il giorno dopo priva il transfuga di ogni carica e feudo
8
. Tale gesto
non manca di indignare anche i suoi contemporanei, in quanto infrange un
vincolo feudale e i legami di vassallaggio che durano ormai da tre
5
Esistono più edizioni dei Mémoires di Philippe de Commynes. A questo proposito si veda
J. DUFOURNET, Etudes sur Philippe de Commynes, Paris, Champion, 1975, pp. 1-18; J.
CALMETTE, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., pp. I-XXXV. La
prima edizione critica moderna è quella curata tra il 1840 ed il 1847 da Mlle Dupont per la
società pour l’Histoire de France. Esistono poi altre due edizioni, ossia quella preparata tra il
1901 ed il 1903 da Bernard de Mandrot e quella curata da Joseph Calmette tra il 1924 ed il
1925. Cinque sono i manoscritti che oggi sono rimasti e sono i seguenti: il primo è il
cosiddetto ‘Ms. Dobrée’, del XVI secolo, che è di proprietà del dipartimento della Loira
inferiore; il secondo è il ‘Ms. Polignac’, datato 1530, conservato presso la Biblioteca
Nazionale Parigi; il terzo è il ‘Ms. Montmereney-Luxemburg’, dell’inizio del XVI secolo,
già di Diana di Poitiers; il quarto, il ‘Ms. fr. 10156’, anch’esso dell’inizio del XVI secolo,
conservato presso la Biblioteca Nazionale Parigi; infine, il ‘Ms. fr. 3879’, della metà XVI
secolo, custodito nella Biblioteca Nazionale Parigi. Inoltre, è da ricordare l’edizione del
Sauvage del 1552 in cui l’opera è per la prima volta intitolata Elfémoires e stabilisce la
divisione in libri e capitoli ancora oggi adottata. In tutti i manoscritti, tra i quali non si trova
l’originale, manca la parte riguardante Carlo VIII che viene dunque accettata dalle prime
edizioni. La fonte che sarà citata è tratta dall’edizione del Calmette il quale si rifà sia al
manoscritto Dobrée, che pare essere il più antico, sia al manoscritto Polignac che è il solo a
contenere il libro VII e VIII.
6
J. BLANCHARD, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, cit., p. 7.
7
PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, I, cit., p. 240.
8
Cfr. J. LINIGER, Philippe de Commynes, un « Machiavel en douceur», cit., p. 81.
15
CAPITOLO PRIMO
generazioni
9
. Secondo una parte della storiografia, l’azione di Commynes è
considerata come vero e proprio “tradimento”. Tuttavia, in quello scorcio del
secolo XV, la tradizione feudale e cavalleresca stava subendo continue
smentite e lacerazioni
10
. Inoltre, come ha scritto Maria Clotilde Daviso di
Charvensod, l’autorevole traduttrice italiana del Commynes, ciò è potuto
accadere poiché «non balenavano ancora le luci del nuovo patriottismo
nazionale, e le coscienze attraversavano, per così dire, una zona
crepuscolare, che le lasciava spesso senza una guida sicura»
11
. Storici
contemporanei al Commynes, ma anche quelli di epoca successiva hanno
tentato di spiegare, chiarire e in alcuni casi “giustificare” i motivi della sua
“defezione”. I primi li hanno facilmente trovati nelle “voci” che circolavano
nella corte borgognona relative a una supposta grave offesa arrecata dal
collerico duca al suo giovane gentiluomo; i secondi, invece, hanno spiegato
tale fatto nella mèsse di cariche e di redditizi onori con i quali il re di Francia
ha compensato immediatamente il transfuga. Senza escludere un qualsiasi
atto offensivo da parte del duca nei confronti di Commynes, pare che non si
possa negare che speranza e desiderio di maggiori onori e ricchezze abbiano
attirato fortemente il transfuga
12
. Questi, infatti, all’epoca riceveva un
compenso assai misero, che non gli permetteva di figurare degnamente nella
corte borgognona. Il servizio del giovane Commynes presso il duca durava
9
Sul rapporto di affectio, di familiaritas creato dal vincolo vassatico si veda P. COLLIVA,
Feudalesimo, in Dizionario di politica, a c. di N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino,
Milano, Editori associati, 1990, pp. 418-421.
10
Cfr. V. PIANO MORTARI, Gli inizi del diritto moderno in Europa, Napoli, Liguori, 1982²,
pp. 114-115. Per un approfondimento sul pluralismo politico e giuridico del tardo Medioevo
si vedano inoltre P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 2000
6
, pp.
223-235 e D. QUAGLIONI, Il tardo Medioevo: confusione o pluralità dei linguaggi politici?,
«Il pensiero politico», XXVI (1993), pp. 79-84.
11
M.C. DAVISO, Introduzione, in PHILIPPE DE COMMYNES, Memorie, Introduzione,
traduzione e note di Idem, Torino, Einaudi, 1960, pp. XIII-LIII.
12
Cfr. E. BALMAS-D. VALERI, L’età del Rinascimento in Francia, Firenze, Sansoni, 1968, p.
157.
16
COMMYNES TRANSFUGA E DIPLOMATICO
da otto anni, da quando cioè, poco più che ragazzo, era stato accompagnato
dal suo tutore e cugino Jean de Commynes alla corte del duca Filippo il
Buono
13
. I compiti del Commynes erano molteplici: da ciambellano a uomo
di fiducia in negoziati e ambasciate ed, ancora, a uomo d’armi nella
compagnia composta dai gentiluomini della casa ducale. Tuttavia né la
guerra, per la quale aveva sentito ben presto profondo “disgusto”
14
né i
negoziati, che dovevano averlo assai deluso per i modi con i quali erano
condotti, né i contatti personali con Carlo il Temerario che allora era il conte
di Charolais, e il cui carattere impetuoso e violento non era fatto per
accattivare devozione e affetto, lo avevano spinto ad amare questo ruolo. Nel
suo ventitreèsimo anno di età Commynes vedeva davanti a sé una carriera
poco brillante presso il Temerario: gli sembrava difficile e incerto il successo
come consigliere di chi, infatuato delle proprie capacità, raramente chiedeva
o ascoltava consigli e non facile obbedire agli ordini di chi si lasciava
condurre più dalle proprie momentanee passioni che dalla ragione. Al
Commynes inoltre non potevano bastare gli splendori delle fastose cerimonie
e dei variopinti tornei. Egli sentiva di avere ben altre capacità e ambizioni: lo
stesso Luigi XI, del quale erano riconosciute capacità di individuare i buoni
servitori e l’arte di averli accanto come guida nell’esercizio del proprio
potere, ha notato ed apprezzato le qualità del Commynes
15
. Il re ebbe
conferma delle doti del Commynes quando, nel difficile momento di Péronne
13
Filippo II detto Il Buono (1396-1467), era figlio di Giovanni Senza Paura. Duca di
Borgogna dal 1419, durante la guerra dei Cent’anni, si schierò prima con Enrico V
d’Inghilterra contro Carlo VII di Francia capeggiando il partito dei borgognoni, quindi,
riconciliatosi col re francese con la pace di Charras (1435), si volse contro l’Inghilterra,
reprimendo in seguito i tentativi autonomisti di Bruges e Gand. Per un approfondimento
sulle imprese di Filippo il Buono si veda P. BONENFANT, Philippe le Bon: sa politique, son
action; études présentées par A.-M. Bonenfant, Bruxelles, DeBoeck-Université, 1996.
14
Cfr. E. BALMAS-D. VALERI, L’età del Rinascimento in Francia, cit., p. 150. A tale
proposito, per un approfondimento sugli aspetti giuridici, etici e religiosi della guerra nel
tardo Medioevo, si veda anche P. CONTAMINE, La guerra nel Medioevo, Bologna, Il Mulino,
1986, pp. 381-394.
15
Cfr. J. LINIGER, Philippe de Commynes, un «Machiavel en douceur», cit., pp. 18-22.
17
CAPITOLO PRIMO
(1468)
16
, si trovò alla mercé del duca di Borgogna e il giovane ciambellano
era stato intermediario di accordo e di pacificazione. Da quel giorno il re non
aveva più cessato di condurre una lenta opera di persuasione per avere al
proprio servizio un uomo che in così giovane età aveva dimostrato tanta
saggezza e tanto equilibrio
17
. I quattro anni intercorsi fra Péronne e la notte
di Ponts-de-Cé sembrano suggerire che l’opera di convincimento del re non
dovette essere facile. Non solo, quindi, la possibilità di ottenere redditizi
onori e proficue cariche pare essere la ragione del passaggio di Philippe de
Commynes al re, ma la speranza, se non la certezza, di sentirsi “valorizzato”,
apprezzato per le proprie qualità e la possibilità di intraprendere e di
partecipare attivamente alla vita politica.
Solo apparentemente, dunque, il comportamento del Commynes
potrebbe sembrare un “tradimento”: in realtà la questione è molto più
complessa. Per capire il gesto del Commynes si dovrebbe forse abbandonare
l’idea che il pensiero moderno associa alla nozione di “transfuga” e adottare
un approccio diverso: analizzare le varie fasi storiche che hanno
parzialmente nascosto e modificato il significato che ebbe il «passage»
18
del
Commynes per chi visse nella sua epoca. Le questioni sono di due ordini: il
problema è innanzitutto quello di specificare “giuridicamente” l’atto, ossia
capire se il passaggio del Commynes può essere propriamente definito come
un vero “tradimento”. L’universo feudale non guardava sicuramente di buon
occhio la diserzione né, a maggior ragione, l’adesione al campo avversario
19
.
16
Ibid., pp. 55-66.
17
Cfr. E. BALMAS-D. VALERI, L’età del Rinascimento in Francia, cit., p. 151.
18
J. BLANCHARD, Commynes l’européen: l’invention du politique, cit., p. 30.
19
A tale proposito si veda R. MOUSNIER, Les concepts d’«ordres» d’«états», de «fidélité» et
de «monarchie absolue» en France de la fin du XV
e
siècle à la fin du XVIII
e
, «Revue
historique», CCXLVII (1972), pp. 289-312.
18
COMMYNES TRANSFUGA E DIPLOMATICO
In questi casi ci può essere tradimento, nel senso di crimine di lesa maestà
20
.
Questo è valido sia per il regno di Francia sia per i principati territoriali come
la Borgogna o la Bretagna, i cui principi si sforzano di riprodurre nel loro
“microcosmo” il «modèle royal pour tout ce qui touche à leur
souveraineté»
21
. Nel caso di Commynes, in particolare, Carlo il Temerario
adottò le consuete misure che culminavano con la confisca delle terre del
reo
22
. Senza alcun dubbio, Commynes è il vassallo di Carlo il Temerario, ma
il Temerario stesso è, a sua volta, un principe soggetto al re di Francia
23
.
Uscire da questo “schema gerarchico” significa autorizzare
involontariamente i propri vassalli a seguire il signore supremo, in questo
caso Luigi XI. È il re il centro della feudalità e il suo potere è sottolineato
dalle riserve che accompagnano i contratti di infeudazione: se il vassallo si
erge contro sua maestà, gli uomini del vassallo si devono schierare a fianco
del re. Questa è la regola che caratterizza il XIII e XIV secolo ed essa è
rispettata in modo ancora più forte nel XV secolo, quando il re opera in base
sia del legame feudale sia della sovranità assoluta
24
. C’è, dunque, una sorta
di “gerarchia” di fedeltà che sosteneva la posizione del Commynes.
20
Cfr. M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis: il problema del reato politico alle soglie
della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffré, 1974, pp. 117-362.
21
J. BLANCHARD, Commynes l’européen: l’invention du politique, cit., p. 30.
22
Cfr. J. LINIGER, Philippe de Commynes, un «Machiavel en douceur», cit., p. 81.
23
Cfr. V. PIANO MORTARI, Gli inizi del diritto moderno in Europa, cit., p. 114: «Al termine
del secolo XV [...] anche i grandi feudatari erano divenuti vassalli diretti del monarca e da
tempo si era in concreto definitivamente affermato il principio secondo cui tutti i vassalli
dovevano essere ritenuti sottoposti al re non solo come loro supremo signore feudale, ma
pure al re come titolare dell’autorità tipica spettante solo a lui».
24
Cfr. J. BLANCHARD, Introduction, in PHILIPPE DE COMMYNES, Mémoires, cit., p. 10. Sulla
monarchia assoluta incarnata nel re e costituente in Francia il legame di tutta la società, così
come se ne ha la teorizzazione nel secolo XVI, si veda R. MOUSNIER, Les concepts
d’«ordres» d’«états», de «fidélité» et de «monarchie absolue» en France de la fin du XV
e
siècle à la fin du XVIII
e
, cit., pp. 289-312.
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