2
che si sentiva minacciata e defraudata dei suoi diritti. La produzione andò
aumentando nel tempo, condizionata però dall’assenza di adeguate fonderie
sia nell’isola che nel continente, pertanto i minerali estratti dovevano essere
indirizzati alle fonderie dei paesi di appartenenza delle società che gestivano
l’estrazione, quindi con scarsa ricaduta sull’occupazione locale.Un passo
decisivo fu compiuto con la legge sardo – lombarda del 20 novembre 1859
che riformava quella del 1840, stabilendo che le miniere saranno coltivabili
solo per concessione sovrana.
Ottenuto tale atto diventarono come una generica proprietà e, da quel
momento diventarono trasmissibili come qualsiasi altra. Il concessionario
avrebbe dovuto pagare una tassa fissa annua di 50 centesimi per ettaro ed una
proporzionale al 5 % della produzione netta. In esame viene presa la miniera
di Corongiu, sita in località di Seui. Si è cercato di ricostruirne la storia e
l’evoluzione, scontrandosi però con l’inacessibilità e/o la scomparsa di molti
documenti che renderebbero più completo e preciso il lavoro. Secondo
un’ipotesi formulata nel 1923 dal Lotti
2
il carbone contenuto nel giacimento
dovrebbe trovarsi su una linea che, partendo proprio da Seui, si
congiungerebbe alla Corsica e da qui arriverebbe sino al bacino della
Durance, al Creusot, con le miniere carbonifere belghe.
Il successo dell’antracite di Seui era dovuto alle sue caratteristiche tecniche:
nessun’altra antracite, in Italia, raggiungeva una qualità così elevata, così
simile a quella dei migliori carboni inglesi. Il nome, Fund’ e Corongiu,
3
trova
le sue origini dalla combinazione di due parole sarde: a fundu che significa
accanto e da corongiu che vuole dire roccia. In questo caso si riferisce più
precisamente ad un terreno che si trova nelle vicinanze di una parete rocciosa
a picco.
Questa miniera non ha avuto negli anni il risalto e i fasti riconosciuti ad altre,
né la loro capacità produttiva o la loro forza sindacale. Per certi versi si
trattava di una miniera male armata e mal equipaggiata, che pagava più di
ogni altra cosa, la chiusura della sua posizione geografica.
2
Atti del convegno di studi per l’industrializzazione della Sardegna, vol. I, pag. 100 – 101
3
D. Ballicu, Miscellanea: alcune cianfrusaglie di indole letteraria e scientifica approssimative abborracciate
dal medico condotto di un piccolo centro di montagna, pag. 150
3
Ma era una sorta di mosca bianca in mezzo a complessi minerari più rinomati
e sfruttati. I lavoratori la amavano e la odiavano allo stesso tempo, nonostante
subissero in ogni epoca le direttive padronali. Eppure questa miniera fu
decisiva nello sviluppo del piccolo paese del centro Sardegna.
Il suo apporto ha consentito a chi vi ha lavorato, di conoscere una realtà ben
diversa da quella che li aveva contraddistinti per anni. Rappresentava di Seui
e per Seui l’industria, il nuovo, e soprattutto il benessere. Sarebbe potuta
emergere più di quanto non sia riuscita a fare, se non avesse incontrato anche
delle cattive gestioni, incapaci di superare le difficoltà che ne impedivano un
fruttifero sfruttamento.
E nonostante ciò Corongiu ha vissuto per circa sessant’anni, scrivendo i
destini e le storie di coloro che hanno intrecciato a lei la loro vita. Creò un
rapporto che andava al di là del semplice aspetto lavorativo, era un legame
inscindibile, duro, contraddittorio, impari. Ma era un legame di cui non si
poteva fare a meno.
1.2 - Da La Marmora ai primi del 1900
La Sardegna è stata per molti secoli terra di conquiste in cui si sono alternate
diverse dominazioni, culture, abitudini, dialetti. Diverse civiltà hanno provato
a comprometterne gli equilibri secolari senza mai riuscirci, anzi l’isola ha
saputo mantenere la sua identità assorbendo peculiarità da ognuna delle
popolazioni ospitate. Attraverso i secoli numerosi personaggi passando per la
Sardegna, sono rimasti conquistati dalla bellezza dei paesaggi e dal carattere
della gente del luogo.
Tra queste persone ci fu anche Alberto La Marmora, generale del Regno di
Sardegna, studioso della geologia isolana che, screditato agli occhi del re e
considerato colpevole di cospirazione, a seguito di imprevisti legati al suo
ruolo nell’esercito, fu inviato in Sardegna.
Questa terra, che sarebbe dovuta essere una punizione, divenne per La
Marmora un’appassionante realtà da scoprire attraverso viaggi che lo
conducevano da un capo all’altro dell’isola. L’entusiasmo che lo
4
contraddistingueva era apprezzato dai compagni di lavoro ed i suoi studi si
rilevarono un input straordinario per chi, in seguito, si servì di essi.
A lui possono serenamente attribuirsi le informazioni maggiori sul territorio
geografico e geologico che stanno alla base della storia mineraria sarda. La
prima carta contenente dettagli geografici sulla Sardegna è la “Le Royaume
de Sardigne”, che l’editore francese Le Rouge attribuisce agli “Ingegneri
piemontesi” e che, temporalmente, può essere inquadrata nel primo periodo
del governo sabaudo.
Nel corso delle sue esplorazioni La Marmora ebbe modo di acquisire una
serie notevole di dati scientifici che gli consentirono la realizzazione della sua
“Carte géologique de l’Ile de Sardigne par le Géneral Albert De La Marmora
pour servir à l’intelligence de la troisième partie de son voyage en
Sardigne”
4
.
Questa può essere considerata a pieno titolo come la prima carta geologica
della Sardegna su cui compare la localizzazione delle miniere individuate
dallo stesso autore e distinte, con opportuna simbologia, per tipologia di
materiale. Il lavoro di La Marmora deve ritenersi importante anche per la
funzionalità che ad esso si poteva attribuire.
Particolarmente utile la ritenne Quintino Sella
5
quando, nel 1869, chiese a La
Marmora di poterla utilizzare, in quanto gli era stato affidato l’incarico di
riferire al Parlamento delle condizioni minerarie della Sardegna.
Sella non fece altro che completarla con l’indicazione delle 476 miniere
concesse ed in esplorazione all’anno 1870, specificando poi nella sua
relazione come in realtà, molte di esse non fossero sfruttabili per motivi che
svariavano dai costi alla collocazione alla scarsità del filone.
Rammentare La Marmora è però un passo necessario per comprendere come
sia venuto alla luce il giacimento di antracite di Seui.
Arguto osservatore e attento ascoltatore, egli ha sempre avuto un occhio di
riguardo per le leggende locali che giungevano a sua conoscenza cercando di
verificarne l’attendibilità durante tutto il suo soggiorno.
4
I. Zedda Macciò, Le miniere della Sardegna: dall’ambiente naturale al paesaggio minerario, pag. 80
5
Relazione del deputato Sella alla Commissione d’inchiesta sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola
di Sardegna, pag. 23, 35
5
Tra queste ve n’era una di cui venne a conoscenza nei suoi primi anni di
visita. Narrava di un fatto che accadeva nella foresta del Montarbu
6
: in essa
pare venissero ritrovate delle pietre di un nero lucente in grado emanare un
intenso calore. Incuriosito dal racconto, partì insieme all’amico botanico
Giacinto Moris, in visita dei luoghi indicatigli.
Le parole della leggenda si rivelarono veritiere perché “le pietre nere” non
erano frutto della fantasia popolare, ma esistevano davvero e consentirono
allo studioso di portare alla luce, nel 1827, il vasto giacimento di antracite.
Il medesimo filone era tra l’altro già stato menzionato dal capitano sabaudo
Pietro Belly nel 1791, poco prima di morire, in una lettera inviata al conte
Prospero Balbo.
La notizia, testualmente riportata dall’Azuni un decennio più tardi nella sua
“Histoire, Géographique, Politique et Naturelle de la Sardaigne” riferiva:
“Charbon de Pierre – Près de Perdagliana dans la Barbagia de Seoui, il y a
un filon de charbon de pierre qu’on a attaqué que par essai il s’allume
aisément, mais il exale une vapeur bithumineuse”.
7
Da quel momento, il minerale divenne oggetto di studi con l’obiettivo di
determinarne le caratteristiche e la qualità al fine di valutarne l’economicità.
Lo stesso La Marmora nel 1838 diede inizio allo scavo di una discenderia
profonda più di novanta metri che potesse determinare la potenzialità del
giacimento almeno nei suoi lembi migliori.
Nel 1837 Francesco Mameli, ingegnere minerario, che all’epoca dirigeva
l’ufficio del distretto di Sardegna, ottenne dal governo il permesso di praticare
i primi lavori di esplorazione.
Due furono però i motivi per cui tali lavori non si prolungarono: la mancanza
di fondi finanziari che si preferì invece orientare verso altri lotti più proficui, e
la difficile viabilità della zona che non dava alcuna garanzia su un redditizio
commercio derivante dal combustibile.
6
La miniera di Corongiu, pag. 291
7
P. Amat di San Filippo L’antracite di Seui e suo utilizzo
6
Negli anni, piccoli passi avanti furono in ogni modo compiuti da esploratori
privati che, avvalendosi della legge mineraria del 1859, provarono a dare
un’identità più precisa al giacimento.
La stessa legge disciplinava in maniera più precisa i rapporti tra Stato e privati
ricercatori.
Tutti gli studi che si susseguirono negli anni videro impegnati su questo fronte
diversi personaggi di spicco dell’ambiente minerario: dall’ingegnere
piemontese Baldracco nel 1848 e nel 1854; all’ingegnere delle miniere
Cavalletti nel 1874; nel 1876 dagli ingegneri Zoppi
8
e Marchese.
Altri ne furono eseguiti da Meneghini, Arcangeli, Pampaloni e De Stefani che
studiarono la flora fossile; Novarese
9
che dedicò i suoi studi al permico; e
ancora Taricco, Ferraris, Cortese e Mazzetti senza dimenticare che il già citato
Quintino Sella
10
che, nel 1870, lo aveva inserito tra quei giacimenti non
sfruttabili ritenendolo antieconomico.
Il primo documento ufficiale che ebbe per oggetto il permesso di
esplorazione, venne emesso a Torino il 18 agosto 1860 a favore di Paolo
Murro.
Tale atto gli consentì di effettuare l’esplorazione nella zona di Corongiu per
due anni, poi fu rinnovato per un anno, mediante atto 10 agosto 1862,
retroattivo dal 26 agosto 1860.
11
Nel luglio del 1865 il Prefetto di Cagliari autorizzò Giò Gaviano ad esplorare
l’area compresa tra Corongiu e San Sebastiano.
L’8 giugno 1871 Antonio Atzori, teologo, presentava all’ufficio competente la
richiesta di autorizzazione all’esplorazione in zona di Fund’ e Corongiu.
In un primo momento l’istanza venne respinta dal Prefetto di Lanusei, che
solo il 10 novembre di due anni più tardi, tornava sui suoi passi,
permettendogli di svolgere le esplorazioni. Prima il sindaco di Seui, poi
l’Ufficio Distrettuale delle miniere constatarono che il permissionario, in
realtà non sfruttava il titolo perciò, nel luglio del 1975, lo stesso gli venne
revocato.
8
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias: pratica N° 4 – Miniera di carbon fossile di Corongiu
9
Resoconti dell’Ass. Min. Sar.:Roccia eruttiva della miniera di Corongiu (Seui), Seduta 20 nov. 1921, pag.18 -
19
10
Relazione del deputato Sella n° 81, miniera di Corongiu, n° della carta 444
11
Dott. Geol. E. Pintus, Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Area 3, La
miniera di antracite di Fundu ‘e Corongiu (Seui), in stampa
7
Pochi giorni dopo la revoca fu sospesa perché l’Ingenere Capo dell’Ufficio
delle miniere chiedeva notizie in merito allo stato del contratto firmato con
l’Atzori e sui lavori già eseguiti.
12
I più accurati tra questi studi devono però essere attribuiti alla “Compagnia
Generale delle Miniere” e alla “Società Genovese di Miniere in Sardegna”
fortemente interessate allo sfruttamento, almeno sulla carta.
Nel 1873 era la Società Genovese ad essere permissionaria del bacino
antracitifero, e i suoi rappresentanti in loco erano il sacerdote Antonio Atzori
e il direttore Henry Leupold
13
che eseguirono tracciamenti di trincee, gallerie
e pozzetti. Questi lavori, riferiti alla legge del 1859, erano sufficienti per
dichiarare la miniera ufficialmente scoperta e chiederne la concessione.
Nello stesso anno, il laboratorio di chimica docimastica della Regia Scuola
d’Applicazione per gli Ingegneri di Torino riconobbe l’ottima qualità del
carbone antracite di Seui
14
.
Il 30 aprile 1876 la Società Genovese chiese ed ottenne in pochi giorni, dal
Prefetto di Cagliari, l’autorizzazione all’asportazione di mille tonnellate da
Corongiu. Il 20 aprile dello stesso anno, il sacerdote Atzori cedette al
Marchese ed al De Katt tutti i diritti inerenti al permesso di ricerca della zona.
A stroncare gli entusiasmi della Compagnia ci pensò però l’ingegner Zoppi
che, nominato dall’ufficio minerario del Distretto, ritenne i lavori effettuati
ancora incompleti. Nonostante ciò l’8 giugno 1876 la miniera fu dichiarata
ufficialmente scoperta e concedibile. A questo punto la Genovese e la
Generale poterono chiederne la concessione alla Prefettura di Cagliari.
Le pratiche furono sbrigate abbastanza velocemente, nonostante A. Gaviano
cercasse di ottenere a sua volta la medesima concessione.
Il fatto che la miniera fosse portata ad esistenza non ne implicava
l’automatico sfruttamento perché questo derivava da una valutazione di
convenienza da parte dell’industriale. La potenzialità del bacino si assestava
intorno al milione di tonnellate, come stimato dal Cavalletti.
12
Dott. Geol. E. Pintus, Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Area 3, La
miniera di antracite di Fundu ‘e Corongiu (Seui), in stampa
13
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias: pratica N° 4 – Miniera di carbon fossile di Corongiu
14
F. Carboni, La miniera di carbone antracite di Seui: un’esperienza industriale nella Barbagia pastorale
8
Nell’agosto del 1877 la “Rivista Economica della Sardegna” riportava gli
studi effettuati all’Università di Genova da Castellucci e De Negri, che ne
erano riusciti a determinare il potere calorifico
15
.
Il 2 settembre del 1877 arrivò la concessione alla coltivazione richiesta
dall’ingegnere minerario Eugenio Marchese e da Gian Luca De Katt
16
:
l’obiettivo era di creare un rapporto commerciale solido e vantaggioso con le
compagnie navali cui l’antracite estratta sarebbe servita da combustibile per le
caldaie.
Le concessioni attivate furono quelle di Corongiu, s’Ena su Monti, Monti
Taddi e Monti Laneri.
I due concessionari non si avvalsero però del privilegio ottenuto e, negli anni
successivi non fu avviato alcun lavoro di ricerca o di coltivazione.
Nell’agosto venne compiuto un sopralluogo in miniera dal quale risultò che
diverse gallerie, compresa la principale, erano franate e la miniera vigeva in
uno stato di totale abbandono da almeno due anni.
Uno dei testimoni di questo sopralluogo, un tale Todde, sottolineò che i lavori
erano stati svolti con regolarità proprio sino al 15 ottobre 1878, quando egli
stesso provvedete a licenziare la guardia.
Il Prefetto di Cagliari emise decreto ministeriale datato 21 gennaio 1881 nel
quale invitava la compagnia concessionaria a riprendere tempestivamente i
lavori di manutenzione e coltivazione, in caso contrario si sarebbe visto
costretto a revocare la concessione ancor prima della sua legale scadenza.
Il sopralluogo effettuato tra il marzo e l’agosto del 1883 mostrò però che
niente era cambiato: la miniera era ancora abbandonata, la baracca di legno
eletta a sede dell’Amministrazione era stata smantellata e le strade
mostravano i primi segni di cedimento.
17
Al che, il Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio emise, il 30
maggio 1883, il decreto di revoca rivolto contro le due società concessionarie,
le quali a loro volta decisero di presentare ricorso. A giustificazione del loro
comportamento obbiettarono che, il decreto di sollecito alla ripresa dei lavori
ricevuto in passato, non era redatto in conformità alla legge.
15
P. Amat di San Filippo, L’antracite di Seui e suo utilizzo
16
La miniera di Corongiu, pag. 291
17
Dott. Geol. E. Pintus, Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Area 3, La
miniera di antracite di Fundu ‘e Corongiu (Seui), in stampa
9
Il cavillo a cui si appigliarono fu che la persona a cui venne notificato, il
Todde, non era stato investito ufficialmente del ruolo di rappresentante da
parte di nessuna delle due compagnie minerarie. Tale ricorso fu accolto nel
maggio 1884 e, nell’occasione, fu riconsiderato lo stato complessivo della
miniera.
Erano trascorsi altri due anni dall’ultimo sopralluogo, ma nemmeno questa
volta c’erano stati cambiamenti: le gallerie erano tutte crollate, così come i
pozzi; la vegetazione aveva ricoperto le trincee e due ripari dei minatori erano
andati anch’essi distrutti. Di fronte alla decadenza della miniera che andava
avanti ormai da più di sei anni, ancora una volta, il Ministero competente
ordinò alla Genovese ed alla Generale di riprendere i lavori entro due anni.
Nel frattempo, alcuni soggetti privati, provavano ad approfittare del
disinteresse che le due compagnie mostravano nei confronti della miniera.
I lavori furono ripresi per tutto il triennio 1886 –1889, nuovamente interrotti
per una quarantina i giorni, ed ancora ripresi tra il 1890 ed il 1892 alla
presenza di quattro operai.
Dalla documentazione ufficiale risulta che nel 1887 i lavori ripresero anche se
limitatamente alla riattivazione di alcune vecchie gallerie franate, il che
consentì l’estrazione di circa 200 tonnellate di antracite che purtroppo
rimasero invendute a causa delle difficoltà di trasporto
18
.
Lo scopo principale di questi era il prelevamento di campioni di antracite da
inviare alle ferrovie complementari che lo trovavano adatto per le loro
locomotive
19
. Nonostante ciò l’ingegner Merlo constatò che lo stato di
degrado della miniera non era cambiato, ed anzi, la manutenzione effettuata
non aveva sortito alcun effetto benefico.
Per l’ennesima volta il Prefetto invitò le compagnie minerarie ad occuparsi
seriamente dei lavori, ma consegnare la notifica fu più complicato del previsto
perché, al 16 febbraio 1893, risultava che non avessero più rappresentanti in
Sardegna.
Inoltre, poiché la Genovese, nel 1885, aveva ceduto la sua parte di diritti alla
Società di Correboi, sarebbe stato più opportuno e notevolmente più semplice,
comunicare a quest’ultima la notifica, cosa che fu fatta il 26 dicembre 1892.
18
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1887 – pag. lxxviii – 172
19
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1889 – pag. 216
10
Sin dal gennaio 1890 la società Correboi che gestiva diversi impianti
minerari, aveva provveduto ad assicurare i lavoratori delle sue miniere presso
la Cassa Nazionale.
Il 14 maggio 1894 venne effettuato un nuovo sopralluogo da parte di
Soleman, Allievo Ingegnere, accompagnato da Lenzi e da Sacchetto. Da
questo risultò che le casupole erano state riadattate ed, il Sacchetto, insieme
ad un gruppo di operai aveva aperto una galleria di ricerca sottostante a quella
precedentemente franata.
20
Seppur qualche scritto tenda a far risalire l’inizio dell’attività estrattiva al
decennio 1860-70, è forse più corretto pensare che quelli furono solo anni di
studi e ricerche utili a capire la potenziale capacità del bacino, continuati dalle
due Compagnie predette cui la concessione fu revocata nel 1883.
È invece più giusto attribuire un maggior significato al 1885, anno in cui si è
avuto il passaggio della titolarità della concessione alla società Correboi che
all’epoca era dotata di importanti mezzi economici.
Il problema principale rimaneva a questo punto la prigionia del paese,
incastonato in un ambiente tanto bello esteticamente quanto scomodo da
raggiungere.
La questione della viabilità fu parzialmente risolta grazie all’intervento del
senatore Andrea Podestà
21
, che essendo anche azionista principale della
società di Correboi, curò i suoi interessi in maniera eccellente quando in sede
parlamentare espose la necessità di costruire una ferrovia che strappasse Seui
e la sua miniera dall’isolamento.
Detto fatto, riuscì a perorare così bene la sua causa che effettivamente non
fallì nel tentativo di far passare, volutamente, la nuova linea ferroviaria per la
miniera collegandola così ai porti di Arbatax e Cagliari.
La data del 24 febbraio 1894, giorno dell’inaugurazione della ferrovia, fece da
spartiacque tra il passato rurale ed un futuro industriale di Seui.
20
Dott. Geol. E. Pintus, Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Area 3, La
miniera di antracite di Fundu ‘e Corongiu (Seui), in stampa
21
La miniera di Corongiu, pag. 293
11
Il regolare funzionamento della miniera consentì il formarsi di una nuova
classe, il proletariato, che sino a quel momento era inesistente. I primi
lavoratori della miniera erano i piccoli agricoltori ed i pastori che volevano
riscattare la condizione di miseria in cui erano costretti a vivere.
I pochi miglioramenti economici che ci furono si riflettevano solo nelle tasche
di chi già era benestante: la retribuzione era molto bassa e il più delle volte in
luogo di essa venivano distribuiti dei buoni alimentari, opzione questa poco
gradita.
Il beneficio apportato dalla miniera era duplice: da un lato impediva
l’emigrazione, dall’altro consentiva al proletariato di acquisire un primo
sentore di coscienza sociale. Sebbene il potere politico permanesse nelle mani
della classe storicamente più importante, cioè quella degli agricoltori, gli
operai cominciavano a farsi notare costituendo una società di mutuo soccorso
con un centinaio di adepti
22
.
Le premesse e gli sforzi fatti per rendere conveniente lo sfruttamento non
furono purtroppo sufficienti
23
perché l’estrazione fruttò poche centinaia di
tonnellate ed un impiego costante di sei operai tra il 1887-90. Gli ultimi anni
del secolo furono utilizzati dalla società per appurare la convenienza di un
effettivo sfruttamento a livello industriale.
Tabella 1: dati relativi alla produzione ed agli operai di alcuni anni dell’800
24
22
Ardasai, Dossier Seui nel 1894, U. Loy, Anno 1991
23
F. Carboni, La miniera di carbone antracite di Seui: un’esperienza industriale nella Barbagia pastorale
24
Dati ufficiali tratti dall’IGEA
Anno Società Operai Produzione
1887 Correboi 6 200
1888 " 6 500
1889 " 6 80
780
12
1.3 - Dal 1900 al 1938: la gestione Monteponi
Gli scarsi risultati persuasero la società Correboi a cedere la concessione alla
Monteponi, una società che aveva in mano altri complessi minerari, anche di
rilievo, in zona di Iglesias.
Le due società si presentarono il 18 giugno 1900 presso lo studio del notaio
Paolo Cassanello di Genova, per perfezionare l’atto di cessione avente per
oggetto la miniera di antracite di Corongiu, e due altri appezzamenti
circostanti il territorio di Seui.
All’atto di cessione si stabilì che la Monteponi avrebbe dovuto pagare un
canone di lire 0.40 per tonnellata esportata, a favore della società di
Correboi.
25
I progetti originari della Monteponi prevedevano, infatti, solo la
manutenzione delle gallerie che dovevano essere mantenute in stato di
efficienza nell’attesa di un ribasso dei costi di trasporto che sino a quel
momento costringevano la compagnia ad approvvigionarsi dall’estero.
Nel 1901, effettivamente, i lavori riguardavano soltanto un’esplorazione
sotterranea accompagnata da uno scavo a giorno, con discreti risultati
26
.
L’anno successivo i lavori di esplorazione furono eseguiti su un’area di 3.000
mq con potenza variabile di 2.5 – 3 metri; la produzione era in leggera
flessione rispetto al periodo precedente, ma la qualità era buona ed aveva dato
ottimi risultati quando utilizzata nei forni di calcificazione delle calamine, nei
gasogeni e come carbone di riduzione nel forno a zinco di Monteponi
27
.
Uno dei motivi per cui la Monteponi aveva acquistato la miniera di Seui, era
stata l’intenzione di sfruttare il basso tenore di ceneri del suo minerale
utilizzandolo nella produzione di “Litopone”, combinata con solfato di bario e
solfuro di zinco.
25
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias: atto concernente il riscatto di canone tra Società di Monteponi e
Società di Correboi
26
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1901 – pag. 248
27
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1902 – pag. 230
13
Finalmente nel 1903 entrava in regime di piena produzione, e questa avrebbe
potuto essere di gran lunga maggiore se ci fosse stata una maggiore semplicità
nello smercio del prodotto
28
.
Nell’aprile del 1911 si iniziava il ribasso Cattaneo destinato a diventare
l’arteria principale della miniera in quanto si trovava nelle vicinanze dei binari
ferroviari. Il trasporto veniva effettuato mediante coffe sino al binario
superiore al carreggio; l’abbattimento sarebbe stato effettuato con maggior
ritmo quando tutti gli impianti di zinco di Monteponi sarebbero stati attivi
29
.
Nel 1913 si intravide una prima opportunità di vendita della concessione a
favore della società dei bariti
30
. Infatti, Il 27 ottobre 1913 la Società
Monteponi scrisse all’ingegner Bohom
31
di Parigi, chiedendogli la
documentazione necessaria per la stipula dell’atto di concessione definitivo da
esibire al Consolato. Il fatto che impedì tale evento fu con molta probabilità lo
scoppio della prima guerra mondiale che, facendo crescere il prezzo del
carbone inglese, di riflesso accese l’interesse intorno a Corongiu.
I costi di trasporto non furono più così importanti, o per meglio dire
diventarono sostenibili ed i lavori ripresero a gran ritmo per approfittare del
momento. Da Seui l’antracite viaggiava verso Cagliari correndo lungo le linee
delle Ferrovie Secondarie, mentre per il tratto Cagliari – Monteponi
cambiavano sulle Ferrovie Reali.
A ridosso della prima guerra mondiale il Ministero dell’Agricoltura, Industria
e Commercio si informò sulle potenzialità del giacimento, soprattutto sulle
reali possibilità di incrementare la produzione che si aggirava intorno al
milione di tonnellate.
32
Il 31 gennaio 1914 il rappresentante delle bariti
33
di Sardegna, E. Marini,
scrisse alla Direzione della Società di Monteponi, ricordando che il comm.
Marangoni aveva rifiutato ogni accordo sul trasporto dell’antracite seuese sin
quando il Governo non avesse modificato le condizioni di ripartizione degli
utili, nonostante ciò provocasse la paralisi dello sviluppo di quelle zone.
28
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1903 -pag. 240
29
Relazione sul servizio minerario e statistica delle industrie estrattive in Italia nel 1911 – pag. 99 – 100
30
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias: lettera al Presidente della Società Monteponi, 24 dicembre 1913
31
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias
32
Dott. Geol. E. Pintus, Associazione per il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Area 3, La
miniera di antracite di Fundu ‘e Corongiu (Seui), in stampa
33
Documento dell’Archivio Storico di Iglesias
14
Nel febbraio 1914 la Società dei bariti
34
scrisse al Ferraris in merito a
sopravvenute difficoltà circa la possibilità di realizzazione del trasporto di
antracite della miniera di Corongiu.
Nel giugno 1914, F. Olla
35
scrisse al Direttore delle Miniere per ragguagliarlo
sulle trattative fra la Società Francese e Società Ferrovie Secondarie per
arrivare ad un’intesa definitiva sui trasporti; per queste contrattazioni, la
Direzione di Torino, delegò la Direzione dell’Esercizio di Cagliari.
Le conclusioni a cui giunsero le due società erano piuttosto rigide: la società
Francese si obbligava a provvedere, a proprie spese, al materiale rotabile
occorrente, per un ammontare complessivo di Lit. 600.000; di contro, la
Società delle Ferrovie, garantiva i trasporti, ma non era disposta a concedere
alcuno sconto sulle tariffe in vigore.
Il 1 luglio 1915 la società di Monteponi
36
esprimeva il desiderio di liberarsi
dell’ingombrante onere stabilito all’atto di acquisto, pagando una tantum di
Lit. 5.000 a favore della società cedente.
L’ingegner Serra pagò, con denaro della società Monteponi, alla società di
Correboi, il prezzo residuo del riscatto
37
, cioè Lit. 35.000, che chiudeva
definitivamente i rapporti tra le due società in merito alla miniera di Corongiu.
Il 26 marzo 1916 la Società di Monteponi informava la Società Italiana per le
Strade Ferrate Secondarie del proseguimento della costruzione
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della laveria
meccanica necessaria per pulire e classificare il carbone subito dopo
l’estrazione, ricordando di aver già chiesto l’autorizzazione a costruire, a
proprie spese, una serie di sei tramogge in cemento armato per consentire il
caricamento automatico del carbone sui vagoni.
Gli impianti in oggetto dovevano essere approvati dall’autorità governativa
competente ed essere conformi al progetto già presentato. La Società
Monteponi si accollava tutte le spese inerenti al progetto, l’obbligo di
assicurare il libero transito di tutti i treni della linea e la responsabilità di tutti i
danni derivanti da negligenza del suo personale.
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Documento dell’Archivio Storico di Iglesias
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Documento dell’Archivio Storico di Iglesias
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Documento dell’Archivio Storico di Iglesias: atto concernente il riscatto di canone tra Società di Monteponi e
Società di Correboi
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Documento dall’Archivio Storico di Iglesias
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Documento dell’Archivio Storico di Iglesias