42
2. Occultismo e stregoneria nel periodo elisabettiano e
giacobita.
Pittori, scrittori, musici e poeti hanno il potere quasi invidiabile nel creare opere
eterne nel tempo. Sono opere il cui messaggio può essere ben visibile o nascosto, sono
il risultato del pensiero e delle sensazioni dell’artista che ha deciso di dare loro vita;
vivono sì nel tempo, ma, soprattutto, per il tempo che ha fatto loro da culla. Una poesia
può fare da denuncia alla politica contemporanea o essere un elogio a un personaggio
di spicco; un quadro può nascondere simboli e segreti comprensibili inizialmente solo
dall’artista stesso o da chi gli è vicino; una musica può essere la reazione del compositore
a determinati eventi che hanno influenzato la sua vita. Un’opera d’arte è, quindi, figlia
del suo creatore e dell’ambiente che quest’ultimo respira.
Il Macbeth di William Shakespeare è proprio di questa natura: è un encomio al
nuovo monarca scozzese, Giacomo I, ultimo discendente della dinastia degli Stuart,
sotto cui si unirono Inghilterra e Scozia. Non tutti, però, si mostrarono lieti della novità:
l’ascesa al trono del sovrano scozzese, avvenuta nel 1603, aveva creato diversi
malcontenti tra le file dei cattolici inglesi; alcuni di loro, infatti, nel 1605, cospirarono
contro il re, e volevano uccidere lui e le persone che facevano parte del suo governo
facendo esplodere la Camera dei Lord. Tale complotto, conosciuto come “La Congiura
delle Polveri”, fu tuttavia un fallimento: il re era stato avvisato quattro giorni prima
dell’attentato da una lettera anonima.
Giacomo I divenne nel 1603 patrono della compagnia teatrale di Shakespeare, la
quale prese il nome di ‘King’s Men’; questi decisero di prendere le difese del nuovo
monarca. Il primo passo era stato quello di ricercare, nelle storie e nelle leggende
britanniche, qualsiasi elemento che donasse alla casata degli Stuart un sapore nobile e
valoroso. Così Shakespeare decise di attingere nuovamente a quella fonte che aveva già
sfruttato nei drammi storici, ossia The Chronicles of England, Scotland and Ireland di
43
Raphael Holinshed
75
, un’opera storico-letteraria pubblicata nel 1577 che racchiudeva
cronologie, leggende e mappe delle isole britanniche dacché se ne aveva testimonianza.
È in queste cronache che il drammaturgo incontra Macbeth, personaggio storico
che regnò in Scozia dal 1040 al 1057. L’autore racconta di come Macbeth, spinto dalle
profezie di tre streghe, avesse assassinato il giovane sovrano Duncan
76
, salendo così sul
trono scozzese; aveva avuto un complice, Banquo, generale dell’esercito. Col passare
degli anni – continua Holinshed – il re assassino diventò sempre più crudele: cominciò a
giustiziare i nobili scozzesi per paura di essere assassinato a sua volta e per evitare che
questi gli rubassero la corona. Anche il complice Banquo divenne sua vittima; è qui che
storia e leggenda si intrecciano per dare vita al mito della dinastia Stuart. La leggenda
vuole, infatti, che Fleance, figlio di Banquo, sia riuscito a evitare la stessa sorte del padre
e degli altri signori di Scozia scappando nel Galles, dove si unì in matrimonio con la figlia
del re locale. Ebbero un figlio, Walter, il quale, da adulto, ritornò in Scozia; qui venne
nominato luogotenente generale (in inglese steward) del regno per il suo valore in
battaglia. Assunse, poi, questo titolo “come nome della sua casata, e da lui discesero gli
Stuart re di Scozia, e, dal 1603, anche d’Inghilterra”
77
.
Re Giacomo I discende, quindi, da Walter, da Fleance e – di conseguenza – da
Banquo, il quale, sebbene abbia avuto un ruolo determinante nell’assassinio di Duncan,
acquista una connotazione positiva non appena diventa anche lui una delle tante vittime
di Macbeth; il suo peccato viene lavato nel proprio sangue dalla mano che in principio si
era dimostrata amica. L’immagine purificata di Banquo si staglia, quindi, contro la
tirannia di Macbeth. Shakespeare, per valorizzare l’aspetto nobile ed eccelso di re
Giacomo I, disegna un Banquo completamente innocente ed estraneo ai crimini di
Macbeth estraniandolo dall’omicidio di Duncan e sottolineando la sua natura valorosa e
fedele. È con queste qualità che Shakespeare vuole presentare ai suoi contemporanei –
e lasciare ai posteri – il nuovo monarca.
75
Stampato per la prima volta a Londra.
76
MELCHIORI, Giorgio, 2008, Shakespeare, Genesi e struttura delle opere, p. 501, Bari, Editori
Laterza. “[…] del resto l’assassinio del predecessore era un sistema quasi normale di successione
nella Scozia del tempo […]”.
77
Ibid., p. 501.
44
Shakespeare non usa soltanto la leggenda della nobile discendenza per
omaggiare il nuovo re; decide anche di mostrare il suo lato più oscuro, un elemento che
non denigra la figura del sovrano, anzi la rafforza contro la viltà e l’ingenuità di Macbeth.
Questo elemento è la stregoneria: è una realtà a cui Giacomo crede fermamente e di cui
sa deve diffidare (al contrario di Macbeth che si fa influenzare dalle profezie delle
streghe), è una presenza quasi palpabile nel Macbeth di Holinshed, ed è il motore
principale della tragedia di Shakespeare; se non ci fossero state le streghe con le loro
rivelazioni, molto probabilmente non ci sarebbe stato nessun re Macbeth, nessun
omicidio, e nessuna valorosa discendenza Stuart. Ciò potrebbe avere anche un lato
ironico: Giacomo deve ringraziare le fattucchiere per l’esistenza del suo casato, ciò che
lui teme e odia di più gli ha dato le radici. Dando grande rilievo alla presenza delle
streghe, il drammaturgo dona forza alle convinzioni del suo protettore, confermando la
loro esistenza, la loro natura demoniaca e mostrando le conseguenze negative nel
credere ai loro malefici: si diventa loro burattini, si perde il controllo di sé stessi e si
impazzisce, fino a macchiarsi di un orribile crimine, l’omicidio.
La superstizione di Giacomo non era segreta: nel 1597, prima della sua ascesa al
trono di Inghilterra, aveva scritto e pubblicato a Edimburgo Daemonologie, In Forme of
a Dialogue, Divided into three Books: By the High and Mighty Prince James (pubblicato
successivamente anche in Inghilterra nel 1603), un compendio sulla stregoneria – sotto
forma di dialogo e diviso in tre sezioni – il cui scopo era documentare l’esistenza delle
forze oscure e mostrare le giuste punizioni verso chi compiva malefici e incantesimi. In
questo saggio vengono descritti elementi tipici della stregoneria, alcuni dei quali
utilizzati anche da Shakespeare nel suo Macbeth: c’è il volo invisibile e silenzioso delle
streghe, ci sono le loro danze maliziose e macabre, gli atti sessuali riprovevoli, c’è
persino una descrizione degli ingredienti usati dalle amanti del diavolo per creare le loro
pozioni. Sono presenti anche i famigli – spiriti demoniaci con sembianze animali – che
vengono usati dalle streghe per ferire, molestare e maledire le vittime designate.
Stabiliscono, attraverso il sangue, una relazione fisica con la strega: c’era la credenza che
queste creature sovrannaturali venissero allattate con il sangue della padrona tramite
45
mammelle poste vicino all’apparato genitale; quindi, tale caratteristica fisica, veniva
ricercata come primo indizio per confermare e aggravare l’accusa di negromanzia.
Il re, inoltre, aveva partecipato come giudice a un processo per stregoneria: a North
Berwick, in Scozia, nell’autunno del 1590, un uomo, tale Dottor Fian, confessò di aver
stretto un patto col diavolo e di praticare quotidianamente la stregoneria; insieme ad
Agnes Sampson
78
(conosciuta come “The Wise Wife of Keith”) e ad altre donne, fu
accusato di aver stregato i suoi compaesani e di aver provocato quella tempesta che
stava per affondare la flotta di re Giacomo di ritorno da Oslo, dove si era sposato con
Anne, principessa danese. Tale processo fu riportato da James Carmichael nel pamphlet
Newes from Scotland - Declaring the Damnable Life and Death of Dr. Fian, a Notable
Sorcerer del 1591, testo poi aggiunto alla fine del libro del sovrano.
È importante sapere che il processo di North Berwick era stato preceduto, nell’estate
dello stesso anno, da un altro simile a Copenhagen, la terra della moglie di Giacomo.
Durante l’udienza danese, a una donna di nome Anna Koldings furono rivolte le stesse
accuse che sarebbero state poi rigirate al Dottor Fian e ad Agnes Sampson; Anna, sotto
pressione, fece il nome di altre cinque donne, e tutte confessarono di aver inviato dei
famigli per far affondare la flotta regale. Furono bruciate sul rogo come streghe a
Kronborg
79
. Il re Giacomo, influenzato da questo processo, decise di istituire il proprio
tribunale in Scozia per cercare altri colpevoli.
La stregoneria era un fenomeno considerato pericoloso ancor prima dell’ascesa
al trono di Giacomo I: nel 1541 Enrico VIII emanò una legge, “The Witchcraft Act”, in cui
si diceva che qualsiasi praticante di magia e negromanzia sarebbe stato condannato a
morte. Questa legge era la conseguenza di un tradimento cui il re stesso era stata
vittima: un Lord del Parlamento, il Barone Walter Hungerford, aveva consultato delle
note streghe per sapere per quanto tempo ancora il re sarebbe vissuto; la sua punizione
fu la decapitazione, che avvenne a Tyburn il 28 luglio 1540
80
. Circa vent’anni dopo, nel
78
MARINIELLO, op. cit., p.109.
79
CARLETON WILLIAMS, Ethel, 1970, Anne of Denmark, London, Longman Publishing Group,
p.40.
80
S. S. “On Witchcraft.” The Belfast Monthly Magazine, vol. 9, no. 50, 1812, pp. 195–197, JSTOR,
reperito in forma digitale all’indirizzo www.jstor.org/stable/30073079.
46
1562, si verificò una situazione simile con la figlia del re Enrico VIII, la regina Elisabetta I:
la Contessa di Lenox, insieme ad altre quattro persone, fu condannata a morte perché
aveva consultato degli stregoni per sapere quando la regina sarebbe deceduta; quello
stesso anno fu promulgato un nuovo atto contro la stregoneria. Le credenze nella magia
nera si stavano talmente rafforzando che anche il vescovo John Jewel, in un sermone da
lui predicato davanti alla regina, chiede “that the laws against witches and sorcerers be
put in execution, as they were grown so numerous”
81
. La condanna andava
dall’impiccagione all’annegamento e, nei casi in cui veniva appurato che la stregoneria
era stata perpetrata ai danni del sovrano, il rogo.
Elisabetta era legata alla negromanzia non solo per il provvedimento legislativo
da lei adottato, ma anche perché era figlia di Anna Bolena, seconda moglie del re Enrico
VIII, colei che dalla maggior parte dei suoi contemporanei era stata considerata una
strega
82
. Questa credenza era nata dal fatto che Anna, con la sua eleganza e la sua
erudizione, avesse sedotto il re:
Graziosa ed elegante, la Bolena parlava un eccellente francese, era un’ottima
ballerina, cantante e suonatrice di liuto, ricamava stupendamente e fu forse
autrice di musiche e testi teatrali. Era inevitabile che Enrico ne rimanesse
incantato, era stata educata per incantare […]
83
La reputazione della seconda moglie di Enrico si aggravò sia a causa dei suoi modi
arroganti con cui si rivolgeva al re stesso – seguiti da dicerie che vedevano attribuiti ad
Anna ben cinque amanti –, sia a causa del tragico aborto di cui era stata vittima: aveva,
infatti, dato alla luce un feto deforme. Tutto ciò si ritrova nel processo contro Anna
Bolena, giacché: “nel sedicesimo secolo la stregoneria era associata alla sodomia, alla
lascivia, all’incesto, ai bimbi nati morti”
84
; la sua condanna sarebbe dovuta essere il rogo,
ma il re si accontentò della decapitazione, così come avvenne per i suoi presunti cinque
amanti.
81
“Che le leggi contro streghe e incantatori siano messe in pratica, giacché questi (streghe e
incantatori) sono cresciuti in numero”, ibid., p. 196.
82
NAISH, op. cit., p.74.
83
Ibid., p. 78.
84
Ibid., p. 79.
47
È quasi certo che la causa della morte di Anna non fu tanto l’accusa di stregoneria
e adulterio, quanto, piuttosto, il desiderio di Enrico di sbarazzarsi di una moglie che non
amava più (secondo i suoi contemporanei si era risvegliato dalla malia di cui era
prigioniero): il 20 maggio 1536 il re si era fidanzato segretamente con Jane Seymour –
dama di compagnia delle prime due mogli del sovrano – e dieci giorni dopo fu celebrato
ufficialmente il matrimonio. La Bolena era stata decapitata il 19 maggio 1536, il giorno
prima del fidanzamento tra Enrico e Jane
85
.
Probabilmente, l’esempio del rovinoso matrimonio della madre contribuì ad
indurre Elisabetta a rifuggire dalle nozze, facendola passare alla storia come “regina
vergine”: non avendo mai avuto figli fu la quinta e ultima monarca della dinastia Tudor.
Le successe, poi, il sovrano scozzese Giacomo IV di Scozia, il futuro re Giacomo I
discendente di Banquo.
Il legame tra Elisabetta e stregoneria non era, comunque, destinato a dissolversi
con la morte della madre: il periodo in cui regnò fece da palcoscenico a una straordinaria
fioritura artistica e culturale, ove si esibirono scrittori come John Lyly, Edmund Spenser
e Christopher Marlowe – oltre a, ovviamente, William Shakespeare. Interessi comuni di
questi autori erano l’occultismo e la magia: John Lyly era autore di diverse opere teatrali
che trattavano di streghe e ‘cunning-woman’ – come Endymion e Mother Bombie
86
;
Edmund Spenser scrisse The Faerie Queene – interamente dedicato alla regina Elisabetta
– un poema incompiuto con riferimenti alla magia bianca e di sapore neoplatonico in cui
alberga un mago buono e dedito alla scienza, Merlino; contrapposto alla regina fatata di
Spenser c’era il dannato Doctor Faustus di Christopher Marlowe, che, con la sua
atmosfera infernale, contribuì ad alimentare le paure e l’ossessione della stregoneria di
quel periodo.
Si può notare come la figura casta e pura, quasi angelica, di Elisabetta si stagli
contro quella negativa della madre, delle leggi sulla negromanzia, e della propria corte
affascinata dalle arti occulte. Anche il Bardo di Avon la rappresenta con connotazioni
85
Ibid., p.82.
86
Stampati a Londra; il primo nel 1591 da John Charlwood e il secondo nel 1594 da Cuthbert
Burby.
48
positive: in A Midsummer Night’s Dream è raffigurata come una vergine vestale
87
, ed
elogia tanto la sua purezza nella vita pubblica quanto in quella privata.
Faceva parte della corte elisabettiana – non tanto come scrittore ma come mago
e astrologo – anche John Dee, apprezzato molto dalla regina. I suoi lavori e i suoi studi
avvicinavano Elisabetta alla stregoneria: egli, infatti, era considerato un consulente per
casi di stregoneria e possessione demoniaca, e si era trovato diverse volte a prestare ai
giudici alcuni libri della sua biblioteca – tra questi, il Malleus e il De praestigiis daemonum
di Weyer– per dare loro un aiuto nei processi di stregoneria più difficili
88
.
Così come aveva lodato la sua regina inglese in un’opera senza tempo, il
drammaturgo di Stratford celebrò il nuovo monarca scozzese in una tragedia che vive
ancora oggi. Il Macbeth di Shakespeare non è solo figlio di Shakespeare: è figlio
dell’incubo di Giacomo I e della storiografia di Holinshed; è figlio della strega Anna
Bolena, dello stregone John Dee e del demoniaco Christopher Marlowe. È figlio,
insomma, di quella stregoneria vissuta da Shakespeare quotidianamente.
2.1. La filosofia occulta di Cornelius Agrippa in terra inglese.
La filosofia dominante del periodo elisabettiano era caratterizzata dalla magia,
dalla melanconia e dall’intento di penetrare nelle sfere profonde della conoscenza e
dell’esperienza umana; era un mondo popolato da spiriti, fate, demoni, streghe e maghi,
personaggi sovrannaturali che comparivano nelle opere di quell’epoca: William
Shakespeare ed Edmund Spenser parlavano di fate, rispettivamente, in A Midsummer
Night’s Dream e in The Faerie Queene, mentre Christopher Marlowe riempiva di demoni
ed esoterismo il suo The Tragical History of the Life and Death of Doctor Faustus.
Principale rappresentante del pensiero occulto era John Dee, matematico,
navigatore e astrologo della corte di Elisabetta I, i cui interessi scientifici e arcani gli
valsero la reputazione di alchimista e stregone; tale filosofia trovava il suo manifesto in
87
YATES, Frances A., 2014, Cabbala e occultismo nell’età elisabettiana, Torino, Piccola Biblioteca
Einaudi, p.189.
88
YATES, op. cit., p.116.
49
The Shadow of Night del 1594 di George Chapman, dove la melanconia è protagonista
89
.
È bene precisare che la malinconia è uno stato d’animo di tristezza, scoramento e
inadeguatezza, mentre la melanconia o melancolia è la forma più grave; rientra nella
definizione di ‘depressione’.
Il comune denominatore degli autori sopracitati si chiama De Occulta Philosophia
(1531) di Enrico Cornelio Agrippa, alchimista, astrologo e filosofo tedesco, nonché
medico personale della reggente di Francia Luisa di Savoia e storiografo di Carlo V. La
sua opera è considerata “uno dei principali documenti delle scienze esoteriche e
magiche del periodo intorno al Rinascimento”
90
ed è ripartito in tre libri: nel primo viene
trattata la magia naturale o del mondo elementare e spiega come manipolare le
sostanze in base ai propri obiettivi; il secondo libro riguarda la magia celeste, ovvero
insegna come attrarre e usare gli influssi delle stelle, e viene chiamata magia matematica
perché le sue operazioni sono regolate dai numeri; il terzo riguarda la magia cerimoniale
rivolta verso il mondo sovraceleste degli spiriti angelici, oltre il quale vi è il Creatore
stesso. In quest’ultimo libro, Agrippa “presenta dei sistemi per raggiungere gli angeli e
gli spiriti mediante la magia cabbalistica. Questa si fonda sulla manipolazione delle
lettere ebraiche, che hanno valori numerici, così è nuovamente una sorta di magia
matematica, seppure con mire più elevate.”
91
. Per spiriti si intende quelli legati alle
stelle, conosciuti al tempo come “demoni astrali”; ciò stava a significare che come si
potevano evocare gli angeli, così c’era il rischio di richiamare i demoni. Questo non era
un problema che preoccupava Agrippa: grazie all’uso di nomi e formule ebraiche sapeva
di essere protetto dagli attacchi degli spiriti, così da poter perseguire conoscenza e
potere illimitati evitando la dannazione; collegando la magia naturale e cerimoniale alla
religione sacra ebraica garantiva l’evocazione esclusiva di angeli e santi. La sua filosofia
occulta era magia bianca.
89
YATES, op. cit., p.98.
90
AGRIPPA, Enrico Cornelio, [1531] 2007, La Filosofia Occulta o La Magia, volume I, a cura di
Alberto Fidi e Arturo Reghini, Roma, Edizioni Mediterranee, reperito nella forma digitale
all’indirizzo https://www.scribd.com/doc/233186965/La-filosofia-occulta-vol-1-pdf.
91
YATES, op. cit. p. 60.