IX
Introduzione
Ancora all’inizio degli anni novanta le conoscenze relative al medioevo in provincia di
Mantova erano piuttosto scarse ed attribuibili in gran parte a scoperte del tutto fortuite.
Conoscere il territorio significa conoscerne la storia politica, militare, sociale ed
economica, vale a dire in definitiva la storia complessiva di chi lo ha abitato.
Ricostruire una diacronica successione di eventi, responsabili dell’assetto di una
determinata realtà umana e geografica, è però esercizio lungo ed arduo il cui fine è la
comprensione delle dinamiche che hanno contribuito alla costruzione materiale di un
“paesaggio” e di un “habitat” antropico. Paesaggio ed habitat il cui grado di artificialità, al
di fuori del costruito piø evidente e ritenuto tale per comune definizione (necropoli, città,
borghi, castelli, ecc.), spesso sfugge all’osservatore distratto o a chi ritiene che l’ambiente
extraurbano sia prevalentemente opera di natura piuttosto che di artificio.
Sono questi i presupposti che stanno alla base del mio elaborato, voluto per sottoporre
sotto una lente d’ingrandimento, l’esame di un territorio, quello Mantovano, secondo
letture multidisciplinari.
Protagonista del volume è infatti la provincia di Mantova, terra in cui sono nato e
cresciuto, analizzata mediante un approccio storico e soprattutto archeologico.
Una lettura che si avvale dell’esame del sottosuolo, ma che applica il sistema stratigrafico
alla comprensione evolutiva delle strutture in elevato, cercando conferme e spiegazioni
delle dinamiche evolutive con quanto restituito dalla paziente lettura dei documenti
d’archivio e delle fonti storiografiche giunte sino ai giorni nostri.
L’arco di tempo entro il quale intende limitarsi il mio lavoro comprende l’età tardo antica e
altomedievale, piø precisamente dall’ affermarsi del dominio Longobardo nelle campagne
Mantovane dell’ VII secolo, passando per la breve parentesi Franca, alla riorganizzazione
sociale e territoriale apportata dalla dominazione Canossiana e al sorgere delle prime forme
di fortificazioni di X-XI secolo.
Il Medioevo è nel suo complesso un’ età dura e faticosa, ma soprattutto lontana e diversa
dalla nostra, anche se tanti suoi elementi costitutivi fanno ancora parte dell’universo
mentale e materiale degli Europei di oggi. Il mio interesse verso il Medioevo non è soltanto
dovuto al desiderio di conoscere e far conoscere le origini del territorio in cui vivo, ma
anche alla volontà di allargare l’orizzonte mentale, confrontandomi con un’ epoca
caratterizzata da una straordinaria capacità di adattamento, da una altrettanto straordinaria
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attitudine a sperimentare nuove soluzioni per i problemi della società, problemi iniziati con
il tragico e improvviso crollo dell’impero Romano d’Occidente, e con il conseguente crollo
di tutti i sistemi economici, politici e sociali.
Nel primo capitolo ho voluto infatti dedicare ampio spazio, mediante un’indagine
puramente storiografica e archivistica, ad una ricostruzione dei principali avvenimenti
storici che hanno caratterizzato il territorio Virgiliano dal dominio Longobardo iniziato con
la presa di Mantova del 603 d.C. sino alla morte di Matilde di Canossa, avvenuta nel 1115.
Attraverso tale indagine ho cercato di focalizzare l’attenzione non tanto sui singoli
avvenimenti politici, quanto soprattutto sulle modalità attraverso le quali tali avvenimenti
hanno influito sull’organizzazione sociale e territoriale.
Capire e ricostruire, per esempio, in che modo i Longobardi si fossero insediati sul
territorio Mantovano e quali cambiamenti negli usi e costumi locali avessero introdotto è a
mio avviso molto piø importante del singolo evento politico, almeno per quanto riguarda il
mio elaborato, poichØ permette di comprendere e riflettere sul perchØ, ad esempio, in tutto
il territorio Mantovano non abbiamo nessuna traccia archeologica di insediamenti
Longobardi ma solamente necropoli, e se effettivamente tali necropoli sono da attribuirsi a
popolazioni realmente Longobarde oppure se siano il risultato di una Longobardizzazione
autoctona (tematiche puntualmente trattate nel capitolo secondo).
Descrivere invece l’organizzazione territoriale delle campagne Mantovane durante la
dominazione Canossiana e il ruolo fondamentale del clero, è importante per capire, ad
esempio, il perchØ la stragrande maggioranza delle fortezze del X secolo siano sorte per
difendere, inizialmente, un centro religioso.
Nel secondo capitolo, ho svolto un’analisi di tipo archeologico avente come oggetto i
principali ritrovamenti di età Longobarda in provincia di Mantova, ricerca finalizzata
soprattutto a conoscere le modalità con le quali i barbari si insediarono nell’ Impero
durante il periodo Tardoantico e Altomedievale, il loro impatto sul territorio e sugli stili di
vita delle popolazioni romane. Tale indagine è fondamentale per capire, almeno per il
territorio Mantovano, se vi sia stato un qualche processo di acculturazione di molte di
queste popolazioni barbariche o se, viceversa, i romani alloctoni siano andati
progressivamente assorbendo le nuove forme di vita portate da immigrati e invasori.
Non posso fare a meno di menzionare, in questo ambito, il grande contributo offerto dal
“Gruppo Archeologico Ostigliese” (G.A.O.), nato nel 1979 dalla passione di un piccolo
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gruppo di volontari, che conta oggi circa 80 soci, costantemente impegnato in diverse
attività di recupero archeologico. Dal 1980 gestisce il Civico Museo Archeologico di
Ostiglia; tra le piø importanti campagne di scavo ricordiamo le recenti scoperte
altomedievali nella frazione Sacca di Goito, gli scavi presso San Lorenzo di Quingentole e
il rinvenimento di una serie di sepolture a Guidizzolo e Casalmoro, ritrovamenti di cui
parlerò ampliamente proprio nel secondo capitolo.
Questo rinnovato interesse che le Amministrazioni Locali stanno riservando al recupero
del patrimonio storico e culturale del proprio territorio è, a mio parere, un’ importante
dimostrazione di come oggi le “municipalità”, in questo caso quella Mantovana, stiano
concependo la loro missione di promozione dei valori e della conoscenza dell’ enorme
valore storico del proprio territorio.
Ci si auspica che in futuro, sullo slancio offerto da associazioni quali la già citata G.A.O. o
la S.A.P. (Società Archeologica Padana) a cui si attribuisce l’enorme merito di aver
operato in un terreno ancora del tutto sterile, sempre nuove indagini e studi permettano di
conoscere piø a fondo la realtà archeologica del territorio Mantovano in quel complesso
periodo tra il tardoantico ed il pieno Medioevo, la cui multiformità è evidente anche solo
leggendo le ultime acquisizioni di cui parlerò nei capitoli seguenti di questo elaborato.
Nel terzo e ultimo capitolo ho ritenuto opportuno, invece, concentrarmi sul fenomeno
dell’incastellamento a partire dalla fine del IX secolo sino agli inizi del XII secolo.
La provincia Virgiliana offre infatti un valido e notevole contributo per la storiografia
delle costruzioni militari italiane; castelli e rocche, per così dire “di pianura”, posti cioè a
presidio dei confini un tempo esistenti fra i tanti potentati che si spartivano la Valle del Po,
divenuti, con l’abbandono delle armi da getto e l’avvento di quelle da fuoco,
irrimediabilmente obsoleti e quindi sacrificabili.
Parte di questi castelli conservano ancora le loro cinte murarie con merlature, torri, torrioni
e camminamenti di ronda; di qualche altro rimane solo lo scheletro della struttura
originaria; di altri ancora si conserva solo qualche mura con arroccato qualche gruppo di
casupole. La maggior parte dell’intero vallo gonzaghesco presenta purtroppo oggi dei vuoti
sconcertanti.
Miglior sorte ebbero, in virtø dei materiali impiegati e della loro posizione strategicamente
elevata, gli apprestamenti edificati in collina ai quali, per esempio, Monzambano,
Villimpenta o Castel d’Ario appartengono a pieno titolo.
XII
Partendo da un approccio puramente archeologico, basato quindi sullo studio stratigrafico
degli alzati, ho scelto di studiare i castelli altomedievali innanzitutto nei rapporti intercorsi
tra le funzioni che essi svolgono e la loro struttura fisica, e quindi nelle interferenze che si
sono venute a stabilire fra i castelli e il popolamento rurale, muovendomi tuttavia in un
ambito tematico che va dai mutamenti istituzionali e sociali alla psicologia collettiva, dalle
tecniche edilizie ai valori simbolici.
Di molti altri castelli non sono invece rimasti nemmeno i ruderi. Distruzioni del tempo si
dirà, ma anche ingiurie e negligenze degli uomini conviene aggiungere, dimentichi che
ognuna di tali costruzioni ha avuto una propria inconfondibile storia, anche se occultata
dalla polvere dei secoli.
Come ultima tematica, ho proprio voluto affrontare il problema di questi insediamenti
fortificati che, prevalentemente per la loro collocazione in un territorio completamente
pianeggiante e sia per l’impiego di materiali facilmente deperibili, non hanno lasciato in
superficie alcuna traccia di se; al contrario infatti dei già citati castelli in muratura di
Monzambano o di Villimpenta le fonti documentarie attestano la presenza, già a partire dal
IX secolo, di un gran numero di fortificazioni lignee che purtroppo non si sono conservate
sino ai giorni nostri.
Il tema dei castelli in materiale ligneo nel medioevo individua senza dubbio un tema di
ampia portata e di estrema problematicità, che presuppone anche profonde implicazioni
storico-sociali e culturali.
In area anglosassone, per esempio, il tema incastellamento non si distingue, anzi in qualche
modo appartiene e si inserisce nella piø grande e ampia linea di ricerca definita come
Desert Medieval Villages importata e tradotta in Italia già negli anni ’60 e ’70.
Il territorio Mantovano, come del resto gran parte dell’Italia Settentrionale, partecipò in
maniera marginale a questa riflessione. Se in qualche modo infatti il lavoro di Aldo Settia
invitò gli storici ad una maggiore attenzione anche ai temi dell’insediamento e delle sue
forme, bisogna riconoscere che tra gli archeologi questo indirizzo fu meno recepito, a
causa certamente dell’assenza di un preciso indirizzo scientifico della disciplina, ma anche
per l’assenza di gruppi di ricerca presenti sui territori e attenti, nello specifico, a queste
problematiche.
Anche la riflessione intorno alla pratica del “survey” archeologico ha avuto scarsa
diffusione; larga parte dei lavori d’area padana si sono orientati, a partire dagli anni ’80,
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all’individuazione delle nuove aree archeologiche presenti in superficie, fornendo in taluni
casi un’enorme mole di dati.
Progressivamente, dopo la fase di identificazione, alcuni studi hanno anche puntato alla
comprensione delle distribuzioni delle evidenze archeologiche sul territorio, tentando di
definire la struttura parziale e la rete di relazioni con il paesaggio.
Questo ha consentito di produrre ottime carte distributive delle evidenze archeologiche
individuate ma non ha affrontato, ad esempio, il ben piø importante problema relativo alla
definizione e all’individuazione del sito in superficie e alle caratteristiche dello stesso.
Per tutti questi motivi risulta di fondamentale importanza e rappresenta una sorta di
eccezione il caso dell’insediamento altomedievale di Nogara, da me proposto e illustrato
nell’ultimo paragrafo di questo elaborato.
Nei pressi di questo piccolo paese, collocato nella Bassa Pianura Veronese a 20 km da
Mantova, le recenti ricognizioni di superficie condotte tra il 1999 e il 2008 sotto la
supervisione del professor Fabio Saggioro e del dottor Alberto Manicardi (nonchØ attuale
direttore della S.A.P. di Mantova), hanno permesso di individuare e riportare alla luce
strutture ed edifici in legno, straordinariamente conservatisi sino ai giorni nostri, di un
antico villaggio altomedievale nei pressi del quale a partire dal IX secolo venne edificato
un castrum, in legno, di cui oggi purtroppo è possibile solamente notare il dosso rialzato
riferibile all’area che esso occupava.
Le eccezionali condizioni di conservazione dei materiali organici presenti nel sito di
Nogara hanno consentito agli archeologi di avere un’immagine estremamente dettagliata
della vita quotidiana, principalmente tra il IX e XI secolo: cosa si mangiava, come si
lavorava. I resti delle case in legno, preservate dalla distruzione grazie all’ambiente umido
nel quale sono rimaste immerse sino ai giorni nostri, permettono invece di capire gli aspetti
legati alle architetture Padane dei secoli centrali del Medioevo.
In definitiva l’elaborato si pone l’obiettivo di far luce su uno dei periodi piø bui e
controversi della storia, quello Alto Medievale, cercando di creare un parallelo tra fonti
storiografiche e ritrovamenti archeologici, ovvero tra ciò che i vari diplomi, documenti,
lasciti testimoniano e ciò che l’archeologia effettivamente conferma o, in alcuni casi,
smentisce.
1
Capitolo 1
Mantova: storia e organizzazione di un territorio
tra Tarda Antichità e Alto Medioevo
3
1.1 Il “territorio Mantovano”: problematiche di una definizione
Il concetto di “territorio mantovano” è indubbiamente una costruzione storica e non un
dato originario.
Per territorio mantovano si intende oggi la provincia di Mantova, dove è peraltro compresa
una parte della diocesi di Cremona. Si tratta cioè di una costruzione post-unitaria ottenuta
mediante l’unificazione di piø distretti, di cui sono tuttora visibili in provincia, qua e là sui
muri, le targhe e le scritte.
Il territorio mantovano di cui parliamo costituisce grosso modo una cartina retrodatata di
circa un millennio, cioè qualche secolo prima che i Gonzaga, definendo il loro dominio
intorno a Mantova, dessero un contributo determinante alla configurazione di quello che
ora noi chiamiamo “territorio mantovano”. D’altra parte, se piø fonti
1
convengono
nell’indicazione della presenza di un vescovo a Mantova a partire dall’VIII secolo e sulla
notevole estensione delle sue proprietà, già l’insieme di tali possedimenti, nonchØ la
giurisdizione ecclesiastica costituiscono un primo nucleo di quella che, a partire
dall’ufficializzazione di Mantova come sede vescovile - inizi del IX secolo - si potrà a
buon diritto chiamare territorio mantovano.
La cartina tracciata da Ercolano Marani della diocesi di Mantova alla fine del XII secolo ne
“La medievale partizione plebana
2
”, messa a raffronto con l’attuale estensione, offre
l’interessante indicazione di un territorio piø ristretto, ma che non esce dai limiti odierni,
dove ovviamente appare escluso l’Oltrepò, che rimarrà soggetto alla diocesi di Reggio
Emilia sino ai primi decenni del XIX secolo. Si tratta di un documento prezioso poichØ vi
compaiono ben 41 pievi con una distribuzione calibrata in prossimità dei confini e che
occupava dunque il paesaggio con una certa regolarità. Mario Vaini ha ben sottolineato la
priorità del rapporto vescovo-proprietà rispetto al rapporto vescovo-potere politico
3
.
A differenza infatti di situazioni piø diffuse nel Nord, il vescovo di Mantova non
possedeva la qualifica di vescovo-conte e dunque non era in possesso di un reale e
riconosciuto potere politico.
1
G.PECORARI, La diocesi di Mantova, Mantova, Tip.Alce,1962,pp 25-26
2
E.MARANI, La medievale partizione plebana nella diocesi di Mantova, in “Atti e Memorie
dell’Accademia Virgiliana”, vol. XLV,1977.
3
Cfr.M.VAINI, Dal comune alla signoria. Mantova dal 1200 al 1328,Milano,Franco Angeli,1986,cap.II, La
chiesa, pp. 63-136
4
Scrive Vito Fumagalli che
“a metà del secolo XI nella bassa pianura mediopadana riscontriamo una diffusa presenza di
chiese e monasteri che stupisce, dato l’aspetto selvaggio che gran parte di tale zona ancora
offriva: vaste foreste, boschi, paludi, stagni, corsi d’acqua numerosi e dal corso irregolare.
[Nel territorio compreso tra la Via Emilia, San Benedetto di Polirone e la confluenza del fiume
Oglio nel Po] le chiese e i monasteri ivi sparsi erano almeno 55
4
”.
Cinquantacinque tra cappelle monasteri e pievi non erano certo pochi in una landa di bassa
pianura, dove la colonizzazione si attuò a fondo solo nel secolo successivo.
In effetti in epoca carolingia, nei paesi, come l’Italia, in cui il cristianesimo si era diffuso
sin dai primi secoli, una fitta rete di chiese copriva le campagne con un incremento che si
manifestò all’indomani del passaggio degli Ungari, che segnò la distruzione di pievi,
abbazie, archivi.
Alla fine del primo millennio, in una situazione di forte instabilità e di crisi del potere
imperiale, si produsse un rafforzamento del potere politico dei vescovi, cui si riconobbe
pubblicamente il ruolo di defensores civitatis.
Nei secoli X e XI anche il contado della diocesi di Mantova era costellato di chiese il cui
territorio di giurisdizione prendeva il nome di parochia. Il quadro delle chiese rurali
nell’Europa cristianizzata di questo periodo, compreso per l’appunto il territorio
Mantovano, si presentava nei seguenti termini:
a) Sovente la parochia corrispondeva alla villa: le fonti parlano di “villa cum sua
ecclesia”. Nel secolo XI il quadro ecclesiastico della parrocchia tendeva sempre piø
a sostituirsi al quadro dominicale della villa: in molti paesi le parrocchie
cominciarono a servire di base a comunità abitate e quindi alla formazione di
villaggi;
b) Ogni chiesa parrocchiale era diretta da un prete che a quel tempo non aveva ancora
una precisa denominazione: poteva essere presbyter o rector o altro termine
analogo. Egli aveva la “cura animarum” della sua parrocchia e perciò, in epoca
pastorale, prenderà pure il nome di curatus;
4
V. FUMAGALLI, Uomini e paesaggi medievali, Bologna, Il Mulino, 1989, p.93.