1. Introduzione
Sono venuto a conoscenza dell’opera di Paolo Benvenuti
leggendo il libro L’avventura del cinematografo di Sandro
Bernardi, anche se a dire il vero in passato avevo sfiorato la
possibilità di entrare in contatto con le sue opere più di una
volta: consultando la memoria, ricordo che avevo sentito
parlare del film Segreti di Stato, e che mi ero ripromesso di
andarlo a vedere ma ciò non fu poi possibile; non posso negare
che l’idea come venne così mi abbandonò. In seguito, questo
pochi anni orsono, recandomi in visita alla Villa Puccini di
Torre del Lago, acquisto un libro, che ripercorreva la vita che il
musicista trascorreva in quel posto. Preso dalla curiosità cerco
di saperne di più sulle vicende pucciniane intime e vengo a
sapere che un regista aveva fatto un ritrovamento eccezionale:
in una casa di Pisa appartenente a eredi del maestro era stata
rinvenuta una valigia con lettere, atti, documenti cartacei di
vario genere e un filmato che stava a testimoniare il probabile
interesse di Giacomo Puccini per il mondo delle immagini in
movimento. Quel regista era proprio Paolo Benvenuti.
Fino a qui nulla di eccezionale; l’interesse per saperne di
più sul lavoro di Paolo Benvenuti è scaturito con la visione del
film Gostanza da Libbiano, dove sono stato completamente
travolto dalla bellezza delle immagini in bianco e nero,
relativamente alla composizione e al contrasto di taglio
espressionistico di quelle inquadrature, e non da meno, dal
modo di come veniva portata avanti la trama attraverso uno
stile attoriale chiaro e potente. Fu un vero e proprio coup de
foudre.
Approfondendo in seguito il profilo di questo autore
indipendente, completamente svincolato dal cinema ufficiale e
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da logiche produttive miranti al profitto, ho scoperto il suo
grande interesse al dato storico, interpretato prevalentemente in
chiave materialista, punto questo, che tuttavia non è scevro da
sorprese. Questa tesi è quindi il risultato di un’attività di
ricerca, che come recita il titolo, pone al centro della sua
trattazione i rapporti tra il cinema di Paolo Benvenuti, la storia,
i documenti e come tutto ciò si trasforma in immagine
cinematografica.
Per comprendere il linguaggio cinematografico di
Benvenuti, è necessario propedeuticamente affrontare la
tematica di cosa si intende per cinema storico e su quali basi
teoriche si fonda. Questo è l’argomento del capitolo seguente a
questa Introduzione, dove partendo dall’importanza che
l’argomento di natura storica ha sempre rivestito nel cinema,
giungo a trattare la rivoluzione storiografica degli Annales. I
riferimenti teorici di questo gruppo di storici, tra i quali Marc
Ferro che fu tra i primi negli anni ‘60 a porre in relazione
seriamente cinema e storia, saranno quelli che Paolo Benvenuti
adotterà come “metodo” per le sue ricerche. Il terzo capitolo
invece approfondisce la figura di Roberto Rossellini a partire
dalla fine degli anni ’50, vale a dire dal momento in cui non
sente più il mondo del cinema aderente alle sue idee, e rivolge
le proprie attenzioni alla televisione, astro nascente del
momento, realizzando una lunga serie di film didattici da
trasmettere appunto attraverso il mezzo televisivo. Rossellini,
soprattutto questo “televisivo", sarà una fonte d’ispirazione per
Paolo Benvenuti, il quale collaborerà con lui come assistente
volontario per carpirne i segreti e le chiavi interpretative e
riproduttive dei fatti storici. Reputo particolarmente importanti
questi due capitoli, utili per introdurre a capire cos’è un film
storico, nonché la particolare figura del Rossellini storico-
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didattico. Senza di questi, verrebbero a mancare, per un
soddisfacente studio intorno a Benvenuti, due aspetti basilari
per la sua comprensione.
Il capitolo successivo riguarda nello specifico l’evoluzione
del regista e l’analisi della sua attività. Lo svolgimento del tema
parte dalle sue origini artistiche per approdare alla descrizione
del contesto storico di riferimento di ogni film e dal lavoro di
reperimento e studio dei documenti, con il fine di testare
l’esistenza di corrispondenze tra la storia giuntaci attraverso i
documenti e la realizzazione della rappresentazione filmica, che
secondo Benvenuti, in linea con le teorie storiografiche correnti,
non è mai la riproposizione della verità, ma solo una possibile
ipotesi ricostruttiva dei fatti fondata sui documenti. Anche in
questo caso, ho dato molto spazio alla descrizione del dato
storico e alla modalità del suo reperimento. Questo è un
percorso importante, anche perché se la lavorazione del film,
sempre a basso costo, dura pochi mesi, il lavoro di ricerca è
sempre durato svariati anni, rendendo esplicito il motivo della
breve filmografia benvenutiana. La fase seguente è stata quella
di indagare come i documenti sono stati elaborati in
sceneggiatura e inquadrature, quest’ultime fondanti il cinema di
Paolo Benvenuti, un pittore prestato al cinema. L’ultimo
capitolo cerca di trarre delle conclusioni che si articolano in tre
percorsi diversi ma che prendono vita dalle stesse radici. Il
primo percorso tende a considerare criticamente il rapporto di
Paolo Benvenuti con la Storia, attraverso una possibile
definizione del suo cinema e di una sua area di appartenenza. Il
secondo percorso conduce, attraverso le inclinazioni culturali
del regista e soprattutto dopo l’incontro con Danilo Dolci, verso
l’anima pedagogicamente “maieutica” di Paolo Benvenuti,
elemento formativo non scorporabile dalla sua opera. In ultimo,
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il terzo percorso, intende aprire un momento riflessivo circa la
difficoltà distributiva e conseguentemente ricettiva di questo
tipo di cinema, prodotto culturale di un’altra epoca che sembra
avulso dai canoni comunicativi della società contemporanea.
In conclusione sono presenti due appendici che hanno una
funzione dimostrativa di quanto esposto precedentemente nella
trattazione: nella prima ho raccolto interviste e conversazioni,
sia con Paolo Benvenuti che con altre figure di prestigio che a
vario titolo sono entrate in contatto con esso. Nella seconda,
una galleria fotografica, al fine di permettere di verificare la
corrispondenza tra l’ideale iconografico di riferimento
progettato dal regista, con quanto realizzato poi sul set
attraverso il linguaggio scenografico e fotografico
cinematografico.
Per la realizzazione di questa tesi sono state consultate
fonti monografiche o in forma di articoli di riviste di settore,
nonché interviste e conferenze presenti in rete su vari canali
You Tube. Fonte insostituibile di informazioni l’affabile
rapporto stretto dal sottoscritto con Paolo Benvenuti, che si è
esplicato sia in lunghe conversazioni via Skype, che attraverso
il servizio di posta elettronica con l’invio da parte del regista di
documenti di difficile reperimento oppure inediti, riguardanti
elaborati critici e suoi interventi a congressi o manifestazioni.
In conclusione di questa Introduzione desidero ringraziare
tutti coloro che hanno reso possibile la stesura di questa tesi: in
primis il professor Luca Mazzei, per aver accettato la mia idea e
avermi indirizzato in maniera lungimirante nella fase iniziale
della ricerca; la professoressa Simona Foà, che oltre a essere
correlatrice, si è resa disponibile per un intervista che ha dato
lustro al presente lavoro; inoltre un sentito ringraziamento al
professor Adriano Aprà, al dott. Giulio Marlia, al fotografo
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Enzo Cei e all’attrice Debora Mattiello per i loro preziosi
contributi; un ringraziamento speciale va a Paolo Benvenuti con
il quale si è instaurato un rapporto di proficua e affabile
collaborazione, rivelatore di una profonda umanità. Un
pensiero, per il supporto e i consigli, va infine, a mia moglie
Elena D’Elia.
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2. Documento storico e cinema
2.1 Il cinema come strumento di narrazione
Il legame tra cinema e storia è da sempre molto stretto, fin
dai primordi della settima arte. Mario Verdone, nel 1962, nel suo
articolo Preistoria del film storico , evidenzia come gli esordi del
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cinema muto furono caratterizzati da soggetti storici e come la
cinematografia americana, in seguito, prenderà spunto da tali
tematiche. Altri critici portarono all’attenzione come elementi
esotici e, se vogliamo artificiosi, presenti in tutti i film di
ambientazione romana-mitologica, accentuavano il lato
spettacolare del film, allontanandosi però dalla riproposizione del
dato storico-narrativo; in altre parole, si può affermare che il
soggetto storico era soltanto un pretesto ambientale per mettere in
scena la padronanza tecnica raggiunta nel mezzo cinematografico.
In un articolo precedente, Del film storico pubblicato su “Bianco
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e Nero” nel 1952, sempre Mario Verdone ricorda come il primo
film italiano a soggetto è, appunto, un film storico di Filoteo
Alberini, La presa di Roma (1905). Quindi, anche a fronte di un
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aspetto narrativo labile , il cinema delle origini venne sedotto dalla
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rappresentazione di eventi storici; se prima, le immagini fisse
come illustrazioni, dipinti o fotografie irrigidivano gli avvenimenti
Articolo presentato al congresso organizzato dal 22 al 24 giugno 1962 dalla Federazione
1
Internazionale Archivi del Film e dal Centro Sperimentale di Cinematografia, Il film storico
italiano e la sua influenza negli altri paesi.
M. Verdone, Del film storico, in “Bianco e Nero”, 13 (1952), pp. 40-54.
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Cortometraggio dalla durata di 10 minuti prodotto dalla Alberini&Santoni, manifattura di
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soggetti e films cinematografiche, in sette quadri animati ispirati dalle opere del pittore Michele
Cammarano.
I film dell’epoca erano essenzialmente dei cortometraggi finalizzati ad intrattenere gli spettatori
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attraverso la novità delle immagini in movimento.
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in un presente immobile, l’immagine in movimento creò
l’illusione di far rivivere il passato. Prima dell’incontro con la
narrazione e i suoi codici, quindi, il cinema accettò la sfida di
incontrare e rievocare la storia.
La prima pellicola girata dai fratelli Lumière, risalente al
19 marzo del 1895, L’uscita dalle officine Lumière, pare ai nostri
occhi come un “documentario organizzato”, nel senso che la scena
non fu ripresa in maniera casuale ma probabilmente fu preparata in
qualche modo. Già dal primo filmato quindi la macchina da presa
avrà una funzione documentale, ossia di registrare un avvenimento
per presentarlo al pubblico. Questa peculiarità descrittiva venne
colta dal documentario , che in realtà fin dalle origini non rifiuterà
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del tutto il ruolo di ricostruttore/rappresentatore di storie. Robert
Fleherty, pioniere indiscusso del genere, per girare Nanuk
l’eschimese (1922) non si accontenterà di riprendere la
quotidianità degli eschimesi ma farà “mettere in scena” la caccia
alla foca con l’arco, per completezza d’informazione dovrà quindi
“creare la finzione in nome della verità. ” Altro pioniere del genere
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è Dziga Vertov, tra i fondatori del movimento Kinoglaz
(cineocchio) e propugnatore della superiorità del documentario,
detentore del primato del realismo, sul cinema di finzione, il quale
a differenza di Flaherty porrà il suo marchio autoriale non tanto
sulle riprese quanto sul montaggio e sugli artifici tecnici, cercando
di rendere la macchina da presa asettica e distaccata.
Da questi due esempi si evidenzia come nel genere
documentaristico dei primordi le possibilità del mezzo filmico
vengono ripartite tra la rappresentazione del reale e la sua
manipolazione attraverso le tecniche della ripresa e del montaggio.
Il termine “documentario” apparve per la prima volta sul New York Sun l’8 febbraio 1926 ad
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opera di John Grierson, in un articolo che descriveva L’ultimo Eden di Robert Flaherty.
Robert A. Rosenstone, History on film/Film on History., cit. pag 71.
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Visti i contesti non potrebbe essere diverso, in quanto la ripresa
documentaristica risulta essere il prodotto delle idee del regista che
si deve confrontare con realtà esterne quali i contesti politico-
sociali, pressioni di natura economico-culturali e non da ultimo
con la produzione.
Un contributo determinante per far in modo che il cinema
divenga uno strumento narrativo efficace, anche in questo caso di
un soggetto storico , sarà dato da David W. Griffith con i sui
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lungometraggi The birth of a nation del 1915 e Intolerance
dell’anno seguente, dove, attraverso un uso narrativo delle
immagini (tagli particolari dell’inquadratura, primi piani con
funzioni drammatiche e diegetiche e, soprattutto, l’uso del
montaggio alternato e parallelo) farà risaltare la figura del regista
come narratore attento di una storia che tuttavia si preoccupava
ben poco del significato simbolico-filosofico del suo film. Proprio
da questo momento in poi il cinema farà passi da gigante per
affrancarsi da essere strumento di intrattenimento/meraviglia e
trasformarsi in strumento narrativo, al pari, se non addirittura
superiore, della letteratura, grazie alla sua peculiarità di essere
doppiamente narrativo: ogni sequenza è una narrazione testuale e
visiva, che attraverso il montaggio crea un ulteriore narrazione che
trova il suo svolgimento nel tempo e, a differenza del teatro dove il
suo divenire è limitato al luogo e al momento della
rappresentazione, il divenire del cinema non ha vincoli di spazio e
tempo.
D.W. Griffith riteneva il film storico un genere molto importante a tal punto che ipotizzava un
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futuro dove i bambini, “in una stanza scientificamente preparata”, avrebbero appreso la storia non
più sui libri ma attraverso la visione dei film.
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