XI
vignette satiriche come erinni scatenate e goffe. Tra mogli e mamme comuni, si
scoprirono abilissime oratrici e fondatrici di giornali come il Revolution del 1868.
Il primo femminismo americano, nella sua lotta per il voto, trasse dalle sue donne,
mogli e mamme comuni, la forza per poter fondare un movimento autonomo sganciato
da qualsiasi altra lotta: sociale, antiabolizionista o dei lavoratori che fosse. Il
femminismo degli anni Sessanta dovette tutta la sua riuscita a cio' che il primo
femminismo americano riusci' a fare ed ottenere.
La richiesta del voto alle donne andava ben oltre l'obiettivo che si voleva conseguire.
Era diventato uno strumento indispensabile alla rigenerazione dell'intera societa' al
punto che Emmeline Pankhurst, nella lotta per il suffragio inglese, giunse a srivere: "Se
la civilta' futura e' destinata a progredire sara' senz'altro grazie all'aiuto delle donne: di
donne ormai liberate da impedimenti in campo politico e padrone di esercitare la propria
volonta' nella societa'".
Il voto giunse in America attraverso i modi rivoluzionari di queste agguerritissime
donne: vestite con lunghe gonne e cappellini di fiori, urlavano il loro diritto al voto
bloccando le sedute del Parlamento o incatenandosi ai lampioni o, addirittura lanciando
sassi contro le vetrine dei negozi. Il voto fu raggiunto il 26 Agosto 1920 con la rettifica
del 19.imo emendamento ed improvvisamente mise fine ai vari movimenti che non
trovarono alcuna motivazione per proseguire nella lotta nonostante Alice Paul,
iniziatrice della lotta con i metodi inglesi della Pankhurst, avesse trovato nella richiesta
della parita' politica ed economica i nuovi obiettivi.
Nei tardi anni Sessanta una nuova situazione sociale offri' al movimento delle donne un
accesso piu' ampio agli studi universitari e soprattutto un ambiente culturale piu'
favorevole alla ripresa di una nuova coscienza di lotta.
Paradossalmente i primi studi sulla Storia delle Donne condotti da psicologhe e filosofe
evidenziarono della donna il suo non-rapporto con la storia e la sua subordinazione
manifesta ma soprattutto (come accadde durante gli anni della Mistica della
Femminilita') celata da un'apparente progresso sociale.
La filosofa francese Simone de Beauvoir con il suo "Deuxieme Sex" del 1949 e Betty
Friedan, psicologa statunitense, svelarono lo stato di involuzione verso cui la donna
XII
stava sfociando. I loro libri furono oggetto di profonde riflessioni su come la donna
degli anni Cinquanta non fosse stata capace, nonostante il passato di emancipazione, di
ritagliarsi un posto nella societa' degno di rispetto.
In Italia i movimenti emancipazionisti esercitarono la loro pressione particolarmente in
occasione delle discussioni parlamentari sulle riforme elettorali, richiedendo
innanzitutto l'ammissione al voto amministrativo. Cultura ed ideologia dell'Italia
liberale sono ancora tuttavia fortemente restie ad ammettere un coinvolgimento delle
donne nella sfera pubblica e giungono solo lentamente ad abolire le nuove restrizioni
della capacita' giuridica femminile. In questo contesto, la strada per giungere al voto
femminile, fu intrapresa solo da una ristretta elite di donne a cui appartenevano gli strati
piu' acculturati della borghesia che, sfruttando le rivendicazioni delle operaie italiane,
introdussero argomentazioni efficaci che, in un secondo tempo, avrebbero influito sulle
vicende politiche.
Figure di spicco tra le emancipazioniste furono A.M. Mozzoni ed A. Kuliscioff. La
prima seppe concretizzare nella riforma del codice civile, nel sostegno alle lavoratrici,
nell'istruzione e nella condizione civile della donna, la lotta femminista in un piano
organizzativo fatto di propaganda, di ricerca e costruzione delle alleanze, per giungere
al suffragio femminile ed alla richiesta di altri primari diritti civili. La seconda, braccio
destro di Turati nel PSI, fu l'interprete piu' sensibile dei problemi delle lavoratrici e,
coerentemente sul piano politico, le azioni che la videro protagonista furono quelle
inerenti al lavoro della donna da lei stessa ironicamente definito, nella Conferenza del
1890, "Il primo animale domestico dell'uomo". Nonostante fosse membro del Partito
Socialista, la Kuliscioff si schiero' apertamente pro-suffragio universale di contro alle
proposte del suo stesso partito.
All'inizio del XX secolo denunciava cosi' l'illogicita' ed il filisteismo della misoginia
elettorale dei socialisti: "…il partito socialista soffre in Italia di vecchiezza precoce…"
Nonostante queste due grandi figure che si batterono soprattutto a livello legislativo per
il suffragio, le energie e le rivendicazioni del femminismo ottocentesco coagulatesi nella
richiesta del voto, vennero eluse.
XIII
L'esclusione delle donne dalla riforma elettorale del 1912 di Giolitti, che invece estese il
suffragio agli analfabeti, fu giustificata dal fatto che, secondo lui, il voto alle donne
avrebbe rappresentato un salto nel buio. Cio' peso' duramente sulle speranze e le
aspirazioni che avevano mosso quaranta anni di lotte.
Il movimento di queste donne carismatiche falli' principalmente per mancanza di una
forza politica, per l'isolamento e l'incapacita' di contrarre alleanze e scambi.
Dopo questa sconfitta calo' una spessa cortina di ferro sui ricordi e sulla memoria
storico-culturale di quaranta anni di storia. Quando, trent'anni dopo, nel 1945, le donne
ottennero, dalla caduta della monarchia, il diritto al voto, nessuno piu' ricordava la
Mozzoni, la Kuliscioff ed altre.
Diversamente dalla lotta suffragista dele agguerritissime donne d'oltre oceano, in Italia
il primo femminismo si esprimeva tramite un linguaggio troppo diverso dalla realta'
sociale fortemente maschilista e misogina.
"Il femminismo e' un movimento che mi sembra condannato dal nome stesso. E' un'idea
feminile nel senso cattivo del termine. Anche i maschi hanno i loro problemi particolari
ma non hanno ancora inventato il maschilismo!" elucubrava il quotato Benedetto Croce,
ma anche da parte delle stesse donne vennero prese simili posizioni.
Sicche' nello stesso periodo in cui le donne americane conquistavano il suffragio, le
nostre operaie vedevano ridotte le loro paghe, le laureate escluse dall'insegnamento
della filosofia e della Storia e le nostre studentesse pagare tasse piu' alte degli uomini.
In Italia la concessione del voto alle donne giunse solo col decreto del 1 Febbraio 1945.
Nonostante ci fossero voluti ben quarantadue anni per raggiungere il suffragio
femminile, questi non diede gli effetti sperati, poiché i tempi erano mutati e la guerra
aveva cancellato definitivamente il ricordo delle lotte e del patrimonio di idee ed
aspirazioni che le suffragette avevano costruito e che nessuno aveva interesse a farne
oggetto di analisi.
Il risultato comune che ottennero i due primi movimenti emancipazionisti femminili, in
Italia ed in America, dopo tante lotte e tante idde, fu la paradossale caduta del ruolo
della donna nella società. In entrambi i casi questa involuzione è da imputarsi ad una
situazione di impreparazione politica in cui si trovarono le donne del dopo voto,
XIV
sottomesse da una condizione mentale di inferiorita'. Disse Simone De Beauvoir: "…la
donna si conosce e si sceglie non in quanto esiste di per se', ma in quanto e' definita
dall'uomo…perche' il suo essere–per–gli–uomini e' uno dei fattori essenziali della sua
condizione concreta."
Nel periodo antecedente gli anni Sessanta , al miglioramento delle condizioni materiali
di vita fino al raggiungimento del "benessere", si accompagna la scolarizzazione di
massa e l'accesso sempre più massiccio alle universita'. Questi fenomeni di dimensione
mondiale e che, con il progresso dell'acculturazione femminile, favoriscono inoltre una
rinnovata riflessione sulla condizione della donna e della sua specificita' rispetto
all'ambito femminile, daranno vita al nuovo femminismo, al cui impulso si deve, in
parte, lattuale sensibilita' ai problemi della condizione della donna.
Certo e' che sia in America che in Italia, il passaggio al femminismo Sessantottino ci
presenta una donna ancora ai margini della Societa', ma quel che e' peggio, della Storia.
Infatti il Femminismo Sessantottino rischio' di rimanere nell'orbita del movimento
studentesco, con il quale aveva incominciato la lotta; le studentesse subito si accorsero
di quanto stava accadendo e della palese cecita' degli uomini della sinistra, che non
riuscivano a valutare la portata di quanto stava accadendo, consentendo loro di ricercare
una nuova forma di lotta personale attraverso il passaggio al femminismo radicale,
preannunciando un nuovo senso di identita' individuale e collettiva. Le nuove
femministe europee e d'oltre oceano si mossero verso il futuro riconoscendo il soggetto
donna come un soggetto di un cambiamento complessivo di portata storica inedita. La
formazione di gruppi femministi militanti e politicizzati, piu' o meno radicali, come il
"N.Y. Radical Feminists", il "Redstockings", il "Now" in America, ed il "Movimento di
Liberazione della Donna", il gruppo "DEMAU", i "Collettivi di Trento" o "Rivolta
Femminile" in Italia, accrebbero quella coscienza di oppressione politica a cui le donne
erano da sempre state sottoposte.
La pratica dell'autocoscienza dette, ad alcune donne, un punto di appoggio per costruire
e talvolta ricostruire l'esperienza personale e, ad altre, la spinta necessaria per ridefinire
la storia delle donne, partendo da nuovi concetti.
XV
Il femminismo e la sua storia aprì le porte alla riflessione attraverso percorsi
metodologici talvolta complessi sulla storia prima e sulla storiografia poi.
Nel 1970 un gruppo di storiche americane presentarono al convegno annuale "American
Historical Association", forse per la prima volta in sede accademica, il concetto di
"sessismo" prendendo spunto da una serie di studi sulla storia dei movimenti politici.
Linda Gordon denuncio' apertamente gli autori di questi studi marcandoli di
superficialita' e conservatorismo di pregiudizi maschili.
Storiche come Gerda Lerner, J. Kelly Gadol, Hilda Smith, Carroll Smith Rosenberg e B.
Flexner rifiutarono, in termini storiografici, di farsi interpretare da chi era stato l'agente
dell'esclusione e del non-riconoscimento dell'identita' femminile; ossia intrapresero il
compito di ridefinire la presenza della donna nella storia non come ampliamento della
storia maschile ma come storia delle donne in quanto tali. Il maggior contributo che
dette il femminismo alla storia delle donne fu il riconoscimento delle donne come agenti
della propria storia specifica e della storia in generale. Ne consegue che il passaggio,
nella rielaborazione femminista, da una storia specifica, 'separata', ad una storia che
comprende le donne, si ridefinisce totalmente. Scrisse la Lerner: "…tutta la storia come
noi la conosciamo e' mera preistoria. Soltanto una nuova storia basata saldamente su
questo riconoscimento [dell'esperienza delle donne] e che riguardi nella stessa misura
gli uomini, le donne e il patriarcato nella sua origine e nelle sue trasformazioni, può
pretendere di essere una storia davvero universale". Furono le femministe americane
che dettero grande impulso al rapporto donna-storia-politica legando indissolubilmente
la donna alla storia. Per usare un'espressione della storica femminista Joan Kelly "…non
si tratta di restituire le donne alla storia ma di restituire la storia alle donne".
La "Women's History" porto' inevitabilmente alla riscoperta in campo teorico dei
movimenti femministi del passato e delle loro protagoniste. Il libro di Eleonor Flexner,
"Century of Struggle", sul movimento emancipazionista dell'800, e' stato il primo studio
documentato sulla lotta per il suffragio. La rielaborazione storiografica delle storiche
femministe porto' a concetti come "sfere separate" o "woman's culture", con i quali si
sottolinea la capacita' della donna di creare delle strutture di resistenza all'interno
dell'oppressione. Il concetto di "women's culture" viene diffuso dall'opera pioneristica di
XVI
C. Beecher, in cui la donna vista esercitare il proprio potere di organizzatrice grazie alla
sua superiorita' morale senza pretendere con il suffragio o l'emancipazione, una falsa
parita' con l'uomo.
Sui concetti di "cultura femminile", che si sviluppa in una sfera separata, e di
"femminismo" si riconnettono, quindi, storiografia sociale e politica con una ricchezza
di prospettive e di analisi assolutamente nuove, come nel lavoro di Barbara Berg, ma
anche col rischio di approssimazioni e di superficialita' nella definizione teorica dei due
concetti.
Col titolo "Politics and culture in Women's history: a symposium" la rivista "Feminist
Studies", certamente la piu' attenta a cio' che si elabora in campo storiografico, pubblica
un confronto tra le maggiori storiche americane, nato da un deciso attacco sferrato da
Ellen Du Bois all'uso acritico che ormai e' invalso del concetto di "women's culture",
che viene troppo spesso descritta come un'esperienza romantica, dominata dall'amore,
avulsa dal resto della societa'.
La scoperta e la valorizzazione di un'identita' femminile ha valore storiografico e poli-
tico, secondo la Du Bois, a patto che non si tenda a nascondere le contraddizioni interne
alle donne stesse, al rapporto tra loro e tra le donne e la societa' nel suo complesso.
Un'analisi storiografica condotta da Estelle Freedman, per esempio, porto' a considerare
il fallimento degli obiettivi generali del movimento emancipazionista, nel dopo-voto,
all'abbandono della strategia del "separatismo": quando dopo il 1920 le donne tentano di
integrarsi nelle istituzioni maschili ed aspirano ad ottenere gli stessi diritti, la coscienza
di se' si disintegra e la forza collettiva si sgretola.
La storiografia femminista deve inoltre far chiarezza sui termini e le posizioni politiche
che sono piu' vicine ai problemi della donna in relazione all'esperienza storica
femminile: trattasi di un dibattito, tuttora in corso, che consente di iniziare a ridefinire la
categoria del politico entro cui si muovono le donne. Nella seconda meta' degli anni ’70,
infatti, la storia delle donne in America si basa sul contributo fondamentale delle
storiche femministe (tra cui le già citate Carroll Smith Rosemberg, Gerda Lerner, Joan
Kelly) raggiunge un patrimonio di ricerche cosi' consistente da divenire un punto di
riferimento essenziale per chiunque si voglia occupare di questi studi. Tuttavia talvolta
XVII
diviene difficile riuscire a disegnare un quadro sufficientemente articolato e
rappresentativo dei tanti problemi coinvolti nella discussione.
Natalie Zemon Davis, nel suo intervento alla sessione plenaria della "Berkshire
Conference of Women's Historians" del 1974, auspico' che la storia della donna entrasse
in una nuova fase, il cui scopo fosse comprendere il significato dei sessi e dei gruppi di
genere nel passato storico.
Joan Kelly, nel '76, propose in un'articolo l'adozione da parte delle storiche delle donne,
di una periodizzazione relazionale che ponesse l'attenzione agli effetti del cambiamento
su entrambi i sessi. Ella sostenne che le donne formano "un gruppo sociale distinto"
costruito 'socialmente' e non 'naturalmente'. Nello stesso anno, tra questi approcci
sociologici e la concettualizzazione del 'gender', usciva su "Feminist Studies":
"Women's History in transition: the European case", un saggio della N. Zemon Davis in
cui cerco' un punto di contatto tra la ricerca di un modello totalizzante ed il bisogno di
una valorizzazione delle differenze, tra una storia solo di donne ed il loro relazionarsi
con gli uomini. Nell'analisi della Davis le donne non appaiono piu' come un qualsiasi
oggetto di studio, ma sono presenze indispensabili per comprendere il passato storico e
sociale umano, per individuare nuove fonti e sollecitare quindi l'oppurtunita' di approcci
interdisciplinari .
In Italia un approccio alla storia delle donne ci viene dato dal saggio di Gianna Pomata
scritto nel 1983 ed intitolato "Una questione di confine" che presenta l'esclusione delle
donne in una visione interdisciplinare come risultato di uno scompaginamento delle
tradizionali divisioni tra storia e antropologia.
Il collocarsi diversamente delle donne (appartenenti alla sfera della stabilita') e degli
uomini (padroni del "mutamento") rispetto alla storia ne ha determinato l'esclusione delle
prime.
Diventa cosi compito dell'antropologia di studiare l'evoluzione teorica dei processi sociali
che coinvolgono le donne .
Gli studi di Gianna Pomata hanno coinciso con una effettiva apertura degli studi storici ad
altre discipline tale da permisero di mettere a fuoco la storia delle rappresentazioni sociali e
XVIII
culturali fornitrici della concettualizzazione futura del ‘gender’ e di come questo agisce nei
rapporti sociali tra gli uomini e nella conoscenza storica .
Da cio' partira' Joan Scott , concettualizzando il "genere" costrui' la prospettiva teorica
attualmente piu' completa sulla storia delle donne. Il termine "genere" non era nuovo per
gli storici sociali; gia' la sociologa Ann Oakley in "Sex, gender and society" del 1972
affermava che "…'sesso' e' un termine che fa riferimento alle differenze biologiche tra
maschio e femmina. Si deve ammettere la costante del sesso ma la variabilita' del
genere".
Al termine "gender" (che non e' corretto tradurre con "genere", ma piuttosto come "ruolo
sessuale" storicamente determinato in una persona in quanto appartenente alla categoria
della femminilita' o della mascolinita', contrapposto per capirci alla "sex difference" una
"differenza di sesso" che rinvia ad una distruzione piu' fisiologica) viene attribuita una
posizione di centralita' assoluta' ed anche all'interno del dibattito sulla storia significati
diversi.
In un livello il genere e' quell'insieme di processi che riformattano le relazioni sociali
inerenti alla percezione della differenza sessuale, nell'altro livello il genere diviene un
modo per esprimere i rapporti di potere.
Il "genere" usato come categoria storiografica ridefinisce i rapporti sociali ed istituzionali e
nel campo politico e' un fattore nella manifestazione dei rapporti di potere. Per quanto la
posizione della Scott abbia convinto ci furono anche dei dissensi, per esempio Luise Tilly
in un suo articolo del 1989 sosteneva che la decostruzione che la Scott auspicava come
metodo per sfidare i paradigmi storiografici esistenti avrebbe condotto, se perseguita, a non
riconoscere il valore dell' azione umana ne' per le donne ne' per gli uomini.
La storia della donne negli Stati Uniti acquista cosi', per l'enorme quantita' di studi
prodotta, caratterische indubbiamente straodinarie ed uniche rispetto a quanto si e'
verificato nel resto del mondo. D'altra parte nel resto del mondo l'accoglienza a temi
provenienti dagli Stati Uniti fu diversa a seconda delle varie storiografie nazionali.
L'Italia si misurava con una storiografia piu' arretrata rispetto per esempio agli sviluppi
della storia sociale inglese e dalla scuola francese delle Annales che accettavano che la
donna potesse costruirsi come legittimo soggetto di ricerca, inoltre quando negli anni
XIX
Ottanta, come si e' gia' detto, si definisce con massima chiarezza negli Stati Uniti la
categoria di "gender", in Italia la riflessione sul "genere" era sostanzialmente arretrata
rispetto al saggio della Scott, tradotto e portato in Italia da Paola Di Cori un anno dopo la
dua pubblicazione in America.
L'introduzione della Di Cori al saggio della Scott apriva, nel 1987, il dibattito italiano sul
"gender" un termine che denotava il rifiuto di un determinismo biologico a favore
dell'aspetto relazionale del termine: uomini e donne erano definiti in termini di reciprocita'.
Nel 1989 la rivista "Memoria" tradusse una buona sintesi del dibattito statunitense sul
decostruzionismo e ad avviare in Italia un dibattito rimasto putroppo ai margini.
Se negli Stati Uniti gli studi tendono principalmente a concentrarsi sui temi del lavoro,
della sessualita' e del rapporto donne/stato, in Italia molti di questi argomenti rimangono
sommersi, e per quanto rigurda infine la storia politica questa e' stata a lungo trascurata
anche negli Stati Uniti nonostante il forte interesse per la dimensione relativa al potere.
La costruzione di un esempio di studi autonomo in Italia non puo' prescindere
dall'esperienza delle teoriche americane che fornirono le basi su cui, anche se in ritardo,le
storiche italiane disquisirono. Negli anni Ottanta la storia delle donne assumera' un
andamento oscillatorio rimanendo in bilico tra l'antica origine trasgressiva femminista ed il
piu' realistico bisogno di ancoraggio istituzionale universitario.
Impegnandosi su questo doppio fronte le storiche italiane accademiche e ricercatrici hanno
dovuto far fronte ai tanti ostacoli derivanti dalla marginalita' delle donne nel campo della
ricerca e dallo scarso credito delle ricerche sulle donne, inoltre tra modernita' e
contemporaneita' nacquero percorsi di indagine diversi a seconda dell'importanza data ai
referenti teorici nella storia delle donne.
La considerazione di alcune moderniste della riflessione teorica come una variabile
"aggiuntiva" della ricerca, ha costituito in Italia il risvolto negativo del processo di
costituzione della storia al femminile come settore di studi autonomo. Nel passaggio dagli
anni Ottanta agli anni Novanta, l'identita' stessa della storia delle donne che passo' al
problema di ri-costituire una tradizione i cui punti erano in gran parte sconosciuti. In Italia
non si e' mai sviluppata una discussione teorica sull'identita' femminile, e messe da parte
furono anche le controverse interpretazioni statunitensi sulla categoria di "genere".
XX
Paola Di Cori sintetizza cosi' la via che le storiche italiane negli anni Novanta dovrebbero
intraprendere: "…praticare nel nostro paese una storia femminista che invece di orientarsi
verso una razionalita' esasperata ed elegante ma statica, tipica delle simmetrie del 'giardino
all'italiana', sia incline a progettare un giardino 'ricco di clienti', non fatto 'soltanto di alberi
e piante ma dalle molte cose che l'abitano, vegetali e animali.'"
Il complesso rapporto tra storia delle donne e storia generale deve ovviamente tener
conto, anche sul piano didattico, di questa concettualizzazione del "gender", che
introduce nella storiografia una categoria diversa da quelle di ceto e classe con cui a
livello manualistico si spiega normalmente la dinamica dei rapporti sociali. Certo il
"genere" non sostituisce i concetti precedenti, ma arricchisce il livello ermeneutico
assumendo la dinamica maschile/femminile come elemento qualificante della storia.
Cosi' nello studio dei fenomeni politico-sociali relativi alla storia delle donne non si
potranno ignorare le differenze di ceto e classe ma tuttavia le questioni poste dalla
gender history devono essere tenute presenti in una ricostruzione del passato che rifugga
da teorie interpretative totalizzanti e aprioristicamente definite.
Le storiche "moderniste" degli anni Novanta, tenendo presente questo nuovo ambito
storiografico, analizzano in alcuni dei settori tradizionali della storia, la componente
femminile e la sua specificita'. Ripropongono nuove riflessioni sul rapporto delle donne
con la religione o la scienza, la politica o il lavoro nei diversi periodi storici, alla luce
dei nuovi fattori di mutamento.
In tutto il lavoro di Natalie Zamon Davis, teso fra ricerche di archivio e storia moderna, le
sue stesse esperienze personali e le vicende anche talvolta non felici della sua vita
rispecchiano una volonta' della storica di approcciare al suo lavoro con un entusiasmo ed
un metodo, che all'apparenza non rispetta al cento per cento tutti i canoni storiografici
ufficiali.
Partendo comunque da fonti di archivio e quindi che presentano tutte le carte in regola la
Zemon Davis si allontana dalla storia tradizionale, nei soggetti che sceglie come
protagonisti della sua storia, nelle originali tipi di rapporti relazionali che tra di loro si
instaurano, e il tipo di scrittura che sceglie per presentarli alla storia e quindi a noi.
XXI
Abbiamo visto attraverso anche le sue scelte personali, come la Davis sia una donna che si
avvicina al femminismo con una visione serena e tutt'altro che radicale, attraverso l'analisi
non tanto di quanto la donna sia stata sottomessa dall'uomo, ma unicamente di una rete di
relazioni tra il maschile ed il femminile, i cui nodi sono rappresentati da conflitti ma anche
da spartizioni di compiti e poteri ufficiali o ufficiosi, non sempre a dire il vero, a favore del
sesso femminile.
Natalie Zemon Davis, attivista politica, presidentessa dell'"American History Association",
donna moglie e madre, ma anche storica e storiografa delle relazioni tra i due sessi, ha dato
alla storia un impronta rivoluzionaria nei suoi protagonisti, nel suo approccio al materiale
d'archivio ed al suo sguardo storico sul "sesso debole".
I suoi protagoniste e le sue protagoniste sono soprattutto gli uomini e le donne, due
volte ai "margini" della vita sociale e politica europea dell'epoca moderna, per la loro
caratteristica di non-protagoniste e di subordinate agli uomini. Uomini e donne gene-
ralmente ignorati dal vecchio modo di fare storia in un contesto di rivolgimento sociale
o religioso che appiana le gerarchie sociali per far risaltare le relazioni sociali e di
genere. La riforma protestante per la Davis, per esempio, fu un contesto di rivolgimento
religioso (come sociale fu per la Calvi la peste) in cui le donne ebbero l'occasione di
rapportarsi alla religione stessa ma anche agli uomini in maniera diversa.
"Lo studio dei ruoli sessuali dovrebbe poter ampliare la formazione interdisciplinare
degli studiosi a tutto vantaggio della professione. Esso dovrebbe anche rendere
disponibili alla disciplina storica generale molte nuove fonti primarie. Mi domando
quanti storici dell’agricoltura sappiano, per esempio, che non piu' tardi del XIX secolo
in Francia le donne mestruate erano tenute lontane dalla vendemmia e dalla pigiatura
dell'uva per paura che facessero inacidire il vino."
La seconda storica dell'eta' moderna che si e' preso in esame, e' Giulia Calvi, una
studiosa italiana del periodo barocco, durante il quale il ruolo della donna nella
ricostruzione storiografica e' solitamente subordinato ad uno studio storico della
famiglia legato alla patrilinearita'.
Il ruolo centrale della narrazione della Calvi viene occupato dalle madri e dalle loro
relazioni in rapporto alla societa' rappresentata da funzionari granducali e dalla
XXII
magistratura in generale ed all'interno della famiglia nelle loro relazioni non solo con i
mariti, ma soprattutto con i figli; i legami che li uniscono e gli interessi che li dividono.
Nell'affresco storico della Toscana dell'eta' moderna che la Calvi dipinge nei suoi libri, i
rapporti matrilineari che diventano argomento de Il contratto morale pubblicato nel 1994,
sono frutto di ricerche generali sulla storia delle donne durante l'epoca moderna. Queste
ricerche ebbero il loro inizio dieci anni prima con le Storie di un anno di peste, libro che
racconta i comportamenti sociali nella Firenze barocca durante la peste del 1630 usata nel
libro della Calvi al teatro dell' agire collettivo.
La situazione di precarieta' costituita dalla peste, elimina di fatto tutti i rapporti
gerarchici dando rilevanza ad una sfera "informale" tipicamente femminile; e comunque
anche in frangenti normali le donne si vedono riconosciuta una identita' rapportata al
loro status familiare divenendo , nel caso delle madri e delle vedove toscane della Calvi,
anche portatrici di novita'.
Giulia Calvi, come del resto Natalie Zemon Davis, attribuisce molta importanza alla
scrittura al femminile (…) come mezzo con il quale dare voce ad un privato che diventa
pubblico, dove la spinta verso l'affermazione della donna si rende visibile attraverso il
suo "scriversi" (cosi' Maddalena Nerli lascera' un suo scritto e scrivera' le memorie del
marito, e l'ebrea Glikl bas Yehudah una splendida autobiografia).
Oltre allo studio dei rapporti tra il femminile e la sfera "privata", molte studiose hanno
affrontato il rapporto tra le donne e la religione, un tema questo analizzato in profondita
grazie all'abbondante materiale d'archivio.
Tra queste, Gabriella Zarri, docente di Storia Moderna presso l'universita' di Firenze,
delinea nei suoi libri, figure di sante e di devote calate all' interno dei contesti sociali e
politici in cui si trovano a vivere per analizzarne la loro concreta partecipazione alla vita
religiosa: per esempio il concetto della castita' consenti' alle donne di uscire dal "mero"
ruolo riproduttivo; scegliendo la verginita' divenivano libere di sfuggire alle sofferenze
fisiche legate ad una famiglia numerosa e potevano quindi trovare il tempo di dedicarsi
agli studi ed alla vita spirituale.
Misticismo e profezia inoltre appaiono nei libri della Zarri come peculiari di un modo di
vivere la religiosita' femminile dal XIV al XVII, in particolare il fenomeno delle "sante
XXIII
vive", donne carismatiche, al centro di intere citta' e protagoniste nelle corti dei principi
a cui rivelano eventi riguardanti lo Stato o circa le persone assumendo cosi' un ruolo
politico di grande rilevanza.
La storia delle donne attraverso i secoli, il suo dibattito storiografico, la nascita del
"gender", e le storiche che si sono occupate e tuttora si occupano di restituire le donne
alla storia di cui si e' trattato in questo lavoro hanno, tirando un po' le somme, raggiunto
il puntodi quel confine che paventava Gianna Pomata nel suo saggio. L'unica
conclusione che si puo' trarre e' che non vi puo' essere una conclusione ma solo la
certezza che i passi della storia delle donne proseguono nutrendosi delle loro stesse
perplessita':
"Nel settore della storia delle donne, ad ogni modo, e' evidente che la "citta' delle
donne" fortificata deve aprirsi a un luogo pubblico, forse il campo di battaglia, per una
seria ricerca dei sessi.Dalle "donne illustri" ad una professione piu' illustre.(Natalie
Zemon Davis in "Women's History in Transition" del 1976.)
"-Mi diresti per favore che direzione dovrei prendere?
-Dipende piu' che altro da dove vuoi andare,-disse il Gatto.
-Non mi interessa tanto dove-disse Alice-mi basta arrivare da qualche parte…
-O ma questo lo farai senz'altro,-disse il Gatto-basta che cammini abbastanza a lungo."
(Lewis Carroll citata da Paola Di Cori nel suo saggio del 1987)
"Non e' un caso che nel nostro paese la discussione, tanto all' interno quanto all'
esterno della Societa' delle storiche, rifugga dai toni forti presenti per esempio nel
dibattito metodologico che negli Stati Uniti si e' sviluppato intorno al
decostruzionismo…Da noi, soprattutto nei tempi piu' recenti, il confronto metodologico
scarseggia; cosi' le critiche il piu' delle volte serpeggiano piuttosto che esprimersi in un
pubblico confronto." (Angela Groppi in "Percorsi di storia delle donne: il caso italiano"
del 1996.)