2
In effetti, non si può biasimare totalmente chi ritiene noiose ed
accademiche le discussioni sul modo di fare Storia; la questione
rischia veramente di rimanere circoscritta ad una schiera limitata di
adepti, gelosi dei propri segreti ed incapaci di comunicare i propri
risultati.
Ora, lo scopo del presente lavoro è quello di svolgere delle riflessioni
intorno alla storia ed al suo rapporto con alcune discipline affini –
quali l’Antropologia e la Filosofia della storia – soffermandosi su due
grandi scuole di pensiero che hanno avuto un’influenza decisiva nel
suo sviluppo: lo storicismo tedesco e le Annales francesi.
Devo naturalmente sottolineare i limiti di questa ricerca che non
pretende assolutamente di esaminare in ogni dettaglio il rapporto fra
storiografia tedesca e storiografia francese, né tantomeno quello più
generale tra cultura storica tedesca e cultura storica francese, ma
intende semplicemente dare uno sguardo d’insieme ad un problema
assai complesso e lungi dal necessitare di una parola o di un giudizio
definitivo.
L’idea che ha guidato le mie ricerche è stata quella di stabilire un
punto di contatto tra due approcci tanto diversi nell’affrontare gli
stessi problemi, tra due metodi che guardavano in direzioni opposte, a
distanza solo di pochi decenni l’uno dall’altro.
Questo trait d’union può idealmente collocarsi in un luogo fisico,
Strasburgo, una città di confine che ha subito tanto l’influenza della
cultura tedesca quanto di quella francese, un punto di passaggio e di
scontro ideologico fra due potenze che reclamavano entrambe la
supremazia sul continente, una supremazia politica ed una supremazia
3
culturale e che purtroppo risolsero tale dissidio sui campi di battaglia,
invece che nelle aule di qualche ateneo.
La Prima Parte, intitolata Approcci alla Storia, è composta da diversi
paragrafi: dopo aver analizzato il significato e l'importanza di termini
come memoria e tradizione storica, ho cercato di richiamare i
rapporti tra Storia e Filosofia della Storia, in modo da anticipare
quello che è poi lo spirito di fondo ed il catalizzatore spirituale del
capitolo sullo storicismo. Ho poi preso brevemente in considerazione
l’Antropologia culturale per mostrare i legami profondi e l'influenza
decisiva che questa disciplina ha avuto nello sviluppo della
storiografia moderna ed in particolare per la rivoluzione delle
Annales.
La Seconda Parte è dedicata interamente allo storicismo, inteso come
espressione di un'epoca – la Germania guglielmina – ma anche come
movimento culturale estremamente eterogeneo, difficile da definire in
modo netto e preciso per la varietà delle posizioni al suo interno.
Analogamente la Parte Quarta è dedicata per intero alla rivoluzione
delle Annales, con un'analisi approfondita della struttura della rivista
ed un'attenzione particolare verso la riflessione metodologica dei suoi
fondatori: Marc Bloch e Lucien Febvre.
Il punto di contatto tra questi due argomenti centrali della mia tesi è
dato dalla Terza Parte, che prende in considerazione il positivismo
francese di inizio secolo, critico verso lo storicismo tedesco, ma a sua
volta criticato dagli esponenti della nouvelle histoire, di cui
rappresentano comunque i maestri spirituali.
4
Vi è infine il par. 4.5 che si occupa della continuità storica, la quale
secondo me rappresenta una sintesi delle due precedenti tradizioni di
ricerca, un frutto inaspettato di un confronto-scontro che dimostra
ancor oggi la propria fecondità e attualità.
5
PARTE PRIMA : APPROCCI ALLA STORIA
1.1 MEMORIA E TRADIZIONE STORICA
Dire che la storia é una scienza umana sembra quasi lapalissiano e
banale, ma in verità é tutt'altro che scontato ed evidente. Dal momento
infatti, che qualsiasi materia di studio è – o può diventare – storica, e
poiché tutto ha un suo decorso e sviluppo storico, se si vuole
conservare un effettivo contenuto a quella che di solito chiamiamo
tout court Storia, dobbiamo intenderla come il metodo, la ricerca che
studia la società nel tempo e nello spazio, essa é la scienza della
società in movimento e consente la presa di coscienza del passato e
del proprio tempo.
Scriveva Durkheim che:
<<comprendere la storia non significa cavarne leggi per il nostro agire, ma solo
limiti e condizioni atti a renderlo efficace o inefficace>>.
1
La frase del grande sociologo francese mostra chiaramente una delle
esigenze più diffuse da parte di chi si è occupato di storia fin dagli
albori dell'umanità: lo scopo propositivo, l'utilità pratica,
l'insegnamento degli avi come guida per le generazioni presenti e
future, la storia magistra vitae di ciceroniana memoria.
1
Cfr. N. Gallerano, Memoria e storia, in “Passato e presente”, n. 33, (1994), pag. 106.
6
I risultati dell'analisi storica, però, sono dati plausibili ma non
definitivi, perché non sono conseguenze di principi assoluti ma
generalizzazioni di conoscenze empiriche derivanti da elaborazioni
causali di dati empirici.
Fu un bisogno dell'uomo a indurlo a rivolgersi alla storia onde
attingere da essa nova et vetera; la storiografia nacque come un
distacco netto dalla matrice del mito, essa fu dapprima accertamento
di dati, elenco di nomi, menzioni di fatti salienti che interessavano i
singoli popoli, le istituzioni, i regnanti.
Se in quella narrazione storica difettava la critica, era pur sempre un
passo in avanti sulle credenze cieche o sull'accettazione passiva del
mito.
Quando dalle liste e dagli annali si passò ad esposizioni più ampie e
discorsive, crebbe il pericolo della retorica e diventò sempre più
difficile conservare l'oggettività; nondimeno quel modello di storia
imparziale che fosse registrazione di fatti accuratamente esaminati,
rimase a lungo un programma che gli specialisti cercarono di
realizzare servendosi di tutti gli accorgimenti tecnici che erano tipici
della loro scienza: analisi dell'autenticità delle fonti, edizioni critiche
dei testi, confronti tra i vari racconti di uno stesso episodio, scelta
della redazione migliore, etc.
Forse questa pretesa oggettività era un'illusione troppo ingenua, ma
d'altronde si sa che ogni disciplina ha bisogno di tentativi e di
fallimenti prima di potersi erigere a scienza; vi furono quindi reazioni
altrettanto esagerate e si ebbero storie quasi razionalmente dedotte in
virtù della dialettica dello Spirito.
7
Il problema stava nel fatto che non ci si rendeva conto che qualsiasi
fonte é espressione di uno stato d'animo e di un ambiente, essa riflette
le condizioni di quel particolare momento che l'ha prodotta e di
conseguenza, il primo ed essenziale dovere di chiunque si accinge a
studiare la storia é quello di capire ciò che la fonte ha voluto dire, e
non soltanto di notare quello che ha detto. Lo storico non deve
limitarsi a sapere come sono andate le cose (che é la classica
definizione del suo compito), ma in primis occorre che intenda lo
status, le condizioni esistenti allorquando quelle cose si sono
verificate; se non fa questo, difficilmente riesce a comprendere
l'accaduto.
Il vero scopo di uno storico in quanto tale deve essere quello di sapere
quali fossero le condizioni di vita, le idee, le possibilità, gli ostacoli
dei gruppi e delle persone che hanno preso una certa decisione o che si
sono opposti ad essa; egli deve sapere i motivi che hanno portato ad
una guerra, ad un traffico commerciale, ad una rivoluzione, ma per
ottenere questo non é sufficiente che il ricercatore conosca le passioni
dei singoli o i moventi più diretti ed immediati.
L’esame del sottofondo dal quale sgorgano gli atti, l'indagine concreta
dei momenti che si susseguono, la valutazione delle eredità ambientali
che comportano l'uso di certi strumenti e vocaboli rispondenti a
individuate fasi storiche, la comprensione delle situazioni di partenza
già date: tutte queste sono problematiche dalle quali lo storico non
può esimersi.
Ma la storia è o non è una scienza? Problema quanto mai arduo da
risolvere così su due piedi, anche perché molti sono persuasi che la
8
storia non sia una scienza come le altre, ma abbia qualcosa in meno
rispetto alla fisica o alla chimica, ossia abbia un non so che
d’indeterminato e di vago che la priva di un tale titolo.
La storia è veramente il regno dell'inesatto e ciò può giustificare lo
storico: lo giustifica di tutte le sue incertezze.
Il metodo non può essere che un metodo ambiguo. La storia vuole
essere obiettiva e non può esserlo, vuol far rivivere e non può che
ricostruire.
La parola storia (in tutte le lingue romanze ed in inglese) deriva dal
greco ionico antico istorie a sua volta di origine indoeuropea , da wid-
weid-, "vedere".
Donde il sanscrito vettas-testimone ed il greco istor-testimone nel
senso di colui che vede.
Questa concezione della vista come fonte essenziale di conoscenza
porta all'idea che istor "colui che vede " sia anche colui che sa:
istorein in greco antico significa cercare di sapere, informarsi; istorie
significa dunque indagine. E´ proprio questo il senso usato da Erodoto
all'inizio delle sue Storie che sono delle ricerche, delle indagini.
2
Nelle lingue romanze, la parola storia esprime due, se non tre,
significati differenti:
1. L'indagine sulle azioni compiute dagli uomini, che si è sforzata di
costituirsi in scienza, la scienza storica.
2. L'oggetto dell'indagine, quello che gli uomini hanno compiuto,
ossia i fatti concreti.
2
Erodono, Le storie, Milano, 1990, in particolare vedi il saggio introduttivo di Luciano Canfora.
9
3. Il racconto di un susseguirsi di avvenimenti: un racconto che può
essere vero o falso, con una base di realtà storica o puramente
immaginaria.
La storicità, ossia la veridicità storica, permette ad esempio di
rifiutare sul piano teorico la nozione di società senza storia, rigettata
d'altra parte anche dallo studio empirico delle società osservate
dall'etnologia (vedi par. 3).
La storicità permette poi l'inclusione nel campo della scienza storica
di nuovi oggetti; ad esempio ciò che Paul Veyne (in un testo del 1973)
definisce come il non evenementielle: si tratta di eventi storici che non
sono ancora stati studiati come tali: storia rurale, delle mentalità, della
follia, delle tecniche agricole etc.:
<<si chiamerà dunque non evenementielle la storicità della quale non avremo
coscienza come tale>>.
3
D'altra parte la storicità esclude l´idealizzazione della storia,
l'esistenza della Storia con la S maiuscola: se tutto è storico, la storia
finisce per scomparire.
Prima di proseguire, vorrei fornire alcuni spunti sulla nascita del
pensiero storico in Occidente a partire dal mondo greco dove esso
nacque intorno al v sec. a.C. per due stimoli principali:
1. L'uno di ordine etnico, ossia distinguere i Greci dai barbari: alla
concezione della storia é unita infatti l'idea della civiltà; Erodoto
prende in considerazione i Libici, gli Egiziani e soprattutto gli Sciti
3
P. Veyne, Come si scrive la storia. Saggio di epistemologia, Roma-Bari, 1973, pag. 35.
10
ed i Persi e getta su di loro uno sguardo da etnografo,
contrapponendo il mondo sedentario ellenico al nomadismo
barbarico di frontiera. Questa motivazione assorbe la cultura
storica greca, poiché l'opposizione ai barbari non é che un modo di
esaltare la polis.
2. L'altro di tipo sociale, in quanto dopo l'epoca dei miti trasmessi
oralmente, nasce nel v sec., sotto la spinta delle famiglie nobili e
dei sacerdoti dei templi, l'esigenza di trasmissione della memoria
regale o religiosa.
La mentalità storica romana non si presenta molto differente da
quella greca, che d'altronde l'ha formata. Polibio, il greco che iniziò i
Romani al pensiero storico, vede nello spirito romano la dilatazione
dello spirito della polis e, di fronte ai barbari, gli storici romani
esaltano la civiltà incarnata da Roma.
In effetti la mentalità storica romana – come sarà più tardi anche
l'islamica – è dominata dal rimpianto delle origini, dal mito della virtù
degli antichi, dalla nostalgia dei costumi ancestrali, in sostanza da ciò
che si può chiamare il mos maiorum.
L'identificazione della storia con la civiltà greco-romana non é
temperata che dalla credenza nel decadimento, della quale Polibio ha
fatto una teoria fondata sulla somiglianza tra le società e gli individui.
Le istituzioni si sviluppano, declinano e muoiono come gli individui,
perché anch'esse sottoposte alle leggi della natura.
Sembra quasi che la lezione della storia per gli antichi si riassuma in
definitiva in una negazione del futuro: ciò che essa lascia di positivo
sono gli esempi degli antenati, degli eroi, dei grandi uomini. Bisogna
11
combattere la decadenza riproducendo individualmente le grandi gesta
degli antenati, riprendendo i modelli eterni del passato.
Il cristianesimo é stato visto come una rottura, una rivoluzione nella
mentalità storica.
Dando alla storia tre punti fissi – la creazione, inizio assoluto della
storia, l'incarnazione, inizio della storia cristiana e della storia della
salvezza, il giudizio universale, fine della storia – il cristianesimo ha
sostituito alle concezioni antiche di un tempo circolare la nozione di
un tempo lineare, dando un orientamento ed un senso preciso alla
storia stessa.
Religione storica, ancorata alla storia, il cristianesimo ha impresso
uno sviluppo decisivo alla storia in Occidente. Lo stesso Marc Bloch
affermava che:
<<il cristianesimo é una religione di storici>>
4
Tralasciando gli innumerevoli contributi teorici successivi, vorrei
soffermarmi un attimo sulla Rivoluzione Francese, di cui condivido il
giudizio espresso da George Lefebvre
5
– esponente di spicco della
scuola delle Annales – il quale affermava che la Rivoluzione non ha
stimolato nel suo tempo la riflessione storica per un motivo molto
semplice, e cioè che i rivoluzionari non s'interessavano alla storia,
bensì la facevano: essi volevano distruggere un passato detestato e non
pensavano a dedicargli del tempo che poteva meglio essere impiegato
in compiti creativi.
4
Cfr. J. Le Goff, Storia, voce del Dizionario Enciclopedico, Torino, 1981, pag. 598.
5
G. Lefebvre, Riflessioni sulla storia, Roma, 1976.
12
Così come la gioventù era attratta dal presente e dall'avvenire, la
nobiltà, che durante l'Ancien Regime si interessava alla storia, –
intesa come forma di cultura elitaria legata ancora alla filosofia ed
alla religione – era stata spazzata via dalla Rivoluzione o si era messa
al suo servizio.
Ho parlato di tradizioni storiche: parlerò ora di memoria storica.
L'esigenza di esprimere, conservare e trasmettere l'esperienza del
passato é stata soddisfatta dai gruppi umani in molti modi, di cui non
si parla nelle storie della storiografia scientifica.
Liste genealogiche, racconti epici e miti hanno preceduto ed
accompagnato le narrazioni storiche retoricamente costruite; forme
sacrali, rituali, religiose hanno trasmesso i ricordi del passato accanto
alle tecniche organizzate di conservazione della memoria scritta,
come archivi e biblioteche; tradizioni orali, agenti e luoghi di
memoria e di oblio (eruditi, antiquari, collezionisti, restauratori),
istituzioni del sapere hanno fatto da sfondo alle indagini critiche e
filologiche, agli scavi archeologici, alla scienza geografica,
etnologica, antropologica.
Tutte queste attività operano la raccolta e la trasmissione del ricordo o
la sua distruzione e costituiscono quella che si definisce memoria
storica.
Essa rappresenta il rapporto che un gruppo ha con le tracce della sua
identità e della sua attività, rappresenta la mentalità storica del gruppo
stesso, il suo gusto per il passato, anche il più vicino nel tempo. Ma
questo é ancora troppo vago; proviamo a definirlo più precisamente: la
memoria storica potrebbe essere quella dinamica per cui si creano, si
13
trasmettono e si obliano ricordi, immagini, testimonianze e simboli
dell’attività umana.
Due aspetti vanno messi in evidenza: il primo, come ho già notato
precedentemente, é che la trasmissione del ricordo e dell'immagine del
passato si presenta molto spesso collegata con l'esercizio del potere: i
movimenti della memoria storica, a volte, sono delle vere e proprie
battaglie per la conoscenza critica e vedono spesso come protagonisti
il potere politico accanto a quello religioso (senza dimenticare che
talora le due tipologie si concentrano nelle stesse mani).
Il secondo aspetto é che i movimenti della memoria storica incidono
direttamente sulla formazione, sulla situazione e sulla localizzazione
delle fonti utili per la stessa storiografia scientifica.
Quel filo sottile che ci lega al passato non scorre libero tra le nostre
mani, ma viene in realtà spinto da motivi e secondo condizioni che
sono tutte da ricostruire agli occhi dello storico di professione.
Questa dinamica di costruzione e distruzione della memoria, di
elaborazione e di oblio dei ricordi ha conosciuto due principali linee
di sviluppo tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo ed é
proprio questo ciò che ha stimolato originariamente la mia indagine,
ciò che mi ha portato a confrontare due tradizioni tanto diverse quali
lo storicismo tedesco e la scuola delle Annales francesi (ma in seguito
vedremo come tali differenze possono essere sfumate).
La prima linea conduce al progresso e alla professionalizzazione degli
studi storici e all'elaborazione di uno statuto scientifico per la
storiografia: l'inizio di questa discussione va riconosciuto sicuramente
nel Methodenstreit della fine del XIX secolo (vedi par.2.1).
14
In direzione contraria al progresso della storia-scienza si é alimentata
poi una corrente composita di fenomeni che costituiscono la seconda
linea di sviluppo e che sono ben rappresentati dalla seconda delle
Considerazioni inattuali di Friedrich Nietzsche (1874) in cui si dice
che la storia ha privato l'uomo della forza di agire; senza questa forza,
poi, l'uomo moderno non é nemmeno in grado di capire il passato:
<<Solo con la massima forza del presente voi potete interpretare il passato....
altrimenti abbasserete il passato a voi.... solo colui che costruisce il futuro ha
diritto a giudicare il passato>>
6
Secondo Nietzsche gli antidoti contro la malattia storica sono due:
l'antistorico ed il sovrastorico; il primo é l'arte e la forza di poter
dimenticare e di rinchiudersi in un orizzonte limitato; per realizzare il
secondo invece, bisogna distogliere lo sguardo dal divenire,
volgendolo a ciò che dà all'esistenza il carattere dell'eterno e
dell'immutabile.
Con questa citazione non voglio attribuire a Nietzsche un deciso
carattere antistorico anche perché egli fu amico e allievo di
Burckhardt (vedi par. 2.4) e questo rapporto tra due personaggi tanto
diversi meriterebbe di essere approfondito in altra sede.
Tenuto conto che le opere di Nietzsche si prestano spesso ad almeno
un paio di interpretazioni diverse, si ha comunque l'impressione che il
nostro secolo abbia realizzato buona parte delle aspirazioni del
filosofo tedesco. Accanto alle conseguenze della diffusione dello
storicismo e dei risultati della storia-scienza nella società e nella
6
F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, Milano, 1992, pag. 39.
15
mentalità, si sono sviluppate delle forze che intrinsecamente hanno
negato il valore della storia, come ad esempio il futurismo: da ciò
l'antipatia, il disprezzo, l'irrisione verso la tradizione storica che
avrebbero portato di lì a poco ai roghi di libri ed alla distruzione di
archivi e biblioteche.
Le divergenze erano dunque forti all'inizio del secolo, l'accademia ed
il mondo anti-accademico si fronteggiavano senza capirsi e soprattutto
senza confrontarsi criticamente.
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta uno storico francese si pose
consapevolmente al punto d'incrocio tra la linea di sviluppo degli
studi storici professionali e quel movimento di tradizione storica che
andava profondamente contro la storia. Questo storico era Marc Bloch
(vedi par. 4.2).
Bloch aveva una profonda consapevolezza di entrambi i fenomeni,
sapeva come si erano sviluppati gli studi storici a partire almeno da
Monod e Fustel de Coulanges (vedi Parte Terza) e si era spesso
interrogato sul come e perché una società si interessa, o non si
interessa affatto, al proprio passato.
Già nel 1925 Bloch aveva riconosciuto il profondo ruolo della
memoria collettiva nello sviluppo storico:
<<esso assicura la posizione del gruppo sociale nei confronti del presente e del
passato e non conserva il passato, per essere precisi, piuttosto lo ritrova o lo
ricostruisce incessantemente partendo dal presente. Ogni memoria é un impegno,
un tentativo, uno sforzo>>.
7
7
M. Bloch, « Revue de Synthese historique », n. 14, (1925), pag. 76.