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CAPITOLO I
LA QUESTIONE AMBIENTALE E I METODI PER LA VALUTAZIONE MONETARIA
DEI BENI AMBIENTALI
Introduzione
Lo sviluppo tecnico, scientifico ed economico, che ha caratterizzato quasi tutto il XX secolo, basato
sull’ aumento della produttività delle attività antropiche e sul miglioramento del benessere di
“massa”, che hanno caratterizzato le moderne società occidentali, ha provocato uno sfruttamento
eccessivo e non razionale delle risorse naturali e dei beni ambientali.
Durante gli ultimi decenni a causa dei numerosi disastri ambientali (es. The Great Smog of London nel
1952, il naufragio della petroliera Exxon Valdez in Alaska nel 1989, gli incendi che nella torrida
estate del 2007 distrussero milioni di ettari di boschi mediterranei ed il recente disastro della
Petroliera Columbia della BP nel Golfo del Messico, etc., etc.) e del miglioramento del benessere
collettivo, che di norma conduce ad un maggiore apprezzamento dei beni e delle risorse ambientali
(Batie, 1991), nasce la questione ambientale.
Il dibattito sulla questione ambientale, ha coinvolto gran parte degli esperti di numerose discipline e
molte componenti della società civile dei paesi sviluppati.
Le prime ricerche scientifiche, che arrivarono alla conclusione della necessità di un cambiamento
radicale dello stile di vita e dei rapporti sociali, per evitare effetti catastrofici sull’ economia e sull’
ambiente a scala globale, sono stati prodotti dal Club di Roma nel 1972. Durante quell’ anno
vennero elaborati due rapporti, con i quali vennero studiate le tendenze tecnologiche, economiche e
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demografiche su scala mondiale. Tali studi in quel periodo storico, rappresentavano la ricerca più
vasta e sistematica sulla crisi economico-ambientale, che fosse stata mai stata compiuta in
precedenza (From, 1976). Entrambi i rapporti, giungevano alla conclusione, che soltanto mutamenti
drastici di carattere economico e tecnologico a livello globale, secondo le direttrici di un programma
preciso, possono scongiurare una catastrofe di grandi proporzioni ed infine globale (From, 1976).
Alla base dell’ analisi economica della questione ambientale, vi sono tre quesiti: come è stato
possibile, che nel giro di qualche decennio il rapporto ambiente-società si sia deteriorato in modo
talmente drammatico? L’ attuale livello di sfruttamento e deterioramento dell’ ambiente può essere
considerato socialmente sostenibile? Se la risposta a questa domanda dovesse essere negativa, quali
strumenti andrebbero adottati per riportare il degrado ad un livello socialmente sostenibile? (Cicia e
Coppola, 1996).
1.1 Le metriche monetarie dell’ utilità dei consumatori
Numerosi economisti per analizzare le varie problematiche ambientali adottano l’ approccio
utilitarista-economico, che si basa sul principio di Hicks e Kaldor. Questo approccio sostiene che la
comparazione tra due diverse configurazioni del sistema economico, può essere operata
confrontando la variazione delle utilità dei soggetti coinvolti, valutate in termini monetari.
Secondo il principio di Hicks e Kaldor: una configurazione di un sistema economico A è socialmente superiore ad
una configurazione B, se passando da B ad A è possibile una redistribuzione dei benefici, che porta ad una
variazione positiva del saldo netto di utilità monetizzata. Non è necessario che tale redistribuzione avvenga realmente,
l’ importante è che sia ipoteticamente possibile.
Il giudizio di valore utilitarista-economico assume che un confronto tra due diverse alternative di un
sistema economico, debba essere portato avanti in accordo con le preferenze degli individui
coinvolti. L’ intensità delle preferenze degli individui può essere misurata tramite l’ ammontare di
denaro, che un individuo è disposto a pagare, ovvero la sua disponibilità a pagare (DAP) oppure
tramite l’ ammontare di denaro che un individuo è disposto ad accettare, ovvero la sua
disponibilità ad accettare (DAA), per muoversi da una configurazione del sistema economico ad
un’ altra.
Infine se le preferenze di tutti gli individui vengono aggregate tramite una somma delle loro
disponibilità a pagare o ad accettare e se il passaggio dalla configurazione B a quella A, conduce ad
un saldo netto positivo di DAP o DAA, allora A è preferibile a B da un punto di vista sociale .
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La ricerca di una metrica monetaria dell’ utilità è uno dei principali problemi nell’ economia
normativa (Pasca e Cicia, 1997). La prima metrica monetaria ad essere stata suggerita è stata il
Surplus del Consumatore, proposta da un ingegnere francese Jules Dupuit nel 1884.
Partendo dalla Curva di domanda del consumatore, tale funzione esprime il prezzo massimo che un
consumatore è disposto a pagare per l’ ultima unità acquistata di un determinato bene; quindi
rappresenta la curva della Disponibilità a Pagare Marginale. Per definizione la DAP marginale è
la derivata della funzione della DAP totale, rispetto alla quantità consumata del bene.
Rappresentando la funzione di domanda D in un diagramma cartesiano, dove sull’ asse delle ascisse
è posta la quantità domandata X di un determinato bene e sull’ asse delle ordinate il prezzo P
(Grafico 1.1). Integrando la DAP marginale rispetto alla quantità consumata, tra il valore zero e un
valore positivo della quantità domandata x 1, otterremo la DAP totale, che il consumatore mostra
per la quantità di bene x 1. Se il prezzo del bene 1 è pari a p 1, il consumatore sarebbe disposto a
pagare per la quantità x 1 una somma massima di denaro pari ad (a+b), però il consumatore in realtà
paga per x 1 un prezzo pari all’ area b. Infine l’ area a che deriva dalla differenza tra quanto il
consumatore sarebbe disposto a pagare e quanto paga realmente, prende il nome di Surplus del
consumatore (Pasca e Cicia, 1997).
Grafico 1.1: Curva di domanda, spesa del consumatore e surplus del consumatore (Fonte: Cembalo, 2009)
Purtroppo il surplus del consumatore è una metrica monetaria dell’ utilità soggetta a due gravi limiti.
E’ una misura non univoca; infatti quando variano contemporaneamente più prezzi, il suo valore
dipende dall’ ordine in cui si valuta la variazione dei diversi prezzi, rendendolo dipendente dal
percorso di integrazione. Inoltre il surplus del consumatore non è una funzione dei prezzi, perché
non stabilisce una corrispondenza univoca tra ogni coppia di prezzi ed un solo valore della variabile
dipendente.
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Nell’ analisi delle metriche monetarie dell’ utilità, assumono particolare rilievo due tipi di funzioni o
curve di domanda: le curve di domanda marshalliane e le curve di domanda hicksiane (o
compensate).
Le curve di domanda marshalliane sono ottenute tramite la massimizzazione dell’ utilità e pongono
in relazione il prezzo con la quantità domandata del bene, tenendo costanti il prezzo degli altri beni
ed il reddito del consumatore.
Invece le curve di domanda hicksiane pongono in relazione il prezzo del bene con la quantità
domandata, quando è l’ utilità ad essere mantenuta costante, mentre il reddito varia per compensare.
Secondo queste due definizioni, le curve di domanda marshalliane sono soggette all’ effetto reddito
e all’ effetto di sostituzione, invece le curve di domanda Hicksiane riportano il solo effetto di
sostituzione, essendo state “depurate” dell’ effetto reddito (Pasca e Cicia, 1997).
Gli evidenti limiti del surplus del consumatore quale metrica monetaria delle variazioni di utilità
portò l’ economista inglese John hicks nel 1946, a suggerire due nuove metriche monetarie dell’
utilità dette Hicksiane, la variazione compensativa e la variazione equivalente (Pasca e Cicia,
1997; Venkatachalam, 2003).
La variazione compensativa viene definita come la variazione di reddito in termini monetari, che un
consumatore è disposto a donare per ottenere un incremento della sua utilità. Nel caso dei beni
ambientali è la DAP massima di un individuo, per ottenere un guadagno di utilità in termini di
benessere, dovuto al miglioramento della funzione di un bene pubblico. Invece per una perdita di
benessere la variazione compensativa è l’ ammontare del reddito che sarebbe richiesto dall’
individuo, per compensare la sua perdita di utilità, in questo caso la variazione compensativa viene
espressa in termini di DAA (Venkatachalam, 2003).
Invece la variazione equivalente è la variazione di reddito in termini monetari, che dovrebbe essere
fornita al consumatore per ottenere un incremento del livello utilità, nel caso in cui l’ individuo non
fruisca più di una determinata quantità del bene pubblico. Quindi nel caso dei beni ambientali la
variazione equivalente rappresenta la DAA minima di un consumatore per rinunciare al
miglioramento o al benessere fornito da un determinato bene pubblico. La variazione equivalente si
può esprimere anche in termini di DAP del consumatore, per evitare che in futuro si verifichi un
peggioramento del suo benessere in termini di diminuzione della sua utilità (Bateman and Turner, 1993;
Venkatachalam 2003).
Facendo un confronto tra il surplus del consumatore ricavato dalle curve di domanda marshalliane
e la variazione compensativa ed equivalente ricavate dalle curve di domanda hicksiane, anche se le
curve di domanda marshalliane sono soggette all’ effetto reddito, poiché sono stimate a partire da
dati di mercato, rendono il calco del surplus del consumatore particolarmente semplice. Invece le
curve di domanda hicksiane essendo curve ipotetiche che considerano solo l’ effetto sostituzione,
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sono difficili da “costruire” e rendono difficile la stima della variazione equivalente e della
variazione compensativa (Pasca e Cicia, 1997).
Le curve di domanda hicksiane essendo curve di domanda ipotetiche, che non si basano su precisi
dati di mercato, sono le curve di domanda che vengono utilizzate per le stime monetarie che
coinvolgono i beni pubblici, per i quali non esiste un mercato reale (ciò è valido anche per i beni
ambientali).
Le curve di domanda hicksiane e quelle marshalliane differiscono tra loro soprattutto per la
presenza o meno dell’ effetto reddito, nel caso in cui un consumatore mostri un effetto reddito pari
a zero allora i due tipi di curve saranno quasi coincidenti, come le tre metriche dell’ utilità (Pasca e
Cicia, 1997).
Come abbiamo accennato precedentemente in questo paragrafo, la variazione compensativa (VC) e
la variazione equivalente (VE), si possono definire tramite domande riguardanti la disponibilità ad
accettare il cambiamento (DAC) negativo o tramite la disponibilità a pagare per ottenere un
cambiamento positivo. Nel caso di aumento dei prezzi, la domanda corrispondente alla variazione
compensativa potrebbe essere: quanto è disposto ad accettare come minimo pagamento per accettare un aumento
di prezzo? (Cembalo, 2009). Invece la variazione equivalente risponde alla seguente domanda in caso
di diminuzione di prezzo: quale sarebbe il minimo pagamento necessario per indurlo a rinunciare alla
diminuzione di prezzo? (Cembalo, 2009). Queste due metriche monetarie dell’ utilità, si distinguono
per quello che è l’implicito giudizio sul diritto del consumatore, se il giudizio si riferisce alla
situazione iniziale o al cambiamento. La VC implica che il consumatore avrebbe diritto alla
situazione iniziale, la VE a quella finale.
Tabella 1.1.: Il seguente schema (adattato da Freeman, 1993; si veda anche Nuti, 2001) fornisce un riassunto delle
misure di variazione di benessere conseguenti a variazioni di prezzo e delle rispettive disponibilità a pagare e ad
accettare (Cembalo 2009)
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Tabella 1.2.: Il seguente schema espone un riassunto delle misure di variazione di benessere conseguenti a variazioni
di quantità e delle rispettive disponibilità a pagare e ad accettare (Cembalo, 2009)
Fornendo un esempio sulla valutazione dei beni ambientali, se ai cittadini di una determinata zona
venisse proposta una politica per il miglioramento dello stato dell’ ambiente, ai cittadini di questa
zona potrebbe essere chiesto di dichiarare la loro disponibilità a pagare massima, che rappresenta la
variazione compensativa, per avere una certezza sul cambio di politica, che porterebbe al
miglioramento dello stato dell’ ambiente; oppire ai cittadini si potrebbe chiedere di dichiarare la loro
disponibilità ad accettare minima, per compensare l’ utilità persa a causa della mancata
implementazione della politica di miglioramento ambientale proposta, in questo caso la DAA dei
cittadini rappresenta la loro variazione equivalente.
La questione della scelta dell’appropriata misura della variazione di benessere, deriva dalla situazione
concreta che ci si trova ad affrontare. Tuttavia è stato spesso notato, che quando veniva chiesta la
disponibilità ad accettare una compensazione, si ottenevano valori molto più grandi di quelli che si
ottenevano richiedendo la corrispondente disponibilità a pagare.
Le ragioni per spiegare questo fenomeno sono due: la prima è che ci sono casi in cui il bene
ambientale ha pochi e nulli sostituti; quindi una maggiore quantità di denaro compensa poco una
sua diminuzione; inoltre la scarsa sostituibilità del bene ambientale col reddito, fa sì che il surplus
equivalente sia molto maggiore del surplus compensativo (Cembalo, 2009).
Data la natura controversa della questione, per i pareri ed i risultati discordanti di molti economisti,
il “NOOA panel, 1993” (un gruppo di eminenti economisti chiamati a valutare la validità della
valutazione contingente per la quantificazione monetaria dei danni ambientali) consigliava di
utilizzare una domanda formulata in termini di disponibilità a pagare (vedi anche Cumings et. al.,
1986).
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1.2. Analisi economica della questione ambientale
Il principio generale posto alla base della stima dei beni ambientali, è cercare di ottenere una
espressione monetaria delle preferenze degli individui su questa tipologia di beni, riconducibile al
benessere o meglio all’ utilità, che gli individui ricavano dalla fruizione dei beni ambientali.
Il principale problema che si presenta, quando si deve misurare il valore economico dei beni
ambientali in termini monetari, è l’ assenza di un sistema di prezzi per tali beni, riconducibile ad un
mercato reale, tramite il quale si può costruire la loro curva di domanda.
1.2.1. Il fallimento dei metodi di mercato nell’ allocazione delle risorse ambientali
I principi su cui si basa l’ utilitarismo economico, posti alla base dei metodi di mercato,
storicamente si sono rivelati non adatti alla valutazione dei beni pubblici e più specificamente dei
beni ambientali.
Per capire meglio tale affermazione riportiamo brevemente tali criteri.
Il principale obiettivo posto alla base dell’ Economia del Benessere e cercare di arrivare ad una
configurazione completa e coerente di un sistema economico-sociale, ovvero ad un Ordinamento
del Benessere Sociale (OBS) continuo, rappresentabile tramite una Funzione di Benessere Sociale
(FBS).
Il principale OBS su cui si basa la teoria economica utilitarista, è il Principio di Pareto. Quest’
ultimo afferma che “una configurazione del sistema economico A è socialmente superiore ad una configurazione B,
se almeno un individuo preferisce A a B e nessun individuo B ad A”.
Da questo Principio, deriva il concetto di Ottimo Paretiano, secondo cui “una configurazione del
sistema economico è Pareto ottimale, se non è possibile migliorare la situazione di un individuo senza peggiorare la
situazione di un altro individuo”.
Risulta evidente che tali regole di scelta sociale, portano ad una classificazione del sistema
economico incompleta. Infatti, se in una comunità alcuni preferiscono A a B ed altri B ad A, come
avviene frequentemente per le problematiche ambientali, non si potrà esprimere un giudizio di
scelta sulle due possibili configurazioni del sistema economico.
Il Secondo Teorema Fondamentale dell’ Economia del Benessere, afferma che: “una
configurazione del sistema economico Pareto ottimale, può essere ottenuta come risultato di un equilibrio competitivo,
alterando opportunamente la distribuzione iniziale del reddito”.
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Dove per Equilibrio competitivo s’ intende “una particolare configurazione degl’ inputs e degli outputs di
un sistema economico in corrispondenza dei quali, ciascun consumatore compra outpts e vende inputs in modo da
massimizzare l’ utilità sotto il vincolo del bilancio; ciascuna impresa compra inputs e produce outputs, che poi venderà
cercando di massimizzare il profitto sotto il vincolo del costo e l’ offerta eguaglia la domanda in ciascun mercato in
concorrenza perfetta”.
Tale principi di classificazione delle configurazioni di un sistema economico (compreso il Principio
di Hicks e Kaldor esposto nel paragrafo 1.1.) presentano molti punti deboli. Infatti la relazione tra la
DAP e l’ intensità delle preferenze, dipende molto dal reddito dei vari individui. Inoltre l’
operazione di somma aritmetica tra le DAP dei vari individui, che fanno parte del sistema
economico, potrebbe nascondere una distribuzione delle utilità e delle disutilità (benefici e danni)
profondamente iniqua (Pasca e Cicia, 1997). Infatti, anche se il saldo totale delle utilità/disutilità
dovesse risultare positivo, potrebbe accadere che i soggetti che hanno guadagnato nel passaggio da
una configurazione del sistema ad un’ altra, siano i soggetti che erano già precedentemente favoriti,
mentre i soggetti che hanno perso a causa del cambiamento di configurazione economica, sono
quelli che avevano già una situazione di partenza svantaggiata.
Quindi le economie di mercato sono delle “macchine” efficienti per quanto riguarda la produzione
della ricchezza, ma allo stesso tempo, sono assai poco efficienti nel distribuirla equamente tra
coloro che hanno preso parte al processo produttivo (Cozzi e Zamagni, 1999) e possono portare a
delle configurazioni del sistema economico “ingiuste” dal punto di vista etico.
L’ equilibrio competitivo oltre a generare una distribuzione non equa della ricchezza, potrebbe
anche condurre ad una configurazione del sistema economico Pareto sub-ottimale e delle volte può
generare anche dei casi di fallimento del mercato.
I principali casi di fallimento del mercato, si verificano in presenza di:
1. beni pubblici
2. esternalità
3. asimmetria informativa
4. strutture di mercato mono-oligopolistiche
5. disoccupazione di lungo periodo
Nonostante tali debolezze, l’ approccio utilitarista-economico è attualmente il paradigma dominante
dell’ economia normativa (Pasca e Cicia, 1997).
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1.2.2. I beni pubblici
La maggior parte dei beni ambientali e delle risorse naturali, sono beni pubblici puri, beni pubblici
spuri e beni a proprietà comune, per i quali non esiste un mercato reale. Le caratteristiche di questi
beni, portano alla formulazione delle domande, che generano la questione ambientale.
Il Primo teorema fondamentale dell’economia del benessere, ha tra i suoi assunti, che tutti i beni scambiati in
un sistema economico siano Beni privati puri, i quali sono caratterizzati da due proprietà: la rivalità
nel consumo e l’ escludibilità.
In un sistema economico reale spesso sono presenti i Beni pubblici puri, caratterizzati
fondamentalmente dall’ assenza della rivalità nel consumo e dall’ assenza dell’ escludibilità.
Per ottenere l’ allocazione Pareto Ottimale di un bene pubblico, ogni consumatore dovrebbe pagare
per la quantità di bene di cui usufruisce, un prezzo pari alla sua disponibilità a pagare marginale,
secondo quanto previsto e dimostrato dall’ Equilibrio di Lindhal e ciò potrebbe generare un prezzo
diverso per ogni singolo consumatore.
L’ Equilibrio di Lindhal è una condizione di equilibrio tra la curva di domanda aggregata e la
curva di offerta aggregata di un bene pubblico, che porta ad una configurazione del sistema
economico Pareto ottimale. Se D è la curva di Domanda aggregata di un bene pubblico ed S è la
curva di Offerta aggregata dello stesso bene (Grafico 1.2.), all’ equilibrio avremo che la somma delle
valutazioni marginali dei singoli consumatori (∑ p i), per la quantità di bene scambiata (q
*
), è uguale
al costo marginale (p*) (Grafico 1.2.).
E’ evidente, che l’equilibrio di Lindhal verrebbe raggiunto solamente se ogni individuo, fosse del
tutto sincero nell’esprimere la sua reale disponibilità a pagare marginale (valore noto solo
all’individuo).
Grafico 1.2. : Rappresentazione dell’ Equilibrio di Lindhal
n
∑ p
i=1
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Secondo la Teoria del consumatore gl’ individui sono degli egoisti razionali, i quali tenderanno a
comportarsi da free-riders nel consumo del bene ambientale, dichiarando una disponibilità a pagare
inferiore alla loro DAP reale, sperando che altri consumatori paghino anche la loro quota,
continuando a fruire del bene pubblico. I beni pubblici essendo beni a consumo non competitivo e
non escludibile, generano il problema e la distorsione del free-riding; così nel migliore dei casi, per un
determinato bene pubblico, si arriverà ad un’ offerta Pareto sub-ottimale, da parte dei suoi
consumatori e nel caso peggiore alla totale assenza di ogni forma di scambio via mercato.
Tra i beni pubblici puri ed i beni privati puri si collocano due categorie intermedie di beni, i Beni in
proprietà comune, caratterizzati da un tipo consumo competitivo, ma non escludibile e Beni pubblici
spuri, caratterizzati da un consumo non competitivo ma escludibile. Anche per queste due categorie
di beni, si può dimostrare, che una tipica gestione di mercato concorrenziale porta ad una loro
allocazione sub-ottimale.
1.2.3. Le esternalità
Le due principali cause di fallimento del mercato nell’ allocazione dei beni ambientali e delle risorse
naturali, sono loro la natura di beni pubblici e le esternalità prodotte da tali beni.
In letteratura negli ultimi 100 anni sono state coniate molte definizioni di esternalità, facendo
riferimento alla definizione di Baumol e Oates, una esternalità è presente ogni qual volta la funzione
di utilità di un individuo o quella di produzione di un’ impresa, contiene delle variabili reali e da qui
la definizione di Esternalità reali, il cui valore, che è scelto da altri consumatori, imprese o
legislatori, va ad alterare la funzione di utilità di altri consumatori o la funzione di produzione di
altre imprese.
Inoltre, quando le esternalità producono effetti positivi alle imprese o ai consumatori vengono
definite: Esternalità positive; mentre quando generano effetti negativi sulle funzioni di utilità dei
consumatori o sulle funzioni di produzione delle imprese verranno definite Esternalità negative.
Invece se la variabile esterna alla funzioni di utilità o di produzione, non altera la funzione di utilità
o di produzione, ci troviamo di fronte ad una variabile monetaria e le esternalità che ne derivano,
prendono il nome di Esternalità Pecuniarie. Questa categoria di esternalità non altera l’efficienza
di una configurazione del sistema economico, perché non influisce sulle funzioni di utilità o di
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produzione. Queste esternalità non portano a forme di fallimento del mercato, ma sono importanti,
perché intervengono in alcune diatribe ambientali.
Le esternalità reali in una economia di libero mercato possono generare fallimenti del mercato,
perché i costi ed i benefici privati sono diversi dai costi e dai benefici sociali.
Generalmente in economia di libero mercato, il costo marginale di produzione di un certo bene, la
cui attività di produzione comporta un certo livello di degrado ambientale e delle risorse naturali,
comprende solo i costi marginali di produzione privati (Cmg
privato
), ma non i costi marginali
dell’inquinamento e del degrado delle risorse (Cmg
degrado
), che vengono sostenuti dalla collettività e
non da chi ricava profitto da tale attività.
Una configurazione Pareto ottimale di questa attività da un punto di vista economico-sociale,
dovrebbe portare ad un prezzo di mercato della risorsa ambientale (p r.a) che ha subito danni a causa
del processo di produzione (p r.a), pari al Costo marginale sociale (Cmg
sociale
)
p r.a = Cmg
sociale
.
Dove il costo marginale sociale di questa attività di produzione è definito pari alla somma dei costi
marginali privati e dei costi marginali del degrado delle risorse ambientali:
Cmg
sociale
=Cmg
privato
+Cmg
degrado
.
In un ambiente di libero mercato, i prezzi delle risorse ambientali che hanno subito un certo livello
di degrado, a causa di determinate attività produttive, considerano solo i costi privati di produzione
marginali:
p r.a = Cmg
privato
.
Per cui i prezzi dei beni ambientali determinati con i metodi di mercato tradizionali, non tengono
conto dei costi marginali sociali, pari alla somma dei costi marginali privati e dei costi marginali del
degrado (o costi marginali del consumo della risorsa) che pagano direttamente o indirettamente i
cittadini su cui ricadono gli effetti diretti ed indiretti dei danni ambientali
p r.a≠ Cmg
sociale
.
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Quindi possiamo sostenere che una configurazione del sistema economico di questo tipo, risulta
Pareto non ottimale ed in presenza di beni ambientali, risorse naturali (beni pubblici) ed esternalità,
si verificano casi di fallimento del mercato.
Considerando come esempio alcune diatribe ambientali legate all’ attività agricola, i produttori
agricoli usando vari prodotti chimici utili alle loro produzioni (concimi, diserbanti, anticrittogamici,
insetticidi, etc., etc.), inquinano l’ ambiente, ma non pagano nulla per i danni arrecati; invece i
cittadini di una determinata area dove si svolgono attività agricole, non pagano nulla per alcuni
servizi di cui usufruiscono, come la difesa idrogeologica ed il valore estetico paesaggistico fornito da
alcuni paesaggi agrari.
Queste divergenze generano dei costi e dei benefici non internalizzati, che fanno fallire il mercato,
così i benefici e i costi non internalizzati dal mercato sono proprio le esternalità, che si generano
facilmente ogni qualvolta un bene abbia caratteristiche pubbliche, come avviene per quasi tutte le
risorse ambientali.
Possiamo concludere sostenendo che la natura di beni pubblici e le esternalità delle risorse
ambientali, sono le cause principali, che portano il libero mercato a fallire in una loro allocazione
Pareto ottimale.
1.2.4. Analisi del Fallimento del mercato nell’ allocazione delle risorse ambientali
La curva di domanda di un bene ambientale, esprime la quantità di denaro che i possibili i fruitori di
quel bene sarebbero disposti a pagare per unità aggiuntive del bene. Quindi la curva di domanda dei
beni ambientali (D) rappresenta la curva della Disponibilità a pagare marginale (DAPmg) per questi
beni; dove la Disponibilità a pagare marginale è il prezzo massimo che un consumatore è disposto a
pagare per l’ ultima unità acquistata di un determinato bene. La DAP marginale è un indice che
rappresenta il beneficio sociale, che la collettività deriva dalla produzione e commercializzazione di
un determinato bene; quindi la curva di domanda rappresenta la funzione di beneficio sociale
marginale (Cicia e Coppola, 1996).
Rappresentando la curva di domanda su di un diagramma cartesiano (Grafico 1.3.), dove l’ asse
delle ordinate P rappresenta l’ asse dei prezzi di un determinato bene e l’ asse delle ascisse X le
quantità domandate di certo bene; richiamando il Teorema di Torricelli, avremo che l’area al disotto
della curva di domanda (area arancione in Grafico 1.3.) compresa tra la quantità zero e la quantità
x°, il prezzo zero ed il Choke price, rappresenta la misura del Beneficio Sociale marginale, che la
collettività deriva dal consumo di una quantità di bene pari a x°.
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Grafico 1.3.: Curva di domanda o disponibilità a pagare marginale e beneficio sociale o beneficio sociale marginale
(area arancione)
Invece la curva di offerta di un determinato bene, essendo pari alla somma dei costi marginali di
produzione del bene, non è latro che la curva dei costi marginali, in cui la collettività incorre nel
produrre il bene in questione (Cicia e Coppola, 1996).
Rappresentando la curva di offerta su di un diagramma cartesiano (Grafico 1.4.), dove sull’ asse
delle ordinate P sono posti i prezzi di un determinato bene e sull’ asse delle ascisse X la quantità
prodotta di un certo bene. La produzione di una certa quantità di bene x°, comporta la distruzione
di una determinata quantità di risorse ambientali, diventate inputs del processo produttivo, le quali
non saranno più disponibili per la collettività. Ricordando che la funzione di offerta (S) è data dalla
somma orizzontale delle curve di Costo Marginale e richiamando il teorema di Torricelli, avremo
che l’area al disotto della curva di offerta (area verde chiaro Grafico 1.4.), compresa tra la quantità
di bene zero e la quantità di bene prodotto x°, indica il costo degli inputs impiegati nella produzione
di una quantità di bene x°, ovvero il Costo sociale marginale.
Grafico 1.4.: Curva di offerta e costo degli imput impiegati nel processo produttivo o Costo sociale marginale (area
verde)
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Se vogliamo conoscere il reale Beneficio Netto Sociale associato alla produzione ed al consumo di
un determinato bene, dobbiamo sottrarre il valore degli inputs consumati nel processo produttivo di
x°, dai benefici che la collettività gode per il consumo di x°.
Le curve di domanda (D) e di offerta (S), esprimono rispettivamente il beneficio sociale marginale
ed il costo sociale marginale, così la massimizzazione del beneficio sociale netto (BSN), si realizzerà
quando la quantità x° (Grafico 1.5.), viene domandata e consumata. Tale situazione, si verifica
quando i benefici sociali marginali eguagliano i costi sociali marginali, ovvero quando la curva di
domanda D e la curva di offerta S, si intersecano nel punto con ascissa x° (Grafico 1.5).
Il beneficio sociale netto è dato dalla differenza tra i benefici sociali ed i costi sociali; quindi risulterà
socialmente conveniente produrre unità successive del bene, fino a quando i benefici sociali
superano i costi sociali, il che avviene fino al livello di bene prodotto e consumato pari a x°
(Grafico 1.5.).
Riportando sul diagramma cartesiano Prezzi (P), Quantità (X), sia la funzione di domanda D, che
quella di offerta S ed i rispettivi benefici sociali marginali (area arancione Grafico 1.3.) ed i costi
sociali marginali (area verde chiaro Grafico 1.4.), poiché il beneficio sociale netto è dato dalla
differenza tra il beneficio sociale ed i costi sociali, graficamente il beneficio sociale netto sarà pari
all’ area triangolare limitata superiormente dalla funzione di domanda ed inferiormente dalla
funzione di offerta (area verde scuro Grafico 1.5.).
Grafico 1.5. : Rappresentazione grafica del Beneficio netto sociale.