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Il progetto europeo definito “Solvency II” e il recente testo definitivo del Nuovo
Accordo di Basilea, definito “Basilea 2”, sono le nuove normative che l’Unione
Europea ha voluto realizzare negli ultimi anni, nell’intento di fornire assicurazioni e
banche di un sistema efficace per stimare il loro capitale sotto rischio, vale a dire per
stimare quanto dei fondi propri accantonare per far fronte ad eventuali perdite
improvvise o inattese. L’esigenza di regole prudenziali valide e coerenti all’interno di
tutto il settore finanziario discende direttamente dal mutato contesto finanziario degli
ultimi anni.
Il capitolo iniziale di questo lavoro vuole presentare i forti cambiamenti nelle dinamiche
di mercato, che hanno obbligato le discipline dei requisiti di solvibilità ad adeguarsi
rapidamente. L’adesione all’Euro e la convergenza delle variabili macroeconomiche ha
comportato, infatti, per l’Italia e per l’Europa in generale, la fuoriuscita da un contesto
strutturale di elevati tassi d’interesse ed inflazione sostenuta, che ha caratterizzato
l’intera economia mondiale a partire dalla metà degli anni ’70. Le esigenze di
redditività, conseguenti all’accresciuta concorrenza, si devono sempre più coniugare
con l’obiettivo di mantenere una struttura del bilancio che, da un lato, non può
prevedere un’esatta correlazione in termini di scadenze temporali e flussi in valore
assoluto tra attivo e passivo, ma che, dall’altro, deve tuttavia essere costantemente
monitorata e, soprattutto, utilizzata come strumento che orienti le scelte dell’azienda
nella gestione integrata al mutare delle variabili economico-finanziarie. Più in generale,
a livello europeo si è avvertita la necessità di integrare i sistemi tradizionalmente
utilizzati per monitorare la stabilità del sistema; vengono, infatti, illustrate le critiche
mosse alla Direttiva Solvency I e al Primo Accordo di Basilea ed i conseguenti
cambiamenti apportati.
In campo assicurativo, il progetto Solvency II dovrebbe risolvere i principali limiti
dell’attuale normativa; in particolare dovrebbe superare il ventaglio limitato dei rischi
considerati e la non sensitività dei livelli di capitale richiesti, rispetto al profilo di
rischio specifico di ciascuna impresa. L’UE ha spinto perché s’introducesse un insieme
di norme molto più ampio, che fosse veramente utile a prevenire fallimenti e crisi e che
fosse in grado di valutare la solvibilità totale di una compagnia assicurativa. Il nuovo
sistema dovrà fornire, a questo scopo, strumenti appropriati, sia quantitativi sia
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qualitativi, alle Autorità di vigilanza, idonei a controllare le condizioni di solvibilità in
cui operano le imprese. Il Solvency II dovrebbe assicurare una maggiore coerenza tra i
settori finanziari, allo scopo di predisporre una vigilanza prudenziale più efficiente dei
gruppi assicurativi e dei conglomerati finanziari, conducendo ad una crescente
armonizzazione dei metodi in questione. L’obiettivo della vigilanza, nel definire i
requisiti patrimoniali, è fornire un cuscinetto contro gli avvenimenti avversi e una base
per un indicatore di solvibilità con una capacità di previsione precoce. È altresì
desiderabile che i requisiti patrimoniali siano strettamente correlati con il profilo di
rischio specifico della compagnia.
Il Solvency II è stato diviso in due fasi. La prima è terminata nel dicembre 2002 e, come
previsto inizialmente, il Sottocomitato Solvibilità ha discusso le questioni preparate dai
servizi della Commissione ed ha visionato lo studio commissionato alla KPMG, nonché
le relazioni dei gruppi di lavoro che aveva istituito come rappresentanti delle Autorità di
vigilanza ed incaricato di trarre gli opportuni insegnamenti dalle difficoltà incontrate
dalle imprese di assicurazione nel recente passato.
Inoltre, il futuro sistema di solvibilità dovrà prendere in considerazione i nuovi principi
contabili internazionali (IFRS) e i recenti cambiamenti nella disciplina dei requisiti
patrimoniali nel settore bancario.
Per le banche, il Comitato di Basilea ha ritenuto necessario un miglioramento del Primo
Accordo, introducendo nuove possibilità per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi
(uso di rating interni) e una nuova tipologia di rischio (il rischio operativo), e
sostenendo la disciplina patrimoniale, quantitativa, con norme di tipo qualitativo
(secondo e terzo pilastro).
I capitoli centrali si soffermano sul confronto effettuato tra il progetto Solvency II e il
processo di gestione dei rischi definito dal Comitato di Basilea, al fine di delineare un
quadro regolamentare coerente per banche, assicurazioni e altri operatori finanziari, nel
rispetto delle loro diversità. Si è cercato di capire quanto fosse possibile riversare nel
settore assicurativo i concetti introdotti dalla regolamentazione patrimoniale bancaria.
Nello specifico, si è voluto approfondire l’eventuale trasposizione di alcuni metodi di
calcolo dei requisiti minimi, relativi al rischio di credito, al rischio di mercato e al
rischio operativo. Si è analizzata la possibilità di prevedere, anche per le compagnie
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assicurative, una disciplina di tipo “secondo e terzo pilastro”, vale a dire le circostanze
nelle quali sarebbe opportuno introdurre maggiori controlli prudenziali da parte degli
organi di controllo e maggior trasparenza nei confronti del mercato e del pubblico.
Obiettivo finale di questo lavoro è presentare la conclusione della prima fase del
progetto Solvency II, tentando di trarre insegnamenti dal confronto ed esporre le grandi
opzioni fra le quali sarà operata la scelta di un sistema di vigilanza prudenziale europeo.
La scelta di una particolare metodologia di solvibilità è, infatti, solo una parte del
generale sistema di vigilanza prudenziale. È necessario che sia supportata da altre
attività prudenziali e da altri requisiti complementari. Il confronto compiuto fra Basilea
2 e Solvency II sembra suggerire che un three pillar approach, sullo stile del progetto
bancario, sia possibile anche per le assicurazioni. Se si vuole dar vita ad un sistema di
solvibilità efficiente, è evidente il bisogno di dare maggior riconoscimento al profilo di
rischio delle imprese, siano esse banche o assicurazioni, attraverso la previsione di
modelli adeguati alla piena comprensione e valutazione dell’effettivo contesto
operativo, affiancati da regole qualitative, diventate ormai necessarie.
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CAPITOLO I
Le ragioni alla base delle nuove discipline
europee sui requisiti patrimoniali
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1.1 Evoluzione dello scenario finanziario
Negli anni più recenti è aumentata negli intermediari finanziari (dal più tradizionale al
più sofisticato) la percezione di un crescente “rischio” ricollegabile all’andamento dei
mercati finanziari nelle loro diverse forme.
Tale fenomeno è senza dubbio da ricollegarsi da un lato al processo d’integrazione e di
globalizzazione dei mercati finanziari e dall’altro ad una loro sempre maggiore
instabilità che ha reso necessario uno sforzo crescente da parte delle Autorità politiche e
monetarie, volto a coordinare e a convergere l’andamento delle economie.
Fattori interni ed esterni agli intermediari e condizioni d’ambiente determinano
variazioni nel tempo e nello spazio dell’entità del rischio, la cui stima è funzione delle
informazioni disponibili circa lo stato futuro della realtà oggetto d’osservazione; è
questa, infatti, che condiziona le decisioni prese dal soggetto economico e si traduce poi
nelle sue scelte. L’impossibilità di conoscere con precisione quali possano essere i
riflessi derivanti dal verificarsi di un evento o di un accadimento futuro, determina uno
stato di incertezza e rende necessaria una serie di valutazioni racchiuse poi all’interno di
un modello probabilistico.
La disponibilità di adeguati modelli e sistemi di risk management costituisce una
priorità per banche e assicurazioni: esse hanno sviluppato soprattutto metodologie
finalizzate alla gestione di quei rischi che hanno carattere prevalente all’interno di
ciascun comparto (rischi di credito nel caso delle banche, rischi tecnici nel caso delle
compagnie). Negli ultimi tempi i lavori dei gruppi internazionali – con particolare
riferimento al Joint Forum
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– hanno dedicato grande attenzione all’individuazione delle
best practices seguite dagli intermediari bancari, finanziari e assicurativi nella gestione
dei rischi cui sono esposti.
Inoltre i cambiamenti del mercato finanziario e le mutate esigenze del risparmio hanno
fortemente intensificato la competizione nel settore assicurativo e bancario. A partire
dal 1999 si è avuta una forma di concorrenza intersettoriale cui hanno partecipano tutti i
soggetti finanziari. Tradizionalmente, il mercato assicurativo e il mercato bancario sono
sempre stati due mercati chiusi, protetti e conservatori. Nel nuovo scenario la domanda
1
Gruppo che unisce sotto la tutela del Comitato di Basilea, dello IOSCO e della IAIS, i rappresentanti
delle Autorità di vigilanza dei tre segmenti dell’intermediazione finanziaria (bancario, mobiliare e
assicurativo).
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di servizi finanziari e previdenziali, insieme alla necessità di coprire i rischi
tradizionalmente intesi, favorisce la convergenza fra business assicurativo e bancario.
Se da un lato queste crescenti interconnessioni hanno reso meno netti i confini tra i due
settori, dall’altro l’accresciuta integrazione non ha modificato la prevalente assunzione
di rischi di natura differente da parte di assicurazioni e banche. Questi intermediari
tendono a porsi di fronte al medesimo tipo di rischio con terminologie e filosofie
diverse.
Va sottolineato che questo insieme di fenomeni si è sviluppato in un ambiente sempre
più sensibile agli andamenti di breve periodo e caratterizzato da interrelazioni tra
fenomeni politici, economici e finanziari; a ciò va aggiunta l’esigenza di monitoraggio
dei flussi finanziari a scopo di sicurezza internazionale
2
. Questi aspetti determinano un
consistente innalzamento delle condizioni di rischio dell’investimento finanziario,
ponendo problematiche nuove anche dal punto di vista delle Autorità di controllo.
L’evoluzione recente dei mercati impone l’elaborazione di schemi interpretativi del loro
andamento che prendano in considerazione, oltre alle consuete variabili razionali, anche
elementi comportamentali. Se ne deduce che il sistema dell’intermediazione, quindi
anche banche e assicurazioni, debba sottoporsi ad una rivisitazione di strutture, processi
e meccanismi operativi che coinvolgerà la maggior parte delle aree gestionali. A livello
europeo si avverte la necessità di integrare i sistemi tradizionalmente utilizzati per
monitorare la stabilità del sistema.
2
È inevitabile considerare i ben noti fatti dell’11 settembre 2001, che hanno introdotto una svolta storica
con conseguenze non ancora del tutto prevedibili, così come le recenti vicende del conflitto iracheno.
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1.2 Relazione tra capitale e rischio
Settore bancario e settore assicurativo, pur appartenendo entrambi al sistema
dell’intermediazione finanziaria, presentano notevoli differenze sia strutturali sia
gestionali. Ciò che maggiormente li differenzia è sicuramente l’attività che viene
esercitata in maniera prevalente e di conseguenza i rischi cui sono esposti.
Le banche sono imprese multiprodotto, la cui principale attività è rappresentata
dall'intermediazione creditizia, consistente nell'esercizio congiunto della raccolta del
risparmio tra il pubblico e dell'erogazione del credito. Accanto all'intermediazione
creditizia, le banche presentano anche un'operatività in strumenti finanziari e offrono
servizi, finanziari e non, alla clientela. In questo contesto la banca assume rischi di
credito e rischi di mercato che incidono essenzialmente sui valori dell’attivo; altri rischi
possono nascere dal mismatching tra attività e passività e incidono solo sulla posizione
netta.
L'attività svolta dalle compagnie di assicurazione consiste nell'assunzione, dietro il
pagamento di un premio, dell'obbligo di una prestazione finanziaria futura a favore dei
clienti in seguito al verificarsi di un determinato evento attinente la vita umana (rami
vita) oppure al risarcimento del danno (a beni materiali, al patrimonio dell’assicurato o
all'integrità fisica della persona) prodotto all’assicurato da un sinistro (rami danni). In
particolare, con il contratto di assicurazione sulla vita, l’assicuratore si obbliga a pagare
un determinato capitale o a corrispondere una determinata rendita al verificarsi di un
evento attinente alla vita umana. Il rischio che grava sull’assicuratore in questi casi è
dunque funzione della durata di vita dell’assicurato e la relativa copertura è quella che
risulta dalla previsione degli eventi che influiscono sulla durata stessa (età, stato di
salute, professione dell’assicurato). L’incertezza che caratterizza la prestazione relativa
ad un singolo contratto diventa certezza – in senso statistico-attuariale – con riferimento
all’intero portafoglio dei contratti stipulati dalla compagnia. L’impresa di assicurazione
trasforma così il rischio individuale in un rischio di portafoglio, ridistribuendo l’onere
della copertura su tutti i soggetti assicurati. I rischi sono assunti dietro l’incasso
anticipato dei premi, da cui vengono presi i mezzi necessari per il pagamento aleatorio
della prestazione assicurata, per la copertura delle spese di assunzione e di gestione del
contratto nonché per una congrua remunerazione del capitale. Si parla di ciclo
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finanziario invertito, particolarità tipica delle compagnie assicurative, in quanto i ricavi
anticipano i costi. Il premio ha dunque la funzione di garantire l'equilibrio economico
tra incassi e pagamenti; tal equilibrio tecnico, esistente alla data di stipulazione del
contratto, viene garantito nei periodi successivi dall'accantonamento di una parte dei
premi in speciali fondi di riserva chiamati appunto “riserve tecniche”. Queste
rappresentano pertanto gli impegni nei confronti degli assicurati che la compagnia deve
prevedere di dovere onorare in futuro, in base a valutazioni prudenti ed obiettive. Le
riserve tecniche evidenziano la posizione debitoria della compagnia e in bilancio vanno
pertanto iscritte nel passivo dello Stato Patrimoniale. La compagnia assume quindi un
rischio tecnico connesso con il fatto che il rapporto con il singolo cliente potrebbe
svolgersi in maniera diversa da quelle prevista dal modello attuariale adottato per
stabilire premi, caricamenti e riserve. Analogamente alla banca, essa corre inoltre altri
rischi, di credito e di mercato, connessi con la gestione degli attivi a copertura delle
riserve tecniche.
Pur funzionando nel medesimo modo, le compagnie assicurative dei rami danni
presentano alcune differenze. Innanzi tutto, la possibilità di conseguire un sostanziale
equilibrio tra scadenze dell’attivo e del passivo risulta più complicato; infatti, nelle
assicurazioni contro i danni, le somme da erogare a fronte di un sinistro non sono né
certe, né predeterminate in quanto l’indennizzo corrisponde al valore del bene assicurato
al momento del sinistro o all’entità del danno patrimoniale o ancora all’entità del danno
parziale. Si aggiunge anche il fatto che, nei rami danni, siano scarsamente usate le
tecniche di frequenza statistica del verificarsi degli eventi di rischio. Va poi rilevato che
il rischio di fluttuazione dei sinistri può riguardare sia la frequenza stimata dei sinistri,
sia il costo medio dei sinistri. Ciò può essere ricondotto ad una serie di fattori, definiti,
secondo la loro natura, scarti normali, eccezionali o sistematici. Tra i rami danni, i c.d.
rami elementari evidenziano un ciclo finanziario in linea con quello economico, mentre
altri, come ad esempio i rami di responsabilità civile, hanno tempi di definizione,
liquidazione e pagamento dei sinistri che tendono a dilatarsi nel tempo, rendendo
incerto anche l’ammontare del sinistro stesso. Generalmente, le polizze danni sono
caratterizzate dal breve differimento temporale tra determinazione del premio e
pagamento della prestazione; non esistono norme speciali dirette a verificare la
correttezza delle basi tariffarie, essendo precluso agli Stati Membri di dettare
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disposizioni che esigano la preventiva approvazione o la comunicazione sistematica
delle condizioni di polizza e delle tariffe, a differenza di quello che accade nei rami vita.
La principale differenza tra impresa assicurativa e bancaria risiede dunque nella
specializzazione dei rischi assunti in prevalenza e nel diverso ruolo attribuito al capitale.
Per le banche, infatti, il principale rischio, quello di credito, è un rischio finanziario ed è
allocato nell’attivo; per le compagnie di assicurazione il rischio tecnico al contrario è un
rischio non finanziario e grava sul passivo. In relazione a ciò, sono di particolare rilievo
la connotazione data al capitale e alle riserve nell’ambito delle rispettive gestioni
caratteristiche e, di conseguenza, nell’impianto dei controlli prudenziali. Negli schemi
di vigilanza bancaria sono essenziali sia le riserve sia il capitale; la quota del capitale nel
bilancio bancario “tipico” risulta molto più ampia di quella delle riserve. Infatti,
l'esperienza statistica suggerisce che le perdite attese, fronteggiate attraverso
provisions
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, sono significativamente inferiori alle perdite effettivamente sostenute dalle
banche a fronte della propria esposizione al rischio di credito; ne deriva l'esigenza di
disporre di un livello di capitale (maggiore delle riserve) adeguato ad assorbire le
perdite inattese.
Nel settore assicurativo al contrario hanno importanza prevalente le riserve tecniche che
sono accantonate per fronteggiare gli impegni derivanti dall’assunzione dei contratti
(pagamento delle prestazioni e dei risarcimenti). La corretta previsione dell’ammontare
degli esborsi dovuti al manifestarsi dell’evento coperto dalla polizza e un adeguato
livello di riserve tecniche per fronteggiare tali esborsi sono alla base dell’attività
assicurativa e della sana condizione finanziaria della società. Gli strumenti della
vigilanza prudenziale assicurativa sono pertanto principalmente mirati al contenimento
dei rischi tecnici cui sono esposte le compagnie, tramite la verifica dell’applicazione, da
parte delle stesse, di corretti principi attuariali. Il capitale – che interviene, quando il
livello delle prestazioni erogate agli assicurati fosse superiore a quello espresso dalle
riserve tecniche – assume invece un ruolo di accessorietà al processo produttivo.
3
Le provisions si distinguono in specific e general provisions. Le prime sono costituite da ammontari
dedotti dai redditi delle banche al fine di fronteggiare perdite relative a crediti specificatamente
individuati. Esse rappresentano un modo per ridurre il valore di bilancio di un determinato credito a fronte
delle perdite attese ad esso relative. Le general provisions sono riserve accantonate a fronte di perdite
potenziali non riferibili a specifici assets e pertanto iscritte in apposite voci del passivo.
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In generale è dalla rischiosità dei contratti che dipende il capitale “assorbito” (o le
riserve accantonate) a garanzia dei contratti stessi; poiché il capitale assorbito ha un
costo, il rischio finisce col pesare sugli utili, sui profitti e sul valore dell’impresa stessa.
Il capitale costituisce un ammortizzatore contro rischi sostenuti, perdite future attese e
non e contro la svalutazione degli accantonamenti (soprattutto per le compagnie
assicurative). Per ogni azienda quindi il patrimonio è il “cuscinetto” che tutela i terzi
creditori dagli effetti di eventuali perdite. Fatti salvi alcuni limiti minimi imposti dal
codice civile, la dimensione del patrimonio viene lasciata all’autonomia delle parti. Nel
caso di banche e assicurazioni però sono state previste delle precise normative che
impongono livelli minimi di capitale. Esistono diverse ragioni che giustificano la
presenza di adeguati livelli di patrimonializzazione (regulatory capital) per
assicurazioni e banche. Prima fra tutte, la necessità di tutelare i clienti tipici di banche e
assicurazioni: rispettivamente creditori privati (il pubblico dei depositanti) e i detentori
delle polizze (gli shareholders), ovvero investitori non professionali sprovvisti di
un’adeguata cultura finanziaria e in quanto tali meritevoli di tutela.
Inoltre la comprensibile volontà degli intermediari di diversificare i rischi e di
ottimizzare il rapporto rischio-rendimento del capitale economico e l'intensificarsi delle
transazioni tra imprese operanti nei diversi settori dell'intermediazione finanziaria - con
particolare riguardo a quelli bancario e assicurativo - ha richiamato l'interesse delle
Autorità di vigilanza sui riflessi in termini di stabilità del sistema finanziario e sulle
opportunità di arbitraggio regolamentare derivanti dalle differenze nelle discipline
prudenziali. L’esigenza di prevenire questi arbitraggi normativi suggerisce l’opportunità
di individuare forme di disciplina armonizzata per gli aspetti comuni di rischio.
In ultima analisi va sottolineato il ruolo che stanno svolgendo le Autorità di vigilanza in
relazione alle questioni patrimoniali di banche e assicurazioni. Esse hanno spostato la
loro attenzione dagli strumenti di tipo strutturale a quelli di tipo prudenziale: hanno,
infatti, impostato i loro recenti interventi sulla centralità del vincolo patrimoniale quale
elemento di primaria garanzia nell’affrontare eventuali crisi di insolvenza, e
sull’esigenza di imporre agli intermediari uno stretto controllo interno dei rischi. Si è già
sottolineato come i due aspetti siano profondamente correlati fra loro: le necessità di
dotazione patrimoniale minima dipendono dal rischio complessivamente assunto e
sistemi di controllo interno efficaci consentono di misurare tale rischio, nelle sue
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diverse componenti, offrendo così un corretto metro di determinazione del patrimonio
vincolato. Dall’altra parte, sistemi di rivelazione e di misurazione dei rischi incidono
direttamente sulle scelte di gestione, rendendole compatibili con gli obiettivi aziendali e
con le condizioni economico-patrimoniali degli intermediari. In questo modo le Autorità
di vigilanza stimolano l’utilizzazione e il perfezionamento di modelli di valutazione del
rischio.
Ponendo il rischio come categoria base del controllo dell’impresa cambia quindi in
modo strutturale il modo di guardare alle grandezze caratteristiche della gestione,
perché aumenta il numero di “dimensioni” da tenere sotto controllo: almeno per l’effetto
del tempo (il futuro) e almeno per le influenze reciproche tra le grandezze (le
correlazioni). Poiché tutto dipende dalle probabilità assegnate ai valori possibili in
futuro, sale in primo piano il ruolo di chi assegna tali probabilità e i mezzi per
giustificare le opinioni su cui le probabilità si basano. Ne consegue che il sistema di
gestione dell’impresa non può essere tecnicamente più debole del sistema di controllo;
le richieste della vigilanza spingono banche e assicurazioni a utilizzare, per la gestione,
modelli con una più alta capacità di approssimazione rispetto alle misurazioni standard
previste dai regolamenti. Tutto dipende dal modello adottato che diventa quindi
strumento di lavoro per poter parlare adeguatamente di valori e di rischi.
L’obiettivo è perciò quello di dotare banche e assicurazioni di strumenti di controllo e di
previsione adeguati e di permettere loro di prendere le decisioni gestionali considerando
eventuali effetti sul loro bilancio derivanti da possibili mutamenti nelle variabili
finanziarie; in questo modo potranno meglio orientare le proprie scelte alla luce del loro
impatto sulla struttura di bilancio.