rimediabile (Hater e Bass, 1988). L’intensità dell’impatto dei rinforzi, positivi o negativi,
dipende dal tipo di rinforzo utilizzato, da quanto l’intervento è stato specifico e giustificato e
dalla valutazione degli effetti da parte dei seguaci. Anche la durata dell’impatto può essere
variabile e dipende dalla forza e dalla frequenza del rinforzo. In qualunque caso, le ricompense e
le punizioni scelte dal leader mirano a fare in modo che i risultati attesi vengano raggiunti, non
hanno lo scopo di trasformare e sviluppare i seguaci. Infine, lo stile di non-leadership comprende
un unico fattore, definito laissez faire. Questa dimensione è caratterizzata dal fatto che il leader,
spesso, abdica alle proprie responsabilità ed evita i propri doveri. Partendo da questa
rappresentazione, Bass (1985, 1997) propone il concetto di paradigma transazionale-
trasformazionale, invece della distinzione netta tra leadership trasformazionale e leadership
transazionale. Lo stile trasformazionale supera lo scambio di incentivi e le transazioni correttive
e costruttive fra leader e subordinati e spinge i collaboratori ad andare oltre la loro dimensione
individuale per privilegiare il gruppo, l’organizzazione, la missione o la visione, si concentra su
obiettivi a lungo termine e cerca di cambiare le situazioni esistenti invece di muoversi all’interno
dei loro vincoli. Per rappresentare il rapporto tra stile trasformazionale e transazionale, Bass ed
Avolio (1993) propongono il concetto di ”effetto di accrescimento”, secondo il quale la
leadership trasformazionale aumenta ed accresce gli effetti di quella transazionale. Bass (1998)
descrive questo meccanismo come il grado con cui lo stile trasformazionale si costruisce su
quello transazionale e lo supera. In accordo con questo punto di vista, Howell ed Avolio (1993)
ritengono che i comportamenti trasformazionali completino quelli transazionali e che, spesso, i
leader utilizzino entrambi i tipi di azioni. Quindi, se è vero che il leader trasformazionale
costruisce il suo stile su delle fondamenta transazionali, è altrettanto vero che la leadership
trasformazionale non sostituisce quella transazionale. Non è un effetto di sostituzione ma di
estensione, aumento, amplificazione (Bass, 1998). In conclusione, è possibile ritenere che non
sia possibile sviluppare una leadership trasformazionale senza partire da uno stile transazionale.
Come suggerisce Avolio (1999), “le transazioni sono alla base delle trasformazioni”.
Influenza idealizzata.
Questo fattore di leadership trasformazionale (Bass, 1985), unito alla motivazione ispirazionale,
dà vita al carisma e comprende un insieme di comportamenti ed atteggiamenti che i leader
trasformazionali mostrano nei confronti dei seguaci. Questi leader diventano forti modelli di
ruolo, sono influenti, rispettati, ammirati, hanno standard elevati di condotta morale ed etica ed
antepongono i bisogni degli altri ai propri (Speltini e Palmonari, 1998). Generano orgoglio,
lealtà, fiducia, fede, rispetto, ispirazione (Bass, 1997), sono coerenti con i propri valori, principi
e credenze (Bass, Avolio, Jung e Berson, 2003) e sono disposti a sacrificarsi per il bene del
gruppo (Kark, Shamir e Chen, 2003). I seguaci di un leader che mostra influenza idealizzata
tendono ad avere fiducia nelle sue capacità, fede in lui e a provare orgoglio per il fatto di essere
sotto la sua guida (Krishnan, 2002), sviluppano un grande senso di lealtà sia nei confronti del
leader sia nei confronti del gruppo o dell’organizzazione (Barling, Kelloway e Laughlin, 2002),
cercano di emularlo per raggiungere i suoi alti livelli di performance e si identificano con lui
(Bass, Avolio, Jung e Berson, 2003). Queste identificazioni, secondo Kark, Shamir e Chen
(2003), possono essere personali, vale a dire dirette al leader, ma anche sociali, dirette al gruppo.
L’identificazione personale con il leader si verifica quando il collaboratore sente che i suoi valori
sono simili a quelli del leader e vede il proprio capo come un esempio da seguire, mentre si può
parlare di identificazione sociale con il proprio gruppo quando l’individuo basa il concetto di sé e
la propria autostima sull’appartenenza di gruppo e percepisce i successi ed i fallimenti di gruppo
come personali. Queste identificazioni possono generare empowerment, ma anche dipendenza
(Kark, Shamir e Chen, 2003). Per dipendenza si intende una situazione nella quale il seguace ha
difficoltà nell’agire e nel prendere decisioni senza la guida del leader e mostra un elevato
bisogno di approvazione e riconoscimento. Al contrario, l’empowerment è visto come un
processo attraverso il quale l’individuo arriva ad avere fiducia nelle proprie capacità e nelle
possibilità di riuscita del gruppo e si sente una parte importante ed attiva dell’organizzazione cui
appartiene. La leadership trasformazionale, attraverso l’influenza idealizzata, mette in moto i
meccanismi delle identificazioni e va a creare dipendenza o empowerment nei seguaci (Kark,
Shamir e Chen, 2003). In particolare, l’identificazione personale con il leader media la relazione
fra leadership trasformazionale e dipendenza, mentre l’identificazione sociale con il gruppo
media la relazione fra leadership trasformazionale ed empowerment. Il leader trasformazionale,
mostrando comportamenti di influenza idealizzata, può potenziare i propri seguaci oppure
renderli dipendenti, portando così a risultati apparentemente contraddittori. Questa apparente
contraddizione può essere superata considerando dipendenza ed empowerment come elementi
mutevoli all’interno della relazione tra leader e subordinato. E’ possibile che, in una prima fase,
la dipendenza sia una condizione necessaria affinché si possa innescare un processo di
empowerment, il quale, più avanti, porterà il seguace ad avere più autonomia ed indipendenza
(Kark, Shamir e Chen, 2003). Inoltre, è anche possibile che il subordinato si possa sentire
dipendente in alcuni aspetti della propria azione, come la presa di decisioni, e potenziato in altri
aspetti. Senza dimenticare che le differenze individuali, il tipo di gruppo ed il tipo di interazione
con il leader possono intervenire in questi processi.
Motivazione ispirazionale.
E’ il secondo fattore di leadership trasformazionale (Bass, 1985) e fa parte, insieme all’influenza
idealizzata, di ciò che viene definito carisma. Il leader trasformazionale motiva i propri
collaboratori, li coinvolge nell’immaginare situazioni future attraenti, genera spirito di gruppo,
comunica chiaramente la proprie aspettative e rende il lavoro significativo (Speltini e Palmonari,
1998). Rafforza la coesione del gruppo e propone ai seguaci significati e sfide stimolanti (Bass,
Avolio, Jung e Berson, 2003), dimostra ottimismo ed entusiasmo ed usa simboli ed argomenti
fortemente emozionali. Prendendo in considerazione queste caratteristiche, è possibile
individuare due elementi che rientrano all’interno di questo secondo fattore di leadership
trasformazionale, vale a dire la presentazione di una visione e la comunicazione ispirazionale che
motiva ed ispira i seguaci. La motivazione ispirazionale, quindi, include la creazione e la
presentazione di una visione grandiosa del futuro, un ideale trascendente generale che
rappresenta valori condivisi e che, spesso, ha una natura ideologica e significati morali nascosti
(House, 1977). E’ l’espressione di un’immagine idealizzata del futuro basata su valori condivisi
(Rafferty e Griffin, 2004) e, secondo McClelland (1975), nasce dall’interiorizzazione di valori ed
obiettivi ed incoraggia gli individui a adottare certi comportamenti proprio perché essi vanno
nella direzione della sua realizzazione. La visione, o missione, è la componente chiave che,
secondo molti studiosi (House, 1977; Bass, 1985; Bennis e Nanus, 1985; Tichy e Devanna,
1986; Kouzes e Posner, 1987; Conger e Kanungo, 1987; Locke, 1991), serve al leader per
ispirare i propri seguaci e spingerli a performance eccellenti. Una visione include molti elementi,
come l’avere alte aspettative e il nutrire fiducia nelle abilità dei collaboratori di raggiungere la
meta finale (House, 1977). Può essere efficace perché eleva i bisogni ed i valori degli altri
membri del gruppo (House, 1977), è fortemente discrepante rispetto allo status quo ma, allo
stesso tempo, è credibile (Conger e Kanungo, 1987) e, per questo, si presenta come una sfida
impegnativa ma realizzabile. Quando si parla di visione occorre tenere in considerazione i punti
di somiglianza e differenza che questa ha con gli obiettivi. Sebbene abbiano dei tratti in comune,
infatti entrambi si riferiscono a stati finali desiderabili, ci sono delle differenze significative. Le
visioni dei leader trasformazionali sono generali e raramente vengono realizzate completamente
perché sono grandiose (“Non vendiamo fiori, vendiamo bellezza”, Kouzes e Posner, 1987),
mentre gli obiettivi sono specifici e possono essere raggiunti pienamente in pratica (“Venderemo
cinquecento fiori in un mese”). Le visioni si applicano a tutti i membri del gruppo,
dell’organizzazione o della comunità (“Vogliamo essere la migliore compagnia del mondo nel
commercio di fiori”), mentre gli obiettivi di prestazione, anche se sono di ampia portata, sono
applicati a singoli individui o unità di azione (“L’unità lavorativa A migliorerà la propria
produzione del cinquanta per cento in sei mesi”). Una visione o una missione, da sola,
difficilmente migliorerà di molto la performance dei membri di un gruppo perché è generale,
vaga e le responsabilità sono diffuse (Kirkpatrick e Locke, 1996). Essa va arricchita con obiettivi
specifici e la sua esposizione va implementata attraverso comportamenti finalizzati ad assicurare
che essa non è semplicemente retorica, ad esempio attraverso la presa di rischi personali da parte
del leader (Conger e Kanungo, 1987). Il leader trasformazionale deve essere in grado di andare
oltre la comunicazione di essa e può utilizzare tecniche di implementazione come l’ergersi a
forte modello di ruolo (House, 1977; Bass, 1985; Conger e Kanungo, 1987; Locke, 1991),
fornire supporto individuale (Bass, 1985; Conger e Kanungo, 1987), riconoscere il
raggiungimento degli obiettivi da parte dei seguaci (Conger e Kanungo, 1987; Kouzes e Posner,
1987; Locke, 1991) e gestire le informazioni, vale a dire fornire le informazioni più rilevanti per
la realizzazione della visione (Locke, 1991). Oltre all’elaborazione ed alla presentazione di
un’immagine attraente del futuro, il leader trasformazionale utilizza la comunicazione
ispirazionale per motivare i suoi collaboratori ispirandoli. L’ispirazione è l’azione o il potere di
risvegliare l’intelletto e le emozioni degli individui (Downtown, 1973) e si riferisce al grado con
cui un leader genera entusiasmo tra i subordinati e comunica messaggi che aumentano la fiducia
dei seguaci nelle proprie capacità (Yukl, 1981). Per generare ispirazione, il leader
trasformazionale usa frasi ed espressioni cariche di emotività in grado di scuotere le emozioni e
le motivazioni degli altri e diffonde messaggi positivi, incoraggianti ed elettrizzanti circa il
gruppo o l’organizzazione (Rafferty e Griffin, 2004). Presentazione di una visione e
comunicazione ispirazionale hanno effetti positivi sul gruppo. Secondo Rafferty e Griffin (2004),
la visione è associata positivamente con la continuità dell’impegno da parte dei seguaci perché
essi si sentono parte integrante di un futuro attraente e quindi sono motivati all’azione proprio
per realizzare questo stato finale desiderabile. La comunicazione ispirazionale ha effetti positivi
perché è associata positivamente con l’attaccamento verso il gruppo, la fiducia nelle proprie
abilità ed il grado con cui i membri del gruppo sono disposti ad aiutarsi reciprocamente e
volontariamente (Rafferty e Griffin, 2004).
Stimolazione intellettuale.
E’ forse il fattore di leadership trasformazionale meno studiato ed approfondito (Lowe, 1996).
Comprende comportamenti ed atteggiamenti che incrementano nei seguaci l’interesse e la
consapevolezza dei problemi e, allo stesso tempo, sviluppano la propensione e la capacità di
pensare ai problemi in maniera innovativa (Bass, 1985). Il leader trasformazionale che stimola
intellettualmente i propri collaboratori li spinge ad essere creativi, innovativi, non esprime
critiche in pubblico e li incoraggia ad andare oltre le abitudini e le routine consolidate (Speltini e
Palmonari, 1998). Sfida i vecchi assunti, credenze e tradizioni, stimola negli altri nuove
prospettive e modi di fare ed incoraggia l’espressione di idee, punti di vista e ragioni, soprattutto
quando vanno nella direzione della novità (Bass, 1997). Inoltre, sfida i seguaci a ripensare al
proprio modo di agire (Bycio, Allen e Hackett, 1995) ed enfatizza l’importanza del ragionamento
e delle abilità di problem-solving (Hater e Bass, 1988). Gli effetti positivi che l’attività di
stimolazione intellettuale può avere sono molteplici, come l’aumento delle capacità dei seguaci
di concettualizzazione, comprensione, analisi e soluzione di situazioni problematiche (Bass e
Avolio, 1990). Secondo Rafferty e Griffin (2004), la stimolazione intellettuale serve al leader
trasformazionale per comunicare ai propri collaboratori che il loro contributo è considerato
importante ed è valorizzato. Questo fa sì che i seguaci sviluppino un legame affettivo forte con
l’organizzazione e la loro identità professionale diventi centrale all’interno del sistema di
identità. Inoltre, la stimolazione intellettuale è associata positivamente con la continuità di
impegno da parte dei subordinati. Questo perché, se i leader incoraggiano gli altri a trovare
nuove soluzioni ai problemi e li coinvolgono, allora i seguaci sperimenteranno un accresciuto
senso di investimento personale in un’organizzazione o gruppo che si basa sui loro sforzi
crescenti. E questo senso di investimento personale accresciuto influisce positivamente sulla
continuità dell’impegno. Inoltre, secondo Speltini e Palmonari (1998) la stimolazione
intellettuale è correlata positivamente con la performance a lungo termine perché può incidere
sullo sviluppo della cultura organizzativa e delle strategie organizzative, elementi che
necessitano di tempi lunghi per consolidarsi.
Considerazione individualizzata.
E’ uno dei fattori di leadership trasformazionale individuati da Bass (1985) e, per certi versi, può
essere vista come una forma particolare di rinforzo transazionale contingente (Avolio e Bass,
1995). I rinforzi contingenti possono essere positivi o negativi. Quando un seguace effettua una
prestazione adeguata può ricevere premi, ricompense, elogi e feedback positivi. Al contrario,
quando la sua performance non raggiunge il livello minimo di accettabilità, può essere soggetto a
punizioni, critiche e feedback negativi. Anche la considerazione individualizzata può presentarsi
sia in forma positiva sia in forma negativa, ma la sua finalità è differente rispetto all’utilizzo di
rinforzi contingenti (Avolio e Bass, 1995). Infatti, mentre questi mirano a far sì che gli obiettivi
vengano raggiunti, i comportamenti di considerazione individualizzata vanno oltre e sono diretti
a favorire il miglioramento dei subordinati in termini di crescita e di sviluppo delle potenzialità.
Inoltre, i rinforzi contingenti hanno un impatto sulla base delle caratteristiche motivazionali
individuali mentre la considerazione individualizzata può portare quelle stesse caratteristiche a
trasformarsi (Bass, 1985; Avolio e Bass, 1995). Quando un leader considera individualmente i
propri seguaci, è attento ai loro bisogni di crescita e successo, calibra il proprio comportamento
alle loro caratteristiche, pratica l’ascolto attivo nei loro confronti ed incoraggia la comunicazione
a due vie (Bass, 1985). Inoltre, utilizza lo strumento della delega per farli crescere umanamente e
professionalmente e per stimolare esperienze di apprendimento (Speltini e Palmonari, 1998),
considera le loro abilità, aspirazioni ed aspettative (Bass, 1997), mostra interesse verso il loro
benessere e la loro soddisfazione lavorativa (Barling, Kelloway e Laughlin, 2002), fornisce
supporto, incoraggiamento ed insegnamenti (Kark, Shamir e Chen, 2003). Comportamenti che
vanno in questa direzione, però, possono essere interpretati in modi diversi. Secondo Avolio e
Bass (1995), la stessa azione messa in atto dal leader può essere vista da alcuni come
un’attenzione speciale positiva verso di loro e da altri come una forma eccessiva di paternalismo
e confidenza. Questo dipende sicuramente da differenze individuali in termini di stadio di
sviluppo, ma anche dal contesto organizzativo che fa da cornice. In un contesto basato
fortemente sul controllo e sul comando rigido, un’azione amichevole del leader può essere
interpretata come un indicatore di considerazione individualizzata. Viceversa, in un contesto
meno rigido, meno formale e più attento alle risorse umane, la soglia richiesta affinché un
comportamento sia considerato di considerazione individualizzata è più elevata. Quindi, la
percezione di questo fattore di leadership trasformazionale è variabile a seconda delle differenze
individuali ed a seconda delle caratteristiche organizzative, le quali esplicitano quali sono i
comportamenti normativi che fanno da base di riferimento per l’interpretazione delle azioni del
leader (Avolio e Bass, 1995). Il livello organizzativo gioca, così, un ruolo importante, tanto che
la considerazione individualizzata può essere vista non solo come una caratteristica del leader,
ma anche come una caratteristica del comportamento dei gruppi e della cultura organizzativa. In
questo senso, alcuni autori (es. House e Rousseau, 1993; Avolio e Bass, 1995) propongono di
considerare questo fattore di leadership trasformazionale come un costrutto multi-livello che
comprende tre livelli: individuale, di gruppo, organizzativo. A livello individuale, il leader
mostra interesse verso i seguaci, c’è considerazione verso i loro bisogni, interessi, aspettative e
capacità e si favorisce l’equità piuttosto che l’uguaglianza. A livello gruppale, viene enfatizzata
l’importanza di sviluppare il potenziale di gruppo e le differenze individuali sono riconosciute e
valorizzate. I membri del gruppo riconoscono reciprocamente le proprie necessità e collaborano
per il miglioramento dei singoli e del gruppo. A livello organizzativo, è diffusa la credenza
secondo la quale lo sviluppo delle risorse umane è una necessità fondamentale per raggiungere
performance organizzative eccellenti ed il rispetto e la fiducia sono valori centrali della cultura
organizzativa. Seguendo questa concettualizzazione multi-livello, è interessante notare come la
considerazione individualizzata possa diffondersi attraverso le gerarchie organizzative
pervadendo tutti i livelli (Avolio e Bass, 1995). Questa diffusione può realizzarsi in vari modi.
Una prima via prevede che i leader che si trovano al massimo livello della gerarchia
organizzativa mettano in atto azioni di considerazione individualizzata e le istituzionalizzino
attraverso l’esplicitazione di linee guida da applicare a tutti i livelli. In questo modo, si crea un
processo a cascata (House e Rousseau, 1993) che porta ad un allineamento multi-livello, il quale
permette la diffusione ai gruppi ed ai singoli. Oltre a questo processo che va dall’alto verso il
basso, di tipo top-down, è ipotizzabile una seconda via che va dal basso verso l’alto, di tipo
bottom-up (Avolio e Bass, 1995). In questo caso, l’inizio del processo è ai livelli gerarchici più
bassi. Un leader considera individualmente i propri seguaci e questo modo di agire diventa
normativo all’interno di quel gruppo, anche tra i seguaci stessi. Successivamente, questo gruppo
può essere strutturato all’interno di un gruppo più ampio, oppure il leader di quel gruppo può
essere spostato in un altro team ad un livello organizzativo superiore, o, ancora, può esservi una
rotazione dei membri del gruppo verso altri gruppi. Tutti questi meccanismi possono far sì che
un comportamento specifico di un leader possa diventare normativo prima all’interno del gruppo
iniziale, poi in altri gruppi allo stesso livello e, successivamente, in altri livelli gerarchici. Infine,
può diventare parte della cultura organizzativa ed essere istituzionalizzato attraverso linee guida,
decisioni strategiche e programmi di vario tipo che incoraggiano l’utilizzo di comportamenti di
considerazione individualizzata.