Quanto detto rimanda alle cause del fenomeno ed a uno standard per valutare se il giudizio sia
o meno erroneo.
Il pregiudizio si manifesta sempre con degli stereotipi: ad esempio i neri d’America secondo i
bianchi, sono superstiziosi, pigri, stupidi, fisicamente sporchi, ostentativi, molto religiosi,
naifs, lenti, inaffidabili (Dovidio e Gaertner, 1986).
Quindi nell'esprimere un pregiudizio automaticamente indichiamo che l'individuo in oggetto
appartiene ad un gruppo specifico (identificabile attraverso segni distintivi di gruppo o
stereotipi), all'interno del gruppo tutti si comportano allo stesso modo (omogeneizzazione) il
gruppo in questione è valutato negativamente. Inoltre si generalizza sconsideratamente. Infine
chi è dotato di pregiudizio è esterno al gruppo pregiudicato (distanza sociale).
Poichè il pregiudizio negativo si oppone al pensar bene degli altri (fiducia), esso è
strettamente legato all'integrazione e differenziazione culturale. Per chi lo esperisce è una
credenza inattaccabile, ha un legame profondo e naturale con la religione; entrambi consistono
nel credere prima ed al di là dell'evidenza, sebbene i loro effetti sulla società siano opposti.
poichè esso conduce alla discriminazione, alla segregazione e al diniego dei diritti, costituisce
una deviazione dalle norme della giustizia (Allport, 1954).
Però il pregiudizio, oltre a quanto detto, è innanzitutto, un atteggiamento ed un'anticipazione
della realtà: atteggiamento come stato mentale valutativo, rivolto verso un qualche oggetto
organizzato e persistente nella memoria di lungo termine in relazione a gruppi, eventi e valori
(Fishbein e Ajzen. 1975); anticipazione in quanto:
"Nel produrre informazioni sui gruppi etnici, la gente non fornisce
semplicemente evidenze basate su modelli interpretativi, ma costruisce
evidenze a partire da preesistenti attitudini. E' lo stereotipo generale
negativo che mi dice che io devo aver avuto solo esperienze negative. Noi
troviamo che le opinioni sui gruppi etnici sono elaborate in modo
circolare: una esperienza negativa viene generalizzata fino a diventare una
opinione attitudinale generale, e l' opinione generale, viceversa, garantisce
che alla fine si trovano esempi che lo convalidano.
(Van Dijik 1987, p.280)
La storia culturale di questo termine ci proietta in un dibattito in cui, estremizzando, vi sono
due posizioni confliggenti, circa la valutazione globale del pregiudizio: vi sono coloro per i
quali esso è nella sostanza un giudizio errato, e chi, invece, da una posizione ermeneutica.
controbatte il senso comune.
Questi affermano che non vi può essere, nei fatti sociali. giudizio senza pregiudizio, di modo
che quest'ultimo senza avere una valenza negativa. diventa un fatto socialmente
imprenscindibile.
La posizione del pregiudizio come "errore estirpabile", tipica della sociologia americana. può
avere limiti positivistici nel momento in cui è incapace di mostrare lo standard per il quale si
può condannare un giudizio come errato. Quella ermeneutica esistenziale, invece, lo giudica
una forza da ultimo necessaria ed ineliminabile. E come aveva energicamente commentato
Adorno ha un che di profondamente reazionario.
Taguieff dice :
"E' chiaro che per distruggere il pregiudizio non basterebbe provarne
l'assurdità, e che bisognerebbe riformare anche 1'intero sistema delle
abitudini e dei principi. Ma è possibile questa trasformazione? Ed è
desiderabile? (Taguieff, 1987).
Le interpretazioni di Burke, e di coloro che hanno seguito la sua tradizione, come Gadamer
(1965) e Taguieff (1987), indicano che il pregiudizio è conveniente e connaturato alla natura
umana, quindi è ritenuto immutabile.
Esse, però, si prestano ad un'obiezione empirica e ad una teorica.
Innanzitutto se veramente così fosse, in tutte le ricerche empiriche
2
, riguardo al pregiudizio,
non dovremmo trovare differenze significative tra le persone: invece si osservano soggetti con
alto e soggetti con basso pregiudizio.
Poi ponendo la distinzione tra giudizi di valore e di fatto, introduciamo l'obiezione storico-
teorica.
Sia i fatti-valori che i valori, che guidano e precedono il giudizio, non sono dati ovvi e
immutabili. Nella nostra cultura essi sono stati introdotti e rivoluzionati da una catena di
movimenti culturali che iniziano con il mondo classico, continuano con la tradizione giudaico-
cattolica, e culminano con l'Illuminismo, quando si impone una trasfom1azione tanto radicale
che vengono scritti nelle Costituzioni i principi dell'individualismo, dell'uguaglianza, della
libertà e della solidarietà.
In seguito a tale cambiamento, non è più possibile giudicare ogni immigrato africano o ogni
italiano allo stesso modo e tanto meno dare di ognuno una valutazione indiscriminatamente
negativa poichè, fino a prova contraria, ad ogni persona si deve un uguale rispetto e un uguale
atteggiamento positivo e benevolo.
2
Vedi Colasanti Giuseppe, Il pregiudizio, Franco Angeli, 1994
Capitolo primo
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IL PREGIUDIZIO
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NATURA DEL PREGIUDIZIO
Questa parola, derivata dal latino "praejudicium", ha subìto nel tempo diverse modificazioni.
Tale trasformazione si è attuata in tre stadi:
• nell’antichità "praejudicium" significava "giudizio precedente", basato su decisioni ed
esperienze anteriori al giudizio stesso.
• il termine, nel tempo, acquistò il significato di "giudizio formulato prima di una debita
considerazione oggettiva dei fatti", giudizio prematuro
• infine il termine acquisì il suo attuale significato emotivo, relativo alla benevolenza o
malevolenza che accompagna un giudizio immotivato.
Il pregiudizio, però, generalmente viene considerato nella sua accezione negativa.
Ma esso può essere tanto favorevole quanto sfavorevole: si può anche pensare bene di certe
persone senza fondate ragioni.
Nella prima definizione di pregiudizio "il pensare male degli altri senza una ragione
sufficiente", l'espressione "senza una ragione sufficiente" fa riferimento a un giudizio
immotivato, che non poggia su elementi di fatto.
Non è facile stabilire in che misura sia necessario un dato di fatto per giustificare un giudizio.
Un individuo che si nutre di pregiudizi asserirà, per lo meno, di avere ragioni sufficienti per
avallare il suo punto di vista.
Parlerà delle sue esperienze negative a contatto con i profughi o un altro gruppo. Ma, nella
maggior parte dei casi, è evidente che i fatti sono insufficienti e di poco rilievo. Egli è vittima
di un processo autonomo selettivo dei suoi ricordi, mescolati con le dicerie venutegli
all'orecchio in seguito, e poi generalizzate Questo, quindi, è un esempio di pensiero formulato
senza una ragione sufficiente.
Talvolta inoltre chi pensa male non ha esperienze personali su cui basare il proprio giudizio.
Comunque, la ragione sufficiente, per ogni giudizio) è sempre una questione di probabilità. In
genere i giudizi riguardanti gli avvenimenti naturali hanno un valore di probabilità più elevato
e sicuro di quelli riguardanti il prossimo.
Raramente i giudizi categorici su nazioni o gruppi etnici sono basati su criteri di elevata
probabilità.
Non si può tracciare una netta linea di demarcazione tra ragione "sufficiente" e
"insufficiente"). Ed è per questo motivo che non si può essere mai Sicuri se si tratti di casi di
pregiudizio oppure no. Nessuno vorrà, tuttavia. negare che spesso si I formulano giudizi in
base a probabilità insufficienti) se non inesistenti.
Il pregiudizio, in genere, si manifesta nel rapporto con i singoli membri dei gruppi respinti.
Nell'evitare un negro, ad esempio, si modella la propria azione accordandola ad una
generalizzazione categoriale che investe tutto il gruppo.
Sulla base di questo processo, il pregiudizio allora è così definibile :
atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona appartenente ad un gruppo, solo in
quanto appartenente a quel gruppo e che pertanto si presume in possesso di qualità
biasimevoli, generalmente attribuita al gruppo medesimo.
Questa definizione pone in rilievo il processo di generalizzazione che viene fatto su di un
gruppo e di sussunzioni delle caratteristiche generali all'individuo del gruppo. E' una sorta di
procedimento sillogistico.
La generalizzazione è forse la caratteristica più comune della mente umana. Da una minima
serie di fatti, si tende a compiere generalizzazioni su vasta scala. n motivo è semplice: la vita è
troppo breve per accumulare esperienze in base alle quali si possano esprimere giudizi certi,
ma soprattutto, le esigenze pratiche a cui si deve far fronte sono tali da non permettere di
riconoscere sempre pubblicamente la propria ignoranza.
Non è possibile valutare singolarmente ogni oggetto che esiste al mondo. Bisogna
accontentarsi di classificazioni grezze, già pronte per l'uso.
Non ogni generalizzazione costituisce un pregiudizio. Alcune sono solo concetti errati, sono
informazioni sbagliate.
La differenza tra errori ordinari di giudizio e il pregiudizio vero e proprio è importante: se una
persona è in grado di rivedere i suoi giudizi errati alla luce di nuove prove, egli è immune da
pregiudizi.
Un pregiudizio resiste, a differenza di un concetto erroneo, attivamente a qualsiasi prova della
realtà. Quindi la differenza consiste nella possibilità, per i primi, di discutere e rettificare
l'opinione senza resistenze emotive.
A questo punto, ricapitolando, è possibile riformulare la definizione di pregiudizio.
Il pregiudizio è un' antipatia basata su di una generalizzazione irreversibile e in mala fede. Può
essere solo intimamente avvertita o anche dichiarata. Essa può essere diretta a tutto un gruppo
come tale oppure a un individuo, in quanto membro di tale gruppo. n vero effetto del
pregiudizio, così definito, è quello di porre il suo oggetto in una condizione di svantaggio,
immeritato sulla base del comportamento obiettivo.
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IL PREGIUDIZIO E LA CULTURA
Alcuni autori hanno aggiunto alla definizione di pregiudizio un ulteriore elemento.
Certi atteggiamenti sono pregiudizi quando violano alcuni importanti valori o regole accettate
da una cultura. n pregiudizio è solo ristretto ad un tipo di giudizio moralmente disapprovato
nell' ambito di una società.
L'uso comune del termine ha questo valore semantico nella nostra cultura. Qualora il termine
avesse il significato di atteggiamento sfavorevole, bisognerebbe dire che l'antico sistema
indiano della suddivisione in caste -ora sempre meno diffuso – non implica un pregiudizio. Si
trattava solo di una vantaggiosa stratificazione delle strutture sociali, accettabile per quasi tutti
i cittadini in quanto chiariva l'assegnazione dei ruoli e definiva prerogative sociali. Inoltre la
dottrina della reincarnazione la- giustificava ampiamente.
Un intoccabile era vittima dell'ostracismo poichè nelle precedenti esistenze non era stato in
grado di meritarsi la promozione alle caste superiori o a raggiungere una forma di esistenza
superumana.
Egli, così, subiva una giusta punizione fruendo contemporaneamente dell'opportunità,
attraverso una vita improntata all'obbedienza e all'umiltà spirituale, di acquistarsi dei meriti
per le future reincarnazioni.
Allora si può parlare ancora di pregiudizio?
Alcuni studiosi hanno asserito che il problema del pregiudizio si riduce ad un complesso di
giudizi inventati. Tale invenzione, opera di certi intellettuali, sarebbe costruita quando certi
comportamenti sociali non sono approvati. Arbitrariamente, quindi, questi comportamenti
sono definiti pregiudizi.
Invece il pregiudizio costituisce un elemento intrinseco di qualsiasi cultura: sia nelle società
culturalmente più evolute che in quelle strutturate a caste. Il pregiudizio come "valutazione
morale" (giudizio negativo e generalizzato) con cui una cultura giudica alcuni dei suoi modelli
comportamentali e il pregiudizio, come atteggiamento che si accompagna o meno ad un
sentimento di oltraggio morale, sono due cose diverse.
Il problema è che questi due aspetti sono confusi.
Alcune culture, come la nostra, aborrono il pregiudizio, altre no. Ma fondamentalmente
l'analisi psicologica del pregiudizio è la stessa, sia che si parli degli indiani Navaho che degli
antichi greci.
Ogni qual volta un atteggiamento negativo verso certe persone è sostenuto da generalizzazioni
in mala fede, si può parlare di sindrome del pregiudizio. Esso è sempre esistito, in tutte le
epoche e in ogni paese.
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SIGNIFICATO FUNZIONALE
Certe definizioni del pregiudizio comportano elementi ulteriori a quelli visti.
"Il pregiudizio è un modulo comportamentale improntato all'ostilità nelle relazioni
interpersonali, diretto verso un intero gruppo o contro qualcuno dei suoi membri: esso
corrisponde ad una specifica funzione irrazionale di chi ne è affetto".
Molta parte del pregiudizio sembra avere un significato "funzionale" per il soggetto che lo
manifesta.
Però ciò non sempre avviene in quanto spesso si tratta di una questione di cieco conformismo
alle opinioni correnti. Nella sua definizione generale qui data, comunque, si sottolineerà il
significato funzionale.
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ATTEGGIAMENTI E CREDENZE
E' stato detto che ci può essere un atteggiamento di favore o di sfavore e che il pregiudizio può
essere riferito ad una credenza generalizzata (e pertanto erronea).
Le affermazioni che contengono pregiudizi esprimono certe volte degli atteggiamenti, altre
delle credenze. E' importante distinguere tra gli aspetti del pregiudizio relativi
all'atteggiamento e quelli relativi alle credenze ? Per certi fini no. In genere riscontrandone
uno si scopre la presenza dell'altro. Senza date opinioni generalizzate concernenti un gruppo
nel suo complesso, un atteggiamento ostile non potrebbe essere sostenuto a lungo. Da alcune
ricerche risulta che coloro che hanno rivelato un'alta percentuale di atteggiamenti
antagonistici, in un test sul pregiudizio, hanno dimostrato anche di credere fermamente che il
gruppo da loro condannato era in possesso di moltissime qualità negative,
Per certi scopi è utile distinguere l' atteggiamento dalla credenza. Entro certi limiti le credenze
possono essere corrette sul piano razionale, anche se in genere si ha la tendenza ad
accomodarle in qualche modo, concordandole con l' atteggiamento negativo, assai più difficile
da rimuovere.
La struttura della credenza può variare allo scopo di adeguarsi al persistere dell'atteggiamento
negativo. Si tratta di un processo di razionalizzazione, in cui la credenza si adatta
all'atteggiamento.
Capitolo secondo
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IPOTESI ESPLICATIVE SUL PREGIUDIZIO
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APPROCCIO INDIVIDUALISTICO E SOCIALE
Una teoria in grado di fornire una spiegazione esauriente e completa del pregiudizio umano
non esiste.
Esistono gli approcci che forniscono interpretazioni differenti a seconda del punto di vista da
cui partono. Ognuno di essi contiene un granello di verità, ma non la spiegazione per
eccellenza.
Secondo la teoria psicoanalitica di Adorno e altri, il pregiudizio sarebbe un sintomo -di un tipo
particolare di personalità, che a sua volta si ritiene sia il prodotto di una certa storia familiare.
Un'educazione particolare produce un individuo che è predisposto a subire un'influenza della
propaganda di destra e fascista, che sostiene la predominanza morale e intellettuale
dell'ingroup.
n pregiudizio non è diretto-veramente ai membri dell'ingroup in quanto tale, ma a coloro che
hanno credenze differenti dalle proprie. Esso ripone le sue origini nelle dinamiche di
personalità dell'individuo. Tale approccio individualistico incontra difficoltà e critiche operate
da prospettive più sociali.
Vi è un approccio secondo cui il pregiudizio è legato al fenomeno più generale dello scontento
sociale. Secondo tale teoria lo scontento è fatto risalire ad avvenimenti frustranti verificatisi
nel passato dell'individuo o sperimentati nel presente.
Questa frustrazione conduce inesorabilmente a varie forme di aggressività, dirette verso la
fonte della :frustrazione, o più comunemente, verso qualche capro espiatorio, come un gruppo
di minoranza.
La frustrazione è oggetto poi di ulteriori modifiche: è concepita. infatti, come uno stato di
deprivazione relativa e non assoluta. Gli individui sono contenti o scontenti non perchè sono
affamati o poveri, ma perchè sono più affamati o più poveri di quanto ritengono di dover
essere.