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le sezioni in cui si articola quest’analisi: nella prima dedicata a Stephen King,
sulla cui vita è stato scritto praticamente tutto, il confronto tra cinema e letteratura
viene presentato seguendo una cronologia relativa alla pubblicazione dei romanzi
ispiratori, vero fulcro di tutta l’opera del prolifico scrittore del Maine; nella
seconda sezione riguardante Clive Barker, l’ordine viene invece scandito dalle
date di uscita delle sei pellicole ispirate alle sue opere, espressione visiva e “reale”
delle sue caratteristiche narrative. Quest’ultima scelta riflette “l’anima migrante”
di un artista completo, le cui capacità spaziano dalla scrittura alla pittura per
arrivare fino al teatro e alla regia, e che hanno come denominatore comune la
visionarietà e l’immaginazione estrema. Nella terza parte vengono paragonati i
romanzi, le tematiche, gli sfondi sociali e il linguaggio letterario e
cinematografico di entrambi, mettendo a confronto due mondi apparentemente
così simili ma che in realtà rivelano una diversità sostanziale.
Quello che ne risulta è un quadro complesso, che evidenzia sia le luci che
le ombre di un rapporto prolifico ma contrastato con un mondo pronto a sfruttare
le loro idee. La differente posizione di King e Barker in questo gioco artistico ed
economico è un segnale inequivocabile del carattere di entrambi. Il primo, più
defilato, ha spesso suggerito le scelte da fare limitandosi inizialmente a
commentare gli adattamenti delle sue opere; il secondo ha invece mostrato
un’indole più combattiva che lo ha portato ad entrare personalmente nel campo di
battaglia dei set. King è rimasto dietro la linea di confine che separa romanzo e
film dopo aver malamente tentato di varcarla, Barker l’ha abbondantemente
superata per cercare nuovi stimoli e dare maggiore coerenza alle proprie idee.
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Quando però si affronta il discorso con un’impronta marcatamente
letteraria, allora spicca in maniera dirompente l’abilità narrativa dell’autore
americano, che ha fatto dell’accoppiata prolificità-qualità il segreto di un successo
mondiale che gli ha permesso di diventare non solo uno degli scrittori più famosi
al mondo, ma di coniare lui stesso per il collega inglese l’appellativo di “futuro
dell’horror”.
Per l’analisi relativa a King non c’è stato alcun problema a reperire il
materiale necessario, disponibile praticamente ovunque grazie alla sua indiscussa
fama, mentre per la sezione riguardante Barker si è dovuto ricorrere alle versioni
originali dei primi due film, dato che quelle italiane sono state pubblicate nel
sottobosco dell’home video per poi sparire quasi subito. Nonostante questa
precisazione, non si deve incorrere nel grossolano errore di considerare Stephen
King come un artista qualitativamente superiore rispetto a Barker. Per trarre delle
conclusioni ed apprezzare appieno il loro stile bisogna solamente andare alla
fonte, al romanzo, alla pagina scritta, dove il brivido che percorre la schiena è il
risultato di un’unica mediazione: quella tra la capacità espressiva dello scrittore e
la capacità percettiva del lettore.
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Stephen King e la costruzione di un mito
E’ uno degli scrittori più famosi al mondo. Con le sue opere ha saputo
attirare a sé l’attenzione dei fan e dei media di ogni tipo. E’ diventato un mostro
sacro. Ma la cosa più importante è che Stephen King si è fatto da solo, idolo
emerso dalla fatica e dalle delusioni di una vita per niente entusiasmante che ad un
tratto lo ha ripagato con gli interessi. Nato il 21 Settembre 1947 a Portland, nel
Maine, il futuro autore di best-seller mondiali è cresciuto senza la figura del padre,
che abbandonò la famiglia, ma che indirettamente contribuì ad introdurlo nel
mondo che sarebbe diventato la fonte dove attingere a piene mani. Il ritrovamento
dei libri del genitore nella casa degli zii (opere di Lovecraft, Poe ed altri autori
fantastici) fu un episodio importante nella vita di Stephen, che da quel momento
cominciò ad essere attratto da quel tipo di storie. Allevato dalla madre Nellie
Ruth, donna caparbia e decisa ad accettare ogni tipo di lavoro pur di non far
saltare mai un pasto a lui e a David (il primo figlio, adottato prima della nascita di
Stephen), verso la fine degli anni cinquanta fu affascinato da una figura macabra
quanto emblematica: il serial killer Charles Starkweather le cui informazioni
furono raccolte in un album di ritagli di giornale che servì al futuro scrittore come
manuale per imparare a riconoscere ed evitare i segnali della follia assassina. Sul
viso del ragazzo omicida si notava assenza di vita, come se il suo cervello fosse
morto, e il quasi undicenne King era convinto che se avesse memorizzato i suoi
tratti somatici e le sue espressioni sarebbe riuscito ad evitare quel genere di gente.
Lui stesso considerò successivamente l’album come una sorta di ricerca interiore,
come la vera scintilla che trasformò ciò che aveva dentro in materiale narrativo,
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era come se una voce gli dicesse “Da grande scriverai su persone come queste che
rappresentano il male.”
Neanche l’adolescenza fu un periodo felice. Trasferitosi nel Maine nel
1958 dopo aver girovagato con la famiglia per diversi anni (stato nel quale ancora
risiede), frequentò prima la grammar school di Durham per poi passare nel 1962
alla Lisbon Falls High School. La scuola fu un luogo da lui odiato, ma contribuì
ad alimentargli la fiamma dell’ispirazione. Era un periodo di scoperte, in cui si
vivono miriadi di esperienze diverse, ma non poteva essere ricordato con piacere:
sempre con la sensazione di avere addosso i vestiti sbagliati e troppi brufoli sul
volto, viveva la socializzazione con i compagni quasi come un incubo, i ragazzi
più grandi lo guardavano come un “diverso”, molti altri lo deridevano. Una volta
diplomatosi nel 1966, il futuro Re del brivido decise di frequentare l’università di
Orono nel Maine per laurearsi tra molte difficoltà economiche quattro anni dopo.
Lì conobbe la collega Tabitha Spruce, che nel Gennaio del 1971 diventò sua
moglie. King già si dilettava a scrivere trame misteriose e da brivido ma, pur
sottoponendo agli editori i suoi lavori, tutto quello che riusciva ad ottenere erano
sporadiche pubblicazioni su riviste per soli uomini come Dude e Cavalier. Il
racconto breve The Glass Floor fu la sua prima pubblicazione (avvenuta nel 1967
su Starling Mistery Stories) a fruttargli del denaro: quaranta dollari. Al termine
del periodo scolastico non riuscì subito a trovare il successivo lavoro di
insegnante di Inglese alle scuole superiori, per cui inizialmente si manteneva
guidando il furgone di una lavanderia, mentre Tabitha faceva il turno di notte in
una pasticceria. L’arrivo del primo figlio rese più difficile la situazione, la
famiglia King conduceva un’esistenza economicamente travagliata, ma la tenacia
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di Stephen e l’appoggio di sua moglie contribuirono a fargli fare il definitivo salto
di qualità.
Da quel momento lo scrittore ha fatto delle esperienze di vita il fulcro
delle sue idee, in molte sue opere si possono riscontrare avvenimenti realmente
accadutigli o ai quali ha semplicemente assistito. Nei romanzi sono presenti
personaggi non del tutto inesistenti, le sue creazioni sono sospese tra la realtà e la
fantasia. King è un attento osservatore del mondo circostante, lo stesso autore è
presente tra le righe, impariamo a conoscerlo, ci avvicina al vero attraverso
l’irrealtà, e la sua prolificità non è un segno della perfetta comprensione dei
meccanismi economici dell’editoria, ma l’espressione di una mente ingegnosa
capace di utilizzare questi spunti per creare trame da brivido sempre nuove che
incollano il lettore alla pagina. La sua ascesa è coincisa con un momento cruciale
dell’industria del libro in cui le strategie di vendita stavano cambiando a favore
degli scrittori popolari. Improvvisamente l’autore che vendeva duecentomila o
trecentomila copie dei suoi libri con copertina rigida, con la nascita dei tascabili
poteva tranquillamente arrivare a più di un milione di copie, inoltre c’era stato
l’allargamento della distribuzione dei libri, che ora erano reperibili anche nei
grandi magazzini, nei supermercati e nei centri commerciali. Le capacità di
Stephen furono ben presto riconosciute dal grande pubblico, che lo ha decretato
primo autore di genere dai tempi di Dickens ad avere un successo mondiale tale
da mettere in moto la macchina produttiva cinematografica, che ha subito fiutato
le potenzialità delle sue storie, dando vita a un travagliato rapporto di
collaborazione con Hollywood che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera.
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1. Gli anni settanta
1.1. Carrie
L’esordio di Stephen King è datato 1974, anno in cui viene pubblicato il
suo primo e travagliato lavoro: Carrie. La vita dello scrittore fino a quel momento
non era stata il massimo: il padre che lo aveva abbandonato quando aveva due
anni, un’esistenza condotta al limite della povertà, l’attuale lavoro come
insegnante di inglese con uno stipendio piuttosto basso e la sistemazione in una
roulotte nel Maine facevano di lui un uomo il cui aspetto piuttosto grassoccio
lasciava trasparire questi disagi. E un disagio fu anche scrivere questo libro,
partorito in uno sgabuzzino che doveva essere inizialmente utilizzato come zona
lavanderia e che già di per sé dava un forte senso claustrofobico. La sua mancanza
di fiducia nella storia portò lo scrittore a gettare i fogli del racconto nel cestino
della carta straccia, ma ciò non significò la fine del romanzo, poiché il manoscritto
fu raccolto dalla moglie Tabitha che lo esortò a continuare nel suo lavoro, dato
che quella storia la interessava tanto. E tanto interessò anche alla casa editrice, la
Doubleday, che decise di pubblicarlo (dopo aver imposto una revisione delle
ultime 50 pagine) con un anticipo di 2.500 Dollari. Una boccata d’ossigeno puro.
King aveva pensato alla storia di una ragazza disadattata e dotata di incontrollabili
poteri telecinetici (la capacità di spostare gli oggetti con la forza del pensiero) che
si vendicherà in modo definitivo dell’ennesimo atroce umiliante scherzo subìto
davanti a tutti. L’ispirazione proveniva da più fonti: due ragazze conosciute
durante la sua adolescenza che avevano un che di strano nel loro modo di fare:
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una era affetta da epilessia, orfana di padre e viveva con la madre, una donna
molto religiosa, in una casa dominata da un grande crocifisso. Questa ragazza
morì di uno dei suoi attacchi epilettici. L’altra, conosciuta a scuola quando
Stephen aveva 14 anni era di quelle del tipo “prendimi a calci sul sedere” ed era
vestita sempre allo stesso modo, era inoltre una patita dei concorsi e giochi a
premi, una sorta di ossessione al raggiungimento di uno scopo che è riscontrabile
in uno dei personaggi principali del romanzo: la madre di Carrie, donna che fa del
culto di Cristo la sua unica fonte di vita e salvezza eterna ma che allo stesso tempo
nasconde una folta serie di problemi psichici che trovano il suo sfogo nella figlia.
Ed è proprio intorno alla figlia che si impernia tutto il romanzo: un’adolescente, la
cui ingenuità nasce dall’ignoranza e dal fanatismo religioso della madre, ha come
unico desiderio quello di integrarsi con la società a lei avversa. Il suo cognome
(White) tradisce quel senso di purezza che le è stato forzato dalla madre, purezza
che si nasconde dietro la paura, l’ignoranza, il fanatismo religioso estremo. La
ricerca di un contatto con i suoi compagni di scuola e il suo desiderio di farsi
accettare nascono dalla sua consapevolezza di sentirsi diversa, dalle osservazioni e
dai paragoni che ella fa tra il proprio mondo ed il mondo esterno, tra gli altri
ragazzi e lei, e la consapevolezza della sua diversità acquista una caratteristica
tangibile nella scoperta e nel progressivo controllo dei suoi poteri telecinetici che
saranno l’espressione esterna ed estrema del suo disagio interiore. King introduce
il lettore nel mondo di Carrie attraverso uno stile giornalistico e documentaristico
(brani tratti da presunti testi sulla telecinesi quali L’ombra che esplose o da
testimonianze dei tragici eventi come Il mio nome è Susan Snell o ancora da
interrogatori) alternato a quello del vero e proprio racconto, ambientato in un
futuro non troppo lontano, il 1979. Zimbello di tutti e tutte, Carrie avrà le sue
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prime mestruazioni a 16 anni, e questo episodio simboleggerà il secondo
momento di ribellione nei confronti della realtà impostale dalla madre che la
vorrebbe sempre pura, dopo aver precedentemente reagito, durante l’infanzia, alla
furia omicida della stessa madre (che vuole ucciderla perché colpevole di aver
visto la vicina di casa in costume da bagno) con una scarica di pietre guidate
telecineticamente e inconsapevolmente che si abbattono sulla casa. L’agognata
partecipazione alla festa per il ballo di fine anno segnerà la fine del rapporto con
la madre, già fin troppo tumultuoso, e segnerà anche la fine di coloro che si
prenderanno gioco di lei nell’ultimo scherzo in cui la eleggeranno reginetta del
ballo per rovesciarle addosso un secchio di sangue di maiale, in un macabro
massacro a base di poteri telecinetici ora freddamente controllati che porterà alla
distruzione dell’intera città. Come dire: se la società non mi accetta io la
distruggo.
Inizialmente l’accoglienza al romanzo fu solamente tiepida, della tiratura
iniziale di 30.000 copie ne vennero vendute solo 13.000 e a Las Vegas il libro fu
bandito dalle scuole, ma per uno scherzo del destino King vide per la prima volta
il suo romanzo in vendita proprio in una libreria di Las Vegas. Anche se le
critiche non furono del tutto positive, i diritti per l’edizione paperback furono
successivamente venduti per 400.000 dollari e ci fu l’interessamento per la
realizzazione di un lungometraggio. Un salto di qualità che permise a King e
famiglia di cominciare seriamente a cambiare vita.
Il film venne realizzato nel 1976, prodotto da Paul Monash per la United
Artists, con la sceneggiatura adattata da Lawrence D. Cohen e la regia di Brian De
Palma. La prima trasposizione cinematografica di un romanzo di Stephen King
suscitò grandi apprezzamenti da parte del pubblico e permise a De Palma di
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ottenere il primo vero successo, grazie anche al supporto di un cast di ottimi attori,
tra i quali Sissy Spacek (nel ruolo di Carrie) e Piper Laurie (sua madre) che
ritornava a fare cinema quindici anni dopo la sua ultima interpretazione in Lo
spaccone, entrambe candidate all’Oscar per la loro magnifica interpretazione;
Nancy Allen (che sarebbe diventata dal 1979 al 1983 moglie di De Palma) era
quella Chris Hargensen che più di tutte odia Carrie ed è fidanzata con Billy Nolan
interpretato da John Travolta, già in odore di febbre del sabato sera.
Le protagoniste descritte nel libro sono diverse dalla quelle presentate nel
film: Carrie è una ragazza grassoccia che niente ha a che fare con l’aspetto efebico
di una ventisettenne Spacek (differenza d’età che si vede tutta nel film), mentre
per la madre Margaret la figura e l’interpretazione di Piper Laurie le conferiscono
quasi una carica di simpatia che assolutamente non traspare tra le righe del libro.
Il film ebbe un finanziamento di un milione e ottocentomila dollari ed
incassò una cifra pari a circa quindici volte il suo costo. Come succede per tutti gli
adattamenti da romanzo, anche in questo film ci furono delle modifiche, che però
non intaccarono la storia nel suo nucleo, anzi, fu lo stesso King a rammaricarsi di
non aver avuto le stesse idee di Cohen e De Palma per la stesura del suo romanzo.
Le sostanziali differenze del film rispetto alla storia di King sono riassumibili in
alcuni punti fondamentali: a) Vennero eliminate quelle informazioni di fondo che
descrivono il passato dei personaggi, come ad esempio l’episodio delle pietre sulla
casa dei White dopo che Carrie viene sorpresa dalla madre a guardare la ragazza
in costume e quindi percossa. In realtà le scene relative a questo punto del
romanzo vennero anche girate ma omesse dal montaggio finale a causa dello
scarso effetto visivo che davano le pietre che colpivano la casa (invece degli
enormi massi del libro venne usata della ghiaia che, nel rivedere le scene, dava un
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effetto che somigliava a normale pioggia). Si nota inoltre che le scene degli interni
relativi a questo episodio vennero utilizzate, senza che si noti particolarmente, per
la scena dello sprofondamento della casa di Carrie; b) Venne eliminato il
battibecco tra il preside della scuola ed il padre di Chris dopo che quest’ultima è
stata schiaffeggiata dall’insegnante di ginnastica che le impedisce così di andare al
ballo; c) Tutta la struttura documentaristica e giornalistica del romanzo venne
tagliata per dare alla narrazione cinematografica un’impronta più lineare; d) La
connessione telepatica finale tra Sue e Carrie venne eliminata del tutto mentre i
poteri di Carrie vennero per così dire “affievoliti” a causa del budget limitato: se
nel romanzo leggiamo della distruzione dell’intera città nel film assistiamo
“soltanto” alla distruzione del liceo nel quale perderanno la vita molti ragazzi; e)
Le dimissioni dell’insegnante di ginnastica (Miss Desjardin nel libro, Miss Collins
nel film) furono trasformate nella sua morte al ballo di fine anno; f) Il finale del
film è totalmente diverso dal libro: se nel romanzo Carrie muore a causa della
coltellata infertagli dalla madre che la dissangua progressivamente, lasciando
l’amica-nemica Sue che l’assiste in questo tragico momento in preda all’orrore
più atroce a causa dell’improvviso flusso mestruale che le scorre tra le cosce, nel
film, dopo la morte di madre e figlia sprofondate insieme alla casa, assistiamo
all’incubo finale di Sue: durante una sua “commemorazione floreale” sul luogo in
cui è sprofondata la casa dei White, nel momento in cui lei stessa sta per posare i
fiori dove tutto è sepolto, la mano di Carrie emerge dal terreno e le afferra
l’avambraccio scatenando le sue urla ed il panico della madre (personaggio
aggiunto nel film) che l’assiste durante la convalescenza. Per girare questa scena
fu la stessa Sissy Spacek a voler essere sotterrata, e lei stessa dichiarò che
l’esperienza di essere seppellita viva fu claustrofobica ma allo stesso tempo
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eccitantissima). La morte di Margaret White fu modificata: da decesso per arresto
cardiaco provocato da Carrie che le ferma il cuore diventò crocifissione da
infilzamento di coltelli pari pari a come è crocifisso il San Sebastiano dello
sgabuzzino della loro casa, di sicuro scena di maggiore impatto visivo per il
pubblico, ma più dispendiosa in termini economici.
Le inquadrature evidenziano grande virtuosismo tecnico con carrellate
circolari e piani sequenza a dir poco acrobatici. Per quanto riguarda la scena
dell’incendio nella scuola, De Palma fece una scelta che si rivelò sbagliata:
utilizzare la tecnica dello split screen, dividere cioè lo schermo in due parti
distinte in cui si offrivano due inquadrature diverse della stessa scena.
Inizialmente egli credette di dare un maggiore impatto drammatico e caotico, ma
ciò si rivelò controproducente perché appesantiva la visione allo spettatore che
doveva guardare due scene contemporaneamente. Di questo il regista se ne
accorse già in fase di montaggio e quindi molte altre inquadrature della scena del
ballo pensate con questo sistema vennero poi presentate singolarmente. Un’altra
caratteristica è la presenza di scene di nudo già alla seconda inquadratura, cosa
che crea disorientamento nello spettatore soprattutto quando guarda la scena della
doccia di Carrie in cui tutto ci si aspetta tranne che di lì a poco le sgorgherà del
sangue mestruale. Il film riuscì ad avere un grande successo grazie anche al suo
forte impatto visivo ed è tuttora annoverato tra i classici dell’horror degli anni
settanta, considerato inoltre dallo stesso Stephen King uno degli adattamenti dei
suoi romanzi maggiormente riusciti.
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1.2. Le notti di Salem
Pubblicato negli Stati Uniti nel 1975 con una tiratura iniziale di 20.000
copie, la seconda fatica di Stephen King affronta una delle tematiche più
importanti e più sfruttate nella letteratura dell’orrore: il vampiro come
incarnazione del male, presentato per la prima volta nel celeberrimo Dracula di
Bram Stoker. E’ lui stesso nel libro-saggio Danse Macabre a considerarlo uno
degli archetipi fondamentali nella letteratura di questo genere. Il romanzo gli dava
la possibilità di “giocare un'interessante […] partita di squash letterario: Le notti
di Salem era la palla e Dracula il muro contro cui la rimandavo"
1
, un prodotto del
ventesimo secolo contro un muro del Diciannovesimo. Nel periodo in cui scrisse
Le notti di Salem King fu avvertito che se avesse pubblicato questo romanzo
sarebbe stato etichettato da quel momento in poi come autore dell’orrore, ma di
questo non era affatto preoccupato: rispose anzi con una battuta: “Penso di essere
in buona compagnia”, riferendosi a tutta la schiera di autori horror nella storia
della letteratura anglofona che avevano contribuito ad alimentare le sue “giovani”
emozioni ed il suo desiderio di scrivere.
Cosa succederebbe se Dracula tornasse in una cittadina rurale
dell’America contemporanea? Fu questa la domanda che si fece lo scrittore
durante una conversazione con la moglie Tabitha ed il suo amico d’infanzia Chris
Chesley, suo collaboratore in uno scritto giovanile, e da questo interrogativo ne
scaturì l’idea portante dell’opera. Il titolo iniziale fu Second Coming, a
sottolineare la seconda terrorizzante venuta del mostro dai denti aguzzi, questa
volta in una realtà molto diversa. ‘Salem’s Lot (questo è anche il titolo originale
1
Stephen King, Danse Macabre, Frassinelli, 2000, p. 36.
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del libro) è una cittadina americana estremamente provinciale, situata nello stato
del Maine che sarà una sorgente d’ispirazione costante per l’ambientazione dei
romanzi di King. Il popolo di questo paese isolato cova una sorta di cattiveria
latente nei confronti di tutti, si spia, sparla, incarna i mali di una società in
degrado e non può che esprimere diffidenza nei confronti di Ben Mears, scrittore
che ritorna nella cittadina (dopo averci abitato durante l’infanzia) per scrivere un
romanzo su una casa da tempo disabitata perché legata ad avvenimenti
raccapriccianti. Gli strani accadimenti e le sparizioni che coincideranno con
l’arrivo in quella casa di Straker e Barlow, due individui decisi ad aprire un
negozio di antiquariato, faranno iniziare le indagini a Mears.
Ad un primo impatto il lettore può pensare di essersi imbattuto in un libro
in cui sono presentati i soliti clichès: la casa che tutti evitano, il succhiatore di
sangue, l’eroe che cerca di salvare tutto e tutti, ma con lo scorrere delle pagine ci
si rende conto che questi elementi si fondono in un messaggio che va ben oltre al
di là del semplice scopo di creare paura. Cosa rappresenta Barlow? Cosa
simboleggia la ricerca delle sue vittime? Non è un mostro fine a sé stesso, è
l’incarnazione del male insinuatosi tra i cittadini così chiusi tra loro, il contagio
malefico simboleggia la progressiva e negativa degradazione di una comunità già
corrotta ed ipocrita, e non a caso la cittadina ha un nome che deriva nella finzione
storica da quello di una scrofa, cosa che può essere interpretato come simbolo
della sporcizia sociale. La vampirizzazione degli stessi abitanti del paese significa
la loro sconfitta nei confronti del male che loro stesso hanno alimentato e che non
ha potuto far altro che propagarsi fino alla distruzione morale dell’intera città. Il
confronto tra bene e male, punto fondamentale nell’horror, trova qui il suo
sviluppo anche nell’elemento religioso (presente anche in Carrie ed altri romanzi
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successivi) presentando il conflitto interiore di padre Callahan, sacerdote
alcolizzato la cui forza nella fede va sempre di più affievolendosi e che trova la
sua definitiva sconfitta proprio durante la lotta contro Barlow: in altre parole la
società che prende il sopravvento sull’individuo e la consapevolezza che la sola
fede non può bastate a sconfiggere il male. Questo scenario apocalittico non può
però essere definitivo: le forze negative devono essere fronteggiate e sconfitte, la
società deve avere un suo spiraglio. Lo troverà, oltre che con lo stesso Ben Mears,
anche con Mark Petrie, bambino (figura spesso presente nei lavori di King) che
grazie alla sua fermezza e alla sua purezza rispetto alla corruzione dell’umanità a
lui circostante affronterà le sue paure e riuscirà a sconfiggerle. E’ questo un
elemento ottimistico, in cui c’è una forte speranza di un miglioramento sociale
soprattutto attraverso l’educazione di coloro che saranno gli uomini del futuro,
attaccati a valori secolari ed incorruttibili. La conclusione del romanzo fece
credere che ci fosse l’interessamento da parte del suo autore a scriverne un
seguito, in effetti fu così ma i progetti successivi contribuirono inizialmente a
rimandare e quindi ad accantonare definitivamente l’idea.
Nel 1979 venne prodotta dalla CBS la serie televisiva omonima tratta dal
romanzo, della durata di 210 minuti. Precedentemente era balenata l’idea di
produrre un film per la cui regia era stato contattato George Romero. Ma Richard
Kobritz, già produttore di Carrie, lo sguardo si Satana, si rese conto del suo
potenziale televisivo e delegò alla scrittura della sceneggiatura Paul Monash,
anch’egli già collaboratore nel precedente film tratto da un romanzo di King. Il
regista dell’operazione diventò Tobe Hooper, uno degli alfieri del New Horror,
considerato più adatto per un lavoro televisivo, che dopo aver diretto Non aprite
quella porta nel 1974 e Quel motel vicino alla palude due anni dopo si trovò a