INTRODUZIONE Lo scopo di questa tesi è quello di analizzare il tema dei combattenti illegittimi, ossia quella
categoria di persone che, soprattutto nei moderni scenari di conflitto, partecipa attivamente alle
ostilità non rientrando ovviamente per questa ragione nella categoria dei civili ma che fallisce
anche la qualifica alla categoria dei combattenti legittimi. Grande attenzione sarà posta sulle
reti di protezioni che sono state create loro dal diritto internazionale umanitario di Ginevra del
1949. Il fine ultimo sarà quello di mostrare come tale branca del diritto internazionale, anche a
causa di ingerenze esterne mai realmente imparziali (è il caso del pur sempre lodevole
intervento del Comitato Internazionale della Croce Rossa 1
), sia ancora lungi dall'essere
completamente esaustiva ed in grado di assolvere il proprio compito principale: proteggere le
persone che nei contesti di guerra meritano una reale protezione, siano esse civili o combattenti
che abbiano deposto le armi e siano stati tratti in prigionia.
Il problema che alcuni esempi di combattenti illegittimi pongono, non solo nei teatri di guerra
ma anche al di fuori di questi, è riemerso in tutta la sua drammaticità dopo gli attentati
terroristici dell'11 settembre 2001 a New York e Washington. Fu in seguito a quegli eventi che
su esplicita indicazione dell'amministrazione statunitense il termine “combattente illegittimo”
in riferimento ai terroristi tornò a proliferare sulle testate giornalistiche di tutto il mondo. I
membri di Al Qaeda, così come i Talebani, erano stati così classificati unilateralmente. Come si
sarebbe capito in seguito tale determinazione avrebbe avuto conseguenze importantissime nella
condotta della cosiddetta “guerra al terrore” lanciata dagli Stati Uniti contro il terrorismo
fondamentalista islamico.
La prima parte della tesi verte sul concetto della belligeranza legittima; un concetto giuridico
che trova origine in età classica ma che è stato rielaborato nel corso degli ultimi secoli da
insigni giuristi e dagli Stati sovrani all'interno di consessi internazionali. L'analisi della
belligeranza legittima è fondamentale ai fini del presente studio per due motivi: il primo è che
questo, essendo un concetto volutamente esclusivo, porta in sé gli elementi determinanti per la
definizione in negativo del suo opposto, ossia della belligeranza illegittima. Il secondo motivo
è che il rientrare in questa classe, non a caso definita anche “privilegiata”, rappresenta l'unica
possibile via d'accesso ad un'altra categoria fondamentale per le leggi di guerra e per il diritto
internazionale umanitario: quella dei prigionieri di guerra.
I prigionieri di guerra sono di conseguenza l'argomento della seconda parte dell'elaborato.
L'analisi, partendo sempre dallo studio delle Convenzioni dell'Aja e soprattutto di Ginevra, è
1 Abbreviato nel testo come C.I.C.R., (I.C.R.C. per le citazioni dall'inglese)
1
fondamentale per capire la rilevanza e le conseguenze che una qualifica come quella di
combattente illegittimo, data in certi casi troppo alla leggera, può portare con sé. Solo i
combattenti legittimi infatti possono godere dei privilegi garantiti loro dal diritto internazionale
umanitario nel loro periodo di detenzione.
Una volta visti i “privilegi” che sono propri dei combattenti legittimi, in antitesi, la terza parte
della tesi si occupa del tema centrale dei combattenti illegittimi. Dopo aver posto l'attenzione
sui primi casi storicamente rilevanti per la giurisprudenza e sull'eterogeneità di questa
categoria, la concentrazione si sposterà sulla III e IV Convenzione di Ginevra, oltre che sul
Protocollo addizionale I del 1977, con un unico fine: capire quanto e come questo diritto si
possa estendere a tutti i combattenti illegittimi o almeno ad una parte di essi. In sostanza si
analizzerà il rapporto che, nelle idee degli Stati estensori e dei loro delegati, si sarebbe dovuto
creare tra questa categoria di combattenti, già all'epoca conosciuta, e il diritto internazionale
umanitario. A tale scopo si dà spazio alle due principali teorie al riguardo: quella estensiva data
dal Comitato Internazionale della Croce Rossa nel suo noto Commentario e quella restrittiva
sostenuta da molti studiosi e in particolare da Jason Callen in un articolo apparso nel 2004 sul
“ Virginia Journal of International Law ” (vol.44:4). In seguito alla presa visione anche di
alcuni passaggi del resoconto dei lavori preparatori delle Convenzioni le conclusioni saranno a
favore di quest'ultima.
La quarta parte si basa su una sentenza di inizi anni '90 che è emersa per la sua importanza e
per il peso specifico che ha avuto sulla giurisprudenza successiva: il caso Celebici . Il contesto
è quello della dissoluzione della Jugoslavia, e per la prima volta un tribunale autorevole come
quello istituito per l'occasione (il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia), decide
di prendere una posizione netta riguardo l'inclusione di tutti i combattenti illegittimi nella III o
in alternativa nella IV Convenzione di Ginevra. L'altro grande merito del caso in questione fu
quello di mettere in evidenza i molti limiti di una materia ferma nella sua elaborazione da
troppi anni, e per questo motivo troppo poco aderente alle nuova realtà di guerra.
Le ultime due parti della tesi hanno come tema la stretta attualità del problema. Per prima cosa
si analizzerà il fenomeno di Al Qaeda e dei Talebani, ponendo l'accento sulle differenze che
esistono tra le due organizzazioni e sul trattamento comune che, nonostante tutto, i membri di
queste hanno ricevuto in seguito all'11 settembre 2001. Elemento chiave di questo capitolo è
l'analisi dei regimi di detenzione e il caso Guantanamo. Per finire l'attenzione sarà posta su una
trilogia di casi molto noti posta tanto all'attenzione della Corte Suprema Statunitense quanto a
quella dell'opinione pubblica; i casi, per quanto ormai chiusi giuridicamente, continuano a
porre il tema dei combattenti illegittimi al centro del dibattito internazionale.
2
“To be more safe, they at lenght become willing to run the risk of being less free.”
-Alexander Hamilton, The Federalist n.8
1. LEGITTIMITA' DELLA BELLIGERANZA Il problema di creare una classe di guerrieri legittimata a prendere parte ad un conflitto armato
ha rappresentato uno degli aspetti fondamentali per lo sviluppo dei codici di guerra antichi
quanto per quelli più recenti. L'idea che una classe di guerrieri potesse al contempo beneficiare
ed essere legata ai suddetti codici trovava la sua origine nello jus fetiale romano 2
, per poi avere
uno sviluppo più organico nei codici di cavalleria medievali ( jus militaire ). La condotta della
guerra non solo doveva essere “giusta” ma anche “aperta”, al fine di evitare atti di codardia e
di perfidia come i massacri e il brigantaggio.
Per questo motivo i combattenti legittimi godono di uno status speciale in caso di cattura da
parte del nemico, che poi è il motivo per cui vengono definiti privilegiati e il motivo per cui il
dibattito attorno la questione abbia degli importantissimi risvolti pratici. La creazione di questo
gruppo, che ha da sempre un carattere esclusivo, ha avuto un peso notevole nello sviluppo sia
delle leggi di guerra più recenti che del connesso diritto internazionale umanitario.
Un altro aspetto fondamentale che sarà preso in esame al riguardo è come, in questo sistema
creato per fornire ordine e delineare dei criteri standard, l'aspetto della legittimità sia vincolato
indissolubilmente al rapporto che deve esistere tra i combattenti e una Parte del conflitto: è
questo il tema dell'autorità.
1.1 Legittimità e jus ad bellum Lo sviluppo del concetto di combattente legittimo non si limita solamente al rispetto di codici
di condotta o alla sola distinzione tra combattenti e popolazione civile. Aspetto preminente
continua ad essere quello della teoria della “giusta guerra” 3
. In particolare, si può essere
combattenti legittimi solo se si risponde ad una giusta autorità. Il principio di legittimità è
dunque subordinato alla giusta autorità così come ad altri principi fondamentali presenti nello
jus ad bellum e nello jus in bello .
Lo jus ad bellum consiste di sette principi che non sono altro che la base di una giusta guerra:
2 Il richiamo all'ordinamento del diritto feziale, soprattutto nel suo aspetto di indictio belli , è alla base dell'idea
ciceroniana di bellum iustum . Di conseguenza una guerra è giusta solo se conforme al sistema giuridico.
“Forme giuridiche del bellum iustum”, Antonello Calore, Giuffrè,(2003)
3 “Warriors without rights? Combatants, Unprivileged Belligerents, and the Struggle over Legitimacy” di
Kenneth Watkin (Occasional Paper Series, Winter, 2005)
3
• giusta causa;
• autorità competente;
• giusti intenti;
• ragionevole speranza di successo;
• proporzionalità complessiva dei guadagni sui danni;
• rappresentare l'ultima risorsa;
• avere lo scopo della pace;
A questi principi, sempre per rientrare nei giusti standard, vanno aggiunti gli altri due principi
già accennati dello jus in bello , che, a differenza dello jus ad bellum , regola la condotta delle
operazioni belliche:
• distinzione tra combattenti e civili;
• i mezzi di guerra non sono illimitati;
Il costante riferimento a questi due gruppi di principi, per quanto lodevole negli intenti, può
portare, e in alcuni casi ha portato, a diverse applicazioni del diritto internazionale umanitario 4
;
allo stesso modo Richard R. Baxter ha sostenuto che il concetto di “guerra giusta” sia
fondamentalmente incompatibile con la necessità di equità nel trattamento dei combattenti.
5
Appare evidente come tra i principi dello jus ad bellum emerga per importanza quello della
giusta autorità 6
. Questo ruolo preminente è confermato dall'attenzione posta al riguarda prima
nelle Convenzioni di Ginevra dove la giusta autorità è rappresentata esclusivamente dagli Stati,
e successivamente nel Protocollo addizionale I dove viene estesa anche ai movimenti di
liberazione nazionale.
1.2 Stabilire i criteri della guerra Prima di analizzare i criteri per la legittima belligeranza è importante capire quali siano i criteri
4 Esempio classico è quello della Guerra del Vietnam quando, ai prigionieri americani, veniva negato da parte
dei nord-vietnamiti lo status di prigioniero di guerra “sulla base che fossero colpevoli di aver fatto una guerra
aggressiva e per questo fossero dei criminali di guerra”. “Prisoners of War in International Armed Conflict” di
Howard S.Levie (International Law Studies 59, 1, (1977), p.42)
5 Richard R.Baxter, “Introduction”, Case Western Reserve Journal of International Law 9, (1977), p.7
6 James Turner Johnson, “Morality and Contemporary Warfare”(Yale University Press, 1999), p.41
4
dello stato di belligeranza, al fine di capirne la natura e il modo in cui questa sia stata intesa dai
legislatori.
Ugo Grozio ha definito la guerra come: “la condizione di coloro che si contendono con la
forza” 7
, mentre per Carl Von Clausewitz la guerra è: “un atto di forza che ha lo scopo di
costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà” 8
. Entrambe le definizioni non
comportano una differenza tra guerra pubblica e privata; una differenza che invece sarà sempre
più marcata all'interno di un sistema internazionale in mano agli Stati in seguito alla Pace di
Vestfalia del 1648. Il monopolio della forza, nel sistema post-vestfaliano, divenne prerogativa
dello Stato, rendendo così illegittima ogni guerra privata. Le due categorie di guerra pubblica e
privata sono riprese in termini più moderni nella differenziazione che viene fatta tra conflitti
armati internazionali e non-internazionali.
9
Altro problema da dirimere è quello della guerra diretta e indiretta; con il primo metodo di
condotta che corrisponde a quello classico clausewitziano ma su dimensione statale; mentre il
secondo, pur avendo origini antiche, ha avuto sempre maggior attenzione anche in seguito alla
diffusione della guerriglia nell'ultimo secolo.
10
1.3 Sviluppo del concetto di belligeranza legittimata:“Regolamento dell'Aja” Il sistema internazionale dominato dagli Stati ha profuso molto impegno nella ricerca di
standard condivisi per stabilire cosa sia la belligeranza legittima e tentare così di uscire
dall'anarchia che aveva dominato gli ultimi conflitti tra nazioni. Il momento della codificazione
trovò il suo primo punto di svolta nei lavori preparatori alla Convenzione dell'Aja nel 1907.
L'incontro fu caratterizzato da una profonda spaccatura fra due tipologie di approcci al
problema. Da una parte c'era la Prussia che guidava il gruppo dei paese dominanti a livello
militare e che richiedeva un approccio manicheo al problema; a loro opinione solo gli eserciti
nazionali erano legittimati all'uso della forza. Due erano le ragioni alla base di questa richiesta:
la prima era che la Prussia veniva dalla drammatica esperienza della guerra franco-prussiana
del 1870 in cui i franchi-tiratori avevano creato non pochi problemi all'esercito regolare
prussiano. La seconda ragione, la più evidente, era che, facendo questa proposta, la Prussia
cercasse di sfruttare la propria migliore organizzazione militare per avere un vantaggio di tipo
storico nei confronti degli altri Stati. Dall'altra parte c'erano invece le istanze del gruppo
7 Hugo Grozio, “De jure belli ac pacis libri tres”, (1625), p.33
8 Carl von Clausewitz, “On war”, (1832) p.75
9 Watkin, supra nota 2, p.18
10 Sun Tzu, “L'arte della guerra”, (VI sec. circa)
5
cosiddetto patriottico, composto dagli Stati militarmente più deboli, che invocava la liceità non
solo della levée en masse ma anche del diritto di ogni singolo cittadino di difendersi con le
armi da un invasore 11
. Il risultato che derivò da questo confronto di approcci fu chiaramente
compromissorio.
L'articolo 1 del “Regolamento sulla guerra terrestre” riconobbe lo status di combattente
legittimo solo alle seguenti condizioni:
• avere alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati;
• avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
• portare le armi apertamente;
• conformarsi nelle loro operazioni alle leggi e agli usi della guerra;
L'articolo 2 rappresentò una piccola concessione al gruppo dei patrioti:
“La popolazione di un territorio non occupato che, all'avvicinarsi del nemico, prende
spontaneamente le armi per combattere le truppe d'invasione senza aver avuto il tempo di
organizzarsi in conformità all'articolo 1, sarà considerata come belligerante se essa porta le
armi apertamente e se rispetta le leggi e gli usi della guerra.”
Come si può immaginare questo risultato non soddisfaceva pienamente nessuno dei due gruppi
di Stati. Prova ne sia la clausola posta dal Presidente della Conferenza, Friederich von Martens,
al termine delle discussioni e che, in attesa di una più completa codificazione in materia,
affermava che ogni caso ancora fuori dal diritto:
“(would) remain under the protection and empire of the principles of international law, as they
result from the usages established between civilized nations, from the laws of humanity, and
the requirements of public conscience.”
12
La “clausola Martens” non nacque dunque dal magnanimo desiderio di estendere il diritto
umanitario a tutti, ma piuttosto dalla constatazione di un risultato non ancora sufficiente della
codificazione in materia di conflitti armati 13
. Ciò ovviamente non toglie nulla alla sua efficacia
11 Watkin, supra nota 2, p.20-21
12 “The International Peace Conference” di D. Schindler e J.Toman, (Martinus Nijhoff publisher, 1907), p.548
13 Watkin, supra nota 2, p.22
6
che, visto anche l'uso vastissimo che ne è stato fatto, ha coperto in più occasioni alcune zone
grigie del diritto internazionale umanitario.
Il diritto stabilito all'Aja fu successivamente messo alla prova dai due conflitti mondiali che in
meno di mezzo secolo afflissero il mondo. Alla fine della seconda guerra mondiale gli Stati
ebbero la necessità di compiere ulteriori passi in avanti nello sviluppo della materia.
1.4 Il diritto di Ginevra e i sei nuovi criteri di legittimità Dal 21 aprile al 12 agosto gli Stati sovrani interessati si riunirono a Ginevra per elaborare un
diritto internazionale umanitario più completo rispetto alle precedenti versioni. Per quanto
riguardava la legittima belligeranza non furono fatti molti passi avanti. I quattro criteri stabiliti
all'Aja 14
, furono di poco ampliati, arrivando ad un totale di sei. E' da notare come a differenza
del regolamento dell'Aja, nel caso della Convenzione di Ginevra, la materia non fosse più
quella dello status dei combattenti legittimi, quanto piuttosto, quella del trattamento dei
prigionieri di guerra. Per quanto possa apparire come una materia diversa, si tratta in realtà, di
due facce della stessa medaglia. I sei criteri per appartenere allo status di prigioniero di guerra
sono di conseguenza i nuovi sei criteri per appartenere alla classe dei legittimi combattenti.
L'articolo in discussione è il 4 della terza Convenzione di Ginevra, e i criteri sono i seguenti:
1. essere organizzati;
2. avere alla testa una persona responsabile dei propri subordinati;
3. appartenere ad una delle Parti del conflitto;
4. portare un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
5. portare apertamente le armi;
6. conformarsi nelle operazioni alle leggi e agli usi della guerra;
Conformarsi ai suddetti criteri è un requisito fondamentale per essere considerato un
combattente legittimo e beneficiare così di quello che è il vantaggio più grande dovuto
all'appartenenza a questa classe: essere riconosciuto come prigioniero di guerra. E' importante
sottolineare come chiunque riesca ad adempiere a tali criteri ottenga questo status, che si tratti
di truppe regolari o irregolari non fa alcuna differenza. Questi criteri però, lungi dall'avere
risolto ogni problema, sono da tempo oggetto di discussioni e critiche a causa della loro
difficile interpretazione. Una loro analisi più dettagliata potrà far emergere meglio quali sono
14 Art.1 del “Regolamento sulla guerra terrestre” dell'Aja (1907)
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